Trasparenza e accesso agli atti
La disciplina sull’accesso agli atti della pubblica amministrazione è uno strumento utilizzato dal nostro legislatore nazionale per realizzare la cd. trasparenza dell’attività amministrativa. Mentre, tuttavia, sino al 2013 l’accesso agli atti delle pubbliche amministrazioni era riservato ai soli titolari di una posizione giuridica qualificata (ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 22 della l. 7.8.1990, n. 241 come modificato nel 2005) con il d.lgs. 14.3.2013, n. 33 (di recente modificato tramite l’approvazione del d.lgs. 25.5.2016, n. 97 di attuazione della legge Madia) ha fatto ingresso nel nostro ordinamento il cd. “accesso civico”. L’accesso civico si affianca dunque, ora, al diritto di accesso “classico”.
L’originaria previsione dell’art. 22 della l. n. 241/1990 identificava un nesso strettissimo fra trasparenza, imparzialità e accesso agli atti.
Con la novella normativa del 2005 (l. 11.2.2005, n. 15) la previsione originaria della l. n. 241/1990 venne tuttavia modificata in senso restrittivo, recependo l’indirizzo interpretativo consolidatosi nella giurisprudenza in materia. Sicché il diritto di accesso “classico” (che chiameremo così per contrapporlo all’accesso civico introdotto dal d.lgs. n. 33/2013) possiede, sin da allora, un collegamento assai debole con l’idea di trasparenza dell’attività amministrativa1 e possiede come unica funzione di consentire ai privati una più completa rappresentazione della situazione di fatto e di diritto che più direttamente li interessa2.
L’accesso agli atti della pubblica amministrazione quale strumento di trasparenza dell’azione amministrativa è stato per lungo tempo garantito soltanto in ambiti particolari3 ed è il d.lgs. n. 195/20054 sull’accesso ambientale il primo vero tentativo di superare, nell’ottica della trasparenza, gli angusti limiti posti al diritto di accesso dalla l. n. 241/19905.
È solo con il d.lgs. 27.10.2009, n. 150 (cd. decreto Brunetta) che la trasparenza viene declinata come «accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni». E il tutto con la dichiarata finalità di «favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità»6.
Si costituisce in questo modo, in capo a ciascun cittadino, una posizione giuridica qualificata ad ottenere le informazioni pubbliche, che è dichiaratamente volta – diversamente da quanto è previsto per il diritto di accesso agli atti della l. n. 241/1990 – a favorire quel controllo generalizzato sull’operato delle pubbliche amministrazioni che è (e resta) invece espressamente escluso dalla previsione ex art. 24, co. 3, della l. n. 241/1990, in base alla quale «non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni»7.
Peraltro nel decreto Brunetta convivono due obiettivi. La trasparenza da esso imposta infatti, da un lato, mira a garantire l’efficienza della pubblica amministrazione per il tramite della trasparenza sulle performance dell’amministrazione e dei servizi pubblici; dall’altro, essa mira a prevenire la corruzione, attraverso la trasparenza dei procedimenti e degli assetti organizzativi.
È invece dichiaratamente su questa seconda linea direttrice che si colloca il successivo d.lgs. n. 33/20138, ora in gran parte modificato dal d.lgs. n. 97/20169. In base al previgente d.lgs. n. 33/2013, le pubbliche amministrazioni erano nello specifico tenute ad adempiere agli obblighi sulla trasparenza previsti dal decreto (e riguardanti tutta la loro attività) attraverso l’uso dello strumento principe del “sito istituzionale” di ogni singola amministrazione. Sito sul quale ogni utente poteva (e può) liberamente ricercare tutte le informazioni inerenti all’attività e all’organizzazione degli enti senza la necessità di autenticarsi o essere in qualche modo identificato.
Le suddette informazioni devono essere infatti pubblicate nella home page dei siti istituzionali, all’interno dell’apposita sezione “Amministrazione trasparente”.
Al rispetto di tali obblighi, sempre in base al d.lgs. n. 33/2013, sovraintende il responsabile della trasparenza10 cui, altresì, compete l’obbligo di aggiornare il Programma triennale per la trasparenza e l’integrità e di segnalare all’organo di indirizzo politico, all’Organismo indipendente di valutazione (OIV), all’Autorità nazionale anticorruzione e, nei casi più gravi, all’ufficio di disciplina, i casi di mancato o ritardato adempimento degli obblighi di pubblicazione.
