Tribologia
di Jacqueline Krim
SOMMARIO: 1. Introduzione. ▭ 2. La tribologia prima degli anni settanta del XX secolo. ▭ 3. La tribologia degli ultimi decenni. ▭ 4. Strumenti sperimentali per la nanotribologia: a) il microscopio a forza laterale; b) la microbilancia a cristallo di quarzo; c) il dispositivo per la misurazione di forze di superficie. ▭ 5. La lubrificazione su scala nanometrica. ▭ 6. Considerazioni conclusive. ▭ Bibliografia.
1. Introduzione.
In questo articolo verranno discussi alcuni recenti sviluppi nel campo della tribologia, la disciplina che studia l'attrito, l'usura e la lubrificazione. Recenti stime mostrano infatti che una maggiore attenzione ai fenomeni di attrito e di usura farebbe risparmiare per i paesi sviluppati fino all'1,6% del loro prodotto interno lordo (v. Jost, 1990). L'enorme perdita finanziaria deriva dal fatto che spesso, non appena alcune componenti di un sistema meccanico si consumano, l'intero sistema viene distrutto o scartato. Oltre all'enorme impatto economico, gli effetti dell'attrito e dell'usura sono di grande interesse dal punto di vista sia della sicurezza nazionale che della qualità della vita. Pertanto non sorprende che materiali tribologici - progettati cioè per l'uso in contatti mobili (scorrevoli, di rotolamento, abrasivi, ecc.) - abbiano per secoli attratto l'interesse degli scienziati e degli ingegneri (v. Dowson, 1998).
Lo studio della tribologia ha origini antichissime, e può esser fatto risalire alla costruzione delle piramidi egiziane, se non addirittura, migliaia di anni prima, all'uso di trapani ad arco per generare scintille con il calore prodotto dall'attrito (v. fig. 1). In effetti, alcuni meccanismi innovativi dal punto di vista tribologico - come gli ingranaggi complessi con ruote dentate e cuscinetti a sfera progettati da Leonardo da Vinci (alcuni dei quali non furono costruiti finché la rivoluzione industriale non fornì materiali sufficientemente resistenti) e il rivoluzionario cronometro che, nel XVIII secolo, grazie all'impiego di una ruota dentata di legno autolubrificante, permise alle navi di effettuare accurati rilevamenti della longitudine in mare (v. Sobel, 1995; v. Dowson, 1998) - potrebbero essere definiti 'moderni', considerata la lunga storia di questa materia.
Gli studi moderni sull'attrito sono iniziati almeno cinquecento anni fa, quando Leonardo da Vinci annotò in appunti non pubblicati le leggi che governano il moto di blocchi che scorrono su superfici piane, illustrando in un abbozzo l'indipendenza dell'attrito dall'area apparente di contatto tra corpi in frizione. Ma fu il fisico francese Guillaume Amontons a pubblicare per la prima volta, nel 1699, la legge dell'attrito per superfici solide che scorrono l'una sull'altra:
F = μ ΄ N (1)
dove N è il 'carico normale' e μ è il 'coefficiente di attrito'. Anche Amontons rilevò che la forza di attrito è indipendente dall'area apparente di contatto: un oggetto con una piccola superficie di contatto subisce lo stesso attrito di un oggetto del medesimo materiale con una grande superficie di contatto se i loro pesi sono uguali. Una terza legge, stabilita nel 1785 dal fisico francese Charles Augustin Coulomb (noto principalmente per i suoi lavori in elettrostatica), è generalmente ricordata insieme a quelle di Amontons: per velocità di scorrimento ordinarie, la forza di attrito è indipendente dalla velocità.
Benché l'importanza dell'attrito non sia mai stata sottovalutata, i molti tentativi effettuati per spiegare le leggi di Amontons e di Coulomb in base a principî primi non hanno avuto successo. Si sa molto poco sull'origine dell'attrito su scala microscopica, perché esso si realizza attraverso una miriade di contatti nascosti che non solo sono estremamente difficili da caratterizzare, ma cambiano anche continuamente durante lo scorrimento via via che le microscopiche irregolarità delle superfici si toccano e premono le une sulle altre.
