TRASUNTINO
(Trasuntini, Transuntino, Trasontini). – Il raro cognome (forse un detoponimico?) individua due o più costruttori di organi e di strumenti a corda da tasto attivi nel XVI secolo e nei primi anni del successivo. In qualche caso fu adottato in vece del cognome d’origine, per devozione nei confronti del maestro o per continuità di bottega; in altri casi è servito da copertura nella falsificazione di strumenti musicali.
Alessandro è il primo costruttore denominato Trasuntino. Nato a Bergamo intorno al 1482, è attestato a Venezia dal 1521, quando acquistò una casa in contrada S. Gregorio, contigua alla chiesa del monastero della SS. Trinità, ove ora sorge la basilica della Salute. Non è noto quando fu ordinato prete. Nel 1542 era rettore non residente nella chiesa di S. Elena sul Sile (nell’odierno comune di Silea), una cappella sottoposta alla giurisdizione ecclesiastica della diocesi di Treviso.
Vescovo ausiliare di Treviso era il nobile veneziano Giorgio Corner del ramo di S. Polo, figlio di Giovanni, procuratore di S. Marco e conte palatino. Giorgio Corner era stato eletto nel 1538, quindicenne, dallo zio, il cardinal Francesco Pisani, precedente vescovo di Treviso dal 1528, il quale conservò comunque il controllo perpetuo della diocesi in qualità di amministratore apostolico. L’assegnazione della rettoria a Trasuntino – di fatto una sinecura che non imponeva la presenza sul luogo – lascia trasparire possibili ancorché ignoti rapporti con le due famiglie aristocratiche.
Alessandro fu in relazione con Pietro Aretino, come risulta da due lettere di questi. Nella prima, celebre (7 aprile 1540; Al sacratissimo re d’Inghilterra Il secondo libro de lettre [sic], Venezia, Marcolini, 1542, p. 259), il mittente proponeva un baratto: l’organaro avrebbe fabbricato un imprecisato strumento per Tiziano Vecellio, il quale avrebbe ricambiato dipingendo il di lui ritratto. Non si sa se il patto fu stretto: Carlo Ridolfi menziona fra i personaggi effigiati da Tiziano anche «Alessandro da gli organi» (Le maraviglie dell’arte, overo Le vite de gl’illustri pittori veneti..., Parte prima, Venezia 1648, p. 174), ma poiché tace la localizzazione del dipinto potrebbe aver desunto la notizia dall’Aretino. Nella lettera dell’8 maggio 1542 (Al sacratissimo re d’Inghilterra..., p. 487) il letterato esalta «gli organi d’ebano» (con plausibile riferimento al materiale delle canne) alludendo a uno strumento fabbricato da Alessandro per le «camere di sua beatitudine», ossia per la musica privata del pontefice. È l’unica notizia di un organo realizzato presumibilmente ex novo dall’artefice.
Il 19 maggio 1542 Alessandro stese di suo pugno il testamento, disponendo che una metà della sua abitazione andasse ai successori (non nominati) del defunto fratello Giacomo e l’altra all’allievo «misier Franzesco Trasontini» (Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, b. 208, n. 24). Il testamento non fa riferimento ad altri beni. A Treviso nel settembre del 1543 Alessandro restaurò l’organo della chiesa di S. Nicolò, annessa al convento domenicano, e quello della cattedrale. Dalla registrazione del pagamento per il secondo intervento si apprende che fu coadiuvato da Venereo de Legge (anche ‘Venerio’ e ‘da Lezze’), identificato come allievo e nipote. Il vincolo di parentela non è rischiarato da ulteriori testimonianze.
Alessandro morì il 13 giugno 1552 nella contrada di S. Angelo, «vecchio d’anni 70» (Venezia, Archivio storico del Patriarcato, S. Angelo, Morti, reg. 1, c. 11v).
Sono conservati almeno sei strumenti contrassegnati con il nome di Alessandro. Di questi, solo tre clavicembali datati 1530, 1531 e 1538 sono certamente autentici (rispettivamente: Siena, collezione privata; Londra, Royal College of music; Bruxelles, Musée des intruments de musique). Gli possono inoltre essere attribuiti un arpicordo (Bologna, S. Colombano, collezione Luigi Ferdinando Tagliavini) e un clavicembalo (ubicazione sconosciuta), non firmati (Wraight, 1997, II, pp. 292-297). Altri strumenti di sua fattura sono ricordati in documenti della corte granducale di Firenze e romani (Montanari, 2009; Barbieri, 2012). I clavicembali rimasti o descritti sono tipici esemplari dell’arte cembalaria veneziana della prima metà del Cinquecento, della quale Alessandro fu esponente di spicco. In origine erano caratterizzati da cassa ‘levatoia’, un registro di 8 piedi e uno di 4 (solo uno non conservato ma appartenuto alla corte di Toscana, risulta dotato di un unico registro di 8 piedi), incordatura in ferro per tutta l’estensione di quattro ottave e una quarta dal do grave con l’ottava corta. Molti furono sottoposti a modifiche sostanziali, talvolta addirittura nel Settecento: al registro di 4 piedi ne fu sostituito un secondo di 8 piedi, l’estensione fu ampliata e le tastiere vennero rifatte. Simili trattamenti, peraltro non insoliti, denotano l’intenzione di continuare a servirsi di strumenti di qualità superiore adattandoli via via alle nuove esigenze esecutive.
