Trasmissione sessuale
Le malattie sessualmente trasmesse comprendono un gruppo di patologie - alcune frequenti, certe rare, alcune ubiquitarie, altre quasi esclusivamente limitate a determinate aree geografiche - causate da agenti infettanti estremamente eterogenei, che hanno in comune solo la possibilità di trasmettersi attraverso il contatto sessuale. Mentre alcune di esse si trasmettono abitualmente con questa modalità (cosiddette malattie veneree), altre spesso diffondono per vie diverse.
Le classiche malattie veneree sono caratterizzate da manifestazioni a carico dell'apparato genitale, in corrispondenza del punto d'ingresso dell'agente causale, ma talora, come nel caso della sifilide, sono seguite da disseminazione dell'infezione nel torrente circolatorio e quindi provocano anche manifestazioni morbose a distanza. Le malattie trasmesse anche per altre vie non danno fenomeni locali, in quanto gli agenti causali passano direttamente nel sangue e causano una sintomatologia extragenitale (per es., epatiti virali, sindrome da immunodeficienza acquisita). Le malattie sessualmente trasmesse sono in gran parte condizionate dallo stile di vita e dall'orientamento sessuale del singolo soggetto. Sono correlate con diversi fattori: numero dei partner; tipo di rapporto sessuale; pratica di rapporti durante le mestruazioni; frequenza di rapporti occasionali; uso di diaframmi e contraccettivi orali da parte delle donne; mancato uso del preservativo da parte dei maschi; viaggi e soggiorni in paesi a elevata endemia. è importante tenere presente che molte infezioni sessualmente trasmesse possono essere asintomatiche; i soggetti infetti che non presentano manifestazioni cliniche sono egualmente capaci di trasmettere la malattia, contribuendo quindi largamente al mantenimento di un'endemia più o meno elevata. Inoltre, i pazienti affetti da una patologia sessualmente trasmessa hanno molte probabilità di averne anche un'altra (infezioni doppie o triple); ne deriva che, quando viene diagnosticata una di tali malattie, è necessario praticare anche gli opportuni accertamenti per altre forme morbose che al momento possono essere silenti o mascherate dalla prima. A seconda dell'eziologia, possiamo distinguere malattie da batteri, da virus, da funghi, da Protozoi e da parassiti (tab. 1). In tab. 2 sono riepilogate le più comuni manifestazioni a carico dell'apparato genitale che caratterizzano le diverse malattie sessualmente trasmesse, mentre in tab. 3 sono presentate le possibili manifestazioni extragenitali. La maggior parte delle malattie sessualmente trasmesse è facilmente diagnosticabile sulla base del quadro clinico e ben documentabile con l'esame batterioscopico e colturale di materiale prelevato direttamente dalle lesioni genitali (secreto uretrale, secreto cervicovaginale, materiale prelevato dal fondo o dai bordi delle ulcere ecc.); nelle malattie generali, come la sifilide e la sindrome da immunodeficienza acquisita (HIV), il criterio diagnostico principale è la ricerca degli anticorpi circolanti. La gravità varia notevolmente: alcune patologie si risolvono autonomamente dopo un decorso più o meno prolungato, altre, se non opportunamente trattate, proseguono nella loro evoluzione provocando complicanze locali o malattie generalizzate. La terapia delle forme batteriche, micotiche e protozoarie si avvale di chemioantibiotici assai efficaci, anche se negli ultimi tempi si è notata, per alcuni microrganismi (per es. gonococco), la comparsa di un certo grado di resistenza ai farmaci di più comune impiego. Per quanto riguarda le forme virali, sono disponibili farmaci efficaci contro l'herpes genitale e recentemente si sono aggiunti nuovi antivirali che si sono rivelati capaci di modificare profondamente il decorso dell'infezione da HIV. La profilassi si basa principalmente sull'educazione sessuale (scelta dei partner, rapporti protetti, cura nell'evitare i rapporti traumatizzanti e in corso di mestruazione ecc.) e sull'appropriata terapia dei soggetti infetti, anche se asintomatici, che costituiscono la principale fonte di diffusione. Non sono al momento disponibili vaccini efficaci.