Alla fine degli anni ottanta del Novecento, vi è stata una rinascita dell'interesse in aree fondamentali della tribologia grazie alle nuove tecniche sperimentali e teoriche che consentivano di studiare la forza d'attrito in geometrie ben definite persino su scala nanometrica. Attualmente dispositivi sperimentali come la microbilancia a cristallo di quarzo (QCM, Quartz Crystal Microbalance; v. Krim, 1996 e 2002; v. Persson, 20002), il dispositivo per la misurazione di forze di superficie (SFA, Surface Forces Apparatus) e il microscopio a forza laterale (LFM, Lateral Force Microscope) permettono di misurare l'attrito in geometrie che coinvolgono una singola interfaccia di contatto, rendendo così il suo studio assai più semplice che non nel caso del contatto macroscopico. Inoltre, la disponibilità di elaboratori più veloci ha reso le simulazioni su larga scala di sistemi di materia condensata sempre più paragonabili a veri e propri esperimenti (v. Bhushan e altri, 1995; v. Harrison e altri, 1998).
2. La tribologia prima degli anni settanta del XX secolo.
Molti tra i primi studiosi, tra cui Amontons e Coulomb, pensavano che l'attrito potesse derivare dal fatto che le asperità - sia quelle rigide, sia quelle in grado di deformarsi elasticamente - andavano a incastrarsi meccanicamente tra di loro. Tuttavia questa idea si è dimostrata errata, in primo luogo perché questo meccanismo non permette alcuna dissipazione effettiva di energia, e pertanto nessun attrito. In secondo luogo, essa è errata perché contraddice le comuni osservazioni macroscopiche: per esempio, quando due superfici metalliche molto levigate sono portate a contatto, è di gran lunga più probabile che si saldino insieme piuttosto che si produca un attrito, per quanto basso. Anche i progressi compiuti nel campo della scienza delle superfici hanno escluso che l'attrito possa essere originato da un incastro meccanico: pellicole di spessore molecolare adsorbite su superfici possono modificare l'attrito di vari ordini di grandezza mantenendo la ruvidità, che dovrebbe dare origine all'effetto di incastro, virtualmente uguale. Alla luce di tale schiacciante evidenza, la comunità scientifica ha abbandonato l'ipotesi dell'incastro come possibile spiegazione dell'attrito (v. Ludema, 1996).
Un modello alternativo, basato sull'aderenza molecolare a livello delle asperità in contatto, è stato proposto intorno alla metà degli anni cinquanta da Frank Philip Bowden e David Tabor (v., 1950 e 1964) dell'Università di Cambridge in Inghilterra (v. fig. 2). Secondo questo modello, quando due superfici si toccano l'effettiva area microscopica di contatto sarebbe molto inferiore all'area macroscopica apparente, forse di un fattore 104, e le asperità in contatto effettivo produrrebbero un alto livello di tensione avente la stessa intensità s su ognuna di esse. Quando le superfici vengono fatte scorrere l'una sull'altra, si formano in continuazione nuove regioni di contatto, mentre altre si separano. Se si assume che l'area di contatto reale (A) sia costante in media, la forza di attrito è data da F = A • s (v. Hutchings, 1992). Se la forza normale è sopportata collettivamente dalle regioni di contatto, la pressione media in una regione di contatto è P = N/A e il contributo dell'aderenza al coefficiente di attrito è:
Se la pressione di contatto è indipendente dal carico normale, il che implica necessariamente A ∝ N, allora la (2) si riduce alla legge di Amontons espressa nella (1), con μ = s/P. È importante notare che in pratica, anche per carichi esterni applicati nulli, la forza d'attrito non è mai esattamente zero, in quanto le forze di aderenza sulle asperità inducono nei materiali della superficie opposta un qualche minimo contatto.
In assenza di metodi di misura precisi, gli scienziati hanno dedotto l'estensione della reale area di contatto principalmente attraverso modelli di meccanica di contatto. I più conosciuti tra questi, relativi al contatto tra due sfere, sono stati proposti da Kenneth Johnson, Kevin Kendall e Alan Roberts (modello JKR), da Boris V. Derjaguin, Vladimir M. Muller e Yu. P. Toporov (modello DMT) e da Heinrich Hertz (v. Johnson, 1985). Grazie a questi modelli, è risultato evidente che, benché solo un esiguo numero di materiali mostri l'andamento A ∝ N per due sfere in contatto, molti mostrano questa dipendenza quando si considerano contatti a molte asperità.