Di particolare rilievo è, a questo proposito, il capo VI del d.lgs. n. 33/2013, dedicato alla vigilanza sull’attuazione delle disposizioni e alle sanzioni. Le sanzioni previste sono dirette sia al re;sponsabile della trasparenza, rispetto ai suoi specifici adempimenti, sia anche ai dirigenti e agli organi politici che devono fornire i dati per realizzare la pubblicazione. Oltre alle sanzioni a carico dei soggetti, sono previste inoltre sanzioni “sull’atto”, che bloccano l’efficacia del provvedimento11.
Vi era poi una sanzione affatto particolare, delineata all’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013 (e che il d.lgs. n. 97/2016 modifica ora integralmente). Si tratta dell’accesso civico che era, in questa sua prima versione, limitato in due sensi: in primo luogo, era circoscritto ai soli documenti, informazioni e dati oggetto degli obblighi di pubblicazione imposti alle amministrazioni dal d.lgs. n. 33/2013; in secondo luogo, non veniva identificato quale diritto autonomo, ma quale mera «sanzione» rispetto al mancato rispetto degli obblighi di pubblicazione. E ciò certamente non è un dettaglio di poco conto e non rileva solo da un punto di vista simbolico.
Passando alle novità di recente apportate dal d.lgs. n. 97/2016, esso modifica anzitutto l’art. 1, co. 1, del d.lgs. n. 33/2013 inserendovi espressamente un’indicazione ulteriore circa lo scopo della trasparenza intesa come «accessibilità totale»: non si tratta più soltanto di «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche», ma anche (ed è questa la modifica apportata dal d.lgs. in parola) di «tutelare i diritti dei cittadini» e di «promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa».
Di quali diritti si tratti ce lo dice poi il successivo co. 2 dell’art. 1, immodificato, che afferma che la trasparenza «è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino».
Ciò prelude alla vera novità introdotta dalla riforma Madia in materia di trasparenza, che consiste in una vera e propria ridefinizione dell’oggetto del d.lgs. n. 33/2013.
Mentre, infatti, secondo la precedente versione del d.lgs. n. 33/2013 oggetto della disciplina de qua erano gli «obblighi di trasparenza concernenti l’orga;nizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni»12, ora si chiarisce nel riscritto co. 1 dell’art. 2 dello stesso d.lgs. n. 33/2013 che «le disposizioni del presente decreto disciplinano la libertà di accesso di chiunque ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni e dagli altri soggetti di cui all’articolo 2;bis, garantita, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, tramite l’accesso civico e tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni e le modalità per la loro realizzazione».
Si tratta di una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di intendere la finalità della normativa in materia di trasparenza, con la quale si mette chiaramente in evidenza come lo scopo della stessa non sia (più) quello di imporre la generale pubblicazione di tutti i documenti in possesso della pubblica amministrazione, utile solo ad agevolare forme di quello che si è polemicamente definito “voyeurismo amministrativo”13. Lo scopo della normativa in materia di trasparenza è, piuttosto (e molto più correttamente), quello di garantire la libertà di accesso a dati e documenti in possesso della pubblica amministrazione: «tramite l’accesso civico» in primis, e solo in subordine «tramite la pubblicazione di documenti, informazioni e dati concernenti l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni e le modalità per la loro realizzazione».
Nel solco di tale cambiamento di prospettiva viene modificato anche l’art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, emancipando l’accesso civico dalla sua singolare condizione di diritto occasionato da un inadempimento della p.a. (al proprio obbligo di pubblicazione) per farlo assurgere invece al rango di vero e proprio diritto generale di accesso ai dati e ai documenti pubblici, che trova il suo equivalente in quella che nei sistemi anglosassoni è definita con l’acronimo di FOIA (Freedom Of Information Act).
L’accesso civico introdotto in attuazione della riforma Madia consiste, dunque, in un diritto di accesso del tutto indipendente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti. Inoltre, esso non riguarda (come era invece previsto dal previgente art. 5 del d.lgs. n. 33/2013) i soli dati e i soli documenti per i quali esistono specifici obblighi di pubblicazione14 (e per i quali permane, comunque, l’obbligo dell’amministrazione di pubblicare quanto richiesto, nel caso in cui non fosse già presente sul sito istituzionale), ma anche i dati e documenti per i quali non sia, viceversa, contemplato un obbligo di tal fatta.
Il d.lgs. n. 97/2016 specifica, altresì, che l’ampliato accesso civico si riferisce all’accesso a “dati e documenti” eliminando, a questo proposito, il riferimento fuorviante alle “informazioni”; alle quali tuttavia, senza alcuna coerenza, si continua poi a fare riferimento anche in vari commi dello stesso art. 5.
