Abstract
Si esamina il principio di trasparenza, quale metodo di imposizione sul reddito degli enti, considerando sia i caratteri strutturali e le giustificazioni teoriche che sorreggono il principio, sia i singoli regimi di diritto positivo ad esso riconducibili. In particolare, sono considerate le discipline della trasparenza per le società di persone, le società di capitali e i trusts.
In diritto tributario, il principio di trasparenza costituisce uno specifico metodo di imposizione dei soggetti collettivi, attraverso cui si realizza la diretta imputazione del presupposto di imposta in capo ai singoli che compongono l’ente (Boria, P., Il principio di trasparenza nella imposizione delle società di persone, Milano, 1996, 15).
L’ordinamento tributario non contiene né una definizione né una regolamentazione unitaria del principio, quanto invece differenti discipline in grado di configurare una pluralità di regimi di trasparenza, nel settore dell’imposizione sul reddito.
Il metodo della trasparenza per la tassazione dei redditi, introdotto dalla riforma fiscale degli anni settanta quale regime obbligatorio per le società di persone, è stato adottato anche per i Gruppi Europei di Interesse Economico (GEIE), per le società di capitali (in via opzionale) e in talune fattispecie di trusts.
Nonostante non vi sia completa corrispondenza dei presupposti applicativi e degli effetti, è possibile ricostruire un paradigma generale della trasparenza fiscale, basato su comuni elementi strutturali.
Tale ricostruzione appare necessaria sia per distinguere la trasparenza fiscale da altre ipotesi attigue, sia per compiere una valutazione delle scelte normative in termini di coerenza sistematica e legittimità costituzionale.
Un primo elemento che caratterizza il principio di trasparenza, comune alle diverse ipotesi ad esso riconducibili, è quello della potenziale idoneità dell’ente a rappresentare un centro soggettivo di imputazione di situazioni giuridiche tributarie, ad essere cioè soggetto passivo di imposta.
Il principio di trasparenza presuppone la soggettività tributaria, in senso sostanziale, dell’ente; soggettività che però viene svalutata dal legislatore in base ad una precisa opzione normativa.
Qualora non sia ricostruibile una soggettività tributaria dell’organizzazione, l’imputazione ai singoli del presupposto di imposta non deriva da una scelta di “trasparenza”, bensì dalla stessa inidoneità della struttura a porsi quale soggetto cui riferire, imputare e quindi tassare, la specifica capacità contributiva.
Non sono, quindi, in nessun modo riconducibili al principio di trasparenza quelle ipotesi in cui non è riconosciuta l’autonoma soggettività tributaria dell’organizzazione e/o del patrimonio (si pensi al fondo patrimoniale, ai patrimoni destinati ex art. 2447 bis c.c. o alle reti di impresa senza soggettività. Sulle ipotesi, anche dubbie, di soggettività tributaria, si rinvia a Puri, P., I soggetti, in Fantozzi, A., (a cura di), Diritto tributario, Torino, 2012, 427 ss.).
Con il principio di trasparenza, l’imputazione della ricchezza avviene in capo ad un soggetto (il singolo componente) diverso da colui che l’ha creata (l’ente reso “trasparente”), determinandosi una scissione tra momento della produzione del reddito e momento della imputazione (Fantozzi, A.-Paparella, F., Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2014, 36).
È questo il secondo elemento strutturale del principio.
In base al metodo della trasparenza, i redditi sono individuati, classificati nelle categorie reddituali e determinati considerando il momento della produzione e, quindi, la situazione soggettiva dell’ente che li ha prodotti; tali redditi sono, in un momento logicamente e giuridicamente successivo, imputati e tassati secondo altri criteri di riferibilità soggettiva (es. quote di partecipazione) e di imposizione personale (quale imposta sui redditi, quali aliquote, ecc.), relativi al singolo componente.
L’imputazione del presupposto rende, inoltre, fiscalmente irrilevante l’eventuale momento della distribuzione del risultato economico, evitando quindi la doppia imposizione economica del reddito.
In dottrina, si è rilevato come, in base al principio di trasparenza, entrambe le figure soggettive partecipino alla realizzazione del presupposto di imposta, trattandosi di una fattispecie complessa, in cui la distinta rilevanza giuridica dei due momenti e delle relative posizioni si “combinano tra di loro in un’unica fattispecie giuridica a cui consegue un unico effetto giuridico (l’obbligazione tributaria)” (Boria P., Il principio, cit., 267-268; Tassani, T., I trusts nel sistema fiscale italiano, Pisa, 2012, 92 ss.).