La proprietà A ∝ N sottostante al modello di aderenza molecolare di Bowden e Tabor è pertanto ben fondata, e tuttavia non predice tutti i possibili valori della costante di proporzionalità tra il carico normale e l'effettiva area di contatto, né fornisce alcuna spiegazione per la presenza dell'attrito in sistemi che non mostrano usura. Una teoria dell'attrito senza usura, fondata su principî primi, è stata in effetti suggerita già nel 1929 da Tomlinson (v., 1929; v. Thompson e altri, 1992). Secondo tale teoria - che prendeva in considerazione meccanismi fononici, ovvero di vibrazione reticolare - l'attrito originato dai fononi si manifesta quando gli atomi prossimi a una superficie sono posti in moto dall'azione di scorrimento degli atomi sulla superficie opposta. Le vibrazioni reticolari prodotte in tal modo sono infine trasformate in calore. Tuttavia, i molteplici tentativi effettuati dal gruppo di Tabor non sono riusciti a rivelare la presenza di meccanismi fononici nell'attrito. Solo nei primi anni novanta è stato possibile avere una prova definitiva della loro esistenza, attraverso una combinazione di misurazioni effettuate da Jacqueline Krim e collaboratori con la microbilancia a cristallo di quarzo e grazie alle simulazioni di dinamica molecolare di Robbins e collaboratori (v. Cieplak e altri, 1994; v. Krim e altri, 1991).
3. La tribologia degli ultimi decenni.
La scoperta dei contributi fononici all'attrito dimostra che alla fine degli anni ottanta si è aperto un periodo di rinnovato interesse in aree fondamentali della tribologia, periodo iniziato grazie ai miglioramenti nelle tecniche sperimentali e teoriche che hanno permesso di studiare la forza di attrito in geometrie di contatto ben definite. Gli studiosi di fisica delle superfici impegnati nell'ambito della tribologia hanno abbandonato l'approccio che mirava a caratterizzare le innumerevoli interfacce nascoste, preferendo invece preparare ben definite interfacce su scale nanometriche prima delle misurazioni, riguardanti spesso contatti a una sola asperità piuttosto che a molte. Le tecniche usate hanno sfruttato i progressi fatti nella scienza delle superfici nei decenni precedenti, tre dei quali, risalenti al periodo 1950-1970, si sono rivelati particolarmente utili per la preparazione di superfici ben caratterizzate: 1) lo sviluppo e la costruzione di contenitori metallici a perfetta tenuta per il vuoto, facili da montare e smontare, nei quali potevano essere stabilite e mantenute senza eccessiva difficoltà pressioni residue tra 10-9 e 10-10 torr; 2) l'uso di questi contenitori per effettuare l'analisi chimica dei costituenti di una superficie attraverso la spettroscopia elettronica Auger; 3) lo sviluppo della diffrazione di elettroni a bassa energia (LEED, Low Energy Electrons Diffraction) per studi strutturali di superfici a cristallo singolo. A partire dagli anni settanta sono stati effettuati numerosi studi LEED-Auger sulla struttura di una grande varietà di superfici a cristallo singolo e sulle fasi bidimensionali di atomi e molecole adsorbiti su esse.
Ulteriori progressi nella caratterizzazione strutturale delle superfici sono stati conseguiti grazie allo sviluppo, negli anni ottanta, dei microscopi con sonda a scansione, rapidamente adattati come sonde per l'attrito su scala microscopica. A metà degli anni ottanta Gary McClelland e C. Matthew Mate, ispirati dal concetto di attrito da fonone, hanno misurato l'attrito su scala nanometrica adattando il microscopio a forza atomica per misurazioni di forze laterali, ottenendo così le prime valutazioni dell'attrito atomo per atomo (v. Mate e altri, 1987). Tecniche sperimentali come queste, insieme alla microbilancia a cristallo di quarzo e al dispositivo per la misurazione di forze di superficie, hanno permesso di misurare l'attrito in geometrie molto più semplici di quelle del contatto tra oggetti macroscopici. Nel frattempo, come già detto, è stato possibile confrontare in modo sempre più diretto i risultati delle misurazioni con simulazioni numeriche su larga scala grazie all'avvento di elaboratori sempre più veloci.
4. Strumenti sperimentali per la nanotribologia.
a) Il microscopio a forza laterale.