La distinzione fra dato e informazione, mutuata dal linguaggio dell’informatica, è invece una distinzione molto importante e che sarebbe stato opportuno mantenere sempre in modo coerente all’interno della nuova disciplina15.
Il nuovo art. 5;bis del d.lgs. n. 33/2013 prevede tutta una serie di ipotesi in cui può essere escluso l’accesso civico.
Si tratta, anzitutto, delle ipotesi (abbastanza classiche ed elencate al co. 1) in cui sia necessario rifiutare la richiesta di accesso per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di interessi pubblici inerenti alla sicurezza pubblica e all’ordine pubblico, alla sicurezza nazionale, alla difesa e alle questioni militari, alle relazioni internazionali, alla politica e alla stabilità finanziaria ed economica dello Stato, alla conduzione di indagini sui reati e al loro perseguimento, al regolare svolgimento di attività ispettive.
Il co. 2 dell’art. 5;bis precisa, poi, che l’accesso di cui all’articolo 5, co. 2, è parimenti da negarsi qualora «il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati:
a) la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
b) la libertà e la segretezza della corrispondenza;
c) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali».
Segue una previsione che richiama i casi di esclusione dell’accesso legati al segreto di Stato ed altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge «ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche con;dizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990»16.
Sebbene si tratti in gran parte di limitazioni necessarie ed opportune, esse posseggono, tuttavia, confini troppo ampi e sono troppo poco puntuali. Come ha peraltro ben sottolineato anche il Consiglio di Stato nel suo ampio parere17.
Queste ampie limitazioni, che ogni amministrazione potrà opporre al libero dispiegarsi dell’accesso civico, sono, in effetti, solo in minima parte mitigate da quanto prescritto nei successivi co. 4 e 5 dell’art. 5;bis. Il co. 4, in particolare, fa riferimento alla possibilità di escludere l’accesso solo rispetto ad alcune parti del documento (cd. accesso parziale), ove questo appaia sufficiente a garantire la tutela degli interessi che vi si oppongono; il co. 5 si riferisce, a sua volta, all’ipotesi del differimento dell’accesso, in luogo del suo diniego tout court. Ciò, mutatis mutandis, sulla falsariga di quanto è oggi previsto dall’art. 9 del d.P.R. 12.4.2006, n. 184, con riferimento all’accesso “classico”.
Né i dubbi sembrano essere dissipati da quanto ora previsto al co. 6 del citato art. 5;bis, inserito nel corso della seconda stesura del d.lgs. n. 97/2016, il quale prevede che «ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico ... l’Autorità Nazionale anticorruzione ... adotta linee guida recanti indicazioni operative»18.
L’art. 3 del d.lgs. introduce un nuovo art. 2-bis rubricato «Ambito soggettivo di applicazione», che andrà a sostituirsi all’art. 11 del d.lgs. n. 33/2013 (che viene di conseguenza abrogato).
La nuova norma mira a superare talune criticità emerse, a questo riguardo, in fase di prima applicazione del d.lgs. n. 33/2013 e che trovano espressione anche in delibere adottate dall’A.N.A.C. al riguardo.
Su questa previsione sono stati peraltro formulati precisi (e condivisibili) rilievi critici nel parere del Consiglio di Stato, con riferimento, in particolare, alla circostanza di non avere essa tenuta conto delle riforme in atto19.
Coerentemente alla sua natura di rimedio rispetto ad un inadempimento dell’amministrazione, nella versione originaria del d.lgs. n. 33/2013 l’accesso civico era connotato dal carattere della gratuità (cfr. artt. 3 e 5, co. 2, d.lgs. n. 33/2013 vecchia versione), che è rimasto nella versione approvata del d.lgs. n. 97/2016, seppur con una importante limitazione. E, cioè, che «il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali» (art. 5 co. 4).
Si tratta di un opportuno allineamento rispetto alla previsione di cui all’art. 25 l. n. 241/1990.
Mentre nella Relazione tecnica allegata al testo del decreto si precisa che «all’esercizio di tale diritto da parte dei consociati le amministrazioni fanno fronte nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, anche in considerazione del fatto che, pur essendo l’accesso civico gratuito, lo stesso è comunque subordinato al rimborso del costo sostenuto dall’amministrazione per il rilascio di dati e documenti in formato elettronico o cartaceo, ferme restando le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura»20.
