TREVISO
Prima del 1220 non vi era stato alcun contatto fra Federico II imperatore e Treviso, città di modeste dimensioni posta al centro dello scacchiere nordorientale del Regno d'Italia inquadrato amministrativamente nella Marca veronese. Anche le restanti città della Marca, del resto, non erano state fino ad allora oggetto di grandi attenzioni da parte dei legati imperiali per l'Italia. Lo stesso cambiamento di denominazione da Marca veronese a Marchia tarvisina, che fra il terzo e il quarto decennio del Duecento si era andato imponendo nelle fonti di origine pubblica, fino ad essere recepito dalla cancelleria imperiale a partire dal 1239, lontano dal costituire l'indicazione di un cambiamento di rotta, segnava, al contrario, la presa d'atto dell'autonoma evoluzione compiuta dai singoli centri urbani e il riconoscimento della nuova geografia dei poteri che ne era derivata. La nuova titolazione della Marca si accompagnava a un riassetto territoriale ‒ esteso non solo al nuovo distretto ma a tutto il Regno italico ‒ che ne spostava i confini più a settentrione e che doveva favorire, nelle intenzioni dell'imperatore, un più sicuro controllo delle vie stradali colleganti i territori alpini con la pianura Padana. I nuovi propositi imperiali sulla regione dovevano però fare i conti con un contesto politico piuttosto complesso e variegato.
Lo scenario regionale dei poteri, infatti, era contraddistinto da diversi elementi, almeno due dei quali aventi attinenza con gli interessi in loco dell'imperatore. Innanzitutto, la persistenza, a dire il vero sempre più evanescente, dei collegamenti fra i comuni cittadini della Marca e quelli lombardi costituenti la Lega antimperiale e, elemento assai più incisivo, la preponderanza di partes transcittadine capeggiate dalle più antiche e potenti schiatte della Marca che, forti anche di vecchi e preziosi legami con il potere pubblico, si contendevano il primato nell'arena politica, trascinando in una condizione di continua instabilità i comuni cittadini di riferimento. In questo svolgimento complessivo, la vicenda di Treviso, pur leggibile alla luce degli indicatori ora sommariamente espressi, conserva alcune peculiarità che non sarà inutile richiamare e che esigono pertanto una breve disamina della sua storia precedente.
Sin dalla seconda metà del sec. XII il comune trevigiano aveva prodotto una considerevole serie di sforzi d'espansione, soprattutto a scapito del patriarcato friulano e degli episcopati limitrofi, che lo avevano portato ben di là del confine settentrionale del suo contado, costituito fino ad allora dal Piave. Oltre a ciò, non aveva mancato di manifestare una rilevante capacità d'inquadramento amministrativo e politico del contado, che però non si era tradotta in un continuato e riconosciuto disciplinamento dei numerosi e robusti ‒ nonché nella maggior parte dei casi concorrenti ‒ poteri radicati nel contado. A differenza delle altre città della Marca però, che pure erano giunte a esiti simili in tempi e in modi diversi, tale duplice dinamismo, lungi dal costituire la premessa per l'assunzione del ruolo stabile di 'capitale' del distretto e il presupposto per un processo di 'comitatinanza' completo, ingenerò a Treviso tensioni politiche intestine sempre più gravi fra le varie fazioni che negoziavano ‒ senza l'efficace filtro delle magistrature comunali ‒ l'allargamento della base del reggimento comunale, in un clima sociale contrassegnato non a caso dalla nascita di 'rappresentanze di ceto' orientate alla difesa del precedente equilibrio e del ruolo degli strati egemoni cittadini.
A evidenziare le tensioni di questa incompiuta evoluzione giunse infine la nuova determinazione dell'imperatore di riportare ordine fra le forze contrapposte della regione con l'obiettivo di farne stabile cerniera fra il Nord e il Sud dell'Impero. È, infatti, a partire dal mese di maggio del 1232, in occasione di un convegno a Pordenone fra Federico II e i fratelli Alberico ed Ezzelino III da Romano (v.), esponenti di una famiglia fino ad allora animata da forti sentimenti antisvevi, che il controllo della Marca e delle vicende del vicino patriarcato furono comprese esplicitamente fra le urgenze imperiali, in precedenza prioritariamente dedicate al controllo di Roma e della parte meridionale della penisola. Sul piano regionale ne derivò un'ulteriore polarizzazione degli schieramenti politici addensati intorno ai fulcri cittadini di Verona (v.) e di Padova (v.).