La documentazione della Guardaroba medicea getta luce su un clavicembalo costruito per Ercole II d’Este, duca di Ferrara, che sino ad anni recenti faceva parte della collezione privata di Charles Ferris Maikoffske, attualmente irrintracciabile. Il listello frontale, che non reca indicazione d’autore, mostra sul lato esterno l’epigrafe «HER II / FER DUX IIII / CARI» e sul retro la scritta «Bortulus fecit» (Wraight, 1997, II, pp. 294-296). La morfologia dello strumento avalla l’attribuzione ad Alessandro. Fra gli strumenti posseduti dalla corte fiorentina vi era un clavicembalo del 1547 la cui paternità è esplicitamente riconosciuta ad Alessandro e sul quale si leggeva la stessa iscrizione. L’ipotesi che si tratti del medesimo esemplare è rafforzata dal nome sul retro: a Firenze, Bartolomeo Cristofori era detto Bortolo, ed è noto che a lui il granprincipe Ferdinando affidava la manutenzione e il restauro degli strumenti della sua collezione (cfr. Montanari, 2009, pp. 190-193).
Dopo la morte di Alessandro, il priore della SS. Trinità acquistò la porzione dell’immobile ereditata dal citato allievo, nominato nel libro-giornale del monastero come «sier Francesco ditto Trasontino» (Venezia, Archivio storico del Patriarcato, Priorato della Ss. Trinità, Giornal del Priorato Ss. Trinità 1546, c. 26dx): il dettaglio lascia intendere che quello non era il cognome originario. Di questo Francesco si perdono poi le tracce. Nel 1553 l’altra metà della casa era occupata da «Andriana fiola del quondam misier Zorzi da cha Zorzi et relitta in primo matrimonio del quondam misier Jacomo Transuntino, et al presente moglier de misier Victorio di Rossinj da Modena» (Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, b. 1256, n. 58, 19 gennaio 1553).
Vito Trasuntino, celebre cembalaro, in realtà rispondeva al nome di Vito (anche Vido e Guido) Frassoni (Frassonio). Nato nel 1526 da Antonio a Monastier, nei pressi di Treviso e di S. Elena sul Sile (la data di nascita si desume dall’età dichiarata negli atti di un processo del S. Uffizio del 1566; Archivio di Stato di Venezia, Savi all’eresia (Santo Uffizio), b. 21, f. 4: 1566. Contra Maximum de Maximis ingenierium et complices, passim), fu verosimilmente apprendista di Alessandro. È segnalato a Venezia dal 13 maggio 1543, quando sposò Laura, figlia di Stefano, detto Zudio, che gli diede almeno otto figli. Fra questi, Claudio è indicato quale musico nel 1580 e notaio nel 1600. Al primo matrimonio ne seguirono altri: il 10 marzo 1589 con Elena del fu Nicolò Cortese e vedova di Girolamo Colombina notaio della magistratura dei Giudici dell’Esaminador (morta due giorni dopo), e il 28 luglio 1591 con Giustina vedova di Ettore di Franchi.
A Venezia Vito stabilì rapporti di amicizia e di parentela spirituale con diversi colleghi e musicisti, fra i quali il cembalaro Benedetto Floriani, Venturino Linarol dalle viole, Domenico Colonna dagli organi, Alberto dai manacordi. Il 13 agosto 1562 Floriani designò Vito come suo arbitro per dirimere una controversia con un mercante di lana, Angelo Nicolai (assistito da Claudio Merulo), che gli aveva commissionato due arpicordi: il motivo del contendere, risolto pacificamente, riguardava la restituzione al cliente del legname avanzato dopo il compimento degli strumenti. Nel 1564 Leonardo Fioravanti (Specchio di scientia universale, Venezia, Valgrisi, 1564, cc. 114r-115r) descrive Vito come «eccellentissimo maestro» impegnato sia nella produzione di clavicembali sia nell’«acconciare e far buoni quegli che son tristi»: sua specialità era il giusto posizionamento dei ponticelli sulla tavola armonica, operazione alla quale sottoponeva anche strumenti costruiti da altri con scarso successo. Fioravanti concludeva che la manifattura degli strumenti a tastiera «è arte di gran scienza e non per sorte o per ventura» (c. 114r). L’eccellenza di «Guido Trasontino» è ribadita da Tommaso Garzoni nel capitolo della Piazza universale di tutte le professioni del mondo dedicato ai «fabricatori d’instromenti da suonare» (Venezia, Somasco, 1585, p. 863).