Ma su questo aspetto della cd. “clausola di invarianza finanziaria” si tornerà infra.
Il nuovo co. 5 dell’art. 5 prevede che «L’amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell’articolo 5;bis, comma 2, della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. A decorrere dalla comunicazione ai controinteressati, il termine di cui al comma 6 è sospeso, fino all’eventuale opposizione dei controinteressati e comunque per un periodo non superiore ai predetti dieci giorni».
Per controinteressati, come precisato dal successivo art. 5;bis, si intende coloro che possano avere interesse a:
• la protezione dei propri dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
• la protezione della libertà e segretezza della propria corrispondenza;
• la protezione degli interessi economici e commerciali (di una persona fisica o giuridica), ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.
Si tratta di una norma che deve essere certamente salutata con favore21. Essa, infatti, opera un opportuno bilanciamento tra esigenze di trasparenza ed esigenze di tutela della riservatezza che potrebbero essere lese dall’accesso e che non sono certamente di minor rilevanza rispetto a quelle tutelate dall’implementazione della trasparenza.
Tuttavia, tale previsione non sembra essere del tutto allineata con quella sul “domicilio digitale”, contenuta nel decreto che, in attuazione dell’art. 1 della stessa l. n. 124/2015, modifica il codice dell’amministrazioni digitale22.
Il d.lgs. n. 97 innova in modo sostanziale anche con riguardo all’apparato sanzionatorio che fa da contraltare ai diritti ed obblighi di cui la novella normativa si fa portatrice. In particolare (e senza potere qui scendere nel dettaglio) il nuovo art. 46 del d.lgs. n. 33/2013 prevede, tendenzialmente in linea di continuità con il passato, che «l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso civico, al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 5;bis, costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili» e precisa che il responsabile non risponde dell’inadempimento solo ove provi «che tale inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile».
Affinché si possa tecnicamente parlare di “responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione” è allo stato necessario, tuttavia, che la condotta posta in essere dal funzionario pubblico integri anche (e prima ancora) una delle fattispecie di reato previste dagli artt. 314;335 c.p. o altre fattispecie di rilievo penale espressamente previste23. Quanto, poi, alle altre possibili sanzioni connesse alla violazione di questi obblighi, suscita qualche perplessità la scelta di collegare il mancato rispetto dei summenzionati obblighi anche alla “retribuzione di risultato” e al “trattamento accessorio collegato alla performance”. Si tratta di una sorta di “sanzione accessoria”, rispetto a questa nuova fattispecie di responsabilità dirigenziale, che appare di entità imprevedibile e rispetto alla quale sarebbe stata forse preferibile (e quasi certamente più efficace) la previsione di una specifica sanzione disciplinare con importo predeterminato.
Sin dal momento della sua entrata in vigore il d.lgs. n. 33/2013 ha creato una sorta di doppio binario: l’accesso tradizionale (diritto di accesso “classico”) di cui alla l. n. 241/1990, che continua ad operare, con i propri diversi presupposti e la sua diversa disciplina, e l’accesso civico ex d.lgs. n. 33/2013 che ora, nella sua versione ampliata, si estende anche ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione sui siti istituzionali.
Questa coesistenza implica che un soggetto, pur titolare di una posizione differenziata (e che potrebbe essere dunque tutelata secondo la tipologia di accesso “classica”, ex art. 22 l. n. 241/1990), potrà ora decidere quasi sempre di optare per l’accesso civico: che ha l’indubbio vantaggio di non richiedere un obbligo di motivazione rispetto alla propria richiesta di accesso.
Permarrà tuttavia una certa percentuale di situazioni – difficile da quantificare esattamente – nelle quali non opererà l’accesso civico ed opererà, invece, ancora soltanto il diritto di accesso “classico” ex art. 22 l. n. 241/1990. E, in effetti, è specificato espressamente nella Relazione illustrativa al decreto legislativo che «i limiti applicabili alla nuova forma di accesso civico (di cui al nuovo articolo 5;bis del D.Lgs. n. 33 del 2013) sono più ampi e dettagliati rispetto a quelli indicati dall’articolo 24 della legge n. 241 del 1990, consentendo alle ammini;strazioni di impedire l’accesso nei casi in cui questo possa compromettere alcuni rilevanti interessi pubblici generali»24.
Vi saranno dunque delle ipotesi (per quanto residuali) in cui sarà possibile accedere solo ove titolari di una situazione giuridica qualificata, ad atti e documenti per i quali è di contro negato l’accesso civico per via della necessità di tutelare interessi riconducibili alle summenzionate fattispecie di interessi (pubblici e privati) elencate nel nuovo art. 5;bis del d.lgs. n. 33/2013.
