TRAVERSARI
– Famiglia tra le più potenti e ragguardevoli di Ravenna in età precomunale e comunale, discendente (come i Sergi e i Romualdi) dall’antico ceppo bizantino dei Duchi, attestata con certezza dal X secolo.
Lo prova la documentazione edita da Marco Fantuzzi (Monumenti ravennati..., 1801-1804), e da Ruggero Benericetti (Le carte ravennati del decimo secolo..., a cura di R. Benericetti, 2002). La fioritissima e celebrativa tradizione erudita ravennate di età umanistico-rinascimentale li vorrebbe presenti in città già in epoca teodericiano-giustinianea. La successiva erudizione locale ha poi prodotto numerose e intricate genealogie, rendendo disagevole una ricostruzione genealogica puntuale.
La prima comparsa in assoluto è del 20 settembre 947: in una donazione si cita un certo Paulus qui vocatur de Traversaria al tempo già defunto (M. Fantuzzi, cit., I, n. XX, pp. 123-125). Nella seconda metà del X secolo compare poi di frequente Petrus filius quondam Pauli, entrambi ricordati come duces de Traversaria (II, n. XV, pp. 34-36, III, pp. 286-289). Dunque, ancor prima del Mille i Traversari erano già saldamente inseriti in un ramificato sistema di potere locale come enfiteuti e vassalli della Chiesa arcivescovile, oppure in veste di concessionari di terre di altre chiese e monasteri, sia ravennati sia romagnoli. Probabilmente già prima della fine del secolo essi erano titolari del comitato rurale di Traversara, ricordato come tale in un celebre diploma di Ottone III risalente al 27 settembre 999.
Traversara (donde il nome gentilizio) sorgeva nei pressi dell’attuale Massa-Castello (a meridione di San Pietro in Vincoli), in prossimità del territorio municipale forlivese e non già nel Bagnacavallese come si è a lungo ritenuto.
Durante l’XI secolo i Traversari mutarono progressivamente la loro condizione di affittuari e usufruttuari in quella di possessori di un cospicuo numero di terre ecclesiastiche estese fra la pianura ravennate e i primi contrafforti appenninici del Forlimpopolese, del Cesenate e del Sarsinate entrando in aperto contrasto soprattutto con i conti Guidi per il controllo di Dovadola (Forlì-Cesena).
La successione familiare comincia ad acquisire una sua essenziale fisionomia a far data dalla comparsa (1079) di un Pietro che, considerata la frequenza con cui tale nome ricorre nella famiglia, si è convenuto per tradizione di chiamare Pietro I (non considerando le più incerte figure omonime del X secolo). Costui compare nel 1079 come capitaneus et valvasor alle dipendenze dell’arcivescovo. Un altro Pietro (II), presumibilmente figlio del precedente, è ricordato nel 1115 come consul del Comune cittadino (Comune che, nonostante la lettura dissolvente di una recente e qualificata storiografia in argomento, a quell’epoca sicuramente esisteva a Ravenna).
Un ulteriore Pietro, qualificato come Pietro di Rustico, attore fra il 1103 e il 1107 di transazioni con la locale Schola Piscatorum (cioè con la corporazione dei venditori di pesce) e illustre a Ravenna, a detta di Vincenzo Carrari (Istoria di Romagna, a cura di U. Zaccarini, 2007), nel 1109, è di difficile collocazione in questa linea dinastica.
Si ha notizia inoltre, non molto tempo dopo, esattamente nel 1124, dell’uccisione di un Guido Traversari a causa di una pietra scagliata da un mangano durante uno dei tanti scontri fra ravennati e faentini per il controllo della pianura, dei castelli e delle vie di comunicazione fra le due città; in questo caso per il possesso dello strategico castello di Cunio a meridione di Lugo.