Secondo una prima impostazione, in questo modo si realizzerebbe una “deviazione” dallo schema tipico della imposizione reddituale, in base al quale il reddito dovrebbe essere tassato in capo a chi ne ha la disponibilità giuridica, individuata dalla titolarità giuridica della fonte produttiva.Il principio di trasparenza assumerebbe quindi una natura eccezionale rispetto ai principi generali in materia di riferibilità ai soggetti dei fatti indici di capacità contributiva, nelle imposte sui redditi (Fedele, A., Profilo fiscale delle società di persone, in Riv. not., 1988, I, 553 ss.).
Secondo una diversa lettura, il principio di trasparenza potrebbe evidenziare, almeno in talune fattispecie, una particolare manifestazione del “possesso” di redditi, ex art. 1, d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (TUIR).
Se si riconosce che lo schema della titolarità giuridica della fonte produttiva esprime il “possesso” del reddito solo in termini generali (e tendenziali, Paparella, F., Possesso dei redditi ed interposizione fittizia, Milano, 2000, 172), perché la sua specificazione è lasciata alla disciplina delle singole categorie reddituali, ciò che diviene rilevante è piuttosto l’«esistenza di un criterio di collegamento con la situazione giuridica-fonte» (Boria, P., op. cit., 265).
In questa prospettiva, qualora fosse possibile individuare, relativamente al soggetto cui viene imputato il reddito, una valida relazione giuridica con la fonte di produzione (ed è questo il caso, come si vedrà, della trasparenza nelle società di persone e nei trusts), il principio di trasparenza assumerebbe una portata sistematica; oltre che di piena legittimità ai sensi dell’art. 53 Cost., esprimendo la riferibilità, a colui che è tassato per trasparenza, «della manifestazione di ricchezza scelta come componente oggettiva del presupposto» (Schiavolin, R., Il collegamento soggettivo, in Moschetti, F., a cura di, La capacità contributiva, Padova,1993, 71).
Qualora ciò non si verifichi, la scelta normativa di trasparenza, allora tendenzialmente derogatoria rispetto ai principi dell’imposizione reddituale, dovrebbe essere diversamente giustificata (come nel caso della trasparenza delle società di capitali).
Il terzo elemento strutturale del principio di trasparenza conosciuto nel sistema fiscale italiano è rappresentato dalla parziale rilevanza della soggettività tributaria dell’ente.
Oltre al rilievo della posizione giuridica soggettiva dell’ente nella costruzione della fattispecie impositiva complessa, il principio di trasparenza valorizza la soggettività dell’ente per quanto attiene gli obblighi di natura formale e strumentale (Filippi, P., Redditi prodotti in forma associata, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, 1).
In relazione al presupposto impositivo che, come si è detto, è determinato in quanto prodotto dall’ente, si prevede che quest’ultimo debba assolvere a tutti quegli obblighi formali che consentono di individuare e determinare il reddito prodotto (tenuta delle scritture contabili, dichiarazione tributaria, ecc.), con assoggettamento anche ai poteri accertativi dell’Amministrazione finanziaria.
L’individuazione dei caratteri strutturali del principio di trasparenza è in grado di spiegare perché, nonostante a livello teorico il principio possa essere adottato in relazione ad ogni fattispecie impositiva, esso assuma reale rilevanza solo nell’ambito di un sistema di imposte personali, in cui il carico fiscale è modulato in relazione alla situazione personale del contribuente.
Secondo la definizione comunemente accolta, la struttura della fattispecie imponibile nei tributi personali è identificata in funzione del contribuente, l’elemento soggettivo della fattispecie concorrendo ad integrare lo stesso elemento oggettivo (Fedele A., Imposte reali ed imposte personali nel sistema tributario italiano, in Riv. dir. fin., 2002, 456). Nelle imposte reali, in cui il presupposto è definito a prescindere da qualsiasi riferibilità al soggetto passivo, l’adozione del principio di trasparenza si rivela «in linea di massima inutile se non addirittura controproducente rispetto alle esigenze di semplicità dei meccanismi impositivi» (Boria, P., op. cit., 21).
Nei tributi personali, come sono le imposte sui redditi, il principio di trasparenza, realizzando l’imposizione in capo ad un soggetto diverso da quello che ha posto in essere il fatto indice, consente, invece, al legislatore di raggiungere significativi effetti sostanziali, funzionali alle finalità perseguite.
La riconducibilità dei diversi regimi di trasparenza ad un principio unitario permette, inoltre, di distinguere gli stessi da altre fattispecie che presentano taluni punti di contatto o elementi di somiglianza.
In primo luogo, si tratta di quelle ipotesi normative che determinano fenomeni di, anche solo parziale, dissociazione tra titolarità della fonte e riferibilità del presupposto (Fransoni, G., La disciplina fiscale del trust nelle imposte dirette, in Riv. dir. trib., 2007, I, 234; Carinci, A., Fondo patrimoniale, in Sesta, M., a cura di, Codice della famiglia, vol. III, Milano, 2009, 5911).
