trasparire (trasparere; III plur. imperf. ind. trasparien; partic. pres. anche transparente)
Il verbo è adoperato in senso proprio in relazione al fatto che una luce o un corpo opaco è visibile attraverso un altro corpo diafano o translucido: nella ghiaccia di Cocito l'ombre tutte eran coperte, / e trasparien come festuca in vetro (If XXXIV 12); per la viva luce trasparea / la lucente sustanza [di Cristo] tanto chiara / nel viso mio, che non la sostenea, Pd XXIII 31; cfr. anche II 80.
In senso figurato vale " lasciar comprendere ", " far indovinare ": Pd XXVI 101 l'anima primaia [Adamo] / mi facea trasparer per la coverta [per mezzo dell'involucro luminoso che la fasciava] / quant'ella a compiacermi venia gaia.
Ancora in senso proprio si registra il participio presente, con funzione sia predicativa che attributiva.
Nel Convivio ricorre in relazione alla dottrina della diafanità dei corpi celesti e all'analisi del modo secondo il quale la visione si realizza grazie alla trasparenza dell'aria; è perciò da considerarsi termine dotto, come dimostra la congruenza fra le possibili fonti dantesche (Alb. Magno Anima II 3 " corpus trasparens sive pervium, quod Graeci diaphanum vocant "; Tomm. Comm. in De Anima II Lect. XIV " diaphanum autem est idem quod trasparens, ut aer et aqua ") e i passi di II VI 9 l'altro cielo è diafano, cioè transparente (e così III 7); III IX 7 Queste cose visibili... vengono dentro a l'occhio... per lo mezzo diafano... sì quasi come in vetro transparente; altro esempio al § 8 (cfr. DIAFANO).
In Pd III 10 Quali per vetri trasparenti e tersi / ... tornan d'i nostri visi le postille, il termine sottolinea come nel cielo della Luna i lineamenti dei corpi dei beati appaiano evanescenti, proprio come attraverso un vetro le immagini si rispecchiano attenuate e poco nitide.