TRENTA
Casato lucchese, il cui capostipite ed eponimo fu maestro Trenta da Casabasciana, speziale, attestato sino dagli anni Trenta del XIV secolo: verosimilmente immigrato (in epoca imprecisata) da quella località collinare, posta sull’importante strada che collega Lucca a Modena attraverso il passo dell’Abetone. Seguirono la professione del padre i figli Giovanni e Ciomeo (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Recuperate, 1356 novembre 13), che furono già implicati nella vita politica; espulsi con altre famiglie appartenenti alla fazione dei guelfi bianchi, probabilmente rientrarono a Lucca nel 1331. Nel giugno di questo anno Giovanni e Ciomeo Trenta abitanti in «contrata Sancti Peregrini», lungo l’asse di accesso a nord dalla via Francigena, giurarono fedeltà, insieme agli abitanti di Lucca, a Giovanni di Lussemburgo re di Boemia e a suo figlio Carlo (Archivio di Stato di Lucca, Capitoli, 52, cc. 130v, 137r).
Sono prive di conferme documentarie, e probabilmente da collocare nel novero delle ‘genealogie incredibili’, le affermazioni dell'erudito settecentesco Bernardino Baroni smentite del resto pochi decenni dopo dal figlio, Giuseppe Vincenzo Baroni (Biblioteca Statale di Lucca, ms. 1136, c. 335r).
I Trenta seppero traversare senza danni, e anzi con profitto economico e d’immagine sociale, i complessi decenni centrali del XIV secolo, quando – per tacere della peste e delle sue conseguenze – si avvicendarono in Lucca il precario dominio scaligero (1336-42), il dominio pisano fino al 1368 e poi la ‘libertà’ dal 1370 in avanti, conseguita alla fine del tormentato biennio di dominio imperiale (1369-70).
Strumento di questo consolidamento fu innanzitutto un’accorta politica matrimoniale. Giovanni del maestro Trenta sposò Teccina, appartenente a una famiglia di fornai, ottenendo una ricca dote (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Spedale di S. Luca, 1340). A sua volta «Ciomeus spetiarius filius condam magistri Trenta» realizzò una serie di acquisti terrieri (ibid., Certosa, 1347 marzo 8; S.M. Corteorlandini, 1347 dicembre 9, per beni a Vicopelago) e sposò Margherita figlia del notaio Nicolao Cervattini di Lucca, risiedendo con lei nella contrada dei SS. Simone e Giuda; l’agiatezza è ben dimostrata dal testamento di costei (Archivio di Stato di Lucca, Archivio dei Notari (parte I), 274, cc. 4v-6v; Meek, 2018, pp. 115 s.).
Nella generazione successiva – quella dei figli maschi di Ciomeo (Federico, Iacopo, Giovanni) e di Giovanni (Piero e Banduccio) (Archivio di Stato Lucca, Biblioteca manoscritti, 22, c. 168r) – i progressi dei Trenta emergono da tre indicatori: le scelte professionali, la qualificazione della residenzialità urbana e la partecipazione alla vita pubblica.
Federico di Ciomeo fu medico (citato come «fizicus» nel 1348, e come «artium et medicine doctor» nel 1381; Pisa, Archivio Del Lupo Ruschi Pavesi, perg. 1348 ottobre 24; Archivio di Stato di Lucca, Archivio dei Notari (parte I), 274, c. 62r).
Le case della contrada di S. Pellegrino non furono abbandonate e ancora nel 1368 Giovanni di Ciomeo Trenta ne possedeva una parte, ove nel 1435 avrebbe testato sua moglie (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Massoni, 1368 maggio 19; Archivio dei Notari, Testamenti, 19, c. 9v). Ma fu Federico, fratello di Giovanni, che acquistò a S. Salvatore in Mustolio, presso la casa dei Rapondi (gli eminenti mercanti) la terza parte di una domus magna, con tre piani e un sottotetto, con portici e una piccola corte e la terza parte di un’altra casa confinante con questa prima (Pisa, Archivio Del Lupo Ruschi Pavesi, perg. 1348 ottobre 24), che nel 1393 i suoi cinque figli maschi (Matteo, Galvano, Lorenzo, Silvestro, Gregorio) possedevano per metà. Nell’occasione, per volontà di Federico il cospicuo patrimonio immobiliare, così come il denaro contante per un importo globale di circa 20.000 fiorini fu equamente diviso tra i cinque figli maschi ivi compreso il minore (Gregorio) nato dalla seconda moglie (Archivio di Stato di Lucca, Carte di Tommaso Trenta, 21, perg. 1393 dicembre 17).
