tremore
Il termine ricorre soltanto nell'ambito della poesia stilnovistica e quindi solo nell'opera giovanile di D. (cfr. invece TREMARE, particolarmente nel contesto di Pg XXX 46-48); indica il " tremito " che prende il poeta quando viene a trovarsi in presenza della sua donna, così violento da procurargli una sorta di ebrezza, per cui le pietre par che gridin: Moia, moia (Vn XV 5 7); o che addirittura lo assale prima che ella compaia, come un presentimento: mi parve sentire uno mirabile tremore incominciare nel mio petto... Allora... temendo non altri si fosse accorto del mio tremare, levai li occhi, e... vidi... la gentilissima Beatrice (XIV 4).
Lo stesso significato in XXIV 10 mi senti' svegliare lo tremore usato nel cuore, a commento dei primi versi del sonetto che immediatamente precede (§§ 7-9); e cfr. l'inizio del capitolo: io mi sentio cominciare un tremuoto nel cuore.
Sempre connesso all'esperienza amorosa, ma diversamente motivato, è il t. di Rime LXXX 28 i miei disiri avran vertute / contra il disdegno che mi dà tremore (cfr. vv. 3-4 una donna disdegnosa, / la qual m'ha tolto il cor per suo valore): " è qualcosa di più che paura, come si rileva da questo passo di Giordano da Rivalto (Prediche, 1813, II, 131): ‛ sono voci da mettere paura grande, anzi tremore ' " (Barbi-Pernicone).
Nell'unica occorrenza del Fiore, invece, più che all'emozione procurata all'Amante dal poter baciare l'oggetto amato, il " tremito " sembra dovuto alla paura di Bellaccoglienza: 'l baciai [il fiore] con molto gran tremore, / sì forte ridottava sua minaccia (XX 13): cfr. i vv. 8 ss. Bellaccoglienza... / disse: " Vien'avanti e bacia 'l fiore; / ma guarda di far cosa che mi spiaccia, / ché tu ne perderesti ogne mio amore ". V. anche TREMOTO.