Nel corso del XII secolo il prestigio e la forza politica dei Traversari continuarono ad accrescersi grazie a un’abile politica matrimoniale che li legò ad alcune delle famiglie più in vista dell’area ex esarcale e pentapolitana come Adelardi, Malatesti e gli stessi Guidi e in virtù, altresì, di un orientamento politico di ispirazione di massima filoimperiale ma, comunque, abbastanza elastico. Tale duttilità è provata dal fatto, ad esempio, che nel 1158, in occasione della discesa in Italia di Federico I di Svevia da cui scaturì la seconda dieta di Roncaglia, mentre l’arcivescovo ravennate, schierato a tutto campo sul fronte imperiale germanico, si recò a Cremona per giurare fedeltà ai legati del Barbarossa, l’esponente di maggiore spicco dei Traversari a quell’epoca, Guglielmo, detto Maltraversa, con un’ambasciata del Comune di Ravenna tentò invece di raggiungere Ancona per trattare con i messi del basileus bizantino Manuele Comneno (che nutriva mire espansionistiche sulle coste del medio Adriatico occidentale).
La missione fallì per il duro intervento di forze armate tedesche che minacciarono di imprigionare Guglielmo, intercettato durante il viaggio, ma l’episodio dimostra come i Traversari e il ceto dirigente del Comune ravennate, a differenza dell’arcivescovo, volessero tenersi aperta una possibilità di dialogo anche con Bisanzio.
Nel tardo XII secolo emerse la figura di maggiore spessore dell’intero casato: Pietro (III), figlio di un Pietro a sua volta generato da Guglielmo Maltraversa. In lotta con le maggiori famiglie ravennati (Duchi, Onesti, Parcitadi, da Porta Nova, Tebaldi, Calcinara e soprattutto Dusdei), Pietro III riuscì infine a fare sua la carica podestarile nel 1181 occupandola quindi a più riprese e non senza forti contrasti con le altre famiglie potenti addirittura fino al 1220. Ciò indusse la tradizione storiografica successiva a parlare di un caso molto precoce di signoria cittadina; in realtà, come è stato giustamente scritto, si trattò piuttosto di una «falsa partenza» (Vasina, in Storia di Ravenna, 1993, p. 559).
Già nei decenni precedenti, a partire dalla fine degli anni Sessanta, nel quadro di un orientamento politico chiaramente filoimperiale, Pietro III collaborò anche a lungo e fattivamente con l’arcivescovo Gerardo e con il messo imperiale Corrado di Lützelhart (che fu duca di Ravenna e principe della Marca di Ancona nel tentativo, portato avanti da Federico I e dal figlio Enrico VI, di riorganizzazione – coinvolgendo le forze e gli interessi locali e le relative potenzialità economiche – dello Stato svevo in Italia). A Ravenna i duchi imperiali avevano la facoltà di designare il podestà cittadino e di dividersi, con il Comune e con l’arcivescovo, gli introiti di dazi e pedaggi.
A riprova del prestigio guadagnato da Pietro presso gli ambienti di corte nel 1186 egli ospitò nelle proprie case – dislocate secondo la tradizione lungo la strada di S. Vitale, presso la omonima basilica del VI secolo, all’angolo nord-occidentale dell’antica città romana – il figlio dell’imperatore (il futuro Enrico VI).
Pietro III Traversari – la cui influenza si esercitò fra XII e XIII secolo anche a Ferrara allo scopo di avvicinare Estensi e Adelardi contro i Torelli e che fu personalità di grande visibilità nell’agone politico romagnolo essendo anche conte di Rimini – scomparve nel 1225.
L’anno successivo Ravenna filoimperiale – schierata contro Bologna, Cesena e Faenza aderenti alla seconda Lega lombarda antifedericiana – vedeva alla testa delle sue truppe Paolo Traversari, figlio di Pietro, che aveva sostituito il padre a capo della fazione ghibellina ravennate strettamente alleata con i conti Malvicini di Bagnacavallo. La sua militanza filoimperiale o antipapale risultò decisamente accesa: sostenuto dai conti bagnacavallesi, interferì pesantemente (giugno 1228) nell’elezione dell’arcivescovo Tederico, notoriamente di simpatie guelfe e orientato (contro le più radicate opzioni dei presuli ravennati) verso l’obbedienza romana.