Simile alternazione nel rapporto tra fonte e reddito caratterizza anche il principio di trasparenza, in cui però la dissociazione è, in modo del tutto peculiare, determinata da un «duplice meccanismo di imputazione soggettiva» (Boria, P., op. cit., 268), secondo la prospettiva indicata della fattispecie complessa (v. supra, § 2).
Inoltre, tipicamente, il principio di trasparenza si fonda su un rapporto tra il singolo soggetto e l’ente (considerato tale dal diritto tributario), in grado di esprimere una partecipazione (nelle società) o, comunque, un inserimento del soggetto nella struttura giuridica dell’ente (nei trusts).
In questa prospettiva, i regimi di trasparenza sono da ricondurre nell’alveo dei nuclei di relazione, fiscalmente rilevanti, tra i singoli e le organizzazioni collettive.
In secondo luogo, occorre considerare quelle disposizioni normative di carattere antielusivo che consentono di superare l’autonoma soggettività dell’ente per giungere ad una diretta tassazione dei redditi in capo ai singoli (come nel caso delle imprese estere controllate ex art. 167 TUIR).
La conseguenza del “superamento dello schermo societario” potrebbe altresì derivare dalla applicazione di norme antielusive generali (come il principio del divieto di abuso del diritto o l’art. 37-bis, d.P.R. 29.9.1973, n. 600. Sul tema Beghin, M., L’elusione fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto, Padova, 2010, 323 ss).
In tutti questi casi, tuttavia, le norme non permettono di ricostruire una autonoma fattispecie impositiva con effetti di ordine sostanziale, operando solo sul piano della “inopponibilità” fiscale delle scelte di autonomia negoziale.
Nel senso che l’effetto della norma antielusiva (di carattere speciale o generale) è quello di determinare la non applicazione delle regole ordinarie in presenza di situazioni di “anormalità economica” (più o meno tipizzate, a seconda della tipologia della norma), in grado di evidenziare comportamenti abusivi da parte del contribuente, il cui riscontro è tuttavia lasciato al confronto tra il singolo e l’Amministrazione finanziaria.
Al principio di trasparenza non possono, infine, essere ricondotti quei metodi di accertamento fondati su presunzioni (relative) che fanno leva su particolari rapporti personali ed economici, in determinate compagini societarie, al fine di accertare la distribuzione del reddito (Beghin, M., L’occulta distribuzione dei dividendi nell’ambito delle società di capitali “a ristretta base” tra automatismi argomentativi e prova per presunzioni, in Riv. giur. trib., 2004, 433 ss.).
Ci si riferisce alla presunzione di distribuzione di utili nelle società di capitali a ristretta base partecipativa, in forza della quale i redditi non dichiarati da simili società sarebbero normalmente (in base alla regola di esperienza che configurerebbe il “fatto noto”) distribuiti ai soci e non, invece, accantonati o utilizzati per altri fini.
Nonostante possa ravvisarsi qualche elemento di vicinanza, quantomeno considerando le ragioni storiche e le finalità normative che hanno condotto alla introduzione dei regimi di trasparenza societaria (v. infra, § 4.1 e 4.2), la non assimilabilità risulta chiara, perché si tratta di una metodologia di accertamento finalizzata alla individuazione di comportamenti evasivi e perché l’effetto della presunzione è quello di spostare l’onere probatorio in capo al contribuente.
La presunzione non determina alcuna alterazione del meccanismo impositivo relativo al reddito prodotto ed imputato alla società di capitali, interessando peraltro solo il reddito di partecipazione distribuito al socio, ossia una fattispecie impositiva distinta da quella oggetto del principio di trasparenza.
L’art. 5, co. 1-3, TUIR disciplina la tassazione per trasparenza delle società di persone residenti, disponendo che i redditi di tali società sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.
Le quote di partecipazione si presumono proporzionali ai conferimenti, se non risultano determinate diversamente da atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all’inizio del periodo di imposta, oppure, se il valore dei conferimenti non risulta determinato, si presumono uguali.
Ai fini della tassazione per trasparenza, alle società di persone sono equiparate le società di armamento, le società di fatto, le associazioni professionali (la disciplina della trasparenza del GEIE, ex art. 11, d.lgs. 23.7.1991, n. 240 risulta assai simile a quella prevista per le società di persone: Puri, P., I soggetti, cit., 437)
È previsto che anche le perdite si imputino a ciascun socio o associato nella proporzione di cui all’art. 5 TUIR (art. 8, co 2, TUIR; per le perdite che eccedono il capitale sociale nelle s.a.s., la regola vale solo nei confronti dei soci accomandatari) e, in caso di perdite di impresa (derivanti da partecipazione in s.n.c. e s.a.s.), le stesse sono computabili in diminuzione di altri redditi di impresa nei limiti fissati dall’art. 8, co. 3, TUIR (in caso di soci soggetti passivi IRES, si veda l’art. 101, co. 6, TUIR).
