Tributi e prestazioni imposte nel dialogo tra Corti
Se inizialmente la nozione di tributo ha costituito un tema indagato dalla sola dottrina, soprattutto attraverso la giurisprudenza dalla quale desumere alcuni elementi ricorrenti da poter ordinare (prioritariamente in rapporto alla nozione di prestazione patrimoniale imposta), più di recente è la stessa Consulta a tracciare con evidenza tassonomica gli elementi irrinunciabili del tributo: la disciplina legale deve essere diretta a procurare una decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; essa non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione sono destinate a sovvenire pubbliche spese. L’apprezzamento per una nozione unitaria e finanche costituzionale di tributo, non consente tuttavia di trascurare alcune criticità ricostruttive, specialmente con riferimento a quei prelievi genericamente ascrivibili ad assetti di solidarietà “circoscritta”.
Nel panorama dello studio del diritto tributario, la dottrina solo di recente1 ha iniziato a riflettere specificamente sulla nozione di tributo, a tal fine muovendo dalla giurisprudenza delle Supreme corti e in particolare da quella della Corte costituzionale, originariamente focalizzata sostanzialmente sulla differente prospettiva definitoria e della prestazione imposta ai sensi dell’art. 23 cost. e della capacità contributiva ai sensi dell’art. 53 cost. A fronte di una consistente giurisprudenza dalla quale era possibile desumere, in via interpretativa, alcuni elementi ricorrenti da poter ordinare per l’individuazione di una nozione di tributo (prioritariamente in rapporto a quella di prestazione patrimoniale imposta), più di recente è la stessa Corte costituzionale a tracciare con evidenza tassonomica gli elementi irrinunciabili perché tale nozione possa dirsi integrata (fino addirittura a sindacare l’irragionevolezza di un intervento legislativo meramente qualificatorio per contrasto con una disciplina sostanzialmente tributaria secondo i predetti elementi2). In questo nuovo percorso argomentativo intrapreso dalla Consulta, con finalità di certezza giuridica, si inserisce la giurisprudenza di legittimità della Corte di cassazione con alcuni passaggi non del tutto conformi soprattutto avuto riguardo ai contributi previdenziali e ai tributi speciali. Non va del resto trascurato che la maggior parte della casistica giurisprudenziale, determinante ai fini della presente indagine, trae origine dalla connessa questione pregiudiziale dell’individuazione della giurisdizione, restando ancora attuale la cogenza della VI disposizione transitoria e finale della Carta costituzionale quale limite estremo alla legittimità della giurisdizione tributaria. In seno alla dottrina, sembra poi che, attualmente, il punto critico ricostruttivo attenga essenzialmente alla distinzione tra tributo quale prestazione e quale istituto giuridico complessivamente inteso: alternativa teorica cui sono connesse pluralità di implicazioni ideologiche con ripercussioni di carattere sistematico.
Pertanto, pur trattandosi di questioni che, allo stato, non è possibile considerare definite, anche considerato che solo negli ultimi due anni molteplici sono state le pronunce delle Supreme corti che hanno motivato i relativi dispositivi proprio in ragione della nozione di tributo, appare utile procedere nella focalizzazione dei principali passaggi per poi precisare i residui profili problematici.
