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trauma spinale

Dizionario di Medicina (2010)
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trauma spinale


Frattura o lussazione della colonna vertebrale con coinvolgimento o meno del midollo spinale e delle radici nervose. A livello storico le prime testimonianze sui traumi vertebromidollari sono riportate nel Papiro Edwin Smith, di contenuto medico, risalente al 16° sec. a. C., che riporta 48 casi chirurgici di cui 6 traumi spinali. Anche Ippocrate (460-377 a. C.) trattò ampiamente i traumi vertebromidollari ed è considerato l’ideatore della metodologia della trazione per la riduzione delle fratture/lussazioni. Durante i due conflitti mondiali si affermò la moderna chirurgia di guerra, da cui si svilupparono tecniche e si sperimentarono materiali che condussero alle innovazioni nel trattamento del trauma vertebromidollare come oggi (2010) lo conosciamo.

Epidemiologia

Nell’America Settentrionale ogni anno si registrano 12.000÷14.000 nuovi casi di traumi vertebromidollari. In Canada, per es., l’incidenza di traumi spinali con paralisi permanente o selettivi deficit neurologici si attesta a ca. 35 casi per milione, mentre negli Stati Uniti l’incidenza è di ca. 40 casi per milione. In Italia, l’incidenza stimata (2007) è di 18÷20 casi per milione. Le cause del trauma vanno riferite a incidenti stradali nel 60% dei casi, a traumi da precipitazione violenta o meno nel 20%, ad atti di violenza in circa il 10% dei casi e a traumi sportivi nel restante 10%. Nei maschi il rischio di trauma vertebromidollare è dalle 2 alle 4 volte più elevato che nelle femmine. I giovani più facilmente incorrono nel trauma spinale da incidente stradale e l’assunzione di alcol ha un ruolo importante nell’incidenza dei traumi spinali da incidente stradale nei giovani maschi. Il tratto di colonna vertebrale che risulta maggiormente colpito è rappresentato dal rachide cervicale; ciò deriva dall’anatomia e dalla biomeccanica della colonna cervicale stessa, che è quella con la più alta capacità di movimento, per cui risulta essere la più sollecitata dal trauma in flessione-estensione. L’85% dei pazienti con lesione midollare che sopravvive dopo le 24 ore che seguono il trauma è ancora vivo dopo 10 anni. Per quel che riguarda il danno neurologico, nei casi in cui questo si manifesta, la tetraparesi è presente nel 31,2% dei pazienti, la paraplegia nel 28,2%, la paraparesi nel 23,1% e la tetraplegia nel 17,5%.

Patofisiologia della lesione del midollo spinale

Quando si parla di danno midollare conseguente a trauma vertebrale, occorre distinguere le lesioni midollari per danno primario dalle lesioni per danno secondario. Si ha danno primario nel caso di lesione diretta del midollo spinale dovuta a compressione e stiramento dello stesso. Si ha danno secondario in riferimento alla morte cellulare ritardata che si verifica a distanza di tempo dalla lesione traumatica, come risultato delle reazioni ischemiche e infiammatorie che accompagnano il danno tissutale primario. Alla luce di queste definizioni nel trauma midollare si possono distinguere: la commozione midollare (➔ shock spinale), in cui si assiste alla perdita immediata delle funzioni del midollo senza lesione anatomica e che può essere reversibile (edema, danno assonale transitorio); la contusione midollare (danno primario), in cui si riscontra il danno traumatico diretto degli assoni e dei corpi cellulari a livello dell’azione traumatica e che risulta non reversibile. Al danno primario segue il danno secondario, intendendo in questo caso l’estensione del primitivo danno anatomo-funzionale. È questo un danno potenzialmente prevenibile, se il paziente è trattato precocemente con terapie adeguate. La necrosi cellulare provocata dal danno primario induce la comparsa di formazione di cisti malaciche, che alla distanza sono di impedimento meccanico alla ricrescita assonale, e la liberazione di sostanze neurotossiche a causa dei processi infiammatori (intervento dei linfociti) provocati dal danno primario. Queste sostanze neurotossiche sono responsabili del danno secondario, in quanto provocano necrosi cellulare con demielinizzazione e gliosi reattiva ai processi infiammatori che, come le cisti malaciche, crea impedimento alla ricrescita assonale.

