trasportare (transportare)
In nessuno dei tre luoghi in cui compare, il verbo ha semplicemente il valore oggi vulgato, di " portare da un luogo a un altro "; c'è sempre, anzitutto, un paragone implicito, un confronto sottinteso con qualcosa " al di sopra " od " oltre " la quale il soggetto trasporta l'oggetto. In Cv III IV 11 D. spiega i vv. 16-18 di Amor che ne la mente, in cui aveva manifestato l'insufficienza del proprio intelletto a cantare compiutamente le lodi della donna; in questo luogo precisa che la causa sta nel fatto che la mia considerazione mi transportava in parte dove la fantasia venia meno a lo 'ntelletto, e quindi se io non potea intendere non sono da biasimare; cfr. § 9 nostro intelletto... non puote a certe cose salire (però che la fantasia nol puote aiutare...). Dunque t. vale " sollevare " la ragione a un livello superiore, troppo alto perché la fantasia possa seguirla.
Si passa poi al senso di " trascinare ", " fuorviare ", in Pd XXIX 86 tanto vi trasporta / l'amor de l'apparenza, e anche qui si sottintende un termine di paragone che Benvenuto precisa subito: " extra rectum tramitem "; " tanto vi trascina l'ambizione " (Grabher), " vi possiede e trascina fuori del giusto sentiero " (Chimenz). Anche in Pg XXVIII 22 il verbo è accompagnato dall'avverbio tanto ed è seguito poi da una proposizione consecutiva: Già m'avean trasportato i lenti passi / dentro a la selva antica tanto, ch'io / non potea rivedere ond'io mi 'ntrassi. Di nuovo è presente il valore di " far procedere oltre ", " portare qualcuno al di là di un certo limite ": insomma D., " cum esset satis elongatus a ripa " (Benvenuto), " era già tanto adentro per la selva... proceduto " (Daniello), senza essersene accorto.