Il 3 marzo 1566 il S. Uffizio istruì un processo per eresia contro Massimo De Massimi, ingegnere al servizio dello Stato e miniatore: vi era imputato anche Vito, che rigettò fermamente le accuse e fu rilasciato dietro cauzione di 100 ducati.
Morì il 14 ottobre 1612, ottantaseienne (Venezia, Archivio storico del Patriarcato, S. Paterniano, Morti, reg. 1, c.n.n.). Il giorno prima, nella sua abitazione in contrada S. Paterniano, aveva dettato il testamento, con il quale aveva disposto la distribuzione dei 1000 ducati ricevuti in eredità dal figlio Claudio (evidentemente premorto): 600 erano destinati a una figlia naturale per la dote in vista del matrimonio, mentre il restante era assegnato alla governante che avrebbe provveduto alla sepoltura del testatore e alla consegna di 25 ducati alla di lui sorella Paola.
Gli strumenti superstiti di Vito sono cinque: quattro clavicembali, datati 1552, 1560, 1572 e 1591 (quello del 1560 è a Berlino, Musikinstrumentenmuseum, Staatliches Institut für Musikforschung, Stiftung Preußischer Kulturbesitz; quello del 1591, nel National Music Centre di Calgary, Alberta, Canada; gli altri in collezioni private o in luogo oggi ignoto), e il famoso clavemusicum omnitonum modulis diatonicis, cromaticis, et enarmonicis, datato 1606 (Bologna, Museo della musica). Altri clavicembali e virginali sono di attribuzione putativa, quando non contraffazioni (Wraight, 1997, II, pp. 298-304). I quattro clavicembali autentici si attengono alle caratteristiche generali descritte sopra in riferimento a quelli di Alessandro.
L’archicembalo del 1606, costruito per Camillo Gonzaga conte di Novellara, è ispirato al modello progettato da Nicola Vicentino nell’Antica musica ridotta alla moderna prattica, con la dichiaratione et con gli essempi dei tre generi [...] et con l’inventione di uno nuovo stromento (Roma, Barré, 1555): si inscrive cioè nella linea degli strumenti a tastiera con più di 12 tasti per ottava, destinati ad assicurare un’ampia versatilità nei tre generi di scale (diatonica, cromatica, enarmonica) che i teorici rinascimentali desunsero dalla teoria greca (cfr. Meer, 1993; Chromatische und enharmonische Musik, 2002). La tastiera dello strumento dispone di tutte le note diatoniche, tutte quelle con singolo diesis e singolo bemolle, e tutte quelle con doppio diesis e doppio bemolle, per un totale di 31 tasti in ciascuna delle quattro ottave, distribuiti in cinque file distinte mediante il colore, alternativamente bianco (avorio) o nero (ebano), della coperta dei tasti. Un sussidio indispensabile per eseguire l’ardua accordatura dell’archicembalo è dato dal monocordo a quattro corde (denominato trectacordo) che lo accompagna.
Nell’avvertimento anteposto alle sue Correnti, gagliarde e balletti diatonici, trasportati parte cromatici e parte henarmonici, opera XV (Venezia 1645; in Sartori, 1952), Martino Pesenti ricorda di aver suonato dal 1621 al 1634 uno strumento meno perfezionato, con 28 tasti per ottava, realizzato da Vito nel 1601 e di proprietà di Nicolò de Rossi, residente cesareo a Venezia, spiegando che si prestava appunto all’esecuzione nei tre generi diatonico, cromatico ed enarmonico. Un «gravecembalo già fu con l’ottavina alla quarta bassa auttore Viti de Trasuntinis anno 1570» (Mischiati, 1979) era in possesso di Antonio dalla Tavola, maestro di cappella nel Santo di Padova fra il 1633 e il 1674, mentre Giordano Riccati di Treviso sostiene di aver esaminato un esemplare del 1559 (Delle corde ovvero Fibre elastiche, Bologna 1767, pp. XIII, 135).