Correttamente è stato evidenziato dalla dottrina che seppure nel testo della Carta costituzionale il lemma tributo in forma sostantiva sia riscontrabile unicamente nell’art.119, avuto riguardo alla competenza regionale in funzione del federalismo fiscale esito della riforma del Titolo V parte II, e ancorché lo stesso lemma compaia, quale aggettivo solo in relazione al sistema (artt. 53, co. 2 e 117, co. 2 e 3) e alle leggi (art. 75, co. 2), vi è ragione oggi di sostenere – proprio muovendo dai principi enucleati dalla giurisprudenza – la sussistenza di una nozione unitaria e consolidata di tributo che può a ragione essere definita “costituzionalmente necessaria”3. Tuttavia se la giurisprudenza costituzionale ha costituito terreno fertile per giungere oggi a questa determinazione, va rilevato che la stessa giurisprudenza (anche di Cassazione) sembra a sua volta aver tratto le mosse da una nozione unitaria (o, più precisamente, inclusiva) di tributo tradizionalmente rilevante ai fini dell’individuazione del legittimo ambito di esercizio del potere giurisdizionale. Ciò pare vero tanto se si ha riguardo alle scelte operate dal legislatore (cfr. art. 9 c.p.c. per il riferimento a «imposte e tasse», da correlare all’art. 2 del d.lgs. 31.12.1992, n. 546 secondo il quale «appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati»), quanto se ha riguardo all’interpretazione della Consulta circa la menzionata VI disposizione transitoria e finale e, specificamente, alla legittima vigenza dei giudici speciali tributari previgenti alla Costituzione per mancato contrasto con l’art.102 cost.4. Sul punto appare allora illuminante la precisazione di quella dottrina che dall’esame della giurisprudenza costituzionale individua nelle controversie di tributi solo un limite estremo alla legittimità costituzionale delle norme di fonte primaria che regolano la giurisdizione del giudice tributario. Più precisamente, infatti, esse risulterebbero incostituzionali solo laddove estendessero la giurisdizione oltre quel limite5, ma non nel caso contrario6. Inoltre, se la questione attinente alla giurisdizione può essere significativa ai fini della verifica della natura tributaria o meno di una prestazione patrimoniale imposta, un eventuale giudicato sulla questione di giurisdizione non potrà comunque considerarsi ostativo ad una verifica da parte della Corte costituzionale della natura stessa della prestazione sulla base dei cennati principi fondamentali direttamente desumibili dalla Costituzione7. In ogni caso la nozione sostanzialistica, senza dubbio alla base dell’attuale scelta del legislatore ordinario quanto all’attribuzione di giurisdizione al giudice speciale tributario – compatibile con il dettato dell’art.102 cost. – individua un perimetro di tributi che, legittimamente, potrebbe non esaurire l’insieme degli istituti giuridici riconducibili alla nozione di tributo desumibile dalla Carta costituzionale. In questa prospettiva dunque la nozione “costituzionalizzata” di tributo porta a prescindere non solo da dati nominalistici di qualsiasi specie, ma anche dalla stessa questione di giurisdizione. Chiarita dunque in questa prospettiva il rapporto tra giurisdizione speciale e categoria dei tributi, pare utile ripercorrere l’evoluzione della dottrina che proprio dall’esegesi della giurisprudenza ha cercato di ordinare sistematicamente gli elementi indefettibili del tributo.
Il menzionato sforzo esegetico della dottrina8 per desumere una nozione di tributo ha preso le mosse dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e significativamente da quella sugli sconti sui medicinali. Seppure nella prima pronuncia9 la Consulta sembri limitarsi ad affermare che lo sconto costituisce una prestazione patrimoniale imposta soggetta alla riserva di legge di cui all’art. 23 cost., correttamente è stato rilevato che nel distinguere tra sconto obbligatorio e prezzi d’imperio o amministrati (pur strutturalmente assimilabili) essa attribuisce rilievo alle rispettive distinte finalità e al modo in cui il fine viene perseguito. Assume dunque portata discriminante la circostanza che negli sconti l’assistenza farmaceutica costituisca un fine di interesse generale e il mezzo stesso per raggiungerlo (in quanto strumento di finanziamento). Le due successive pronunce10 espressamente sanciscono la natura tributaria di tale istituto in ragione della natura coattiva della prestazione e della destinazione dei proventi ad un ente pubblico per sopperire a fini pubblici. Emerge così già chiaramente che per la giurisprudenza un carattere distintivo del tributo è la coattività del prelievo di risorse economiche, in quanto «sacrificio economico individuale realizzato tramite un atto autoritativo a carattere ablatorio»11. Tuttavia la coattività in sé non costituisce elemento sufficiente ai fini della qualificazione di un tributo nel più ampio panorama delle prestazioni patrimoniali imposte, essendo appunto necessario che emerga la finalizzazione12 dell’entrata per sopperire a fini pubblici dello Stato o di altro ente pubblico. Tale profilo, acutamente colto dalla dottrina in termini di continuità con la cennata giurisprudenza sugli sconti dei medicinali, ha trovato diverse conferme nelle successive pronunce fino al punto di affermare che «proprio l’interesse generale che sorregge l’erogazione del servizio può richiedere una forma di finanziamento fondato sul ricorso allo strumento fiscale»13, lasciando con ciò trasparire una definizione funzionale e non meramente soggettiva di spesa pubblica. Acutamente la dottrina rileva altresì che, con il nuovo millennio, nella giurisprudenza di legittimità costituzionale inizia a farsi breccia una prospettiva differente che, pur in continuità con quanto sopra delineato, tende a sostituire il requisito della coattività con quello della doverosità così manifestando «uno spostamento della prospettiva dalla fonte (coattiva) della prestazione, ai valori di cui essa (prestazione) è espressione e momento di realizzazione, cioè quei doveri di solidarietà politica, economica e sociale sanciti dall’art. 2 cost. del quale, secondo la giurisprudenza costante, l’art. 53 cost. rappresenta una specificazione»14. La doverosità si giustifica dunque in ragione dell’elemento funzionale determinante del finanziamento alle pubbliche spese15. Da questa conclusione deve derivare conseguentemente che «il riferimento ad un presupposto economicamente rilevante»16, già presente nella più risalente giurisprudenza, venga articolato sia sotto il profilo dell’uguaglianza sostanziale e formale, che della ragionevolezza garantendo così il carattere “concorsuale” dello strumento tributario (desumibile dall’art. 53 cost.).
