trauma psichico
In quanto rottura di un equilibrio, il trauma si incontra ampiamente nell’esistenza umana. Nel corpo si hanno ferite nei tessuti molli e fratture nelle parti solide. Anche in senso psichico un trauma può metaforicamente generare ‘ferite’ e ‘fratture’ delle condizioni di equilibrio mentale dell’individuo, con rottura della capacità di discriminare e di filtrare gli stimoli della realtà e con la conseguente invasione della mente da parte di stimoli molto più forti di quanto si possa sopportare. Una prolungata situazione traumatica può generare grave difficoltà nei rapporti interpersonali, specie quando siano in gioco intimità e richieste di sintonizzazione affettiva. Da ciò derivano cambiamenti massicci del funzionamento mentale, rottura di credenze consolidate sulla prevedibilità del mondo e di una organizzazione difensiva stabile, perdita della fiducia nella bontà delle proprie rappresentazioni del mondo esterno e interno. Emergono angosce violente, collegate con l’evento esterno e con i vissuti interni, e credenze paranoiche. Si ha sconvolgimento delle difese esistenti contro l’angoscia e conferma di angosce universali profonde. I traumi possono determinare disturbi specifici, come il disturbo postraumatico da stress, e sintomi generici, come l’ansia e l’insonnia, ed essere uno dei fattori causali di diversi tipi di patologia psichiatrica anche grave. [➔ adattamento, sindrome generale dell’; angoscia; difesa, meccanismi di; neurofarmacologia; psicoterapia; stress e adattamento] La parola trauma viene dal greco τραῦμα («ferita »); un termine quindi che in medicina è sia di pertinenza clinica, chirurgica e ortopedica, sia biologica in quanto indica la lesione di diversi tessuti e organi a causa di una azione esterna violenta, in risposta alla quale l’organismo tende a ripristinare la salute. Nei casi favorevoli infatti si può avere, come risultato finale, la guarigione, seppure persistano modificazioni del corpo (per es., cicatrici o calli ossei). In greco antico d’altronde τραῦμα significava anche «sconfitta»; e così nell’organismo, anche nei casi di apparente guarigione, permangono comunque tracce del danno subito.
Nel corso del 19º sec., il concetto di trauma e le caratteristiche su accennate sono stati trasferiti in ambito psicologico anche come conseguenza dei complessi movimenti politici e sociali del tempo. Il cancelliere prussiano Otto von Bismarck sviluppò un sistema di previdenza e assistenza sociale per i cittadini vittime di incidenti di vario tipo; si osservò allora che, in alcuni casi, i sintomi, inizialmente legati o attribuiti alle conseguenze fisiche del t., persistevano oltre i limiti della guarigione fisica per una sorta di desiderio di riparazione per il danno subito e per una valutazione soggettiva di esso spesso non coincidente con quella del danno fisico. In seguito alla conseguente psicologizzazione del danno traumatico, si parlò di nevrosi traumatiche. Il francese Jean-Martin Charcot osservò che alcune paralisi avevano origine da precisi danni del sistema nervoso, per es. la sclerosi a placche, mentre in altre non erano riscontrabili lesioni. In alcuni di questi casi la clinica dimostrava che il quadro non corrispondeva alla localizzazione di vie o centri nervosi. Charcot intuì il significato sessuale che queste paralisi tentavano di comunicare, ma non osò scriverne o parlarne pubblicamente.
Fu Sigmund Freud che, agli inizi della sua opera, osservò, descrisse, comprese il significato di comunicazione distorta che i sintomi potevano avere nei casi di isteria (➔). Se i sintomi non seguivano la distribuzione di vie e centri nervosi, essi invece rispecchiavano una ‘rappresentazione’ nel corpo di eventi traumatici di natura sessuale avvenuti nell’infanzia (seduzioni da parte di adulti), eventi non volontariamente richiamabili alla memoria ma che, attraverso sintomi vistosi (paralisi e convulsioni), si esprimevano in modo da essere comunicati, sia pure in modo distorto. Questi sintomi, secondo Freud, divengono intellegibili solo se ricondotti a esperienze infantili che hanno avuto un effetto traumatico e che continuano a esercitare una funzione patogena pur non essendone consci (famosa è la sua frase «gli isterici soffrono di reminiscenze»). In periodi successivi del suo pensiero Freud pose l’accento sulle fantasie dei pazienti (➔ seduzione) e su quanto fantasie inaccettabili alla coscienza potessero a loro volta divenire patogene. Molti tra i seguaci di Freud, a cominciare da Sándor Ferenczi, diedero un valore preminente all’ipotesi del trauma reale come causa di varie patologie, una diatriba che ancora oggi si prolunga spesso dimenticando che si tratta di due aspetti diversi di uno stesso processo.