Nel corso del Quattrocento, al frammentarsi dell’agnazione corrispose anche una pluralità di residenze. Nel 1448, Giovanni di Girolamo (di Lorenzo di Federico) possedeva con il fratello Paolo sia un palatium magnum che una domus vetus, e ne regolava l’usufrutto da parte della moglie Clara Martini (Archivio di Stato di Lucca, Archivio dei Notari, Testamenti 13, c. 11r). Si tratta dei bei palazzi di via Fillungo 135 e di via S. Giorgio-angolo via del Moro, ancor oggi visibili, e capaci di influenzare le scelte architettoniche del vicinato (Paoli, 1986, pp. 36-41; Belli Barsali, 1988, pp. 40, 238).
Quanto infine all’inserimento nell’élite politica, la presenza dei Trenta è fittissima nell’Anzianato, e tutt’altro che rara anche nelle cariche di vertice, tanto sotto la dominazione pisana quanto nel periodo posteriore, in particolare con Ciomeo, Federico, Galvano, Lorenzo, Matteo (Riformagioni della Repubblica di Lucca, 1980-1998, ad voces).
Una testimonianza del tutto particolare ma significativa del rilievo assunto dai Trenta in Lucca nell’ultimo scorcio del Trecento è costituita dalla lettera di s. Caterina da Siena, dopo la sua visita alla città, inviata a Giovanni di Federico Trenta e alla moglie Giovanna nella quale li esortava a rimanere saldi nelle virtù cristiane: «non vi paia malagevole né duro a fare una cosa piccola per Cristo crocifisso» (Santa Caterina da Siena, 1979, p. 1848, n. 152, post 1375).
A fine Trecento, i Trenta furono ovviamente costretti a schierarsi, nel clima di crescente tensione che contrappose – dapprima in modo coperto, ma ben presto (1392) conclamato, e sfociato nell’uccisione di due leaders dei Forteguerra – le fazioni dei Rapondi-Forteguerra e dei Guinigi (per i quali inclinarono sia il ceto dei giuristi, sia nella sostanza le comunità rurali). Ma non vi fu, a quanto consta, una posizione concorde. Per es. Galvano di Federico di Ciomeo fu secondo il Sercambi un forteguerriano, ma fu poi iscritto nell’elenco redatto da Dino Guinigi fra gli «uomini confidenti et amici di casa Guinigi» (Meek, 1978, p. 366). Suo fratello Iacopo fu invece esiliato, e Matteo suo nipote destituito dal Gonfalonierato. Altri Trenta, come Lorenzo di Federico di Ciomeo, compaiono tra i più vicini nella cerchia del Guinigi (Ragone, 2004).
In questi anni matura soprattutto la svolta decisiva della vicenda storica dei Trenta, e cioè la conversione alla mercatura in generale e al commercio dei tessuti di seta in particolare. Le prime importanti testimonianze di questo passaggio verso la mercatura si hanno con i figli del medico Federico.
Dal 1317, quattro dei suoi figli (Matteo e Lorenzo come fattori, ancora Lorenzo e Galvano come soci, Silvestro come fanciullo) sono coinvolti nell’attività della compagnia della seta Boccella-Gigli. Nel 1398 però Matteo è attivo in proprio e con un considerevole capitale (4.500 fiorini) crea una compagnia con l’importante mercante (attivo fra Parigi e Bruges) Bartolomeo di Francesco Martini, socio di minoranza (Archivio di Stato di Lucca, Archivio Guinigi, 22, cc. 29r-30v). Inoltre Galvano è attivo a Barcellona dove si trovava Gregorio, il quinto figlio di Federico, il quale operò prevalentemente nella penisola iberica: nel 1399 era cittadino di Saragozza. Numerosi esponenti dei Trenta compaiono poi nell’epistolario datiniano in quanto mittenti di lettere alle filiali (Matteo a Pisa, 1392 e anni seguenti; Gregorio a Maiorca, 1397; Silvestro a Genova, 1399; Lorenzo e soci a Firenze e Barcellona, dal 1403; v. Archivio di Stato di Prato, Fondo Datini, Carteggio dei fondaci, ad indicem).