a) Sifilide. La sifilide, detta anche lue, è una malattia infettiva sistemica, che appare caratterizzata da una evoluzione a tappe, con stadi clinici intervallati da fasi di latenza. è causata da una spirocheta, il Treponema pallidum, così denominato per la difficoltà con cui assume i coloranti dei comuni batteri. La trasmissione della malattia avviene abitualmente mediante contatti sessuali (sifilide acquisita); la probabilità di contagio dopo un rapporto con partner infetto è del 50% circa. Un'altra modalità di trasmissione, oggi molto rara, è quella transplacentare, dalla madre al feto (sifilide congenita). Si ritiene che la malattia sia stata importata in Europa dai marinai di Cristoforo Colombo; comunque una grande epidemia colpì il continente europeo negli anni a cavallo fra il 15° e 16° secolo. Attualmente la sifilide è diffusa in tutto il mondo, con diversa incidenza nei vari paesi e con oscillazioni di frequenza. Nell'evoluzione della sifilide acquisita si distinguono varie fasi: periodo di incubazione, della durata di 2-4 settimane, a partire dal momento del contagio fino alla comparsa dei primi segni; infezione primaria, caratterizzata da manifestazioni locali nella sede di penetrazione del treponema (sifiloma primario); infezione secondaria, che segue la comparsa del sifiloma di 30-60 giorni, durante la quale si ha diffusione del microrganismo nel sangue e comparsa di manifestazioni cliniche generali; fase di latenza, di durata variabile, generalmente per tutta la vita nei casi opportunamente trattati; infezione terziaria, che si palesa a distanza di anni, quasi esclusivamente nei casi non o mal trattati. Essa è espressione della localizzazione a carico di uno o più organi e assume particolare gravità se colpisce l'apparato cardiovascolare o il sistema nervoso centrale (neurolue). Nella sifilide acquisita la prima manifestazione è il sifiloma primario che all'inizio si presenta con una papula rossa, o un nodulo, che rapidamente tende all'erosione con formazione di un'ulcera a bordi regolari, fondo rosso e liscio, di consistenza dura, non dolente né spontaneamente né alla palpazione, ricoperta da un essudato sieroso ricco di treponemi. Le sedi più frequenti sono nell'uomo, il prepuzio, il frenulo e il glande, e nella donna, la clitoride, le piccole labbra, il meato urinario e il collo dell'utero. Nel maschio omosessuale è frequente anche la localizzazione anale. Possono essere interessate anche la bocca e le labbra. Pochi giorni dopo la comparsa del sifiloma insorge un'infiammazione dei linfonodi satelliti, generalmente quelli inguinali che risultano aumentati di volume, duri, mobili e indolenti. Anche se non interviene la terapia, il sifiloma si cicatrizza e si riepitelizza completamente nel giro di qualche settimana, o al più, di alcuni mesi. La sifilide secondaria si manifesta generalmente 6-8 settimane dopo la comparsa del sifiloma primario ed è spesso preceduta da una sintomatologia pseudoinfluenzale con febbre o febbricola, astenia, malessere, cefalea, mialgie. La manifestazione principale è la comparsa di un'eruzione cutanea con elementi maculari rosa pallido (roseole) diffuse al tronco e agli arti, incluse le palme delle mani e le piante dei piedi. Alle roseole può far seguito un'eruzione papulosa di elementi lenticolari, rosso-rame, di consistenza dura, non dolenti, spesso localizzati sulle mucose orali, genitali e anali, che possono assumere aspetto erosivo o francamente vegetante (condilomi piani perianali, inguinali, dello scroto o della vulva). Eccezionalmente può insorgere una sindrome meningea. Anche la sifilide secondaria tende a esaurirsi in alcune settimane o qualche mese ed è seguita dalla fase di latenza, di durata indefinita, spesso per tutta la vita. Nel 15-20% circa dei pazienti inadeguatamente curati, a distanza di anni (da 2 a 20-30) dall'inizio dell'infezione, si manifesta la sifilide terziaria, che può colpire qualsiasi organo o apparato. A carico della cute si possono avere noduli dermoipodermici duri, rilevati, di dimensioni variabili, che possono ulcerarsi (sifilodermi nodulari e gomme). Manifestazioni analoghe possono interessare le mucose e gli organi interni (per es. epatite sclerogommosa). La sifilide terziaria è particolarmente grave quando interessa l'apparato cardiovascolare o il sistema nervoso centrale. In particolare, può essere colpita l'aorta, con la comparsa di un vizio valvolare (insufficienza aortica) o la dilatazione del tratto colpito (aneurisma). Il coinvolgimento del sistema nervoso (neurolue) può