Analogamente, spettano ai singoli soci, nella proporzione di cui all’art. 5, le ritenute operate sui redditi delle società di persone (art. 22, co. 1, TUIR; per gli aspetti applicativi: Circ. Agenzia delle Entrate n. 56/E/2008 e n. 12/E/2010); i crediti di imposta spettanti alla società per i tributi assolti all’estero (art. 165, co. 9, TUIR); oltre che, secondo la prassi, le quote non utilizzate di crediti d’imposta concessi alla società a titolo di agevolazione (Ris. Agenzia delle Entrate n. 163/E/2003 e n. 120/E/2002).
Sulla società di persone gravano gli obblighi di natura formale e strumentale (tenuta delle scritture contabili, presentazione della dichiarazione, assoggettamento ai poteri di accertamento) relativi ai redditi prodotti (artt. 6 e 40, co. 2, d.P.R. n. 600/1973).
La natura dei redditi imputati ai soci è fissata con riferimento alla società, non costituendo gli stessi una autonoma categoria reddituale (Vantaggio, M., Commento all’art. 5 Tuir, in Fantozzi, A., a cura di, Commentario breve alle leggi tributarie, III, Padova, 2010, 41).
Secondo l’impostazione prevalente, ai fini della imputazione del reddito pro quota, occorre considerare la composizione societaria al momento della chiusura del periodo di imposta, a nulla rilevando eventuali mutamenti avvenuti in corso d’anno (Nussi, M., Spunti per una rimeditazione della disciplina impositiva reddituale delle società di persone, in Riv. dir. trib., 1994, I, 733 ss.; Vantaggio, M., Commento, cit., 42).
La scelta della trasparenza fiscale per le società di persone risale alla legge delega del 9.10.1971, n. 825 (art. 2, n. 3) ed ha avuto la prima formulazione con l’art. 5, d.P.R. 29.9.1973, n. 597 (nel sistema previgente, a partire dal R.d. del 30.12.1923, n. 3063, si affermarono letture giurisprudenziali nel senso di presumere, salvo prova contraria, la distribuzione degli utili nelle compagini societarie personali; si rinvia a Boria, P., op. cit., 25 ss.).
Per quanto attiene la giustificazione della scelta sul piano della legittimità costituzionale e della coerenza sistematica, il regime obbligatorio di trasparenza per le società di persone risulta fondato sulla particolare situazione giuridica soggettiva del socio, con riferimento al reddito creato dalla società.
Ai sensi dell’art. 2262 c.c. il socio vanta un diritto alla integrale divisione degli utili a seguito della approvazione del rendiconto annuale (che ha natura meramente accertativa), diritto che risulta direttamente azionabile in sede processuale (su questi aspetti Rasi, F., La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria, Padova, 2012, 27 ss.; si noti che in caso di usufrutto sulle quote, secondo la prassi l’imputazione per trasparenza avviene in capo all’usufruttuario: Ris. Agenzia delle Entrate n. 61/E/2006).
È quindi possibile affermare che la posizione giuridica del socio, in quanto diritto attuale ed incondizionato alla apprensione dei risultati reddituali della società, rappresenti una valida relazione giuridica con la fonte di produzione.
Simile impostazione risulta maggiormente convincente di quelle secondo cui il fondamento del regime di trasparenza sarebbe da individuarsi nel “principio di immedesimazione” tra società personale e singoli soci. Pur se sostenute in passato dalla giurisprudenza (Schiavolin, R., I soggetti passivi, in Imposta sul reddito delle persone fisiche, Giur. sist. dir. trib., diretta da F. Tesauro, Torino, I, 1994, 125)simili letture risultano ancorate a quella idea di “soggettività imperfetta” delle società di persone, oggi del tutto superata nel diritto civile (Giovannini, A., Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, 41 ss.).
La scelta della trasparenza si rivela dunque quale opzione normativa, alternativa a quella di attribuire rilevanza alla soggettività passiva della società con autonoma riferibilità all’ente della capacità contributiva (e successiva imposizione in capo ai soci al momento della distribuzione).
Sulle finalità ultime perseguite dal legislatore hanno inciso differenti valutazioni, dall’esigenza di eliminare la doppia imposizione economica sui redditi societari a quella di evitare il rischio di evasione per ipotesi di “occulta” distribuzione di utili (su questi aspetti, Schiavolin, R., I soggetti, cit., 126 ss.), a quella di salvaguardare la progressività dell’imposizione (Fantozzi, A.-Paparella, F., Lezioni, cit., 36).