L’ampia attività commerciale dei Trenta in Europa è documentata anche nel Libro della Comunità dei lucchesi di Bruges (1377-1404): oltre che nella città fiamminga, Galvano, Lorenzo, Matteo, Gregorio e Marco sono presenti a Parigi e Londra; si distingue in particolare Lorenzo, consigliere della natio dei Lucchesi nel 1386 e 1389. Non manca infine una presenza a Venezia (1413), ove Girolamo di Lorenzo di Federico è in affari con Francesco Martini e Pietro Cenami (Molà, 1994, p. 295).
A partire dalla fine del Trecento fino almeno agli inizi del Cinquecento, nella loro attività di tipo mercantile-bancario i Trenta agirono da protagonisti, all’interno della più ampia presenza lucchese sulle principali piazze europee, contribuendo altresì al progresso della stessa tecnica bancaria dato che a loro, insieme ai di Poggio, risalgono – nell’ultimo decennio del XIV secolo – le più antiche girate cambiarie (Melis, 1989, p. 98).
Sullo scenario lucchese, naturale conseguenza di questa importante affermazione economica fu la contiguità con Paolo Guinigi, signore di Lucca, evidente soprattutto per Lorenzo di Federico Trenta, che fu uno dei più stretti sostenitori del dominus. Nel 1411 è civis deputatus introitibus Camere del Signore di Lucca (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Fregionaia, 1411 dicembre 2), nel 1422 fa parte del consiglio del Guinigi (col Sercambi, Baldassarre Guinigi e pochi altri). Lorenzo fu inoltre fornitore del Signore per oggetti di lusso e fu a sua volta amante del bello (commissionò un celebre messale miniato dal 'Maestro del Libro d’Ore Boucicaut': Lucca, Biblioteca Statale, ms. 3122; Paoli, 1986, pp. 113 s.). Non sorprende dunque che a partire dal 1412 (completandola nel 1416 o al massimo nel 1422) si sia fatto costruire – lui civis et mercator lucensis come si definisce nel testamento del 1438 (Archivio di Stato di Lucca, Archivio dei Notari, Testamenti, 11, c. 160r), rogato un anno prima della morte – una fastosa cappella in S. Frediano, destinata alla sepoltura propria e della prima moglie Isabetta degli Onesti.
La cappella in S. Frediano divenne la sepoltura privilegiata di molti Trenta, anche se non di tutti: nei loro testamenti Caterina Fatinelli vedova di Matteo Trenta (1435) e Mattea Guidiccioni moglie di Silvestro Trenta (1436) disposero di voler essere sepolte davanti all’altare di Santa Maria nella chiesa di S. Salvatore in Mustolio, indicando il luogo in «tumulo filiorum Trenta» (Archivio di Stato di Lucca, Archivio dei Notari (parte I), 548 I, cc. 63v, 106r). Ancora, Giovanni Battista di Silvestro nel testamento del 1468 eligeva lo stesso luogo in quanto era il sepolcro del padre (Archivio di Stato di Lucca, Archivio dei Notari, Testamenti, 14, c. 207r).
Ebbero relazioni di altissimo livello sullo scenario internazionale non solo Lorenzo, ma anche Silvestro e Galvano a Barcellona, Parigi, Londra, Bruges.
Silvestro, Galvano e Lorenzo, oltre che mercanti di seta, di stoffe pregiate, gioielli e opere d’arte, furono prestatori del duca di Borgogna e del re di Navarra, dai quali ebbero privilegi e concessioni, così come dai sovrani catalani, francesi, inglesi, o dai conti di Fiandra. La consapevolezza del proprio ruolo e della propria influenza li spinse (22 febbraio 1408) a suggerire a Paolo Guinigi di chiedere a papa Gregorio XII e a Carlo VI re di Francia «che ogni Luchese ab eterno fosseno borgiesi di Parigi per voi» perché, si aggiungeva, «siamo stati di grande antichità fedeli amatori di questo reame» praticando con grande successo e a lungo la mercatura, «e fatto qui di grandi mercatantie e dato sempre onore e profitto a questo reame» (Archivio di Stato di Lucca, Governo di Paolo Guinigi, 11; Mirot - Lazzareschi, 1929, p. 179).
