trenta
Il numerale è attestato sette volte in D., che lo assume in prevalenti funzioni di aggettivo.
Ricorre in calcoli cronologici: Cv II XII 7 in picciol tempo, forse di trenta mesi, cominciai... a sentire de la sua [della filosofia] dolcezza (periodo di singolare brevità rispetto a quello che di norma esigevano tali studi; cfr. M. Barbi, in " Studi d. " XV [1931] 104-111); e in dimensioni di altezza: If XXXI 65 i' ne vedea trenta gran palmi / dal loco in giù dov'omo affibbia 'l manto (grandezza smisurata del tronco superiore di Nembrot). In Fiore CLXXIX 3 (più di trenta o livre o soldi) l'espressione ha valore generico. Unitamente al sostantivo ‛ fiata ', è documentato in formule composte, per indicare il ripetersi periodico di un accadimento: Pd XVI 38 cinquecento cinquanta / e trenta fiate venne questo foco / a rinfiammarsi sotto la sua pianta (periodici ritorni di Marte sotto la costellazione del Leone, compresi fra il giorno dell'annunciazione e quello in cui vide la luce Cacciaguida; per la lezione tre fiate, v. Petrocchi, ad l.; e il Pézard, che l'accetta); XXVI 122 vidi lui tornare a tutt'i lumi [segni zodiacali] / de la sua strada novecento trenta / fïate (complete rivoluzioni solari, il cui computo corrisponde agli anni di vita di Adamo). Cfr. anche l'uso ellittico di Pg III 139 (sempre nel senso di " trenta volte ").
I passi dubbi si riducono al solo Rime LII 10 quella ch'è sul numer de le trenta, dal celeberrimo Guido, i' vorrei. Accertato che le trenta deve interpretarsi quale un plurale femminile per ellissi (stante l'uso assai comune in antico di " metter davanti al numero l'articolo, spesso per un sostantivo sottinteso per il senso ", Barbi-Maggini), e che tutta l'espressione vale perciò " trovarsi a compimento di un numero di trenta donne ", resterebbe problematica l'identificazione del personaggio. Sembra comunque da escludere che possa trattarsi di Beatrice, anche perché il sonetto, intriso di accenti oitanici oltre che stilnovistici, non è stato compreso dal poeta fra quelli della Vita Nuova. Colei di cui parla D. è invece, quasi certamente, la prima " donna dello schermo ", celebrata in un serventese non pervenutoci, sulle sessanta più belle fiorentine (cfr. Vn VI 2; ma il Di Benedetto nega che D. alluda qui al serventese); la quale veniva pertanto a occupare il posto centrale del gruppo, mentre Beatrice vi primeggiava in su lo nove, numero perfetto, e unico degno di essere da lei ricoperto. A meglio distinguere le due figure, non è forse da tralasciare di mettere a confronto il buono incantatore del sonetto (§ 11), il mago Merlino della produzione cavalleresca arturiana, dominata dai temi dell'amore e degl'incantesimi, con l'altissimo sire di Vn VI 2, la cui menzione è la sola coerente con l'aura religiosa che distingue l'apparire di Beatrice.
Merita infine di essere ricordata la suggestiva, ma artificiosa, ipotesi di G. Mazzoni, il quale, sulla possibilità di ricondurre il t. al ‛ nove ', fondava l'identificazione in Beatrice dell'anonima donna del sonetto.
Bibl. - L. Di Benedetto, Tra gli amori di D. e del Cavalcanti, Napoli 1928, 13 n. 2; G. Mazzoni, Almae luces malae cruces, Bologna 1941, 133-134; Contini, Rime 34-36; Barbi-Maggini, Rime 195 n. 10.