Il microscopio a forza laterale è una variante del microscopio a forza atomica (AFM, Atomic Force Microscope) composto di una punta sottilissima montata sulla parte terminale di un cantilever flessibile (v. fig. 3; v. Binnig e altri, 1986). Quando la punta esegue la scansione della superficie del campione, le forze che agiscono sulla punta fanno deflettere il cantilever. Varie entità ottiche ed elettriche (come capacità e interferenza) quantificano gli spostamenti orizzontali e verticali. Le forze laterali rilevate con questa tecnica sono estremamente piccole e l'estensione dell'area di contatto in alcuni casi è inferiore a venti atomi. È interessante notare che lo sforzo per deformazione di taglio, ovvero la forza per area richiesta per mantenere lo slittamento nella geometria degli esperimenti LFM, è generalmente enorme, dell'ordine di un miliardo di Newton per metro quadro, una forza che consentirebbe di tagliare un acciaio di alta qualità (v. Carpick e Salmeron, 1997).
Riuscire a stabilire un legame tra i fenomeni microscopici e quelli macroscopici è una delle maggiori sfide con cui si confronta attualmente la tribologia. La situazione è complicata dal fatto che le condizioni fisiche riscontrate negli esperimenti su scala nanometrica e su scala macroscopica non si conciliano. Per esempio, il carico normale usato in studi LFM differisce tipicamente di sette ordini di grandezza da quello impiegato in studi macroscopici e la velocità di scorrimento raramente eccede il µm/s (v. Klein e altri, 1994). Tuttavia, i tentativi di legare fenomeni su nanoscala con osservazioni macroscopiche stanno avendo sempre maggior successo, mentre la tecnologia commerciale sta rapidamente avvicinandosi alla scala nanometrica.
Un esempio al riguardo è dato dalla tecnologia degli hard disks dei computer, dove molti degli apparati sono costituiti attualmente da un singolo strato di molecole lubrificanti adsorbite su un rivestimento protettivo rigido di carbone amorfo, dello spessore inferiore al µm, in modo da controllare l'attrito statico e l'usura tra la testina di scrittura-lettura e la superficie del disco. Scott S. Perry e collaboratori, all'Università di Houston, hanno studiato con un microscopio a forza atomica, impiegando metodi standard di analisi di superfici, le proprietà di attrito di un materiale utilizzabile per rivestimenti rigidi - il carburo di vanadio (VC) - in funzione dell'ossidazione superficiale (v. Frantz e altri, 1998). In questo studio, un campione formato da un singolo cristallo di VC, ottenuto in condizioni di vuoto spinto (UHV, Ultra High Vacuum) con tecniche di sputtering (spruzzamento catodico) e annealing (ricottura), è stato caratterizzato tramite LEED e spettroscopia elettronica di Auger. Usando un microscopio AFM sotto vuoto spinto sono state misurate le forze di attrito tra una punta di nitruro di silicio e la superficie pura di VC in funzione del carico applicato. La superficie è stata quindi ricoperta per saturazione con ossigeno molecolare, che reagisce in maniera predominante con gli atomi di vanadio della superficie di VC, e nuovamente misurata in situ con il microscopio AFM. Il coefficiente di attrito è risultato inferiore del 38% rispetto a quello della superficie non ossidata. Il meccanismo preciso in base al quale si verifica questa riduzione deve essere ancora individuato esattamente, e viene ricercato nel contesto dei meccanismi di dissipazione fononici ed elettronici. L'attrito elettronico è collegato alla resistenza percepita dagli elettroni mobili quando sono trascinati dalle forze esercitate dalla superficie opposta.