Pur conservando salde le radici lucchesi, i Trenta si radicarono talvolta in modo profondo nei contesti locali. Federico di Matteo acquistò il primo ottobre del 1414 le prigioni di Courtrai, ed ebbe casa a Bruges. Attivissimo nel commercio d’arte fu Galvano, che vendette al duca d’Orléans opere d’arte di grande valore, ricevette in pegno gioielli di Carlo VI re di Francia e parte del tesoro di Giovanni senza Paura (trasportandoli in Italia e lasciandoli agli eredi finché Filippo il Buono non si rivolse al sire de Luques per riaverli, iniziando nel 1422 un complicato iter che costrinse Lorenzo a un periodo di detenzione in Francia, ma mostrò anche la fermezza del Guinigi nel tutelare – temporeggiando – gli interessi dei suoi facoltosissimi sostenitori (Bigwood, 1921, I, p. 505; Mirot, 1940, pp. 116-156; Galoppini, 2009, p. 178 e ad indicem).
Lorenzo di Matteo Trenta fu tesoriere nel Regno di Napoli al tempo di Giovanna II. Si segnala la liberatoria del 17 giugno 1417 con la quale la regina dichiarava che il Trenta – il quale, prima di saldare quanto dovuto, era stato arrestato – aveva restituito i 4.200 ducati che gli erano stati consegnati per un pagamento al castellano di Castel dell’Ovo (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Spedale di S. Luca, 1417 giugno 17). Nel dicembre dello stesso anno, la regina lo ammise fra i familiari della sua corte (ibid., giugno 17; settembre 9; ottobre 5, 20 e 24; dicembre 1 e 4). Il Trenta fu poi nominato governatore «vicegerentem», del Principato di Taranto (ibid., 1418 ottobre 20).
Non è infine da trascurare la funzione svolta dai Trenta di ‘importatori del lusso’ e la ricaduta sugli usi lucchesi, in particolare per la moda fiamminga (Archivio di Stato di Lucca, Governo di Paolo Guinigi, 1, c. 152r; Meek, 2019, pp. 227 s.).
Già in questi decenni cruciali i Trenta, come si addiceva a una famiglia appartenente all'élite cittadina, impostarono un'accorta politica matrimoniale volta a consolidare le loro posizioni e interessante perché non solo endogamica, non solo interna 'all'arborato cerchio', ma anche aperta a legami con grandi famiglie fiorentine.
Sul versante lucchese, Matteo di Federico Trenta si unì in matrimonio con Caterina di Giannino Fatinelli, un’importante famiglia di Lucca legata ai commerci in Francia, e la coppia ebbe come figli Federico e Lorenzo. Federico sposò Selvaggia di Lazzaro Guinigi; e poi Caterina di Stefano di Poggio. Lorenzo prese in moglie Luisa, figlia di Filippo Rapondi, fratello di Dino, e di Iacopa Antelminelli (Galoppini, 2009, pp. 178 s.). Lorenzo di Federico si unì in prime nozze con Isabetta Onesti, appartenente a una famiglia di cambiatori e banchieri lucchesi a Parigi, e poi, alla sua morte, con Giovanna Lazzari, vedova di Nicolao Guinigi (1426). Giovanni del fu Girolamo Trenta infine, sposò Clara di Alderigo Martini di Lucca (che testando nel 1448 lasciò poi esecutrice testamentaria, con facoltà di risiedere in palatio magno; Archivio di Stato di Lucca, Archivio dei Notari, Testamenti, 13, c. 10v).
Sul versante fiorentino, Galvano prese in moglie Bartolomea de’ Bardi. Suo figlio Girolamo sposò la fiorentina Bartolomea di Giovanni di Amerigo Cavalcanti alla quale, testando nel 1423, provvide con ogni larghezza di mezzi perché conservasse l’alto tenore di vita (Archivio di Stato di Lucca, Archivio dei Notari, Testamenti, 10, c. 49r). Girolamo lasciò anche una dote di 800 fiorini o più, a discrezione di suo padre Lorenzo, alla figlia Costanza, che in effetti fu poi (grazie al matrimonio con Giannino di Nicolao Arnolfini, col quale forse compare – ma è solo un’ipotesi (Campbell, 1998, pp. 194 s.; Galoppini, 2009, pp. 189-191) – in un celeberrimo ritratto di Jan van Eyck, 1434) il tramite di un’alleanza importante con un’altra celebre casata lucchese.
La solidità delle fortune economiche, e la rete delle relazioni ormai messa in piedi, insieme con la caduta di tensione delle ideologie politiche guelfo-ghibelline, consentirono ai Trenta di superare il passaggio della fine della signoria guinigiana (e anzi qualcuno, nella fattispecie Lorenzo, collaborò attivamente, come congiurato, al passaggio di regime: Bratchel, 1995, p. 47).