In questi casi è peraltro chiaro che la richiesta di accesso (ex art. 22 l. n. 241/1990) dovrà essere tanto più adeguatamente motivata, quanto non si richiede alcuna motivazione per la richiesta di accesso civico. Ed è anzi prevedibile che il sindacato dei giudici amministrativi sulla sussistenza (in caso di controversie con la pubblica amministrazione) dei presupposti necessari per potersi avvalere di questa seconda tipologia di accesso “non civico” diventerà ancora più stringente: sulla base della constatazione di una evidente «diversificazione di finalità e di disciplina dell’accesso agli atti, rispetto al cosiddetto accesso civico» che ha come conseguenza che, con riguardo all’accesso “classico”, «non bastino esigenze difensive genericamente enunciate per garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi ed ammettendosi solo nei limiti in cui sia strettamente indispensabile la conoscenza di documenti, contenenti dati sensibili e giudiziari»25.
Pur con le criticità che si sono evidenziate, va accolta senz’altro con favore la scelta dell’attuale Governo di optare per un accesso civico allargato, invece di giocare la partita della trasparenza solo sul piano degli obblighi di pubblicazione posti in capo alle pubbliche amministrazioni. Infatti la scelta originaria del d.lsg. n. 33/2013 non si palesava affatto come una scelta felice e dava corpo alla facile obiezione che, in Italia, se la privacy serve a tener nascoste le cose che interessano a tutti, la trasparenza serve invece, di converso, per far conoscere a tutti le cose che non interessano nessuno26.
Il fatto è che, in verità, non solo non vi è un rapporto di equivalenza diretta fra quantità di informazioni rese disponibili in rete e trasparenza: la conoscenza che il cittadino è in grado di maturare rispetto all’attività dell’amministrazione non è, infatti, direttamente proporzionale rispetto alla quantità di informazioni disponibili in rete. Ma, anzi, si possono produrre, attraverso la pubblicazione di troppi dati ed elementi, fenomeni di cd. “opacità per confusione”27.
Sotto questo profilo il d.lgs. n. 97/2016 compie una meritoria opera di razionalizzazione, riducendo un poco anche gli oneri gravanti in capo alle amministrazioni pubbliche. Vengono ad esempio meglio precisati taluni obblighi di pubblicazione (v. ad es. le modifiche previste agli artt. 3, 17, 20 del d.lgs. n. 33/2013).
In questa prospettiva non si coglie molto, invece, il senso della previsione dell’art. 18 del decreto, che va a modificare l’art. 19 del d.lgs. n. 33/2013 per estendere l’obbligo di pubblicazione in tema di bandi di concorso per il reclutamento di personale presso la p.a. anche ai «criteri di valutazione della Commissione e delle tracce delle prove scritte». Come sottolinea peraltro, in modo puntuale, il Consiglio di Stato nel suo parere28.
Sullo sfondo poi – ed è impossibile non farvi cenno – resta la più ampia questione del “costo complessivo dell’operazione trasparenza”. L’accesso civico agli atti è oramai assai ampio e tendenzialmente gratuito. Nella versione approvata del d.lgs. n. 97/2016 finanche il rimborso delle eventuali spese sostenute dall’amministrazione per la riproduzione dei documenti richiesti è collegato all’espletamento di un’attività ulteriore da parte dell’amministrazione: la “documentazione” dei costi da questa effettivamente sostenuti. Più in generale, tutto il sistema del diritto di accesso civico è basato sull’espletamento di una qualche attività da parte della p.a., che è onerosa e genera certamente dei costi, diretti ed indiretti. Né basta, a questo proposito, affermare che si tratta di una «finalità di rilevante interesse pubblico» per potere eludere il problema29.
Quello dei costi (in termini sia strettamente economici, che organizzativi) delle riforme è infatti un problema rilevantissimo: soprattutto in un’epoca connotata da crisi economica e dai (largamente conseguenti) tagli costanti al personale e ai fondi assegnati alle pubbliche amministrazione.
Né si può liquidare la questione con una semplice “Clausola di invarianza economica”, quale quella contenuta nell’art. 44 del d.lgs.
Ad un certo punto sarà, dunque, opportuno e necessario operare una rivisitazione della disciplina in oggetto, anche sulla base di una valutazione costi;benefici (e ovviamente non solo nel senso di “costi economici”) dell’operazione trasparenza, e nell’ottica anche del principio di proporzionalità.