Un problema di legittimità costituzionale è stato sollevato con riferimento al diverso trattamento tra società di capitali e società di persone, visto che la tipologia societaria è in grado di determinare regimi impositivi del tutto differenti, con possibile violazione dell’art. 3 Cost. (Falsitta, G., Problemi, vicende e prospettive della tassazione del reddito di impresa nell’ordinamento italiano, in AA.VV., La struttura dell’impresa e l’imposizione fiscale, Atti del convegno di San Remo 21-22 marzo 1980, Padova, 1981, 117 ss.).
In questo senso è da segnalare che si è tentato in diverse occasioni (da ultimo art. 11, l. 11.3.2014, n. 23 “delega fiscale”; ma si veda anche l’art. 1, co. 40, l. 24.12.2007, n. 244) di introdurre un sistema di imposizione opzionale per le società di persone alternativo a quello della trasparenza, con tassazione proporzionale (pari all’aliquota IRES) dei redditi societari ed imposizione progressiva in capo ai soci solo in ipotesi di distribuzione (l’opzione sarebbe concessa anche agli imprenditori individuali. Sul tema, Fransoni, G., La tassazione separata dei redditi delle imprese individuali e delle società di persone, in Rass. trib., 2008, 326 ss.)
Con la cd. “riforma IRES” (legge delega 7.4.2003, n. 80 e d.lgs. 12.12.2003, n. 344), la tassazione per trasparenza è stata introdotta in via opzionale per le società di capitali, con due distinti regimi.
Il primo, disciplinato dall’art. 115 TUIR, si applica alle società di capitali residenti al cui capitale partecipano esclusivamente altre società di capitali residenti, ciascuna con una percentuale di diritti di voto e di partecipazione non inferiore al 10% e non superiore al 50% (con riferimento alle partecipanti non residenti, le condizioni sono specificate dal d.m. 23.4.2004; in generale sui singoli presupposti, Belle’, B., Commento all’art. 115 Tuir, in Fantozzi, A., a cura di, Commentario, cit., 629).
Per l’esercizio della opzione, che è irrevocabile per tre periodi di imposta e può essere rinnovata, è richiesto il consenso di tutti i soci, che devono comunicarlo alla partecipata la quale provvederà alla comunicazione all’Agenzia delle Entrate entro il termine del primo esercizio.
L’opzione non è consentita se le partecipanti fruiscono di riduzioni di aliquota IRES oppure se sono assoggettate a procedure concorsuali, mentre, per quanto attiene la partecipata, vi è una incompatibilità tra scelta del consolidato e regime di trasparenza.
Gli effetti della trasparenza sono del tutto simili a quelli già descritti in relazione alle società di persone (Zizzo, G., La determinazione del reddito delle società e degli enti commerciali, in Falsitta, G., Manuale di diritto tributario, pt. spec., Padova, 2013, 583).
Ai sensi dell’art. 115 TUIR, il reddito imponibile, determinato in capo alla società, è imputato a ciascun socio in proporzione alla quota di partecipazione agli utili, indipendentemente dalla effettiva percezione, nel periodo di imposta in corso alla data di chiusura dell’esercizio della partecipata.
Ai soci sono imputate le perdite (utilizzabili ai sensi dell’art. 84 TUIR), in proporzione alle loro quote di partecipazione, entro il limite della propria quota di patrimonio netto contabile; mentre è previsto che le perdite dei soci relative agli esercizi anteriori all’inizio della tassazione non possano essere utilizzate per compensare i redditi imputati alle società partecipate.
Si dispone inoltre che l’imputazione ai soci riguardi anche i crediti di imposta, gli acconti versati e le ritenute operate a titolo di acconto (su altri aspetti specifici del regime, si rinvia a Marello, E., Il regime di trasparenza, in Tesauro F., a cura di, Imposta sul reddito delle società (IRES), Bologna, 2007, 517 ss.).
Da segnalare, quale profilo specifico per questo tipo di trasparenza fiscale, la responsabilità solidale della partecipata con ciascun socio per «l’imposta, le sanzioni e gli interessi» (art. 115, co. 8, TUIR). Come è stato notato in dottrina (Belle’, B., Commento, cit., 634), il decreto di attuazione avrebbe distinto tra momento della imputazione e momento della riscossione, per quanto attiene la responsabilità solidale della partecipata, prevedendo l’insussistenza di tale responsabilità per fatti ascrivibili al comportamento dei soci.
Così come accade per le società di persone, anche quelle di capitali “trasparenti” mantengono gli obblighi dichiarativi, formali e strumentali relativamente al reddito prodotto.
Il secondo regime di trasparenza è previsto dall’art. 116 TUIR (cd. “piccola trasparenza”) e si applica alle società a responsabilità limitata con compagine sociale composta solo da persone fisiche, in numero non superiore a 10 (o 20 se si tratta di cooperativa) e con volume di ricavi non superiore alle soglie previste per l’applicazione degli studi di settore.