La parola evento indica, nella lingua italiana, un fatto che si è già verificato o che si può verificare, attuatosi o potenziale. La classica frase di Johann Wolfgang von Goethe, secondo il quale «un fatto della nostra vita non ha valore in quanto reale ma nella misura in cui significa qualche cosa» riassume importanti considerazioni e conclusioni di antropologi, epistemologi, filosofi, psicologi e ci riporta alla considerazione che è il nostro essere vivi in relazione col mondo circostante a essere fonte di significati; significati che solitamente non possiamo evitare di attribuire agli eventi. Questa funzione di attribuzione di significati è senz’altro connessa alla vita mentale nei suoi aspetti affettivi e cognitivi e contribuisce a sua volta a crearla e mantenerla. Ogni evento presenta aspetti nuovi, ma l’essere umano, in ragione delle memorie di esperienze precedenti, lo accoglie in parte assimilandolo al passato, riconoscendone i tratti familiari; in parte modifica sé stesso, accomodando in nuova forma esperienze vecchie e nuove. L’evento è in prevalenza legato alla realtà esterna, ma può anche essere costituito dal comparire di desideri inesprimibili, attivati magari da fatti esterni emotivamente carichi. A partire dalla prima metà del 20° sec. si è affermato in ambito medico il concetto di stress inteso come risposta aspecifica dell’organismo a richieste di tipo negativo da parte dell’ambiente. Il concetto di stress vede contemporaneamente l’azione degli eventi e la risposta dell’organismo. In questa cornice concettuale i traumi sono eventi che determinano una rottura, rendendosi insufficienti le normali risposte adattative dell’organismo. Gli eventi stressanti sono quegli avvenimenti della vita, circoscritti nel tempo, che modificano in modo variabile ma sostanziale l’assetto di vita di una persona, richiedendole uno sforzo per riadattarsi alla nuova situazione. Il concetto di stress considera, come nel caso del t. p., contemporaneamente il danno fisico e psichico alla persona e ne mette in evidenza le correlate modificazioni di meccanismi neurobiologici centrali e periferici che, una volta stabilizzati e divenuti cronici, determinano veri e propri cambiamenti, più o meno stabili, neurologici ed endocrinologici.
In anni più recenti vengono sempre più prese in considerazione le conseguenze psicologiche e psicopatologiche dei traumi; così, i disturbi legati a traumi sono stati inseriti nei sistemi nosografici psichiatrici. Le conseguenze dei t. p. includono sia il danno diretto che gli attacchi violenti provocano all’apparato psichico dall’esterno sia gli effetti dell’esperienza soggettiva del trauma, per es. il vissuto di completa passività. Naturalmente a tali alterazioni psichiche corrispondono modificazioni del funzionamento del corpo, specialmente del sistema nervoso. Studi in area psichiatrica concludono che i t. p. sono esperienze reali oggettivamente stressanti, sensorialmente registrate dalla persona che le subisce; l’evento, in quanto improvviso, intenso, terrorizzante, esercita un’azione lesiva sulla possibilità di elaborarlo a livello dell’attribuzione di significato emotivo e cognitivo, e quindi sui sistemi di risposta alle minacce ambientali. Il concetto di t. p. si è quindi ampliato da situazioni nelle quali il risultato è una lesione di strutture mentali organizzate a numerose altre nelle quali risultano alterate la formazione e l’organizzazione di tali strutture. Sono traumi le violenze e gli abusi, le minacce all’integrità e alla sopravvivenza, le gravi trascuratezze materiali, relazionali e affettive, specie nella delicatissima fase dell’infanzia nella quale vi è una dipendenza assoluta da altri umani significativi; anche situazioni successive che ripetano tale condizione di dipendenza indifesa possono essere traumatiche, così come il crollo dei propri valori o di propri progetti di vita, specie se improvvisi e inattesi, e le perdite definitive, le separazioni percepite come irreparabili. Nell’insieme sono traumatiche le esperienze che richiamano in modo brusco, in condizioni di vulnerabilità, la finitezza della vita, l’illusorietà delle velleità e delle fantasie onnipotenti di controllo sul mondo e su noi stessi. Inizia a delinearsi una differenza fra traumi come evento violento, circoscritto nel tempo, e situazioni traumatiche lesive anche per la loro diffusione spaziale e temporale (microtraumi e traumi cumulativi), fra traumi psichicamente distruttivi e traumi affettivi che hanno come conseguenza essenziale la mancata costruzione di capacità relazionali, specie là dove sono in gioco intimità e sintonizzazione affettiva.
