TRASIBULO di Stiria
Uomo di stato ateniese della fine del sec. V e del principio del IV a. C. Di famiglia facoltosa, figlio di Lico del demo di Stiria, nacque intorno al 445. Sincero democratico e risoluto sostenitore dell'imperialismo ateniese, era nel 411 trierarco presso l'armata concentrata in Samo. E quando s'iniziarono ivi, come in Atene, pratiche per un rivolgimento oligarchico, i democratici, che abbondavano nell'esercito e nella flotta, fecero capo a lui e a Trasillo per impedirlo. Alla notizia della rivoluzione avvenuta in Atene Tr. e Trasillo fecero giurare ai soldati e ai marinai fedeltà alla democrazia. Un'assemblea da essi riunita depose gli strateghi e li sostituì con altri dieci, tra cui i due capi del movimento. Con saggia moderazione peraltro essi non solo evitarono violenze contro gli avversarî, ma impedirono che la flotta movesse contro Atene per soffocare la rivoluzione, preoccupandosi soltanto della guerra contro Sparta. Su proposta di Tr. in un'altra assemblea fu anche richiamato Alcibiade. Poi la flotta lasciò Samo per seguire nell'Ellesponto l'ammiraglio spartano Mindaro che ivi voleva trasportare la guerra per tagliare agli Ateniesi i rifornimenti dal Ponto. Qui Tr. partecipò ancora nel 411 alle due battaglie vittoriose di Cinossema e di Abido. Poi fu inviato sulle coste di Tracia. Frattanto, caduto in Atene il governo oligarchico, vi si era sostituita una oligarchia moderata. Il nuovo governo aveva inviato Teramene come stratego sulle coste settentrionali dell'Egeo. Teramene e Tr., riunitisi, raggiunsero il grosso della flotta partecipando come strateghi agli ordini di Alcibiade alla battaglia decisiva di Cizico, in cui l'armata spartana fu distrutta. Poco o nulla sappiamo del contributo di Tr. alle successive operazioni vittoriose di Alcibiade, ma non è dubbio che vi partecipò attivamente come stratego per il 410-09 e pel 409-08. Prima del ritorno di Alcibiade in Atene (408 o 407) egli ricuperò l'isola di Taso e Abdera che si erano ribellate. Fu poi con lui nominato stratego anche da quelli della città. Sebbene non partecipasse alla battaglia di Notio in cui la maggiore squadra ateniese fu sconfitta in assenza di Alcibiade, perdette, come lui, il favore della maggioranza e non fu più rieletto stratego fino al termine della guerra. Alla battaglia delle Arginuse (406) prese parte come trierarco.
Dopo la battaglia ebbe con Teramene, anch'egli trierarco, l'ordine di raccogliere i naufraghi. Sia che il comando non fosse dato tempestivamente, sia che lo stato del mare impedisse di eseguirlo o che vi fosse insufficiente energia da parte degli strateghi o dei due trierarchi, il salvataggio non ebbe luogo. Da ciò il processo e la condanna degli strateghi che, specie sulle prime, cercarono di scagionarsi riversando la responsabilità su Teramene e Tr., ciò che senza dubbio, date le larghe simpatie che questi godevano, aggravò la condizione degli strateghi accusati. Tuttavia, mente Teramene contribuì attivamente alla loro condanna, Tr. rimase in disparte. Da allora fino alla caduta di Atene e all'insediamento dei Trenta non sappiamo altro di lui, segno che si astenne dal partecipare sia alla folle politica di guerra di Cleofonte, sia ai tentativi vani che si fecero per impedire l'instaurarsi della nuova oligarchia. Ciò mostra che egli non intendeva schierarsi con i demagoghi e che, sebbene democratico sincero, riteneva inevitabile un nuovo esperimento di governo oligarchico.