Lo sforzo interpretativo della dottrina nella ricostruzione indiretta degli elementi indefettibili del tributo trova un successivo importante riscontro nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale che in diverse occasioni ha proceduto a elencarli puntualmente. Un primo tentativo in questo senso deve considerarsi la sentenza C. cost., n. 73/2005 relativa al contributo unificato per le spese degli atti giudiziari ove si argomentava che «la natura di ‘entrata tributaria erariale’ del predetto contributo unificato si desume infatti, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che lo disciplina: a) dalla circostanza che esso è stato istituito in forza di legge a fini di semplificazione e in sostituzione di tributi erariali gravanti anch’essi su procedimenti giurisdizionali, quali l’imposta di bollo e la tassa di iscrizione a ruolo, oltre che dei diritti di cancelleria e di chiamata di causa dell’ufficiale giudiziario (art. 9, commi 1 e 2, della legge n. 488 del 1999); b) dalla conseguente applicazione al contributo unificato delle stesse esenzioni previste dalla precedente legislazione per i tributi sostituiti e per l’imposta di registro sui medesimi procedimenti giurisdizionali (comma 8 dello stesso art. 9); c) dalla sua espressa configurazione quale prelievo coattivo volto al finanziamento delle ‘spese degli atti giudiziari’ (rubrica del citato art. 9); d) dal fatto, infine, che esso, ancorché connesso alla fruizione del servizio giudiziario, è commisurato forfetariamente al valore dei processi (comma 2 dell’art. 9 e tabella 1 allegata alla legge) e non al costo del servizio reso od al valore della prestazione erogata». Dall’analisi sopra condotta la Corte, nella specie, arrivava a concludere che «il contributo ha, pertanto, le caratteristiche essenziali del tributo e cioè la doverosità della prestazione e il collegamento di questa ad una pubblica spesa, quale è quella per il servizio giudiziario (analogamente si sono espresse, quanto alle caratteristiche dei tributi, le sentenze n. 26 del 1982, n. 63 del 1990, n. 2 del 1995, n. 11 del 1995 e n. 37 del 1997), con riferimento ad un presupposto economicamente rilevante».
Questa primigenia elencazione delle “caratteristiche essenziali” viene progressivamente raffinata dalla giurisprudenza17 fino a giungere alla sent., 11.10.2012, n. 223 della Consulta ove può leggersi che «gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico (…); le risorse connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione sono destinate a sovvenire pubbliche spese».
La Corte, nella prima successiva occasione18 in cui ha fatto nuovamente ricorso a tale elencazione, ha inoltre ribadito, in continuità con la precedente giurisprudenza, che «un tributo consiste in un ‘prelievo coattivo che è finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed è posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva’ (sentenza n. 102 del 2008); indice che deve esprimere l’idoneità di tale soggetto all’obbligazione tributaria (sentenze n. 91 del 1972, n. 97 del 1968, n. 89 del 1966, n. 16 del 1965, n. 45 del 1964)». Alla cennata tassonomia la Corte ha successivamente fatto ricorso in diverse occasioni19, ulteriormente precisando (rectius declinando) solo in alcuni aspetti gli elementi così come sopra definiti. Su di essi, nella prospettata individuazione di una nozione di tributo, pare il caso di soffermarci distintamente.