A parte tali aspetti, l’opzione per il regime è esercitata con le stesse modalità ed alle stesse condizioni previste dall’art. 115 TUIR, salvo le differenze derivanti dalla compagine formata da persone fisiche, così come sono identici gli effetti della trasparenza.
In base all’art. 116, co. 2, TUIR, si prevede che i dividendi e le plusvalenze conseguiti da una società trasparente sono assoggettati al medesimo regime che avrebbero se fossero conseguiti da una persona fisica nell’esercizio dell’impresa, al fine di evitare manovre di tipo elusivo (Zizzo, G., La determinazione, cit., 584).
I regimi di trasparenza previsti per le società di capitali si configurano come fortemente omogenei alla trasparenza delle società di persone, dal punto di vista degli effetti, ma differenti sono i presupposti applicativi e le giustificazioni sistematiche.
L’introduzione della trasparenza per le società di capitali è dalla dottrina inquadrata nella riforma disegnata dal d.lgs. 12.12.2003, n. 344, dovendo essere valutata anche sulla base del complessivo equilibrio del sistema di tassazione delle società di capitali (Salvini, L., La tassazione per trasparenza, in Rass. trib., 2003, 1504 ss.).
La sostituzione del sistema del credito di imposta con quello della esenzione dei dividendi ha reso possibile una, seppur parziale, doppia imposizione economica sui redditi societari, così come il sistema della Pex ha comportato una indeducibilità delle perdite tramite svalutazione delle partecipazioni. In questa prospettiva, la previsione del regime della trasparenza e, pur se con motivazioni in parte differenti, quello del consolidato consentono alle società di compiere una scelta tra i diversi modelli offerti, per realizzare una “pianificazione fiscale” ammessa dallo stesso sistema.
Un ulteriore elemento di sistematicità della disciplina della “piccola trasparenza” è individuato da quanti ritengono assimilabile il profilo organizzativo e gestionale delle s.r.l. a ristretta base partecipativa a quello delle società di persone (Ficari, V., Profili applicativi e questioni sistematiche dell’imposizione “per trasparenza” delle società di capitali, in Rass. trib., 2005, 38 ss.; Rasi, F., La tassazione, cit., 27 ss.).
Non appare in ogni caso possibile giustificare la trasparenza delle società di capitali seguendo gli stessi percorsi teorici illustrati con riferimento alle società di persone, in particolare per l’inconfigurabilità di un diritto soggettivo pieno del socio di capitali alla apprensione del risultato reddituale della società (Fantozzi, A., Il regime della trasparenza per le società di capitali, in Paparella, F., a cura di, La riforma del regime fiscale delle imprese: lo stato di attuazione e le prime esperienze concrete, Milano, 2006, 24).
Tuttavia, i possibili dubbi di irrazionalità della previsione, anche dal punto di vista costituzionale, sono superati per la configurazione del regime come facoltativo, subordinato al consenso di tutti i soci (Russo, P., I soggetti passivi dell’Ires e la determinazione dell’imponibile, in Russo, P., a cura di, La riforma dell’imposta sulle società, Torino, 2005, 73).
Il legislatore fiscale riconosce espressamente la soggettività passiva del trust, con l’art. 73, co. 1, TUIR, come modificato dalla l. 27.12.2006, n. 296, in base al quale i trusts sono considerati soggetti passivi IRES, alla stregua di enti commerciali o non commerciali, residenti o non residenti.
Dalla scelta per la soggettività del trust deriva la conseguenza della sistematica tassazione IRES dei redditi derivanti dal patrimonio segregato in capo allo stesso trust.
Il legislatore ha però previsto una deroga a tale sistema, introducendo un alternativo regime di tassazione dei redditi del trust.
L’art. 73, co. 2, ultimo periodo, TUIR, prevede che «nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati», i redditi «conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari». In queste ipotesi, la tassazione avviene direttamente in capo ai beneficiari, in proporzione alla quota di partecipazione fissata nell’atto costitutivo o in altri documenti successivi o, in mancanza, in parti uguali; ai sensi dell’art. 44, co. 1, lett. g-sexies), TUIR, i redditi imputati si considerano quali redditi di capitale.
L’imputazione dei redditi ai beneficiari sembra potersi giustificare, in termini costituzionali e sistematici, quando, in base alle regole (negoziali e normative) del trust, la situazione giuridica soggettiva del beneficiario possa essere ricostruita quale idoneo criterio di collegamento con il presupposto di imposta, in grado di legittimare l’opzione di riferire la capacità contributiva al beneficiario stesso (Contrino, A., Recenti indirizzi interpretativi sul regime fiscale di trust trasparenti, interposti e transnazionali: osservazioni critiche, in Riv. dir. trib., 2011, II, 319)
La ricerca della giustificazione sistematica del metodo impositivo appare necessaria anche per individuarne l’ambito applicativo, visto che la lettera dell’art. 73 TUIR opera un generico riferimento ai trusts con beneficiari individuati, senza indicare ulteriori elementi di determinazione.