Le prove di questo ormai solidissimo insediamento dei Trenta nell’élite cittadina stanno nel fatto che la famiglia espresse con regolarità ad ogni generazione, nell’età postguinigiana e sino alla fine del Quattrocento ed oltre, figure autorevoli nella vita civile e nella vita ecclesiastica lucchese, provenienti dai diversi rami della famiglia.
Silvestro di Matteo Trenta fu tra gli oratori e i rappresentanti mandati da Lucca per stipulare il trattato di amicizia con Firenze (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Archivio di Stato-Tarpea, 1441 marzo 17). Una decina d’anni più tardi, fu anche incaricato delle trattative con gli Este per risolvere i conflitti insorti in Garfagnana («offensiones atque discordie in partibus Carfagnane bellum et guerram sapientes»); la pace fu stipulata con Borso, l’8 febbraio 1451 (ibid., 1451 febbraio 8).
Inoltre, nel giugno 1454 Silvestro di Gregorio Trenta in veste di gonfaloniere di Giustizia del Comune ratificò la pace di Lodi, nella quale Lucca compariva come «colligata et adherente» di Francesco Sforza (ibid., 1454 giugno 24), e l’anno successivo fu tra i consiglieri che approvarono la proposta (poi non realizzata) di erigere in Lucca uno Studium generale (Barsanti, 2003, pp. 85-86, 208-209).
Anche Paolo di Girolamo ebbe delicati incarichi di oratore e rappresentante del Comune; in particolare fu inviato nel 1460, con Martino Cenami, presso il duca di Milano per risolvere la crisi creatasi dopo l’esecuzione di Michele Guerrucci (promotore di una congiura filoguinigiana forse favorita dallo Sforza stesso, poi scoperto e giustiziato (Archivio di Stato di Lucca, Biblioteca manoscritti, 71, cc. 100v-101r; Beverini, 1830, pp. 432-434), e nel 1467 rappresentò Lucca alla stipula della lega con Napoli, Milano e Firenze (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Archivio di Stato-Tarpea, 1467 marzo 26).
Nel periodo delle guerre d’Italia (1496), Matteo di Giovanni Battista (del fu Silvestro Trenta) fece parte del gruppo di cittadini lucchesi che si impegnarono a versare al signore di Antragues la somma di 15.000 ducati larghi d’oro per la cessione a Lucca di Pietrasanta, il porto e la fortezza di Motrone che egli teneva per conto di Carlo VIII (ibid., 1496 marzo 28; Volpicella, 1926, pp. 7-11).
Particolarmente significativa è infine la figura del vescovo Stefano Trenta (circa 1410-1477), figlio di Federigo di Matteo Trenta e Caterina di Stefano di Poggio, che svolse anche missioni diplomatiche per conto della Repubblica e fu uomo di vasta cultura (Savigni, 2018). Il prezioso Corale di Lucca, noto come ‘Codice Strohm’, era probabilmente un dono fatto, fra il 1467 e il 1472, da Giovanni di Arrigo Arnolfini al vescovo (1448-1477), per la nuova cappella della S. Croce nella cattedrale di Lucca (The Lucca Choirbook, 2008).
Nel Cinquecento, quando l’economia lucchese è ancora vitale, nel commercio transalpino (Lione, Anversa) di tessuti serici in una gamma di alta qualità, ben noti studi hanno chiarito che – anche se «i rapporti potranno essere più o meno stretti, i focolari ormai separati, le attività e gli interessi economici volti a sfere diverse» – nella vita pubblica «i Cenami, i di Poggio, gli Arnolfini, i Burlamacchi, i Trenta, si presentano come blocchi compatti, non incrinati ma resi anzi più forti dalla moltitudine dei loro uomini e dal viluppo interno delle parentele» (Berengo, 1965, p. 32). Sono strategie familiari che in realtà possono essere fatte risalire al Quattrocento (Polica, 1987, p. 373 e passim); e anche chi ha studiato la storia religiosa di Lucca ha potuto scrivere per costoro, almeno fino alla pace di Cateau-Cambrésis (2-3 aprile 1559), di «un ruolo di incontrastata egemonia all’interno del patriziato lucchese», consolidato dalla vicinanza alla sede pontificia e dalla presenza nelle diverse cariche ecclesiastiche (Adorni-Braccesi, 1994, p. 9).