Il primo elemento, che consiste nella sussistenza di una «disciplina legale diretta, in via prevalente, alla decurtazione patrimoniale del soggetto passivo», è sostanzialmente riconducibile allo schema della prestazione patrimoniale imposta sancita all’art. 23 cost., così confermando il rapporto di genere a specie tra essa e il tributo già a suo tempo teorizzato dalla dottrina attualmente maggioritaria20.
Tuttavia, a ben vedere, tale formula va oltre la cennata ratio, specificandola proprio nella prospettiva tributaria.
Innanzitutto, la precisazione “in via prevalente” riferita all’effetto legale della decurtazione patrimoniale, lascia intendere che la nozione di tributo possa coesistere, senza venire meno, né restare assorbita, con una complessità funzionale della disciplina. Proprio nella sentenza capostipite n. 223/2012, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, co. 22, d.l. n. 78/2010 (nella parte in cui dispone che l’indennità speciale di cui all’art. 3 l. 24.3.1981, n. 27, spettante al personale indicato in tale legge, negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15% per l’anno 2011, del 25% per l’anno 2012 e del 32% per l’anno 2013) la Corte ha, infatti, precisato che tale indennità giudiziaria «partecipa di una natura retributiva e la sua decurtazione, ai fini del ‘contenimento delle spese in materia di impiego pubblico’ (come reca la rubrica dell’art. 9 censurato), costituisce il dichiarato e prevalente intento del legislatore». La Corte pertanto amplia la nozione di tributo anche oltre le ipotesi in cui l’effetto della decurtazione sia esclusivamente funzionale alla realizzazione del finanziamento alle pubbliche spese. Certo tale funzionalizzazione deve sussistere ed essere prevalente rispetto ad altre risultando appunto discriminante delle distinte prestazioni patrimoniali legittimamente imposte ex art. 23 cost. (si pensi, ad es., alla distruzione di beni privati per ragioni di interesse generale o ancora a sanzioni amministrative pecuniarie o indennità21). Come osservato da attenta dottrina, la giurisprudenza della Corte nel sostituire il termine prestazione patrimoniale con decurtazione «indica il risultato, in termini di riduzione del valore complessivo del patrimonio del soggetto passivo, del dispiegarsi degli effetti dell’imposizione»22. Ben si giustifica allora una serie di pronunce della Consulta che richiamano il cennato elemento della decurtazione patrimoniale del soggetto passivo con riferimento ad ipotesi di riduzione di crediti pecuniari a lui spettanti23, distinguendo da esse quelle misure che – integrando meri risparmi di spesa24 – non sarebbero neanche riconducibili alla nozione di prestazione patrimoniale imposta25.
Il secondo elemento che la giurisprudenza della Corte costituzionale considera indefettibile ai fini di una nozione di tributo è individuato come caratteristica negativa della decurtazione stessa. In altri termini, tra gli effetti riconducibili alla decurtazione patrimoniale – che abbiamo sopra stabilito poter essere concorrenti ad altri, seppur comunque prevalenti – debbono essere escluse le «modifiche di un rapporto sinallagmatico». Questa espressione non appare del tutto chiara. Essa può trovare una prima immediata giustificazione in ragione della stessa nozione di prestazione patrimoniale imposta: assumendo la coattività come suo connotato ontologico, la decurtazione patrimoniale che scaturisca da un rapporto di scambio si collocherebbe al di fuori della struttura stessa dell’istituto26. Tuttavia, ciò non sembra confermato dalla giurisprudenza, ad esempio, sulla contribuzione previdenziale obbligatoria ove la natura corrispettiva degli assetti negoziali non ostacola una ricostruzione della prestazione ex art. 23 cost.27, né a diversa conclusione tradizionalmente si giunge riguardo a tutti quei tributi (tasse – eventualmente di scopo – e contributi speciali) caratterizzati da una matrice commutativa28. La mancata modifica di un rapporto sinallagmatico potrebbe, invece, significare che la fonte autoritativa non deve mirare a una nuova valutazione del rapporto in un complessivo riequilibrio (così come potrebbe emergere dalla possibile concorrenza di finalità sopra evidenziata), bensì ottenere il concorso alle pubbliche spese attraverso l’effetto della decurtazione patrimoniale di una sola delle parti del rapporto29. In quest’ottica assume allora anche uno specifico rilievo l’aggettivazione che spesso la Corte affianca, tra parentesi, alla decurtazione patrimoniale: definitiva. Solo ciò che all’esito dell’applicazione della disciplina complessa determina una definitiva decurtazione a carico di un soggetto passivo ovverosia di uno solo dei due soggetti del rapporto, può integrare la nozione di tributo. In altri termini, se invece dall’applicazione della disciplina stessa dovessero scaturire effetti restitutori o rilevanti solo ai fini della rappresentazione degli equilibri finanziari pubblici, essi porterebbero a escludere la natura tributaria di somme pur transitate nelle casse del soggetto pubblico30.