Quando fra i Trenta prese deciso sopravvento la tendenza estremista capitanata da Crizia, egli già prima della uccisione di Teramene si rifugiò in Tebe e fu condannato in contumacia insieme con Anito e Alcibiade (Senofonte, Hellen., II, 3,92). Da Tebe Tr., con 70 fuorusciti, passò il confine dell'Attica nell'inverno sul 403 ed occupò File sui contrafforti del Parnete. I Trenta mossero con gli opliti e i cavalieri contro File, ma una tempesta di neve li fece desistere dal proposito di bloccarla. Ripiegarono dunque e si contentarono di mandare presso Acarne la maggior parte del presidio spartano e alcuni cavalieri per sorvegliare gl'insorti. Ma Tr., le cui forze erano salite a 700 uomini, attaccò costoro di sorpresa e li mise in fuga, con perdite. Le sue forze salirono subito a un migliaio di uomini ed egli ne profittò per marciare sul Pireo fortificandosi il quinto giorno dopo quel combattimento sul colle di Munichia. Qui, attaccato dai Trenta con tutte le loro forze e col presidio spartano, valendosi abilmente della posizione vantaggiosa, li batté e li mise in fuga. Crizia cadde combattendo; i Trenta, destituiti, si ritirarono in Eleusi, dove si erano preparato un rifugio, e furono sostituiti da un collegio di dieci. Ma anche i Dieci non vollero venire a trattative con gl'insorti che si erano frattanto impadroniti del Pireo e al cui campo affluivano numerosi cittadini e meteci. Tanto i Trenta quanto i Dieci si rivolsero a Sparta che concesse ai Dieci un prestito di cento talenti e inviò Lisandro come armosta e Libys come navarco. Iniziato da questo il blocco del Pireo, la condizione di Tr. si fece grave. Fortunatamente la rivalità del re Pausania per Lisandro e l'orrore che dappertutto avevano suscitato le violenze dei Trenta e in genere delle oligarchie istituite da Lisandro fecero sì che fosse inviato Pausania per sostituirsi a Lisandro nel comando e pacificare gli Ateniesi. Il re entrò nell'Attica con un esercito peloponnesiaco. Da una sua ricognizione presso il Pireo si sviluppò una battaglia in cui Tr. con le sue truppe raccogliticce ebbe, come era naturale, la peggio. Avendo dopo ciò tanto gl'insorti quanto il governo ateniese accettato la mediazione spartana, fu stabilito che i fuorusciti rientrassero in Atene, che si giurasse un'amnistia escludendone solo i Trenta e pochi altri, che questi e chiunque altro volesse, rimanessero indisturbati in Eleusi, di cui si riconosceva l'indipendenza. Dopo ciò i Lacedemoni evacuarono l'Attica e Tr. entrò con i suoi in Atene il 12 boedromione (settembre) 403. Subito la democrazia venne restaurata, ma una proposta liberale di Tr. per accordare la cittadinanza a tutti quelli che, insieme con i cittadini, avevano partecipato alla lotta contro gli oligarchici, fu respinta in seguito a un'accusa d'illegalità presentata da Archino, e solo più tardi la cittadinanza fu concessa a quelli tra i meteci (forse 120 o 150) che si erano uniti con Tr. prima della battaglia di Munichia. L'unità dello stato fu ristabilita pacificamente dopo che vennero uccisi a tradimento gli strateghi di Eleusi. L'amnistia, per riconoscimento esplicito di Senofonte che aveva combattuto tra le file degli oligarchici, fu lealmente osservata.
Seguirono alcuni anni di pace in cui Atene subì con rassegnazione l'egemonia spartana e cercò di consolidarsi all'interno restaurando le tradizioni patrie. Tr. e Anito erano gli uomini di stato più influenti, ma si guardarono entrambi dal profittare della loro posizione anche solo per ricuperare quei loro beni che erano stati confiscati sotto i Trenta (Isocr., Contra Callim., 23). Il processo di Socrate è uno degli episodî più caratteristici di quel periodo, ma la responsabilità di esso non spetta a Tr. Quando poi Sparta si trovò impegnata a fondo nella lotta contro la Persia, Tr. e Anito frenarono gli scalmanati che con le loro imprudenze affrettavano lo scoppio della guerra con Sparta. E pur dopo che Conone ebbe cominciato a raccogliere, d'intesa col re, una flotta per combattere gli Spartani, ottennero che il popolo sconfessasse Demeneto il quale con una trireme era partito da Atene per congiungersi con lui. Ma iniziatosi il conflitto tra Sparta e la Lega Beotica, Tr. credette venuto il momento di compiere la