Treviso rimase in questi e nei successivi frangenti saldamente agganciata a Padova, capofila dello schieramento avverso al sovrano, anzi rafforzando la scelta di campo con il bando comminato, presumibilmente all'aprirsi del 1235, ad Ezzelino III da Romano, ultimo discendente di una stirpe che aveva fatto in passato di Treviso uno dei perni della propria azione. In coerenza con questa scelta, Treviso si mosse su più piani: non esitò ad accodarsi all'influente vicina nel rinnovo dell'adesione alla Lega lombarda nel 1235 e non rifiutò un aiuto armato alla coalizione antimperiale e antiezzeliniana che si sforzava di riprendere l'iniziativa ponendo l'assedio al castello veronese di Rivalta verso la fine del mese di ottobre del 1236. L'esito della spedizione fu del tutto contrario alle aspettative dell'unione, rivelandosi anzi il preludio allo sgretolamento dell'unità del fronte antisvevo. È ben noto a proposito il caso del marchese d'Este che si risolse a cambiare campo in maniera clamorosa e plateale. Anche il caso di Treviso esemplifica assai bene il tumultuoso gioco delle alleanze e delle lotte che caratterizzò la scena politica locale in quel torno d'anni. Sin dal novembre del 1236, infatti, i Caminesi, cittadini trevigiani che facevano affidamento sulla città per salvaguardare i propri domini posti oltre il Piave, avevano abbracciato la causa dell'imperatore e replicavano ora al suo servizio azioni militari a danno dei castelli e delle ville del contado fedeli al comune d'origine. Pochi mesi dopo i potenti domini, nel febbraio del 1237 anche l'importante centro di Conegliano ‒ posto d'altronde in una situazione strategica al crocevia di numerosi assi viari ‒ si era deciso per la dedizione agli imperiali, sguarnendo così il fronte settentrionale del distretto in modo decisivo. Le ripercussioni in città non si fecero attendere: come evidenziano le cronache contemporanee e come si evince dalla scarsa documentazione pubblica sopravvissuta, la vita politica della città in questi mesi frenetici fu profondamente segnata e quasi travolta dagli avvenimenti esterni. Le magistrature comunali si dimostrarono incapaci di porre un limite alle lotte intestine replicanti i conflitti fra partes (v. Ghibellini e guelfi in Italia) di respiro regionale e si limitarono di conseguenza all'amministrazione corrente e all'affannoso reperimento di fondi per il finanziamento dei costosi apparati di difesa nel contado e nella città. L'estremo tentativo di arroccamento era sostenuto in quei momenti dal podestà, il veneziano Pietro Tiepolo, che vedeva nell'irresistibile progressione degli imperiali il pericolo di una destabilizzazione che non avrebbe mancato di lambire anche le vicine sponde dell'Adriatico. Rappresentativo a questo proposito l'episodio del novembre del 1236 ‒ dunque nel pieno della campagna imperiale di conquista della regione ‒ allorché il podestà, alla testa dei trevigiani armati, rifiutò l'offerta di un'onorevole resa avanzata dallo stesso Federico II, giunto sino ai sobborghi della città al comando delle sue truppe.
L'accelerazione impressa agli avvenimenti nell'estate del 1236 era stata tuttavia decisiva e una dopo l'altra le città della pianura veneta caddero in potere del monarca, finalmente accintosi all'impresa forte di un nutrito esercito. A determinare la capitolazione di Treviso fu la precedente resa di Padova, avvenuta nel febbraio del 1237, una resa che innescò una lunga serie di discussioni all'interno dei consigli cittadini ‒ guidati ora dal nuovo podestà Giacomo "de Mora" ‒, dibattimenti conclusi con la risoluzione di consegnare la città nelle mani del legato imperiale Geboardo di Arnstein. La spontanea dedizione della città, secondo una concorde tradizione della cronachistica coeva e posteriore, non solo locale, avvenne il 3 marzo del 1237. Una più attenta e sinottica analisi della documentazione permette tuttavia di congetturare con qualche fondamento che la resa o perlomeno le trattative per un passaggio incruento della città potrebbero essere anticipate al precedente gennaio. Da quel mese e fino all'agosto dello stesso anno risultava infatti reggente le redini del potere cittadino Tommaso "Malerio", cui fu attribuita dapprima la qualifica di rectorTarvisii de auctoritate imperatoris, e in seguito di podestà. Contemporaneamente, però, anche il già ricordato Giacomo "de Mora", nonostante l'avvenuto rivolgimento istituzionale, aveva conservato il suo ruolo, giacché figurava quale podestà nel primo semestre del 1237, salvo poi assumere il titolo di capitaneus nel gennaio 1238. Questo rapido susseguirsi di qualifiche, peraltro assai differenti dalle precedenti di matrice 'comunale', non costituisce in effetti una particolarità: come già è stato notato, infatti, il décalage terminologico operato dai nuovi governanti aveva la funzione di segnare una netta cesura con i profili giuridici caratterizzanti le magistrature del periodo precedente. Per quanto riguarda Treviso resta in ogni caso da sottolineare l'inusuale doppia presenza di funzionari omologhi nel momento del trapasso, a segnare verosimilmente un preordinato e doppio progetto, basato sull'offensiva militare esterna e sulla leva delle permeabili istituzioni cittadine; ovvero, a significare la volontà di tenere conto dell'intricata dinamica politica locale, che se pure aveva di fatto mantenuto fino ad allora la città nello schieramento avverso al re di Sicilia nondimeno era attraversata da sotterranee e trasversali simpatie in suo favore, se non da veri e propri appoggi. Il successo in città della pars imperiale aveva difatti permesso a una discreta quota di famiglie d'impianto distrettuale, in precedenza ai margini della vita politica, d'imporsi nel panorama politico cittadino. A questo vi è da aggiungere che potrebbero aver influito sulla decisione anche i timori per la vicinanza di Venezia e degli effetti della sua antica influenza sulla cittadina posta nel suo immediato retroterra. La conferma dell'attenzione ai fragili e complessi equilibri interni viene proprio dalla ratifica del pugliese Giacomo "de Mora" alla carica capitaneale nell'aprile del 1239 ‒ sanzionata da una successiva nomina a vicario ottenuta nel 1243 ‒ avendo egli esercitato evidentemente in conformità ai voleri del sovrano che non mancò, oltre al resto, di esternargli per bocca di Pier della Vigna tutto il suo apprezzamento per l'operato fino ad allora svolto.