L’apprezzamento per i clavicembali di Alessandro e Vito è esternato ancora nel 1718-32 da Giampiero Pinaroli nella Polyanthea technica, che annovera «Alessandro Trasontino» fra gli autori «più classici di questa professione» (Barbieri, 1989, p. 140), e da un manoscritto del 1741 che elenca «li due Trasuntini, Vito et Alessandro» fra i «maestri più eccellenti nel far cembali» (Mischiati, 1972, p. 106).
La scritta «Gio. Francesco Januar Trazentinus al insegna dell due Rose Napoli» sulla tavola armonica di un arpicordo del 1532 (Pietroburgo, Accademia russa delle scienze) costituisce un probabile tentativo di falsificazione di un manufatto di «Bruneto dalli organi» (Brunetto Pontoni; cfr. Boalch, 1995, p. 663; Wraight, 1997, II, pp. 89, 291). Un clavicembalo con l’iscrizione «Bernardinus de Trasuntinis MDLXXIIII» è nella collezione Mirrey (oggi nella Raymond Russell Collection dell’Università di Edimburgo): di quest’autore null’altro si sa (ibid., p. 302). Un «Giulio» Trasuntino è menzionato in alcune edizioni successive alla princeps della Piazza universale di Garzoni: trattandosi di un passo nel quale l’autore si richiama al capitolo dedicato agli strumenti a tastiera nella citata opera di Fioravanti del 1564, è il risultato di una palese svista, poi perpetuata nella letteratura successiva.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Notarile, Testamenti, b. 208, n. 24 e c. 74, b. 1256, n. 58; Venezia, Archivio storico del Patriarcato, S. Angelo, Morti, reg. 1, c. 11v, Priorato della SS. Trinità, Giornal del Priorato SS. Trinità 1546, c. 26 sn/dx, S. Paterniano, Morti, reg. 1, c.n.n., 14 ottobre 1612.
G. D’Alessi, Organo e organisti della cattedrale di Treviso, Vedelago 1929, p. 149; Id., L’organo di S. Nicolò di Treviso: spigolature d’archivio, in Canentes domino in organis: numero unico per l’inaugurazione del nuovo organo da studio della Scuola ceciliana della diocesi di Treviso - 9 febbraio 1933, s.l. né d., p. 7; C. Sartori, Bibliografia della musica strumentale italiana stampata in Italia fino al 1700, Firenze 1952, pp. 392 s.; O. Mischiati, Un elenco romano di cembalari redatto nel 1741, in L’organo, X (1972), pp. 105 s.; Id., recensione a D.H. Boalch, Makers of the harpsichord and clavichord (1974), in L’organo, XVII (1979), p. 223; [G. Vio], Organi e organari delle altre chiese esistenti nel territorio della parrocchia, Venezia [1983], pp. 21 s.; S. Toffolo, Antichi strumenti veneziani, Venezia 1987, pp. 164-166; P. Barbieri, Cembalaro, organaro, chitarraro e fabbricatore di corde armoniche nella Polyanthea technica di Pinaroli (1718-32), in Recercare, I (1989), pp. 139-141; J.H. van der Meer, Strumenti musicali europei del Museo civico medievale di Bologna, Bologna 1993, pp. 91 s., 146-148 e tavv. nn. 92, 141; C. Corsi, Venerio de Legge (da Lezze) e la questione dell’organaria romana del Cinquecento, in Il Saggiatore musicale, I (1994), pp. 116-118; D.H. Boalch, Makers of the harpsichord and clavichord, 1440-1840, Oxford 1995, pp. 662-665; R.D. Wraight, The stringing of Italian keyboard instruments, c. 1500-c. 1650, diss., Belfast, The Queen’s University, 1997, passim; Chromatische und enharmonische Musik und Musikinstrumente des 16. und 17. Jahrhunderts, in Schweizer Jahrbuch für Musikwissenschaft, XX (2002), passim; P. Barbieri, Enharmonic instruments and music, 1470-1900, Latina 2008, pp. 24-29; G. Montanari, Strumenti a corde a tastiera della Guardaroba medicea nel XVII secolo. II: 1650-1670, in Informazione organistica, XXI (2009), pp. 189-232; S. Pio, Viol & lute makers, Venice 1490-1630, Venezia 2011, pp. 155-164, 422 s.; P. Barbieri, Harpsichords and spinets in late Baroque Rome, in Early music, XL (2012), pp. 55-72; E.L. Kottick, A history of the harpsichord, Bloomington 2016, pp. 83-86; M. Di Pasquale, Benedetto Floriani, Alessandro e Vito T.: nova et vetera, in Informazione organistica, XLII (2017), pp. 169-186.
Si ringrazia Denzil Wraight per alcuni aggiornamenti.