Considerando le possibili configurazioni negoziali dei trusts, è possibile ravvisare un collegamento in termini di disponibilità giuridica dell’incremento reddituale nei soli casi in cui il beneficiario vanti un diritto attuale ed incondizionato alla percezione del reddito stesso (Circ. Agenzia delle Entrate 48/E/2007; Ris. Agenzia delle Entrate n. 81/E/2008, n. 278/E/2007, n. 425/E/2008).
Il legislatore avrebbe dunque configurato due possibili modelli di imposizione fiscale per i trusts: quello del trust “opaco” e quello del trust “trasparente”. Quest’ultimo, in quanto individuato dalla particolare situazione giuridica del beneficiario, consentirebbe di garantire la progressività ed una maggiore personalità della imposizione reddituale.
Anche se non vi è univocità in dottrina (si veda Fransoni, G., La disciplina, cit., 233 ss.), sembra possibile inquadrare il regime illustrato all’interno del più ampio principio di trasparenza, nonostante le indubbie differenze con le ipotesi (peraltro tra loro pure eterogenee) della trasparenza societaria.
In talune fattispecie di trusts è infatti possibile individuare un regime fiscale misto, con parte del reddito tassato in capo al trust stesso e parte del reddito tassato in capo ai beneficiari. Inoltre, mentre nella trasparenza societaria il reddito, determinato in capo alla società è imputato, ai soci come reddito della stessa natura di quello societario, nella trasparenza dei trusts il reddito subisce un processo di autonoma [ri]qualificazione (quale reddito di capitale) al momento della imputazione ai beneficiari.
Gli elementi di originalità nella specifica disciplina non impediscono però di evidenziare la presenza di quegli elementi strutturali tipici del principio di trasparenza.
Anche con riferimento al trust, il legislatore opera il disconoscimento di una organizzazione potenzialmente idonea alla autonoma riferibilità del presupposto, visto che contestualmente la soggettività di imposta del trust è affermata in termini generali dall’art. 73 TUIR.
Il superamento della soggettività passiva di imposta non comporta il totale disconoscimento del trust in quanto soggetto passivo, considerato che in capo allo stesso sono imputati obblighi di natura formale e strumentale (Circ. Agenzia delle Entrate n. 48/E/2007).
Ed è coerente con il modello generale della trasparenza fiscale l’affermazione, condivisa da dottrina e prassi amministrativa, per cui la determinazione del reddito imputato al beneficiario debba avvenire con riferimento al momento della produzione e, quindi, considerando i criteri di qualificazione, quantificazione, rilevanza temporale in quanto riferiti al soggetto trust (su tutti questi aspetti, Tassani, T., I trusts, cit., 77 ss.).
La particolare configurazione della fattispecie impositiva in caso di trasparenza, determina una distinzione, anche sul piano dichiarativo e procedimentale, tra la posizione dell’ente trasparente e quella del singolo componente.
Quest’ultimo è tenuto a dichiarare il reddito a lui, quota parte, imputato; l’ente trasparente dovrà invece dichiarare il complessivo reddito prodotto.
Ai sensi dell’art. 40, co. 2, d.P.R. n. 600/1973 alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle società e associazioni di cui all’art. 5, TUIR, si procede con unico atto «ai fini delle imposte sul reddito … dovute dai singoli soci o associati» (norma che risulta applicabile anche alle società di capitali trasparenti ex art. 115, co. 10, TUIR).
La giurisprudenza prevalente non ricava dalla disposizione un principio di litisconsorzio procedimentale, tale da imporre all’Amministrazione finanziaria l’obbligo di emanare l’avviso di accertamento del maggior reddito societario contestualmente alla società ed a tutti i soci (Falsitta, G., Presupposto unitario plurisoggettivo, giusto riparto e litisconsorzio necessario nella solidarietà passiva tributaria, in Riv. dir. trib., 2007, 167 ss.). Tuttavia, in base all’orientamento della Corte di cassazione, si afferma che la regola della tassazione dei redditi per trasparenza renda inscindibili le posizioni processuali della società e dei soci, con la conseguenza del litisconsorzio necessario ex art. 14, co. 1, d.lgs. n. 546/1992 (Cass., S.U., 4.6.2008, n. 14815; Cass., ord. 3.7.2012, n. 11120; Basilavecchia, M., L'accertamento unitario trova un assetto stabile, in Corr. trib., 2008, 2271).