manifestarsi con una meningite, con un'endoarterite dei vasi cerebrali responsabile di vari disturbi neurologici (emiplegie, afasie sensoriali e motorie, emianopsie) o con il diretto interessamento del tessuto nervoso. Questo evento, oggi molto raro, comprende la tabe dorsale, meningoradicolite responsabile di disturbi della deambulazione e di dolori lancinanti, e la paralisi progressiva, meningoencefalite che provoca gravi sintomi neurologici e psichici (alterazione della memoria, cambiamento della personalità, allucinazioni deliranti). Va sottolineato che il rischio di neurolue è particolarmente elevato nei soggetti con doppia infezione da Treponema pallidum e da virus HIV. La sifilide congenita si distingue in sifilide fetale, che di frequente provoca l'aborto oppure il parto prematuro con feto non vitale; sifilide neonatale, con manifestazioni patologiche in atto al momento della nascita o poco dopo; sifilide tardiva, la quale si evidenzia al secondo o terzo anno di vita. Per la sifilide congenita il contagio può avvenire soltanto a partire dal 5° mese di gravidanza in poi, quando la placenta permette il passaggio del treponema dalla gestante contagiata al feto. Il 25% circa dei feti infetti muore in utero; il 25-30% dei neonati infetti decede poco dopo la nascita; gli altri sopravvivono, ma il 40-50% di essi mostrerà precocemente oppure tardivamente segni di infezione. La sifilide neonatale precoce provoca manifestazioni presenti alla nascita o che compaiono pochi giorni o pochi mesi dopo. Poiché il contagio si è verificato per via ematica (transplacentare), il quadro è paragonabile a quello della sifilide acquisita secondaria o terziaria. Si possono avere lesioni cutanee o mucose (papule, vescicole, bolle, placche), ossee (periostiti e osteocondriti), oculari (iriti, corioretiniti), epatiche, renali e del sistema nervoso (più frequenti, queste ultime, nella sifilide congenita tardiva, cioè dopo i primi due anni di vita). Possono residuare caratteristiche stigmate, esiti di lesioni più o meno precoci (anomalie dentarie, oculari, dell'orecchio interno, dell'apparato scheletrico). Il riconoscimento microscopico in campo oscuro del treponema nel materiale prelevato dalle lesioni primarie e secondarie permette l'accertamento diagnostico della sifilide, ma risultano più usate le reazioni sierologiche che documentano la presenza degli anticorpi nel sangue. La classica reazione di Wassermann è oggi sostituita da altre reazioni di flocculazione più sensibili tra cui la VDRL (Venereal disease research laboratory); queste reazioni si positivizzano 1-3 settimane dopo la comparsa del sifiloma primario; se interviene il trattamento, il titolo decresce nella fase di latenza e si negativizza entro 1-2 anni. Queste reazioni non sono assolutamente specifiche e possono riuscire positive generalmente a basso titolo anche in altre malattie (per es., mononucleosi infettiva, polmonite da micoplasmi, artrite reumatoide, connettiviti, lebbra ecc.). Si rivelano più specifiche e sensibili altre reazioni (test treponemici). Scarsamente impiegato per la sua complessa esecuzione è il test di Nelson-Mayer o di immobilizzazione dei treponemi; sono invece largamente utilizzati il FTA-ABS (Fluorescence absorption test), il TPHA (Treponema pallidum haemoagglutination assay) e l'MHA (Micro haemoagglutination assay). Queste reazioni si positivizzano 20-30 giorni dopo il contagio e rimangono positive a lungo, anche per tutta la vita, nonostante il trattamento sia stato efficace. Ne deriva che un test treponemico persistentemente positivo non indica che la terapia sia stata inadeguata, né che sia in atto una recidiva o una reinfezione, ma può essere compatibile con la guarigione clinica. La diagnosi di neurolue trova conferma dall'esame del liquido cefalorachidiano nel quale sono dimostrabili anticorpi antitreponemici. Recentemente è stata applicata anche la ricerca del DNA specifico mediante PCR (Polymerase chain reaction). La terapia di elezione in tutti gli stadi della sifilide è la penicillina. Nella sifilide primaria o secondaria si praticano generalmente 3-5 iniezioni intramuscolari di penicillina-benzatina, a distanza di una settimana l'una dall'altra. Nei soggetti allergici a questo farmaco si può ricorrere alla somministrazione di doxiciclina. Nella sifilide terziaria, e in particolare nella neurolue, si usa la penicillina in dosi maggiori per via venosa per circa 15 giorni, i risultati però sono meno brillanti. Recentemente è stata segnalata anche l'efficacia di alcune cefalosporine.