Fra Quattrocento e Cinquecento, per es., Nicola Trenta fu chierico in S. Frediano (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, S.M. Corteorlandini, 1493 marzo). Lorenzo del fu Cristoforo Trenta fu rettore della chiesa di S. Benedetto del Gottella in Lucca (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, S. Frediano, 1494 luglio 1). Nel 1511 papa Giulio II inviava agli Anziani un Breve per accompagnare il ritorno di Stefano Trenta «iuris utriusque doctor», prima inviato dal papa come oratore per la Repubblica e successivamente richiamato a Lucca (Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Archivio di Stato-Tarpea, 1511 aprile 27).
Nei decenni successivi, i decenni della crisi religiosa europea, i Trenta non furono immuni dall’adesione più o meno aperta a quelle idee ‘eterodosse’ di matrice transalpina, con le quali le relazioni sociali legate al commercio avevano messo in contatto i mercanti di Lucca, «città infetta» (Adorni-Braccesi, 1994). Pur essendo «renditore e censuario» della chiesa di San Salvatore in Mustolio, il mercante Cristoforo Trenta fu seguace della riforma di Pier Martire Vermigli. Seppur «tenuto per persona sospetta in cosa d’eresia» inizialmente riuscì a vivere in città ricoprendo incarichi politici, ma successivamente, fu condannato e i suoi beni confiscati (Sabbatini, 1985, p. 83; Adorni-Braccesi, 1994, p. 282).
I Trenta furono iscritti nel Libro d’Oro del 1628 e, nell’Ottocento, dal duca Carlo Lodovico di Borbone ebbero il titolo di nobile e patrizio nei quattro rami allora esistenti (Archivio di Stato di Lucca, Libro d’oro della nobiltà, cc. 217r, 219r, 221r, 223r). La loro arma è «d’oro a tre teste di bue di rosso, bene ordinate» (Spreti, 1932, VI, pp. 701 s.). Lo stemma è conservato a Lucca (Archivio di Stato di Lucca, Anziani al tempo della libertà, 766, c. 47r; Biblioteca manoscritti, 130, c. 139r) e nella raccolta fiorentina Ceramelli-Papiani (I blasoni delle famiglie toscane, 1992, p. 69).
Archivio di Stato di Lucca, Anziani al tempo della libertà, 766, c. 47r; Archivio Guinigi, 22, cc. 29r-30v; Biblioteca manoscritti, mss. 22, c. 168r; 71, cc. 100v-101r; 128, c. 47r; 130, c. 139r; Capitoli, 52, cc. 130v, 137r; Carte di Tommaso Trenta, 21, perg. 1393 dicembre 17; Diplomatico, Archivio di Stato-Tarpea, 1441 marzo 17; 1451 febbraio 8;1454 giugno 24; 1467 marzo 26; 1496 marzo 28;1511 aprile 27; Diplomatico, Certosa, 1347 marzo 8; Diplomatico,Fregionaia, 1411 dicembre 2; Diplomatico, Massoni, 1368 maggio 19; Diplomatico, Recuperate, 1356 novembre 13; Diplomatico, S.M. Corteorlandini, 1347 dicembre 9; 1493 marzo; Diplomatico, S. Frediano, 1494 luglio 1; Diplomatico, Spedale San Luca, 1340; 1417 giugno 17, settembre 9, ottobre 5, 20 e 24, dicembre 1 e 4; 1418 ottobre 20; Governo di Paolo Guinigi, 1, c. 152r; 11, lettera del 22 febbraio 1408; Libro d’oro della nobiltà, cc. 217r, 219r, 221r, 223r; Archivio dei Notari (parte I), 274, cc. 4v-6v, 62r; 548 I, cc. 63v, 106r; Archivio dei Notari, Testamenti, 10, c. 49r; 11, c. 160r; 13, c. 10v; 11r; 14, c. 207r; 19, c. 9v; Archivio di Stato di Prato, Fondo Datini, Carteggio dei fondaci, ad indicem, http://datini.archiviodistato.prato.it/laricerca/la-corrispondenza (13 settembre 2020); Lucca, Biblioteca Statale, mss. 1136, c. 335r; 3122; Pisa, Archivio Del Lupo Ruschi Pavesi, perg. 1348 ottobre 24. L. Mirot - E. Lazzareschi, Lettere dei mercanti lucchesi da Bruges e da Parigi. 