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TRENTO

di GGian Maria Varanini - Federiciana (2005)
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TRENTO

GGian Maria Varanini

La città di Trento assunse importanza, nel quadro della 'politica dei valichi' dell'Impero tedesco, a partire dal sec. X, quando Ottone I creò la Marca veronese e la aggregò al ducato di Carinzia; agli inizi del sec. XI (1004-1027) al vescovo della città furono conferiti, come al suo omologo di Bressanone, i poteri comitali.

In età sveva la valle dell'Adige conservò il suo rilevante ruolo di via di comunicazione fra Germania e Italia. Su questo sfondo vanno inserite le relazioni ‒ varie nel tempo per intensità e qualità ‒ tra Federico II e Trento, i suoi vescovi, i poteri territoriali e signorili gravitanti sulla città, non senza tener conto dei rapporti con Verona (v.) e con Ezzelino III da Romano (v.) a sud, e con la crescente potenza dei conti di Tirolo a nord (e in Trento stessa). Possono essere individuate due fasi: dagli inizi del sec. XIII al 1236, quando il principato vescovile fu 'secolarizzato' e i poteri del presule assegnati ad un podestà di nomina imperiale; e dal 1236 al 1250 (morte di Federico II) o 1255 (conclusione del reggimento di Sodegerio da Tito [v.], già podestà federiciano di Trento).

Dopo una difficile sedevacanza, il capitolo di Trento elesse vescovo nell'agosto 1207 Federico Wanga, decano del capitolo di Bressanone, appartenente a una famiglia signorile del Tirolo meridionale (che in un atto del 1213 Federico II definisce 'consanguinea'). Nel dicembre del 1207 Wanga ottenne l'investitura dei diritti temporali da Filippo di Svevia, e nella ricerca di un appoggio per la sua politica di restaurazione dei diritti episcopali sostenne inizialmente Ottone IV (gennaio 1209, dieta di Augusta). Negli anni immediatamente successivi si accostò invece alla politica innocenziana: dal 1212 appare schierato con Federico II, che egli scortò nel viaggio dall'Italia padana alla Germania (attraverso la Val Venosta e le Alpi svizzere) per ricevere l'incoronazione regia. Il vescovo di Trento ottenne nell'occasione (febbraio 1213) la designazione a legato imperiale per l'Italia centrosettentrionale (Lombardia, Marca veronese, Tuscia e Romagna) e il titolo vitalizio di vicario imperiale. L'attività di Wanga come organizzatore del partito imperiale nella Pianura Padana, subito iniziata, proseguì poi negli anni successivi: operò a Cremona ancora nel 1213, proclamando il bando imperiale contro i comuni guelfi, e nel 1215 a Verona e nel territorio modenese. Comparve al fianco dell'imperatore anche in seguito (ad esempio nel dicembre 1217 a Norimberga). Si trattava tuttavia di un'attività politica che riguardava solo ed esclusivamente il presule e che non coinvolgeva in alcun modo la società cittadina, se non attraverso la mediazione del vescovo. Tracce significative dell'alta concezione del potere imperiale che animava Wanga possono essere colte nel Codex Wangianus, il liber iurium della Chiesa vescovile da lui fatto redigere negli ultimi anni di episcopato (prima della partenza per la crociata ‒ una scelta anche questa politicamente significativa e impegnativa ‒ durante la quale, nel 1218, morì).

Per ciò che concerne il rapporto con Federico II, osservazioni analoghe a quelle fatte per Wanga valgono per i due suoi successori immediati, peraltro dotati di un carisma e di un prestigio molto minori. Eletti dal capitolo (non constano pressioni di Federico II) ambedue furono senza ambiguità filoimperiali, in sostanziale continuità con Wanga, a quanto è dato da sapere. Si tratta di Alberto di Ravenstein, "assiduo al seguito dell'imperatore" (Rogger, 1983) al punto da comparire nel suo entourage già in veste di vescovo eletto (1219), per poi presenziare all'incoronazione imperiale del 1220 e accompagnare Federico II fra il 1223 e il 1224 in un lungo soggiorno nel Regno meridionale ottenendo anche la nomina a vicario imperiale per la Toscana; e di Gerardo Oscasali da Cremona, durante l'episcopato del quale tuttavia le condizioni politiche mutarono e il rapporto fra la politica federiciana e l'area nordorientale italiana (e dunque anche trentina) si fece più stretto.

Se ne ebbero avvisaglie già nel 1224, quando Federico II sembrò orientato ad accorpare i principati ecclesiastici di Trento e di Aquileia al Regno d'Italia anziché al Regno di Germania. Ma un primo coinvolgimento diretto di Trento nella politica federiciana si ebbe solo nel 1226: in previsione della dieta di Pavia, l'esercito di Enrico, re di Germania e figlio di Federico II, impossibilitato a superare le Chiuse di Verona (controllate dal comune cittadino, ove era al potere il partito dei Monticoli collegati con Ezzelino III da Romano) fu costretto a soggiornare a Trento per un periodo relativamente lungo (oltre un mese) prima di ripiegare verso la Germania.