Grazie al microscopio LFM e alle simulazioni numeriche è stato possibile studiare anche le proprietà di attrito di catene di molecole lubrificanti (è importante qui sottolineare che le proprietà di attrito di una pellicola adsorbita, che sono modeste, vanno distinte dalla sua complessiva capacità di lubrificare; in molti casi, infatti, la capacità dei lubrificanti di rimanere sulla superficie è più importante del ridotto attrito). Le forze medie di attrito delle molecole di alchilsilano, che contengono da due a diciotto atomi di carbonio, adsorbite su substrati di silicio, diminuiscono al crescere della catena fino a otto atomi di carbonio, e quindi rimangono approssimativamente costanti. Miquel Salmeron e collaboratori hanno proposto che la dipendenza dalla lunghezza di catena derivi dall'interazione tra l'energia di impacchettamento della pellicola monostrato e le deformazioni locali nella pellicola (v. Carpick e Salmeron, 1997), poiché per catene di lunghezza inferiore agli otto atomi di carbonio le molecole sono relativamente disordinate. I meccanismi di dissipazione dell'energia coinvolti in questi sistemi vanno al di là di semplici meccanismi elettronici e fononici, e devono essere prese in considerazione le vibrazioni entro le singole molecole e la creazione di nodi e difetti gauche (deformazioni delle catene estese). L'inclusione di questi effetti nelle simulazioni numeriche attualmente condotte da Judith Harrison, la quale sta studiando le catene di tutte le lunghezze analizzate sperimentalmente, sta rapidamente portando a una soluzione del problema.
Alti tassi di usura interfacciale sono frequentemente ascritti a fenomeni stick-slip e pertanto sono stati oggetto di molte analisi da parte degli studiosi di tribologia (v. Heslot e altri, 1994). La natura del fenomeno stick-slip e di quello strettamente collegato dell'attrito statico sembra che possa essere spiegata in base alle caratteristiche delle molecole confinate tra la miriade di contatti tra due superfici in scorrimento, che non solo sono estremamente difficili da determinare, ma evolvono anche continuamente durante lo scorrimento via via che le irregolarità delle superfici si toccano e si spingono l'un l'altra. Il continuo cambiamento della geometria interfacciale delle aree di contatto (persino nei casi in cui questa è costante) dà luogo a coefficienti di attrito e tassi di eventi stick-slip che sono intrinsecamente variabili. Inoltre, non è detto che la forza di attrito su una singola asperità cresca con l'aumento del carico, in quanto ciò dipende dalla struttura dei solidi in contatto e delle molecole confinate tra essi.
È interessante il fatto che l'attrito statico e il fenomeno stick-slip siano sempre presenti anche nella geometria LFM, che è di gran lunga più semplice del contatto macroscopico. Nella grande maggioranza dei casi, si osserva un evento stick-slip per cella unitaria di substrato, anche quando la cella atomica contiene più di una specie. Spiegare tale fenomeno in termini di dissipazione di energia tra la punta, il substrato e il cantilever è un problema al quale da molto tempo si cerca una soluzione. Gli alti tassi di dissipazione di energia nella geometria LFM potrebbero essere dovuti alla creazione di difetti puntuali e/o trasferimenti di atomi dalla e verso la punta; in ogni caso la spiegazione di questi meccanismi e delle origini ultime dell'attrito rimangono l'obiettivo di molti studiosi di LFM, che sono riusciti nel difficile compito di effettuare misure ben controllate con il microscopio a forza atomica sotto vuoto spinto.
b) La microbilancia a cristallo di quarzo.
Finora l'unica tecnica sperimentale che ha permesso un confronto diretto tra gli esperimenti e le teorie, fondate su principî primi, della dissipazione di energia è la microbilancia a cristallo di quarzo (QMC, Quartz Crystal Microbalance; v. fig. 4; v. Bruschi e Mistura, 2001). Si tratta di una tecnica che opera su una scala temporale sufficientemente breve da rivelare i fononi, la cui vita media nei casi più favorevoli è non più lunga di poche decine di nanosecondi. La QCM consente interessanti studi comparativi di fenomeni microscopici e macroscopici, grazie alle alte velocità di scorrimento (fino a 10 m/s) e di sollecitazione di taglio alle quali i dati sono misurati. La geometria aperta del QCM, inoltre, consente di combinarla con tecniche di scansione tramite sonda per effettuare misurazioni a pressioni di contatto realistiche.