b) Gonorrea. La gonorrea o blenorragia è una malattia ubiquitaria molto frequente, conosciuta fin dall'antichità, che abitualmente provoca manifestazioni locali a carico dell'apparato urogenitale, ma che può indurre anche fenomeni extragenitali. è provocata da un diplococco gram-negativo (Neisseria gonorrheae o gonococco). Negli Stati Uniti si riscontrano all'incirca 800.000 nuovi casi ogni anno. Vengono prevalentemente colpiti soggetti giovani che hanno numerosi partner sessuali. L'infezione può essere asintomatica, specialmente nelle donne, che possono essere portatrici clinicamente inapparenti ma capaci di trasmettere il contagio ai partner sessuali. Il periodo di incubazione è breve (2-7 giorni). Nel maschio la manifestazione abituale è un'uretrite caratterizzata da bruciore alla minzione e fuoriuscita dal meato di una secrezione dapprima sieromucosa e quindi francamente purulenta, di colorito giallo-verdastro, particolarmente abbondante al mattino. Nei casi opportunamente trattati la sintomatologia scompare di solito nell'arco di 2-3 giorni; nei casi non curati la malattia tende spesso a risolvere spontaneamente dopo un decorso più o meno prolungato, ma sono possibili complicazioni come l'epididimite, la balanopostite (infiammazione del glande e del prepuzio) e la prostatite. Nella donna la sede primaria dell'infezione è la cervice uterina, con frequente diffusione alla vagina e alla vulva. La sintomatologia, spesso lieve, comprende bruciore vaginale e più o meno abbondante secrezione mucopurulenta; frequenti i disturbi urinari (per es., bruciore alla minzione, pollachiuria). Nei casi non trattati si può verificare cronicizzazione oppure diffusione ascendente dell'infezione con salpingite e malattia infiammatoria pelvica, che possono essere responsabili di sterilità. La più comune delle localizzazioni extragenitali è la proctite, più frequente nella donna e nel maschio omosessuale. Si manifesta con dolore in sede anale, tenesmo ed emissione di essudato mucopurulento con le feci. Altre localizzazioni extragenitali sono la congiuntivite purulenta per trasporto di materiale infetto con le dita e la faringite nei soggetti che praticano rapporti orogenitali. Oggi è eccezionale la diffusione del gonococco nel torrente circolatorio con conseguente sepsi, spesso associata ad artrite purulenta e a manifestazioni cutanee. Una grave congiuntivite purulenta può colpire il neonato che può contrarre l'infezione passando attraverso i genitali della madre, ma attualmente essa è assai rara a causa della sistematica profilassi operata al momento del parto (instillazione di nitrato d'argento all'1%). La diagnosi differenziale va posta principalmente con le uretriti non gonococciche (v. oltre). L'accertamento si fonda sull'esame microscopico del secreto uretrale o cervicovaginale, che, strisciato su vetrino e opportunamente colorato, mostra un tappeto di leucociti all'interno dei quali sono visibili i caratteristici diplococchi gram-negativi. Il materiale può essere coltivato su terreni adatti e può essere eseguita la ricerca di antigeni del gonococco utilizzando particolari antisieri. Recentemente sono state applicate le tecniche di amplificazione del DNA che consentono una diagnosi precisa mediante PCR. Non è utile la ricerca di anticorpi nel sangue circolante. In ogni paziente affetto da gonorrea è opportuno praticare anche esami sierologici per la sifilide, al fine di escludere la possibilità di una doppia infezione. La terapia classica è rappresentata dalla penicillina per via intramuscolare o dall'amoxicillina per bocca, anche in dose unica; nelle forme complicate il trattamento viene protratto più a lungo (circa 7 giorni). Recentemente si sono diffusi ceppi di gonococco scarsamente sensibili alla penicillina e per questo molti preferiscono ricorrere a trattamenti alternativi, come le cefalosporine di terza generazione. Alcuni casi di apparente insuccesso della terapia dopo iniziale risposta positiva si devono a doppie infezioni da gonococco e da Chlamydia trachomatis, agente principale dell'uretrite non gonococcica, che ha un periodo di incubazione più lungo (1-3 settimane) e non è sensibile agli antibiotici impiegati nella gonorrea. Pertanto, dopo un miglioramento iniziale conseguente all'azione sul gonococco, si ha una ripresa della sintomatologia dovuta a Chlamydia.
c) Uretrite non gonococcica. Con la denominazione uretrite non gonococcica o uretrite aspecifica vengono designate infezioni a trasmissione sessuale caratterizzate da bruciore e secrezione uretrale per le quali sia esclusa l'origine gonococcica. Gli agenti eziologici principali sono particolari microrganismi che per molti caratteri si differenziano dai comuni batteri: Chlamydia trachomatis (40-50% dei casi), Ureaplasma urealyticum (15-30% dei casi) e Mycoplasma genitalium (15-20% dei casi); in una piccola percentuale di casi la sintomatologia è provocata da Trichomonas vaginalis (v. oltre). Attualmente si ritiene che Chlamydia trachomatis sia la più comune causa di infezione sessualmente trasmessa nei paesi industrializzati; in particolare negli Stati Uniti si segnalano circa 4 milioni di casi l'anno. Come la gonorrea, anche l'infezione da questi agenti può essere asintomatica, specialmente nella donna. Il periodo di incubazione è nettamente più lungo (1-3 settimane). Il quadro clinico è simile a quello della gonorrea. Nell'uomo si manifesta bruciore uretrale accompagnato da secrezione biancastra, inodore, di aspetto mucoso più che purulento e più scarsa che nella gonorrea; spesso si ha minzione frequente (pollachiuria) e dolorosa (stranguria). Nelle forme non trattate sono possibili complicazioni (epididimiti, prostatiti). Nella donna si hanno secrezione vaginale e disturbi urinari; anche in questo caso le complicanze ricalcano quelle della gonorrea (salpingite, malattia infiammatoria pelvica). In assenza di terapia, la malattia tende a estinguersi più o meno lentamente, potendo protrarsi per alcune settimane con remissioni e riacutizzazioni. Il neonato, che contrae l'infezione passando attraverso i genitali della madre infetta, può andare incontro a congiuntivite mucopurulenta o a polmonite, che si evidenziano 5-20 giorni dopo la nascita. La diagnosi in genere viene posta presuntivamente sulla base della presenza di secrezione uretrale e vaginale che contiene abbondanti leucociti in assenza di diplococchi endocellulari, tipici della infezione gonococcica. L'accertamento eziologico è abbastanza complesso per la difficoltà di coltivare i microrganismi responsabili. Attualmente sono disponibili metodi di amplificazione genica che permettono l'identificazione del DNA di Chlamydia trachomatis, sia nell'essudato sia nelle urine. La terapia antibiotica abbrevia il decorso ed elimina il pericolo di complicazioni. Il farmaco più usato è la doxiciclina; in alternativa risultano efficaci l'azitromicina e l'eritromicina.