La svolta decisiva nei rapporti fra Federico II e Trento si verificò negli anni Trenta, in un contesto nel quale l'alleanza stabilita nel 1232 (forse grazie alla mediazione con i conti di Tirolo) da Federico II con Ezzelino III da Romano, che controllava Verona, rendeva ancor più importante il controllo delle vie di comunicazione fra Germania e Italia. Il vescovo Aldrighetto da Campo si trovò nel 1233 in notevole difficoltà di fronte alla rivolta dei signori della Val Lagarina (la porzione della valle dell'Adige a sud di Trento e a nord delle Chiuse di Verona) e si rivolse a Enrico re di Germania, allora in contrasto col padre, che bandì i ribelli. La conclusione della vicenda (con la prevalenza del vescovo, senza appoggi esterni) fu ininfluente sulla politica imperiale, ma il nesso con l'intervento di Federico II a Trento di pochi anni più tardi è evidente. Un diploma (6 aprile 1236, Spira) rilasciato ad alcune comunità del territorio trentino, in lite col vescovo per motivi fiscali, precede di appena un mese la decisione di esautorare definitivamente i principi vescovi di Trento e di Bressanone, nel contesto di un intervento nell'area italiana nordorientale che avrebbe portato di lì a poco ‒ tramite conquiste a mano armata o patti di dedizione ‒ al controllo stabile di Verona, Vicenza, Padova e Treviso da parte di fiduciari imperiali. All'atto che sancì questo nuovo stato di cose, noto nella storiografia regionale come 'secolarizzazione' del principato vescovile, fu presente anche Ezzelino III. Il principe vescovo non poté più disporre liberamente dei beni pertinenti all'episcopio e fu eletto un "potestas Tridenti et episcopatus per dominum imperatorem" (o "pro domino imperatore Tridentini episcopatus potestas", senza menzione esplicita del centro urbano) soggetto in via di principio al "legatus in tota Marchia ab Olio usque ad Padum, in Tridento et episcopatu" (Riedmann, 1980). L'esautorazione del potere vescovile nell'interesse dell'Impero fu piena e riguardò anche Bolzano con il suo circondario, ove Aldrighetto da Campo aveva inizialmente (1236-1238) conservato alcuni diritti; un indizio del fatto che egli accettò la situazione che si era venuta a determinare può essere ravvisato nelle accuse di filoimperialismo che gli rivolse nel 1246 papa Innocenzo IV.

La carica fu ricoperta dapprima (maggio 1236) da Wibotone, ufficiale imperiale non altrimenti noto; successivamente da Svicherio da Montalbano (un ministeriale tirolese) e da Lazzaro da Lucca (1238). L'orientamento a scegliere rappresentanti estranei al contesto locale fu confermato dalla designazione del lucano (ancorché sovente detto pugliese) Sodegerio da Tito (prima presenza documentata, 7 dicembre 1238), che a differenza dei predecessori rimase in ca-rica per lunghissimo tempo (sino al 1255, dunque ben dopo la morte di Federico II). Almeno per gli anni Quaranta, e sino alla morte dell'imperatore, la tesi di un pieno inserimento di Trento nella sfera d'influenza di Ezzelino III da Romano, signore di fatto della Marca veronese-trevigiana, e di una dipendenza formale di Sodegerio da Tito dal potente vicino è definitivamente smentita; va piuttosto sottolineato come quest'ultimo, non diversamente da Ezzelino e da Uberto Pallavicini (v.), abbia perseguito anche strategie di affermazione personale, specie nella seconda parte del suo reggimento. Ovviamente, egli non aveva alcun interesse a scardinare l'assetto istituzionale e politico preesistente, visto che la debolezza delle istituzioni cittadine gli consentiva un pieno esercizio del potere; pertanto egli compare nei documenti sempre come rettore "Tridenti et episcopatus", e opera negli atti amministrativi come "provisor episcopatus et pro episcopatu nomine" (ibid.).

Tra 1247 (morte di Aldrighetto da Campo) e 1250, la pedina costituita dalla sede episcopale di Trento entrò nuovamente nello scacchiere della lotta contro Federico II. Innocenzo IV non ratificò infatti l'elezione a vescovo di un canonico locale (presumibilmente favorevole all'Impero) e affidò l'amministrazione della diocesi a Egnone di Appiano, vescovo di Bressanone, poi trasferito, nel novembre del 1250, alla sede trentina.

Furono dunque in buona sostanza le esigenze della geopolitica a indirizzare e condizionare i rapporti fra Federico II e Trento.

Fonti e Bibl.: F. Cusin, I primi due secoli del principato ecclesiastico di Trento, Urbino 1938; I. Rogger, Monumenta liturgica Ecclesiae Tridentinae saeculo XIII antiquiora, I, Trento 1983, pp. 74-84. J. Riedmann, Die Übernahme der Hochstiftsverwaltung in Brixen und Trient durch Beauftragte Kaiser Friedrichs II. im Jahre 1236, "Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung", 88, 1980, pp. 131-163; Id., Ezzelino e Trento, in Nuovi studi ezzeliniani, a cura di G. Cracco, II, Roma 1992, pp. 325-340; Id., Crisi istituzionale agli albori dello Stato moderno (1236-1256), in Storia del Trentino, a cura di L. de Finis, Trento 1996, pp. 127-146.

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