In questi decenni, che possono essere considerati l’età d’oro della casata, fiorì presso i Traversari un cenacolo trobadorico che conferì alla loro corte una nobilitazione di stampo cavalleresco-cortese riverberatasi poi, per il prestigio della famiglia, in opere e autori successivi.
Essi ospitarono il trovatore Guilhem de la Tor, che nella sua Treva, composta verso il 1220, ricorda Emilia (o Imilia), seconda moglie di Pietro, e Beatrice, presunta sposa di Paolo. Le donne furono lodate anche da Albert de Sisteron, da Guillem Augier e, soprattutto, da Aimeric de Peguilhan che dedicò alcuni suoi componimenti a Emilia, nata dai conti Guidi. La fama dei Traversari viaggiò poi anche sulle ali della novella XLI del Novellino, dove Paolo è rappresentato come il tipo ideale di signore; e ancora grazie alla vena narrativa di Salimbene de Adam, che ebbe modo di soffermarsi con accenti encomiastici di nuovo su Paolo (pulcherrimus miles et magnus baro et ditissimus valde et dilectus a civibus, Cronica, a cura di G. Scalia, I, 1966, p. 468) e su altri membri della famiglia; e, infine, in virtù di Dante il quale, per bocca di Guido del Duca, ricorda Pietro III assieme a Guido da Carpegna e ai romagnoli del buon tempo antico (Purgatorio XIV, 98).
La tempesta si scatenò sui Traversari a partire dal 25 giugno 1239 quando Paolo, con un clamoroso voltafaccia di cui rimase eco in tutte le cronache del tempo e con l’aiuto dei bolognesi, sovvertì secoli di politica filoimperiale ravennate cacciando fuori dalla città gli aderenti alla fazione ghibellina e schierandosi apertamente contro Federico II allora in guerra con i Comuni del Nord Italia.
Quale fosse la molla che fece scattare questa inaspettata decisione è difficile dire e molto è stato scritto al riguardo. L’ipotesi più probabile, tuttavia, è che Paolo volesse avvicinarsi alle posizioni filoromane e filoguelfe dell’arcivescovo Tederico e dei numerosi enti ecclesiastici cittadini troppo influenti nella vita politica, economica e sociale della città per potersi permettere di averli nemici.
La reazione di Federico II verso la città ‘traditrice’ giunse alla fine di agosto del 1240 quando l’imperatore svevo prese Ravenna dopo un rapido assedio. Paolo Traversari era morto pochi giorni prima (8 agosto 1240) e con lui ebbe inizio il declino della famiglia. Le azioni punitive di Federico II furono severe e, oltre all’abbattimento delle dimore e delle torri, i figli di Paolo vennero deportati in Puglia. Guglielmo non fece più ritorno a Ravenna perché morì nell’Italia del Sud intorno al 1248, o poco dopo, mentre il destino della figlia Ayca restò a lungo controverso e oscuro. Si disse che era stata fatta morire da Federico II in una fornace ardente, ma è assai probabile che la donna che si presentò a Ravenna verso la metà degli anni Sessanta, accompagnata da un marito pugliese (Guglielmo Francisio, chiamato spregiativamente da Salimbene de Adam Guglielmotto), fosse proprio la figlia di Paolo.
Rafforzerebbe questa ipotesi il fatto che l’arcivescovo Filippo dei Vergiolesi le riconobbe nel 1268 il possesso del comitato rurale o Ducato di Traversara assieme ad altri beni. Tutta la vicenda è narrata con dovizia di particolari da Salimbene che considerò la donna, di nome Paschetta, semplicemente un’abile impostora desiderosa di accaparrarsi l’eredità dei Traversari. Ayca fece testamento nel 1285.