Le esperienze nel corso della vita possono assumere significati diversi in momenti successi di essa: un ricordo, specie se vagamente associato a minaccia e poco compreso, può acquistare significati nuovi alla luce di esperienze successive. Così la pubertà e l’adolescenza possono colorire di chiari significati sessuali a posteriori esperienze precedenti. Questo anche perché eventi traumatici tendono a ripresentarsi nel corso della vita. In questa ripetizione il soggetto diviene almeno in parte attivo, contribuendo a ricreare situazioni che in origine ha subito con angoscia e umiliazione e tentando quindi di controllarle, sia pure forse anche per una tendenza inconscia a soffrire (➔ coazione a ripetere). Naturalmente non tutti gli eventi traumatici hanno le stesse conseguenze. La precocità dei t. p., la loro natura cronica o episodica, il ruolo della famiglia, se percepita solidale, in grado di aiutare o, viceversa, trascurante o collusiva, la storia della vita dopo gli eventi traumatici e, in generale, l’influenza dell’ambiente nel quale il t. p. si è generato sono tutti fattori di possibili differenti conseguenze. Vi è poi un fattore generale, di resistenza elastica (ossia di capacità di resistere senza gravi conseguenze anche a traumi importanti), differente da individuo a individuo, che ha una verosimilmente importante componente costituzionale. I t. p. generano sofferenza ma costituiscono una componente ineludibile del vivere. Non tutti i t. p. generano un’apprezzabile patologia, ma molta patologia mentale può essere connessa al t. p., essendo esso un fattore causale importante ma anche, a sua volta, potendo essere causa di altri t. p. o di ripetizione di essi. Nell’attuale nosografia psichiatrica, vi sono disturbi specifici di origine traumatica – per es. il disturbo postraumatico da stress –, ma t. p. si riscontrano collegati in modo significativo anche con disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi da dipendenza da sostanze, psicosomatici e dissociativi. Nell’insieme poi i gravi disturbi di personalità possono avere – e con frequenza hanno – nella storia, specie infantile, eventi traumatici significativi. Ciò è visibile in modo particolare in quei casi nei quali si hanno reazioni abnormi alle esperienze vissute e anche in quelli nei quali vi sono sviluppi abnormi di personalità, anche se in questi casi l’accento è posto sul terreno dell’organizzazione della persona e non su quello degli scompensi patologici. Qualcosa di simile può verificarsi anche in casi di psicosi gravi.
La identificazione di quadri psicologici e psicopatologici abbastanza ben delineati che hanno avuto un inizio e uno sviluppo connessi a t. p. ha permesso studi approfonditi di tipo epidemiologico, con la ricerca di correlazioni fra t. p. e risposte individuali. Intanto ne è risultato che i t. p. non necessariamente generano conseguenze patologiche e che, anche quando ci sono, tali conseguenze non sono sempre uguali: disposizione genetica, personalità, storia, contesto di vita e modalità del soggetto di fronteggiare gli eventi influenzano grandemente le risposte individuali. Queste possono non essere costituite da classici quadri psichiatrici ma, anche più spesso, da modificazioni dell’identità, da inibizioni, irrigidimenti di difese, cambiamenti del senso di Sé e del proprio rapporto col mondo, delle relazioni interpersonali; cambiamenti che possono, anche dopo un tempo rilevante, essere alla base di seri scompensi in occasione di crisi successive importanti come problemi legati alla maternità, crisi lavorative, crisi legate all’età, ecc.; o anche di scompensi per ragioni attuali solo apparentemente banali ma che richiamano eventi traumatici precedenti. Da parte loro le neuroscienze hanno fornito conoscenze rilevanti su importanti basi fisiopatologiche dei fatti clinici, delle risposte di adattamento e disadattamento allo stress e delle risposte ai traumi. I campi di ricerca sono numerosi, diversi per finalità, tecniche e oggetti di studio. Solo per fare un esempio, anche solo nel caso del disturbo postraumatico da stress, le ricerche riguardano importanti effetti psicofisiologici, modificazioni dei neurormoni delle basi neuroanatomiche (per es., una diminuzione del volume dell’ippocampo e la mancata lateralizzazione dell’emisfero destro) e, infine, effetti immunologici.
I trattamenti farmacologici possono aiutare a curare alcune conseguenze sintomatiche dei t. p., specie di tipo depressivo, migliorando il quadro clinico ed evitando alcuni pericolosi circoli viziosi (la depressione conseguente a un trauma di perdita può a sua volta divenire un’esperienza traumatica). Nell’approccio terapeutico non si può dimenticare che il t. p. ha conseguenze nocive non solo legate alla mancata elaborazione dell’evento, con rimozione o dissociazione del ricordo di esso, ma anche in ordine a lesioni dell’organizzazione psichica e all’attivazione di organizzazioni mentali abnormi. Di qui sia la difficoltà o l’impossibilità dell’elaborazione simbolica del fatto traumatico, sia la necessità non tanto di attivare il ricordo dell’accaduto quanto di costruire, nel nuovo contesto della terapia, la possibilità perduta o non sviluppata di simboleggiare in alcune aree della mente e di accedere a manifestazioni affettive mai conquistate o divenute impossibili. In questo difficilissimo lavoro si possono in effetti sviluppare cambiamenti importanti nella vita delle persone che hanno subito t. p., o situazioni traumatiche gravemente lesive, ottenendo così non soltanto, o non tanto, di curare una malattia emergente, quanto di rimettere in moto processi di mutamento arrestati dall’esperienza patogena. Un rischio sovente descritto è che i terapeuti si trasformino nel buon samaritano, un ruolo che può produrre, come nel caso dei traumi fisici, danni ulteriori. L’allearsi con il paziente visto solo in quanto vittima, come sovente anche il paziente sembra richiedere, può impedire di vederne la rabbia, la distruttività autodiretta, i sensi di colpa. Vittima, carnefice e salvatore sono ruoli che vanno non tanto illustrati, quanto vissuti e rappresentati dai due membri della coppia terapeutica nello svolgersi della loro relazione.