sua opera di liberazione e non esitò a proporre egli stesso l'alleanza con i Beoti che fu votata dal popolo (395). L'aiuto ateniese che, sotto la guida di Tr., giunse in tempo ai Tebani dopo la battaglia di Aliarto, costrinse il re Pausania a evacuare la Beozia e indusse così i Corinzî e gli Argivi a far causa comune con i Beoti, e gli Spartani a richiamare Agesilao dall'Asia. Come uno degli autori principali della guerra corinzia, così Tr. fu anche l'anima della resistenza a Sparta. Egli comandava, pare, il contingente ateniese nella battaglia presso il fiume Nemea (Lisia, Contra Mantith., 15). In seguito la direzione della politica di guerra di Atene passò a Conone e ai suoi amici. Tr. non fu richiamato al potere che dopo la scomparsa di Conone dalla scena politica. Lo sforzo con cui, venuti meno gli aiuti persiani di denari e di navi, gli Ateniesi a prezzo di gravissimi sacrifizî si diedero nuovamente una flotta da guerra, fu dovuto a Tr. Con 40 triremi egli, stratego per il 389-88, attese alla ricostituzione dell'impero marittimo e riportò successi meravigliosi. Ricuperò Taso, Samotrace, il Chersoneso, Bisanzio e Calcedone, fece alleanza con i regoli traci Medoco e Seute, assicurò agli Ateniesi libertà di rifornimenti dal Ponto e impose nuovamente il dazio del 10% sulle merci in transito per il Bosforo. Poi rassodò il predominio ateniese in Lesbo e su parte delle coste asiatiche e ricuperò Alicarnasso, riscuotendo tributi e facendo bottino. Infine, primo dei comandanti ateniesi dopo Cimone, si avanzò fino presso l'Eurimedonte e impose una contribuzione agli Aspendii. Ma qui perì in una sorpresa notturna del suo campo, fatta dagli Aspendii irritati per le rapine dei soldati ateniesi.
La morte lo sottrasse all'amarezza di un processo, perché, nonostante i suoi trionfi, il malcontento per i gravissimi sacrifizî che la sua politica imponeva, il ridicolo sospetto che egli potesse aspirare alla tirannide, per il quale si osava paragonarlo a Dionisio (Aristofane, Plut., 549 seg.), l'avversione dei demagoghi sul tipo di Cleofonte, dai quali egli si era tenuto sempre lontano, avevano fatto sì che o non rieletto stratego per l'anno successivo, o forse anche destituito per mezzo dell'apochirotonia, fosse richiamato in Atene per dare i rendiconti dei tributi riscossi. È possibile che taluno (Lisia, Contra Ergocl., 5) gli suggerisse di ribellarsi. Ma è certo che egli non mostrò affatto di dare ascolto a simili suggerimenti. In ogni caso, se qualche suo ufficiale, come Ergocle, venne tratto in giudizio e, a torto o a ragione, condannato a morte, il popolo ateniese non dimenticò il riguardo dovuto alla memoria del suo liberatore. Tr. fu uno dei più puri eroi di libertà che la storia ricordi. Impedendo che l'armata di Samo movesse contro Atene, egli salvò la città dalla guerra civile e le conservò per allora l'impero. Il confronto tra la sua condotta e quella di Teramene dopo la battaglia delle Arginuse torna grandemente a suo onore. La moderazione dei fuorusciti ateniesi nella guerra per la libertà e dopo la vittoria, nobilissimo esempio in guerra civile, deve in gran parte ascriversi a lui. E, dopo la liberazione, egli contribuì come nessun altro a risollevare la potenza ateniese sia nella pace sia nella guerra. Se richiese gravi sacrifizî al popolo e agli alleati, si deve tenere conto che solo a prezzo di quei sacrifizî poteva ricostituirsi l'impero. Il suo tentativo per allargare le basi della cittadinanza ateniese fa ritenere che egli, pure insistendo sulla politica imperialistica, avesse assai più di Pericle sentito la necessità di superare l'egoismo della polis.
Bibl.: Oltre le maggiori storie greche: J. Beloch, Attische Politik, Lipsia 1884, pp. 72, 103 segg., 125 segg.; P. Cloché, L'affaire des Arginuses, in Rev. Hist., CXXX (1919), p. 5 segg.; id., La restauration démocratique à Athènes, Parigi 1915; G. De Sanctis, Atene e i suoi liberatori, in Rivista di filologia, n. s., I (1923), p. 287 segg.; P. Cloché, La politique étrangère d'Athènes de 409 à 338 av. Jésus-Christ, Parigi 1934, passim; G. Corradi, Condizioni politiche di Atene dopo Egospotami, in Il mondo classico, 1936; W. Schwahn, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI A, col. 568 segg.