La QCM è stata usata per decenni per micropesate e per stabilire uno standard temporale, ed è stata adattata a metà degli anni ottanta per misure di attrito di scorrimento di strati adsorbiti su superfici metalliche. Misurando simultaneamente lo spostamento in frequenza e l'allargamento della risonanza (evidenziato da una diminuzione dell'ampiezza di vibrazione della microbilancia), si può dedurre l'attrito dovuto allo scorrimento degli strati sul substrato di metallo. L'attrito può essere misurato solo se è sufficientemente basso da permettere uno scorrimento significativo, che è accompagnato da un allargamento misurabile della risonanza. Per questa ragione le misure QCM dell'attrito di scorrimento tendono a essere eseguite su sistemi che presentano un attrito molto basso, ad esempio solidi di gas rari adsorbiti su metalli nobili. Per la grande maggioranza degli altri sistemi che mostrano attrito maggiore (strati chimicamente legati, ecc.) lo scorrimento di un monostrato adsorbito sulla superficie del dispositivo QCM è troppo piccolo per produrre un allargamento della risonanza misurabile. La viscoelasticità e/o lo scorrimento possono tuttavia essere rivelati nel caso di pellicole spesse chemioadsorbite e sono stati connessi alla capacità lubrificante di una pellicola a livello macroscopico. Nel caso di particelle dell'ordine del µm legate a quelle del QCM è stata registrata la presenza di scorrimento interfacciale e/o rottura del legame: in questi casi le più grandi masse inerziali potrebbero vincere le forti forze di attrito più prontamente dei monostrati adsorbiti.
Jacqueline Krim e collaboratori hanno misurato con la QCM l'attrito nello scorrimento di monostrati di cripton su oro (v. Krim e altri, 1991). Tramite simulazione diretta di dinamica molecolare, questi dati sono stati integrati con successo in un modello da Mark Robbins e collaboratori, assumendo che l'attrito fosse dovuto a fononi eccitati negli strati adsorbiti, e hanno infine fornito una prova dell'esistenza di meccanismi fononici di attrito. Un aspetto sorprendente dell'eccellente accordo tra i dati di simulazione numerica e quelli sperimentali è che l'attrito derivato da meccanismi elettronici è stato totalmente trascurato. È possibile che le simulazioni abbiano leggermente sovrastimato l'attrito, mascherando i contributi elettronici, poiché il margine di incertezza, anche nelle migliori stime, dei livelli di corrugamento dei substrati Au(111) potrebbe aver nascosto la presenza di un livello moderato di attrito elettronico. In effetti, misure dello scorrimento di azoto (sia nel suo stato normale, sia superconduttivo) su piombo mostrano contributi elettronici non trascurabili per il primo strato di atomi adsorbito su substrati metallici conduttori. I contributi elettronici all'attrito sono stati rivelati anche dalle variazioni della resistività di sottili pellicole metalliche depositate su pellicole monostrato (v. Dayo e altri, 1998).
Un'altra proprietà rimarchevole dell'attrito di strati adsorbiti è che l'attrito statico di solito è completamente assente. Si è osservato inoltre che le interfacce solido-liquido e solido-solido sono sottoposte alla legge di attrito viscoso, per cui la forza di attrito è direttamente proporzionale alla velocità di scorrimento. Questa legge è stata osservata recentemente anche in esperimenti blow off, in cui le pellicole, muovendosi a una velocità di svariati ordini di grandezza inferiore a quella tipica delle misure QCM, non mostrano attrito statico (v. Mate e Marchon, 2000). Tali osservazioni sono del tutto coerenti con le teorie dell'attrito su interfacce cristalline lisce su scala atomica, ma sono una novità assoluta a livello macroscopico e pongono pertanto l'ovvia questione di come meccanismi fondamentali di dissipazione, quali gli effetti fononici ed elettronici, si manifestino in sistemi caratterizzati da differenti lunghezze e scale temporali. Giocano un ruolo sostanziale per l'attrito in assenza di usura su scala macroscopica, oppure si tratta semplicemente di meccanismi primari di dissipazione di energia in pellicole di spessore molecolare adsorbite su superfici aperte dovuti alla semplicità dei sistemi in esame? Queste domande non hanno ancora ricevuto risposta, ma un crescente numero di studi, soprattutto quelli focalizzati sul ruolo degli effetti di commensurabilità nell'attrito di scorrimento, sta chiarendo questo argomento (v. Falvo e altri, 2000). La commensurabilità relativa (due superfici sono in contatto 'commensurabile' quando i loro costituenti sono equamente spaziati e allineati rotazionalmente) delle due superfici in contatto durante lo scorrimento è interessante perché teoricamente dovrebbe avere grande influenza sui contributi fononici all'attrito. Per esempio, una transizione da condizioni di scorrimento commensurate a condizioni incommensurate potrebbe teoricamente ridurre i livelli dell'attrito di scorrimento di più di dieci ordini di grandezza (v. fig. 5; v. Sokoloff, 1990).
c) Il dispositivo per la misurazione di forze di superficie.