Note
1 V. per tutti Arena, G., Trasparenza amministrativa, in Enc. giur., XXXI, Agg., Roma, 1995, ad vocem.
2 Per approfondimenti Galetta, D.U., Transparency and Access to Public Sector Information In Italy: a Proper Revolution?, in Italian Journal of Public Law, 2014/2.
3 Si veda sul punto Cognetti, S., “Quantità” e “qualità” della partecipazione, Milano, 2000, in particolare 44 ss.
4 D.lgs. 19.8.2005, n. 195, Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale.
5 Adottato per dare trasposizione alla direttiva 2003/4/CE.
6 Così art. 11, co. 1, del d.lgs. n. 150/2009.
7 Il comma in questione è stato anch’esso inserito nella l. 241 dalla l. 11.2.2005, n. 15.
8 D.lgs. 14.3.2013, n. 33, Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, che ha infatti quale obiettivo specifico – in base alla legge delega 6.11.2012 , n. 190 da cui origina – quello di prevenire e reprimere l’illegalità nella p.a.
9 D.lgs. 25.5.2016, n. 97, Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.
10 Cfr. art. 43 d.lgs. n. 33/2013.
11 Cfr. art. 15, co. 2; art. 26, co. 3; art. 39, co. 3, del d.lgs. n. 33/2013.
12 Cfr. previgente art. 2, co. 1, d.lgs. n. 33/2013.
13 Galetta, D.U., Alcuni recenti sviluppi del diritto amministrativo italiano (fra riforme costituzionali e sviluppi della società civile), in Giustizia amministrativa (www.giustamm.it), Anno XI, Giugno 2014, 1;6.
14 Sicché, come sottolinea il Consiglio di Stato nel suo pa;rere, non si comprende l’utilità di lasciare il co. 1 del nuovo art. 5, che si limita a consentire l’accesso civico ai documenti da pubblicare e che appare ora «del tutto assorbito dal più ampio accesso di cui al comma 2 e può essere espunto». Cfr. Cons. St., sez. consultiva per gli Atti Normativi, parere del 24.2.2016, n. 515, 78.
15 Secondo quanto ci spiega infatti Kock “data will only become information or knowledge when they are interpreted by human beings”. Kock, N., Systems Analysis & Design Fundamentals: A Business Process Redesign Approach, Thousand Oaks, 2006, cap. 2, 4.
16 Si tratta, oltre ai casi di documenti coperti da segreto di Stato, dei procedimenti tributari e dell’attività diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; dei procedimenti selettivi, per i documenti amministrativi con informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi.
17 V. parere del Cons. St., n. 515/2016, 85 ss.
18 In argomento v. per tutti Deodato, C., Le linee guida dell’ANAC: una nuova fonte del diritto?, pubblicato il 29.4.206, in: www.giustizia;amministrativa.it.
19 Cons. St., parere n. 515/2016, 70.
20 Relazione tecnica al d.lgs. recante «Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», 2.
21 Avevo infatti osservato altrove come il grande assente nel dibattito generale fossero le esigenze – perlomeno di pari rango rispetto a quelle di trasparenza – di tutela della riservatezza dei soggetti coinvolti. Così in Galetta, D.U., Alcuni recenti sviluppi, cit., 6.
22 Sul punto cfr. Provenzano, P., Decreti Madia e nuova disciplina del c.d. «domicilio digitale»: quali prospettive?, in www.federalismi.it., 2016, 11, 1 ss.
23 Ciò è stato peraltro recentemente espressamente ribadito dalle stesse Sezioni Riunite della C. conti, 19.3.2015, n. 8.
24 Relazione illustrativa al d.lgs., cit., 2.
25 Così già, nella vigenza della precedente versione (assai più ristretta) di accesso civico;sanzione, Cons. St., sez. VI, 20.11.2013, n. 5515, in www.giustizia;amministrativa.it.
26 Galetta, D.U., Accesso civico e trasparenza della Pubblica Amministrazione alla luce delle (previste) modifiche alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013, in www.federalismi.it, 2016, 5, 17.
27 Così Carloni, E., La «casa di vetro» e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza amministrativa, in Dir. pubbl., 2009, III, 806. L’espressione è stata ripresa anche nel parere del Cons. St. n. 515/2016, 63.
28 Cfr. il parere del Cons. St. n. 515/2016, 93.
29 Così art. 7;bis, co. 2, d.lgs. n. 33/2013.