d) Linfogranuloma venereo. Il linfogranuloma venereo è una malattia sessualmente trasmessa caratterizzata da un'ulcera in sede genitale, spesso seguita da infezione suppurativa dei linfonodi inguinali, talora accompagnata da fenomeni generali. è causata da ceppi di Chlamydia trachomatis (detti L1, L2, L3) differenti da quelli che provocano l'uretrite non gonococcica. La malattia è rara in Europa e in America Settentrionale, ma abbastanza diffusa in Asia, Africa e alcune zone dell'America Meridionale. Il periodo di incubazione va da 5 giorni a 3 settimane. Il decorso può essere distinto in tre stadi. Il primo stadio, evidente solamente nel 30% dei casi circa, appare caratterizzato dalla comparsa di una lesione vescicolare sul glande oppure sul prepuzio nell'uomo, sulla vulva, la vagina, la cervice uterina o la zona anale nella donna. La vescicola si trasforma in ulcera di colorito grigiastro, a bordi arrossati, quasi sempre non dolenti. Nel secondo stadio sono interessati i linfonodi inguinali che nel 50% dei casi, per l'evoluzione purulenta, formano una grossa massa fluttuante e dolente che può fistolizzare. In questa fase sono generalmente presenti segni generali (per es., febbre, brivido, cefalea, talora comparsa di un'eruzione cutanea). Nella terza fase, che si manifesta dopo mesi dal contagio, la malattia può provocare deformazione degli organi genitali (elefantiasi del pene, dello scroto e della vulva); nella donna si può stabilire una sindrome anorettale con proctite emorragica, restringimento del retto, ascessi perirettali e fistole anali, rettovaginali e rettovescicali. La diagnosi si fonda principalmente sull'esame istologico dei linfonodi e sulla ricerca nel siero degli anticorpi (reazione di fissazione del complemento o di microimmunofluorescenza). La prognosi appare favorevole nelle forme iniziali, mentre in quelle cronicizzate è spesso necessario un intervento chirurgico correttivo. Il trattamento, assai efficace in fase precoce, è basato sulla somministrazione di doxiciclina o tetraciclina; farmaci alternativi sono l'eritromicina e i sulfamidici.
e) Ulcera molle. L'ulcera molle o cancroide è una malattia sessualmente trasmessa che provoca ulcere genitali dolorose e suppurazione dei linfonodi inguinali senza dare segni generali. L'agente causale è rappresentato da un coccobacillo, identificato nel 1891 a Napoli dall'italiano A. Ducrey (Haemophilus ducreyi). La malattia è quasi inesistente nei paesi industrializzati, mentre è ancora presente in quelli in via di sviluppo, specie tra le prostitute. Dopo un periodo di incubazione di 2-10 giorni, sul glande o sul pene nel maschio, sulla clitoride, sulla mucosa vulvovaginale o in regione perianale nella donna, compaiono papule che si rompono provocando ulcere superficiali, piane, molli, a margini irregolari, dolorose, facilmente sanguinanti, che tendono a confluire tra loro. I linfonodi inguinali sono tumefatti e possono andare incontro a suppurazione, formando un vero e proprio bubbone. L'accertamento si esegue con l'esame batterioscopico e colturale del materiale patologico. La terapia antibiotica (eritromicina, azitromicina, cefalosporine) abbrevia il decorso della malattia, che del resto anche spontaneamente evolve verso la guarigione.