Gestione e trattamento

Il trattamento delle lesioni traumatiche del rachide mira all’eliminazione della compressione midollare e radicolare, al ripristino della stabilità della colonna vertebrale, al contenimento del danno primario, quando presente, e alla prevenzione del danno secondario. Questi obiettivi vengono perseguiti con il trattamento medico e quello chirurgico. Esistono linee guida, adottate a livello internazionale, che indicano le procedure da effettuare nel luogo del primo soccorso, durante il trasferimento in ospedale, e le misure che permettono di ridurre i rischi correlati a eventuali errori nella gestione del trauma. La terapia medica, assicurando un’adeguata pressione arteriosa e preservando le condizioni respiratorie, ha come obiettivo la prevenzione dell’ipossia e dell’ischemia midollare causate dal danno primario e da quello secondario poiché garantisce la corretta irrorazione e ossigenazione dei tessuti nervosi; estremamente dibattuto ancora oggi è l’uso dei farmaci cortisonici come il metilprednisolone in relazione al rapporto costo/beneficio. Il trattamento chirurgico ha come scopo la decompressione midollare o radicolare e la stabilizzazione mediante osteosintesi attraverso molteplici vie d’approccio (anteriori, posteriori o combinate). Le fratture e le lussazioni del rachide vengono inquadrate secondo correnti classificazioni universalmente accettate che valutano l’aspetto morfologico della frattura o della lussazione e i meccanismi biomeccanici che l’hanno provocata. L’interpretazione delle fratture vertebrali secondo questi schemi permette la scelta del trattamento chirurgico più appropriato. Con una corretta integrazione delle terapie mediche e chirurgiche è possibile migliorare la prognosi nel trattamento del trauma spinale.

Vedi anche
frattura In medicina, il prodursi di una soluzione di continuità in un osso. Le frattura si producono con meccanismi vari, risultando spesso da un trauma, raramente da una violenta contrazione muscolare: esse possono prodursi nella stessa sede d’azione del trauma ( frattura diretta), o a distanza da questa ( ... contusione Lesione delle parti molli dell’organismo per azione traumatica di un corpo, senza discontinuità del rivestimento cutaneo o mucoso (ferita contusa) e con stravaso di sangue (ecchimosi o, per danno maggiore, ematoma). La contusione si accompagna a dolore; si può avere anche febbre per immissione in circolo ... necrosi In patologia, complesso di alterazioni strutturali irreversibili comportanti la perdita di ogni vitalità a carico di gruppi cellulari, zone di tessuto, porzioni di organo in un organismo vivente. Cause lesive di diversissima natura (fisica: traumi, ustioni, congelamenti, energia radiante; chimica: tossici ... cisti medicina Cavità corporea abnorme munita di pareti proprie, a contenuto solido, semisolido o liquido. Le cisti hanno forma, in genere, rotondeggiante, grandezza varia, sono di numero unico o multiplo. Diverse dalle cisti propriamente dette sono le cisti ‘false’ o pseudocisti, prive di una parete propria. ...
Tag
  • PAPIRO EDWIN SMITH
  • COLONNA VERTEBRALE
  • MIDOLLO SPINALE
  • BIOMECCANICA
  • CORTISONICI
Vocabolario
tràuma
trauma tràuma s. m. [dal gr. τραῦμα (-ατος) «ferita»] (pl. -i). – 1. In medicina, lesione prodotta nell’organismo da un qualsiasi agente capace di azione improvvisa, rapida e violenta: t. cranico; malattia da t.; subire, riportare un trauma....
cerebèllo-spinale
cerebello-spinale cerebèllo-spinale agg. – In anatomia, fascio c.-s., fascio di fibre nervose, a funzione motoria, che mettono in rapporto il cervelletto con le corna anteriori del midollo spinale.
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