1407-1421, in Bollettino Storico Lucchese, III (1929), pp. 165-199 (in partic. p. 179); Libro della Comunità dei mercanti lucchesi in Bruges, a cura di E. Lazzareschi,Milano 1947, ad indicem; Santa Caterina da Siena, Epistolario, cura di U. Meattini, Roma 1979, p. 1848 lettera n. 52; Riformagioni della Repubblica di Lucca (1369-1400), I-IV, Roma 1980-1998, ad voces. B. Beverini, Annalium ab origine Lucensis urbis, III, Lucca 1830, pp. 432-434; P. Barsanti, Il pubblico insegnamento in Lucca dal secolo XIV alla fine del secolo XVIII (contributo alla storia della cultura nazionale), Lucca 1905, pp. 85 s., 208 s.; G. Bigwood, Le régime juridique et économique du commerce de l’argent dans la Belgique du Moyen Âge, Bruxelles 1921-1922, I, p. 505; L. Volpicella, La questione di Pietrasanta nell’anno 1496 da documenti genovesi e lucchesi, Genova 1926, pp. 7-11; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare italiana, VI, Bologna 1935, pp. 701 s.; L. Mirot, Études lucquoises: Galvano Trenta et les joyaux de la Couronne, in Bibliothèque de l’École des Chartes, CI (1940), pp. 116-156; M. Berengo, Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento, Torino 1965, p. 32 e ad indicem; F. Melis, Documenti per la storia economica dei secoli XII-XVI, con una Nota di Paleografia Commerciale di E. Cecchi, Firenze 197, pp. 94, 478 s.; Ch. Meek, Lucca 1369-1400. Politics and Society in an Early Renaissance City State, Oxford 1978, p. 366; R.Sabbatini, ‘Cercar esca’. Mercanti lucchesi ad Anversa nel Cinquecento, Firenze 1985; M. Paoli, Arte e committenza privata a Lucca nel Trecento e nel Quattrocento. Produzione artistica e cultura libraria, Lucca 1986, pp. 36-41, 113 s.; S. Polica, Le famiglie del ceto dirigente lucchese dalla caduta di Paolo Guinigi alla fine del Quattrocento, in I ceti dirigenti nella Toscana del Quattrocento. Atti… 1982, 1983, Firenze 1987, pp. 353-384 (in partic. p. 373 e passim); I. Belli Barsali, Lucca. Guida alla città, Lucca 1988, pp. 40, 238; F. Melis, Industria e commercio nella Toscana medievale, Firenze 1989, p. 98: I blasoni delle famiglie toscane conservati nella raccolta Ceramelli-Papiani, a cura di P. Marchi, Roma 1992, p. 69; S. Adorni-Braccesi, «Una città infetta». La Repubblica di Lucca nella crisi religiosa del Cinquecento, Firenze 1994, pp. 9, 282; L. Molà, La comunità dei Lucchesi a Venezia. Immigrazione e industria della seta nel tardo Medioevo, Venezia 1994, p. 295; M.E. Bratchel, Lucca 1430-1494. The reconstruction of an Italian City-republic, Oxford 1995, p. 47; L. Campbell, The Fifteenth Century Netherlandish Schools, London 1998, pp. 194 s.; F. Ragone, Guinigi, Paolo, in Dizionario biografico degli italiani, LXIV, Roma 2004, ad vocem; The Lucca Choirbook, a cura di R. Strohm, Chicago-London 2008; L. Galoppini, Mercanti toscani e Bruges nel tardo Medioevo, Pisa 2009, pp. 178 s., 189-191 e ad indicem;Ch. Meek, Lucca e il pellegrinaggio, in Il mondo della Francigena. Gli itinerari della Versilia medievale, a cura di L. Galoppini - T.M. Rossi, Pisa 2018, pp. 111-117 (in partic. pp. 115 s.); Ch. Meek, Regulating and Refashioning Dress: Sumptuary Legislation and its Enforcement in Fourteenth-and Early Fifteenth-Century Lucca, in Refashioning Medieval and Early Modern Dress. A tribute to Robin Netherton, a cura di G. Owen-Crocker - M. Clegg Hyer, Woodbridge 2019, pp. 211-235 (in partic. p. 227 s.); R. Savigni, Trenta, Stefano, in Dizionario biografico degli italiani, XCVI, Roma 2019, ad vocem.