f) Granuloma inguinale. Il granuloma inguinale è una malattia sessualmente trasmessa, che provoca lesioni granulomatose croniche a carico degli organi genitali. Come il linfogranuloma venereo e l'ulcera molle, la malattia è attualmente presente in paesi tropicali (alcune aree dell'India, Nuova Guinea, alcune zone caribiche). Il microrganismo responsabile è costituito da un bacillo gram-negativo di incerta classificazione, detto Calymmatobacterium granulomatis, il quale all'interno delle cellule mononucleate costituisce i cosiddetti corpi di Donovan. Il periodo di incubazione varia da 9 a 50 giorni. La malattia ha inizio con un nodulo rossastro, indolore, localizzato agli organi genitali, che si trasforma in ulcera superficiale. È tipica la tendenza a estendersi in superficie fino a un diametro di alcuni centimetri; sul fondo dell'ulcerazione si formano delle granulazioni rotondeggianti, esuberanti e sanguinanti che tendono a confluire. Non vengono interessati i linfonodi inguinali. La progressione appare lenta e la malattia può decorrere anche per anni portando a gravi mutilazioni dei genitali e del retto. La diagnosi trova conferma dall'esame microscopico del materiale prelevato dal fondo della lesione ulcerativa. I farmaci più attivi per la terapia sono il cotrimossazolo, la doxiciclina e l'eritromicina.
a) Herpes genitale. L'herpes genitale è un'infezione vescicolare e ulcerativa della cute e delle mucose della zona genitale e anorettale, provocata dal virus di Herpes simplex (HSV, Herpes simplex virus). Il virus appartiene alla famiglia dell'Herpesviridae, che sono virus con genoma a DNA. Esistono due tipi di HSV: il tipo 1 e il tipo 2. Il primo causa infezioni del cavo orale, della zona perilabiale, dell'occhio, del sistema nervoso e solo eccezionalmente del tratto genitale; si trasmette con la saliva o per diretto contatto tra due superfici corporee. Il virus tipo 2 si trasmette invece per via sessuale, oppure dalla madre al neonato durante il passaggio attraverso il canale del parto. L'herpes genitale è una malattia ubiquitaria, molto diffusa, specie tra i soggetti a intensa e promiscua attività sessuale; è attualmente considerato la più frequente causa di ulcere genitali nei paesi sviluppati. Una caratteristica fondamentale dell'infezione erpetica è rappresentata dalla tendenza alle recidive. Dopo l'episodio iniziale (infezione primaria) il virus non viene eliminato, ma persiste indefinitamente nei gangli nervosi sensoriali (infezione latente); periodicamente, talora in coincidenza con traumi, strapazzi, esposizione al caldo oppure al freddo, stimoli emotivi, intossicazioni, mestruazioni, ma anche senza cause apparenti, il virus latente si riattiva e, viaggiando lungo i tronchi nervosi, ritorna nella sede dell'infezione primaria, provocando un altro episodio morboso (herpes ricorrente). L'infezione primaria può essere asintomatica, ma perlopiù provoca, dopo un periodo di incubazione di 3-7 giorni, sintomi e segni assai fastidiosi a carico dei genitali, specie nella donna. La lesione iniziale è una vulvovaginite con bruciore, arrossamento e comparsa di tipiche vescicole nella vagina e sulle grandi e piccole labbra, che tendono a interessare anche il monte di Venere, la clitoride, l'orifizio uretrale e la cute perianale. Può essere interessata la cervice uterina. Le vescicole si rompono, formando ulcere ricoperte da essudato grigio-giallastro, molto dolenti. Nuove lesioni compaiono per almeno una settimana, ma anche più a lungo. Frequentemente si hanno dolore alla minzione (uretrite erpetica), tumefazione dolorosa dei linfonodi inguinali, febbre, cefalea, malessere, mialgie. Di solito la sintomatologia tende a peggiorare durante la prima settimana e raggiunge il picco tra l'8° e il 10° giorno; successivamente essa tende ad attenuarsi e a regredire. Nell'uomo lesioni analoghe a quelle della donna interessano il pene, il glande, il prepuzio e meno frequentemente lo scroto. La sintomatologia appare limitata perlopiù a dolore locale e talora (30% circa dei casi) alla minzione; meno frequenti e comunque più lievi sono i fenomeni generali. Il 60-90% degli individui che hanno superato il primo episodio di herpes genitale sintomatico oppure anche asintomatico andrà successivamente incontro a uno o più episodi di herpes ricorrente. Questi sono generalmente meno severi e di durata inferiore rispetto all'infezione primaria, ma, specialmente nella donna, possono essere dolorosi e provocare turbe psichiche. Le complicazioni più importanti sono rappresentate dalla diffusione dell'infezione in sede extragenitale; inoltre, in casi rari, è possibile la comparsa di una meningite. La diagnosi è generalmente facile per la presenza delle tipiche vescicole. Il metodo di accertamento più sicuro è l'isolamento del virus in coltura cellulare; una tecnica diagnostica più semplice e rapida è l'esame istologico del materiale prelevato alla base delle vescicole. La ricerca degli anticorpi nel siero è utile solo nell'infezione primaria, perché le recidive solo eccezionalmente inducono variazioni del titolo. Nessun trattamento è in grado di eradicare l'infezione e di impedire le ricorrenze, ma la chemioterapia antivirale abbrevia il decorso e riduce l'entità sia dell'infezione primaria sia degli episodi ricorrenti. Il farmaco di scelta è l'acyclovir (o analoghi), che si può somministrare per via endovenosa, orale o locale, a seconda della gravità del caso. Nei soggetti con frequenti ricorrenze la somministrazione orale di acyclovir per lunghi periodi può ridurne il numero, la durata e la gravità. Nella donna gravida è necessario espletare il parto con taglio cesareo per diminuire la probabilità di infezione nel neonato. Sono attualmente in corso ricerche per la preparazione di vaccini efficaci, finora non disponibili.
