TRASIMEDE (Θρασυμήδης, Thrasymēdes)
Figlio di Arignoto, da Paro, scultore e, probabilmente, anche architetto; che lavorasse nella prima metà del sec. IV a. C. si argomenta dall'epoca delle iscrizioni che si riferiscono a lui.
L'unico lavoro ricordato, e del quale possiamo farci un'idea, è il simulacro colossale criseloefantino d'Asclepio, ch'era nel tempio d'Epidauro. Pausania (II, 27, 2) dice ch'era alto la metà della statua di Zeus, pure crisoelefantina, dedicata da Adriano nell'Olimpieo di Atene. In rapporto alle dimensioni della cella, doveva essere un po' meno di 5 metri.
Le figure del nume che vediamo su monete del luogo, dal 350 a. C. al sec. II d. C., sembrano riprodurre con fedeltà lo schema della statua, interpretata più liberamente nei rilievi votivi trovati nel santuario. Il nume, seduto, teneva il bastone a mo' di scettro, poggiando l'altra mano sulla testa del serpente sacro: accanto era un cane accovacciato, animale consacrato parimenti ad Asclepio. Sul trono, ch'è riprodotto con alta spalliera in un bronzo d'Antonino Pio (British Museum, Catal. of Greek coins, Peloponnesus, tav. 29, n. 22), erano rappresentati, certamente in rilievo, due miti argivi: Bellerofonte che uccideva la Chimera e Perseo che decapitava Medusa. L'Asclepio era barbato: Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, verso il 370, gli fece togliere la barba aurea, dicendo che, come figlio d'Apollo, non doveva avere l'onor del mento, mentre mancava alle statue del padre (Cicer., De natura deorum, III, 83). Il pezzo rubato venne rifatto senza dubbio più tardi, come si può intendere dalle figure delle monete e dal silenzio del Periegeta circa il furto. Qualche dramma d'argento, databile tra il sec. IV e il III a. C. (E. Babelon, Traité d. monnaies gr. et rom., tav. 217, 17), reca una testa di magnifico stile, che può essere ispirata dalla scultura.
Presso lo stadio del santuario si trovò la base d'una statua che pare fosse di bronzo, dedicata ad Apollo e al figlio, con la firma dell'artista. Un'iscrizione, che contiene contratti per la costruzione del tempio, nomina un Tr. che si assume la posa in opera "del tetto e delle porte": si pensa, in rapporto all'epoca del documento (v. timoteo), che questo sia lo scultore. Anche per la mancanza di notizie biografiche non si può dire a che scuola d'arte appartenesse: il fatto che Atenagora (Legatio pro Chnstianis, 17, p. 61, ed. Otto) abbia nominato Fidia come autore del colosso d'oro e d'avorio, non ha significato riguardo allo stile, come credette qualcuno.
Bibl.: H. Brunn, Geschichte d. griech. Künstler, I, Stoccarda 1889, p. 172 seg.; M. Collignon, Hist. de la sculpture grecque, II, Parigi 1897, p. 185 seg. G. M. A. Richter, The sculpture and sculptors of the Greeks, New Haven 1930. Per il testo di Pausania, v. i commenti di Frazer, P.'s description of Greece, III, Londra 1898, p. 241 seg., e di Hitzig e Blümner, Des P. Beschreibung v. Griech., I, 2, Lipsia 1899, p. 609 seg.