Il dispositivo per la misurazione di forze di superficie (SFA, Surface Forces Apparatus) è uno strumento molto adatto a studiare la dipendenza dell'attrito dalla commensurabilità (v. fig. 6; v. Hirano e altri, 1991). È stato inventato quasi quarant'anni fa ed è stato adattato a misure di attrito da Jacob N. Israelachvili nel 1973. L'apparato sfrutta il fatto che la superficie di sfaldatura della mica è liscia su scala molecolare, con aree prive di 'scalini' atomici di dimensioni che possono arrivare fino a un centimetro quadro, per cui quando due superfici di mica sono portate a contatto si forma un'interfaccia libera da asperità. L'apparato tradizionale consiste di due superfici di sfaldatura di mica, incollate su due cilindri, anche questi di mica, disposti in croce. L'area di contatto e la distanza tra le superfici sono determinate attraverso interferometria a fascio ottico, con risoluzione dell'ordine di 0,2 nm o migliore. Le superfici di mica sono montate in modo da potere essere mosse orizzontalmente o verticalmente e le forze di attrito normale e laterale sono misurate direttamente da una 'molla' che traccia il grafico della forza. Sebbene il dispositivo SFA sia stato talora usato per misurazioni dirette dell'attrito tra due superfici di mica, in genere viene usato comprimendo strati di lubrificante tra le superfici di contatto.
L'apparato SFA è stato usato per studiare la dipendenza dell'attrito dall'area di contatto e dall'orientamento cristallino. Anche nella geometria SFA, come nel caso delle misure con microscopio AFM, si rilevano l'attrito statico e fenomeni stick-slip. Benché in genere l'attrito dipenda dalla commensurabilità del reticolo, la variazione osservata è normalmente minore di un solo ordine di grandezza, non di molti ordini di grandezza come predetto dalle teorie sui meccanismi di dissipazione fononica. Forse la discrepanza riflette semplicemente il grado con cui i meccanismi di dissipazione fononica contribuiscono all'attrito totale osservato.
Rimane ovviamente la questione del perché si osservi ovunque l'attrito statico, anche se dal punto di vista teorico due superfici levigate in contatto scorrevole non dovrebbero presentarlo. Può darsi che la spiegazione vada cercata negli effetti di terzo corpo, per cui inizialmente lo scorrimento verrebbe bloccato dalle molecole aggiuntive adsorbite. Robbins e collaboratori hanno recentemente suggerito che l'attrito statico potrebbe essere connesso alle forze di aderenza delle pellicole sottili adsorbite (acqua, idrocarburi, ecc.) che sono presenti su molte superfici. Ciò è stato da loro dimostrato con simulazioni al computer, le quali indicano che queste pellicole presenti ovunque si comportano come biglie che rotolano verso le nicchie aperte di un'interfaccia incommensurata composta, ad esempio, da palline da ping-pong in contatto con palle da tennis. Le biglie trovano sempre un minimo locale di energia, e pertanto è sempre necessaria una certa energia per iniziare lo scivolamento.
Ne segue che uno dei più importanti obiettivi che si pongono gli studiosi di tribologia è la determinazione sperimentale della struttura delle pellicole intrappolate tra superfici solide, e non solo quella dei punti di contatto tra superfici. Attualmente per caratterizzare in dettaglio la struttura atomica di pellicole confinate in un'interfaccia si usano metodi che combinano i raggi X di sincrotrone e il dispositivo SFA, oppure un dispositivo congiunto STM-QCM.
5. La lubrificazione su scala nanometrica.
Gli studi sulle origini della lubrificazione su scala atomica sono affascinanti anche per la loro difficoltà, dovuta alla complessità chimica di molti lubrificanti usati nella pratica, all'inaccessibilità alle sonde sperimentali delle regioni tipiche d'interfaccia e alla sensibilità degli strati di bordo agli effetti di confinamento. È stata spesso avanzata l'ipotesi secondo cui i materiali che presentano proprietà di scivolamento all'interfaccia potrebbero avere interesse come lubrificanti macroscopici, ma tale ipotesi è ancora ben lungi dall'essere convalidata. Infatti lo scivolamento interfacciale in alcuni casi è stato associato a un aumento dell'attrito su scala atomica, mentre in altri è sembrato essere dannoso alla lubrificazione, in quanto il lubrificante scivolava troppo facilmente fuori dalla zona di contatto. È stato pubblicato un solo studio sulle proprietà nanodinamiche di sistemi con proprietà macrotribologiche accertate.