b) Condilomi acuminati. I condilomi acuminati, detti anche verruche genitali, sono una malattia a trasmissione sessuale molto diffusa, in netto incremento negli ultimi anni, che deve la sua importanza soprattutto all'implicazione nello sviluppo del cancro della cervice uterina. L'agente causale di questa malattia è Papillomavirus, virus a DNA appartenente alla famiglia delle Papovaviridae, di cui esistono molti sierotipi che provocano verruche sulla cute e papillomi sulle mucose. Nei condilomi acuminati sono implicati i tipi 1, 2, 6, 11, 16, 18. I condilomi acuminati sono papillomi che si presentano come escrescenze (generalmente multiple) di colorito roseo e consistenza molliccia, localizzate sulla vulva, sulle piccole labbra, sulla cervice, attorno all'ano, sul glande, sul pene o sul perineo. Inizialmente si forma una papula di colorito rossastro che si ricopre di piccole digitazioni, assumendo l'aspetto definito a cavolfiore. Le lesioni possono confluire tra loro, formando masse talora di notevoli dimensioni. L'evoluzione è varia: i condilomi possono regredire in alcuni mesi oppure aumentare progressivamente di volume. L'accertamento si fonda sull'esame istologico; antigeni virali possono essere evidenziati mediante reazioni immunoenzimatiche oppure di immunofluorescenza. Molto utile si è rivelata la ricerca del DNA virale mediante la tecnica PCR. La terapia si basa sull'applicazione locale di sostanze citotossiche (per es., podofillina, acido tricloroacetico, 5-fluorouracile ecc.), sulla laserterapia e sull'elettrocoagulazione. Utili si sono dimostrati gli interferoni per via generale, mentre discussa è la loro eventuale efficacia per applicazione diretta. Vi sono chiare evidenze dell'associazione di alcuni tipi di Papillomavirus (tipi 16 e 18) con la comparsa di lesioni cancerose. Infatti tali virus sono stati isolati da lesioni precancerose e cancerose della cervice uterina e il loro genoma è rilevabile nelle cellule neoplastiche, talvolta integrato nei cromosomi.
c) Sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Tra le malattie sessualmente trasmissibili ha attualmente grande importanza l'infezione del virus HIV, che appartiene alla famiglia dei Retrovirus (v. AIDS). Il virus si trasmette per via parenterale attraverso il sangue (in seguito all'uso di siringhe o altri strumenti infetti), per via materno-fetale e per via sessuale nei rapporti omo- o eterosessuali, sia nella direzione uomo-donna sia in quella donna-uomo. Il rischio di contrarre l'infezione attraverso il singolo rapporto risulta basso; tale rischio, tuttavia, diviene molto alto dopo ripetuti rapporti. L'infezione viene comunque contratta più facilmente dalla donna che dall'uomo, con una probabilità all'incirca tre volte maggiore. Il virus può essere trasmesso direttamente dallo sperma e dalle secrezioni vaginali oppure tramite il sangue nei rapporti traumatizzanti. Importanti fattori di rischio sono rappresentati dal numero dei partner, dalla frequenza dei rapporti, dal tipo di rapporti più o meno traumatizzanti (per es. rapporti anali), dalla presenza di ulcere sui genitali provocate da altre malattie sessualmente trasmesse (sifilide, herpes genitale ecc.). La distribuzione nel tempo mostra un progressivo aumento della proporzione dei casi attribuibili a trasmissione eterosessuale; secondo i dati dell'anno 1998, in Italia i casi di AIDS attribuibili a contatti eterosessuali riguardavano circa il 19,8% del totale.
d) Epatiti virali B e C. Modalità di trasmissione analoghe a quelle del virus HIV hanno anche i virus dell'epatite B (HBV, Hepatitis B virus) e dell'epatite C (HCV, Hepatitis C virus; v. epatite). In particolare, il rapporto sessuale con un soggetto affetto da epatite B acuta oppure portatore cronico del virus comporta un rischio pari al 25% circa. Di gran lunga inferiore è, invece, il pericolo di trasmissione sessuale del virus C, tuttavia non trascurabile nelle coppie stabili dopo ripetuti rapporti.