Nel frattempo in Ravenna, in assenza degli eredi diretti, la nuova linea politica guelfa era stata portata avanti non più da esponenti maschili della casata, ma da mariti di donne Traversari, e si costituì la cosiddetta pars o domus Traversariorum. Così alla testa dello schieramento cittadino guelfo – che si oppose con forza alla pars comitum ghibellina, a sua volta guidata dai conti Malvicini di Bagnacavallo – si misero rispettivamente, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, Tommaso da Fogliano, nipote di papa Innocenzo IV, e Stefano di Andrea della casa reale d’Ungheria, i due mariti in successione di tempo di Traversaria (o Traversara), nipote di Paolo e figlia del Guglielmo deceduto in Puglia. Tuttavia anche Stefano d’Ungheria restò per poco tempo al vertice della compagine traversariana perché alla morte della moglie, avvenuta nel 1265, si trasferì a Venezia; ciò poco prima che comparisse a Ravenna la sedicente Ayca il cui compagno, Guglielmo Francisio, divenne ben presto il punto di riferimento della domus Traversariorum.
Contestualmente al complessivo declino dei Traversari era però venuta crescendo di molto la potenza domestica e politica dei Polentani che – dapprima fedeli e sottomessi alleati – negli anni Settanta facevano ormai le prove per assumere in veste signorile il potere sulla città.
Furono anni convulsi che videro infine l’impiantarsi, in Romagna e a Ravenna, della sovranità papale (1278) mentre la supremazia polentana prese a manifestarsi abbastanza chiaramente. Nel 1275 infatti Guido Minore (o il Vecchio) da Polenta – così chiamato per distinguerlo dal cugino Guido Riccio o Maggiore – prese temporaneamente in mano le leve del comando in città con il titolo di consul et rector cacciando le altre famiglie guelfe avversarie.
Anche i Traversari furono espulsi, ma poterono comunque ritornare poco dopo assieme ai loro alleati Guido Riccio da Polenta, Vincenzo di Saladino Onesti e Vitale Ubaldo da Sasso. Successivi rientri e nuove espulsioni contrappuntati da aperte divisioni all’interno della famiglia fra la linea di Ayca, continuata da Guglielmo Francisio e dai suoi figli, e quella di Traversaria, fatta valere dagli eredi di Tommaso da Fogliano scomparso nel 1262, segnarono il lento spegnersi, a cavallo fra Due e Trecento e in un clima di acerbo e torbido confronto cittadino e intercittadino con coinvolgimenti anche dei rettori papali, delle residue velleità di potenza dei Traversari il cui ricordo, come quello di una stirpe magnanima e cavalleresca, suscitò il rimpianto nostalgico di Dante (Purgatorio XIV, 98 e 107).
Un episodio importante di questa decadenza si registra nel 1303. Pietro IV (probabile figlio dell’ormai defunto Guglielmo Francisio) contravvenne al divieto di trasportare grano e altri prodotti annonari nella sua rocca di Traversara; per decisione dei maggiorenti ravennati e del podestà Lamberto da Polenta, un contingente armato raggiunse Traversara, espugnò e abbatté la rocca, e ne spogliò il proprietario di tutti i beni. Pietro fu così costretto, accompagnato dalla famiglia e dai parenti, a esulare in Toscana da dove avrebbe poi raggiunto Portico (oggi Portico di Romagna); altri membri della famiglia presero dimora chi a Ferrara, chi ad Argenta, chi a Brisighella. A un successivo rientro pochi anni dopo fece poi seguito l’espulsione definitiva, consumatasi per volontà dei Polentani nel 1343.
La famiglia sopravvisse, ma ormai ininfluente e relegata in un fitto cono d’ombra. I Traversari delle generazioni successive si confusero e si mescolarono, in vari centri romagnoli, con le vicende di nuclei di più basso lignaggio.
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