Se si riuscisse a determinare la natura precisa delle asperità di contatto tra oggetti macroscopici in contatto di scivolamento, compreso il ruolo delle specie non controllate adsorbite, i risultati degli studi nanotribologici potrebbero innestarsi direttamente nel filone principale delle indagini sulla tribologia. Nel frattempo i risultati di indagini fondamentali relative alle superfici possono essere più facilmente applicati a interfacce solido-vapore o solido-liquido, dove i complessi fattori associati con i contatti delle asperità sono meno problematici, e a questioni connesse con i MEMS o i NEMS (rispettivamente, Micro- e Nano-Electro Mechanical Systems), in cui gli apparati sono composti di parti le cui ridottissime dimensioni stanno rapidamente raggiungendo le scale di lunghezza di norma sondate dalla nanotribologia.
Nonostante la diffusa convinzione che il futuro sarà rivoluzionato dagli apparati MEMS e/o NEMS, ciò non avverrà se non si riuscirà a controllare efficacemente l'attrito e l'usura associati con tali apparati. Poiché gli apparati MEMS devono reagire a segnali meccanici, molti impiegano topologie di costruzione che richiedono un moto fisico. Lamine e aste sospese, situate a distanza di pochi µm dai loro substrati di supporto, sono ormai di uso comune e queste strutture tipicamente hanno aree relativamente estese e rigidità molto bassa. La combinazione di queste caratteristiche rende i mezzi MEMS altamente suscettibili alle forze di superficie che possono far deflettere i componenti sospesi verso il substrato oppure farli collassare e/o aderire permanentemente al substrato. Con l'attuale tendenza a costruire componenti di apparati ben entro la regione nanometrica, ci si aspetta che le complicazioni connesse alla superficie attualmente incontrate con i MEMS possano divenire ancora maggiori: la comprensione delle proprietà dei materiali degli apparati a livello atomico andrà di pari passo con la loro capacità di funzionare in maniera affidabile ed è chiaro che lubrificanti liquidi o 'grassi', sviluppati per macchinari macroscopici, non saranno di alcuna utilità per questi apparati.
6. Considerazioni conclusive.
Sia nel caso di applicazioni macroscopiche nell'industria automobilistica, sia in quello di applicazioni su piccola scala come i MEMS e, ultimamente, i NEMS, non v'è dubbio che il ruolo degli studiosi di scienza delle superfici sarà cruciale.
Rimane irrisolto il problema dell'attrito statico, sempre presente anche quando teoricamente ci si aspetta che non debba insorgere, come nel caso di due superfici levigate che scivolano l'una sull'altra. Come abbiamo già detto, tale fenomeno potrebbe trovare una spiegazione in effetti di terzo corpo, per cui le molecole aggiuntive adsorbite determinerebbero un blocco iniziale dell'interfaccia. Altri problemi irrisolti di particolare interesse includono la comprensione delle reazioni chimiche e tribo-chimiche che avvengono in un contatto di scivolamento, dovute a effetti di riscaldamento per attrito, e dei meccanismi di dissipazione di energia associati con tali contatti; la caratterizzazione delle proprietà microstrutturali e meccaniche delle regioni di contatto tra materiali in scorrimento gli uni sugli altri; l'accorpamento e il coordinamento dell'informazione acquisita su scala atomica e su scala macroscopica - attualmente frammentata e spesso priva di connessione tra i singoli risultati sperimentali - e il loro coordinamento; lo sviluppo di potenziali di interazione realistici da usare nelle simulazioni con computer riguardanti materiali di interesse per le applicazioni tribologiche; lo sviluppo di test di laboratorio realistici, ben controllati e rilevanti per i macchinari in uso. Il recente ampliamento dell'attività in queste aree e in altre collegate permette di guardare con ottimismo ai futuri decenni, nella convinzione che sarà possibile raggiungere importanti traguardi in aspetti fondamentali della tribologia.
Bibliografia.
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