e) Mollusco contagioso. Un altro virus trasmissibile anche per contatto sessuale, oltre che per diretto contatto cutaneo, è quello del mollusco contagioso, che appartiene alla famiglia delle Poxviridae. Il mollusco contagioso si manifesta con multiple lesioni papulonodulari sulla cute e/o sulle mucose, di piccole dimensioni (diametro di 2-5 mm), di colorito giallastro pallido o madreperlaceo, che appaiono lievemente rilevate con ombelicatura centrale. La diagnosi è facile e può essere confermata mediante l'esame istologico. La terapia si fonda sulla laserterapia, sulla crioterapia o sull'applicazione locale di fenolo, acido tricloroacetico, acido salicilico ecc.
f) Infezione da Cytomegalovirus. Il Cytomegalovirus (CMV) appartenente alla famiglia delle Herpesviridae, può essere trasmesso anche per via sessuale, oltre che con il sangue, trapianti e altre modalità, ma esso generalmente non causa malattia nei soggetti immunocompetenti, mentre è un importante patogeno nei pazienti con deficit immunologici.
a) Candidosi genitale. Una comune affezione vulvovaginale è la candidosi, provocata da numerosi funghi del genere Candida, tra i quali il più comune è Candida albicans. L'infezione è spesso favorita da vari fattori (diabete, malattie endocrine, gravidanza, uso di contraccettivi orali, terapie antibiotiche, corticosteroidee o immunosoppressive) e da tutte le condizioni che modificano il pH vaginale. è possibile anche la trasmissione sessuale dal maschio, che può essere portatore asintomatico. Sintomi fondamentali sono il prurito e il bruciore vulvare accompagnati da secrezione biancastra. La vulva è arrossata, con placche biancastre aderenti alla mucosa, simili a quelle del mughetto orale. Nell'uomo può comparire un'uretrobalanopostite con piccole chiazze eritematose e biancastre sul glande e sul prepuzio che danno prurito e dolore alla minzione. La terapia consiste nell'applicazione locale di miconazolo, clotrimazolo o nistatina; nelle forme più severe si può ricorrere alla somministrazione di chetoconazolo per bocca.
b) Tricomoniasi. La tricomoniasi è un'infezione sessualmente trasmessa causata da un protozoo flagellato (Trichomonas vaginalis), di forma ovale, delle dimensioni di 10 x 7 μm, che si rinviene soprattutto nella vagina. L'infezione dell'uomo è generalmente asintomatica, ma alcuni soggetti presentano una banale uretrite con secrezione, pollachiuria e disuria. Anche nella donna l'infezione può essere asintomatica, ma spesso si manifesta una vaginite con abbondante secrezione giallastra, schiumosa e maleodorante, bruciore, prurito vulvare e dolore durante la minzione. La mucosa vaginale si presenta arrossata con aspetto granuloso; alla colposcopia si possono osservare manifestazioni petecchiali sulla cervice uterina. La conferma diagnostica si ottiene con l'esame microscopico del materiale patologico a fresco o dopo colorazione di Papanicolau. Il trattamento più efficace è rappresentato da farmaci nitroimidazolici (metronidazolo, tinidazolo, ornidazolo) per via orale, anche in dose unica. è importante eseguire il trattamento del partner sessuale anche se asintomatico.
c) Parassitosi. Tra le malattie sessualmente trasmesse rientrano anche due forme di ectoparassitosi: la pediculosi del pube e la scabbia. La pediculosi del pube è dovuta a un particolare pidocchio (Phthirius pubis), simile al pidocchio del capo (Pediculus humanus capitis) e a quello del corpo (Pediculus humanus corporis). è un insetto ovale, lungo 1-4 mm, che deposita le uova (lendini) sui peli e vive per circa un mese. La parassitosi provoca intenso prurito all'inguine, al pube e al lato interno delle cosce, con frequenti lesioni da grattamento. La diagnosi è facile per la visibilità dei parassiti nella zona interessata e delle loro uova aderenti ai peli. La scabbia è una dermatosi contagiosa dovuta a un acaro (Sarcoptes scabiei); la femmina scava cunicoli nello strato corneo della cute e vi depone le uova. La malattia è favorita da condizioni di promiscuità e di scarsa igiene; la trasmissione avviene per contagio cutaneo diretto e può verificarsi anche per contatto sessuale. Il periodo di incubazione è di circa un mese. La sintomatologia consiste in prurito ed eritema papuloso disposto secondo linee verticali, le quali terminano con piccole vescicole. La diagnosi, facile sulla base dell'osservazione diretta, può essere confermata con estrazione dell'acaro dai cunicoli o dalle vescicole terminali. La terapia di entrambe le ectoparassitosi si avvale dell'applicazione locale di prodotti allo zolfo o di altri antiparassitari, eventualmente associati agli antistaminici.
bibl.: d. goldmeier, s. barton, Sexually transmitted diseases, New York, Springer, 1987; k.k. holmes et al., Sexually transmitted diseases, New York, McGraw-Hill, 19902; s. pala, Malattie sessualmente trasmesse, Roma, CISU, 1994.