La superstite documentazione di origine pubblica e privata del biennio 1237-1239 presenta un quadro in chiaroscuro della città in riva al Sile. Se, infatti, rimane evidente lo scarso dinamismo progettuale del ceto dirigente e il livello mediocre dell'economia cittadina che non riusciva a liberarsi dalla stretta di un mercato esclusivamente locale; e, ancora, se è confermato anche il basso tenore dell'azione di governo, orientata, per gran parte a contenere le spese militari e amministrative intraprese per necessità locali e viepiù aggravate dalle nuove prestazioni al servizio dell'imperatore, per contro, è evidente dalle fonti letterarie coeve che proprio questo periodo costituisce per Treviso medievale l'apogeo della sua storia culturale. In quei decenni la cittadina non solo rimase una delle culle della poesia provenzale e in generale della cultura cosiddetta cortese, tanto da meritare in seguito l'appellativo di 'gioiosa', ma anche, verosimilmente in coincidenza con l'inizio dell'alleanza fra Federico II e i due fratelli da Romano, divenne il luogo dell'incontro fra le tradizioni letterarie di origine francese e la poesia siciliana. Del resto, non è possibile non rilevare che tale fervida stagione culturale ‒ inestricabilmente legata a una fase istituzionale agitata, animata da scambi plurimi e apporti assai diversi ‒ vide fra i suoi protagonisti proprio i personaggi che determinarono la vita di Treviso in quell'intervallo, lo stesso Federico, Alberico da Romano, Giacomo "de Mora", autori di componimenti poetici o committenti di strumenti di regolazione stilistica e grammaticale.
Al culmine di questo processo si può idealmente collocare la veloce visita in città di Federico II fra la fine di marzo e l'inizio di aprile del 1239. La sua venuta, a detta di un cronista locale, sarebbe stata originata dal timore di manovre trevigiane a lui contrarie, congegnate però dai prudenti e lontani veneziani. I notabili cittadini, guidati dai nobili Caminesi e dal "de Mora", accolsero con tutti gli onori il regnante che si trattenne solo per presiedere il giorno successivo un'assise del consiglio cittadino dalla quale trasse conferma della lealtà della città per bocca del suo rappresentante, lo stesso Giacomo "de Mora". Al termine della seduta Federico lasciò per sempre Treviso e si diresse verso Padova, ignaro che di lì a un mese avrebbe perduto definitivamente la città. Il 14 maggio dello stesso anno, infatti, dopo avere abbandonato l'imperatore che sostava a Vicenza, Alberico da Romano, insieme a Guecello e Biaquino da Camino, si diresse verso Treviso e con un colpo di mano s'impossessò ‒ verosimilmente senza sforzo ‒ di una città che con ogni probabilità dimostrava così di gradire in misura maggiore il controllo degli esponenti maggiori espressi dal proprio ceto nobiliare rispetto all'imperatore. Quest'ultimo, alla testa delle sue truppe, si spinse sino a Castelfranco per tentare di invertire il corso degli eventi ma la sua sortita, frettolosamente combinata, non conseguì gli effetti sperati.
Il nuovo regime sanciva un distacco della città da Federico II che sarebbe durato fino alla morte del regnante svevo e che avrebbe relegato la città ‒ fino al 1257 e nonostante l'alleanza con potenti ma lontani poteri ‒ al ruolo di isola resistente allo strapotere di Ezzelino III da Romano, che all'indomani del 1250 era stato identificato quale continuatore nella Marchia tarvisina dell'opera del defunto sovrano.
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