Si ritiene che tali soluzioni interpretative siano in linea teorica proponibili anche in relazione ad altri regimi di trasparenza, come nel caso dei trusts (Tassani, T., op. cit., 105 ss.).
Art. 5, art. 8, art. 22, art. 44, art. 73, art. 84, art. 101, art. 115, art. 116, art. 165, d.P.R. 22.12.1986, n. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi); art. 6, art. 40, d.P.R. 29.9.1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi); art. 11, l. 11.3.2014, n. 23 (Delega fiscale); art. 14, co. 1, d.lgs. 31.12.1992, n. 546 (Processo tributario); art. 11, d.lgs. 23.7.1991, n. 240 (Gruppo Europeo di Interesse Economico).
Basilavecchia, M., L'accertamento unitario trova un assetto stabile, in Corr. trib., 2008, 2271; Beghin, M., L’elusione fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto, Padova, 2010; Beghin, M., L’occulta distribuzione dei dividendi nell’ambito delle società di capitali “a ristretta base” tra automatismi argomentativi e prova per presunzioni, in Riv. giur. trib., 2004, 433 ss.; Belle’, B., Commento all’art. 115 Tuir, in Fantozzi, A., a cura di, Commentario breve alle leggi tributarie, III, Padova, 2010; Boria, P., Il principio di trasparenza nella imposizione delle società di persone, Milano, 1996; Carinci, A., Fondo patrimoniale, in Sesta, M., a cura di, Codice della famiglia, vol. III, Milano, 2009, 5911; Contrino, A., Recenti indirizzi interpretativi sul regime fiscale di trust trasparenti, interposti e transnazionali: osservazioni critiche, in Riv. dir. trib., 2011, II, 319; Falsitta, G., Presupposto unitario plurisoggettivo, giusto riparto e litisconsorzio necessario nella solidarietà passiva tributaria, in Riv. dir. trib., 2007, 167 ss.; Falsitta, G., Problemi, vicende e prospettive della tassazione del reddito di impresa nell’ordinamento italiano, in AA.VV., La struttura dell’impresa e l’imposizione fiscale, Atti del convegno di San Remo 21-2 marzo 1980, Padova, 1981; Fantozzi, A.-Paparella, F., Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2014; Fantozzi, A., Il regime della trasparenza per le società di capitali, in Paparella, F., a cura di, La riforma del regime fiscale delle imprese: lo stato di attuazione e le prime esperienze concrete, Milano, 2006; Fedele, A., Imposte reali ed imposte personali nel sistema tributario italiano, in Riv. dir. fin., 2002, 456; Fedele, A., Profilo fiscale delle società di persone, in Riv. not., 1988, I, 553 ss.; Ficari, V., Profili applicativi e questioni sistematiche dell’imposizione “per trasparenza” delle società di capitali, in Rass. trib., 2005, 38 ss.; Filippi, P., Redditi prodotti in forma associata, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991; Fransoni, G., La disciplina fiscale del trust nelle imposte dirette, in Riv. dir. trib., 2007, I, 234; Fransoni, G., La tassazione separata dei redditi delle imprese individuali e delle società di persone, in Rass. trib., 2008, 326 ss.; Giovannini, A., Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996; Marello, E., Il regime di trasparenza, in Tesauro, F., a cura di, Imposta sul reddito delle società (IRES), Bologna, 2007; Nussi, M., Spunti per una rimeditazione della disciplina impositiva reddituale delle società di persone, in Riv. dir. trib., 1994, I, 733 ss.; Paparella, F., Possesso dei redditi ed interposizione fittizia, Milano, 2000; Puri, P., I soggetti, in Fantozzi, A., (a cura di), Diritto tributario, Torino, 2012; Rasi, F., La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria, Padova, 2012; Russo, P., I soggetti passivi dell’Ires e la determinazione dell’imponibile, in Russo, P., a cura di, La riforma dell’imposta sulle società, Torino, 2005; Salvini, L., La tassazione per trasparenza, in Rass. trib., 2003, 1504 ss.; Schiavolin, R., I soggetti passivi, in Imposta sul reddito delle persone fisiche, Giur. sist. dir. trib., diretta da F. Tesauro, Torino, I, 1992; Schiavolin, R., Il collegamento soggettivo, in Moschetti, F., a cura di, La capacità contributiva, Padova, 1993; Tassani, T., I trusts nel sistema fiscale italiano, Pisa, 2012; Vantaggio, M., Commento all’art. 5 Tuir, in Fantozzi, A., a cura di, Commentario breve alle leggi tributarie, III, Padova, 2010; Zizzo, G., La determinazione del reddito delle società e degli enti commerciali, in Falsitta, G., Manuale di diritto tributario, pt. spec., Padova, 2013.