A ben vedere l’espressione sopra esaminata trova spesso una sua specifica valenza argomentativa proprio nell’ambito dei cd. circuiti previdenziali. Il menzionato riferimento al sinallagma assume infatti in questo contesto uno specifico significato rendendo sostanzialmente incompatibile – nella giurisprudenza della Corte costituzionale – la nozione di tributo con gli elementi mutualistici solidaristici. Secondo questa ricostruzione, a più riprese criticata dalla dottrina31 e non pacificamente accolta – come vedremo in seguito – dalla giurisprudenza della Corte di cassazione32, il solidarismo del tributo è declinazione necessaria del principio di capacità contributiva, ma la solidarietà che non comporti una decurtazione patrimoniale del soggetto passivo destinata all’interesse generale funzionalizzato alla spesa pubblica, in quanto rivolto all’interno di un circuito limitato in una visione mutualistica, non può essere riferita ad un tributo, restando al più una prestazione patrimoniale imposta da vagliare eventualmente sulla base di differenti parametri (artt.3, 36, 38 cost.). In particolare, nella sentenza della C. cost., n. 173/201633 relativa al cd. contributo di solidarietà, si era concluso che «il prelievo istituito dal comma 486 della norma impugnata non è configurabile, infatti, come tributo non essendo acquisito allo Stato, nè destinato alla fiscalità generale, ed essendo, invece, prelevato, in via diretta, dall’INPS e dagli altri enti previdenziali coinvolti, i quali – anziché versarlo all’Erario in qualità di sostituti di imposta – lo trattengono all’interno delle proprie gestioni, con specifiche finalità solidaristiche endoprevidenziali, anche per quanto attiene ai trattamenti dei soggetti cosiddetti ‘esodati’. Si tratta, del resto, di una misura non strutturalmente dissimile – come sottolineato dalla difesa dello Stato – da quella a suo tempo introdotta dall’art. 37 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2000), il quale analogamente disponeva che ‘A decorrere dal 1° gennaio 2000 e per un periodo di tre anni, sugli importi dei trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie complessivamente superiori al massimale annuo previsto dall’art. 2, comma 18, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è dovuto, sulla parte eccedente, un contributo di solidarietà nella misura del 2 per cento […]’. Norma, quest’ultima, che questa Corte ebbe a ritenere non in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., in quanto ‘volta a realizzare un circuito di solidarietà interno al sistema previdenziale’ (ordinanza n. 22 del 2003), e neppure contraria agli artt. 2, 36 e 38 Cost. (ordinanza n. 160 del 2007). Si è dunque, nella specie, in presenza di un prelievo inquadrabile nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge, di cui all’art. 23 Cost., avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del sistema previdenziale (sentenza n. 178 del 2000; ordinanza n. 22 del 2003)». Pertanto, fin quando la decurtazione patrimoniale non eccede la solidarietà categoriale di natura previdenziale – a detta della Corte costituzionale – manca un elemento indefettibile perché la finalizzazione dell’effetto sia ascrivibile alla nozione di tributo34.
Il terzo elemento indefettibile individuato dalla Corte costituzionale, in piena continuità con l’interpretazione già segnalata dalla dottrina, è che le risorse debbono essere destinate a sovvenire le pubbliche spese. Per quanto trattasi di un’affermazione consolidata che indica la funzionalizzazione del tributo nell’ambito delle prestazioni patrimoniali imposte, dalla stessa giurisprudenza non emerge con chiarezza quali siano i criteri in forza dei quali individuare la nozione di spesa pubblica. Alla distinzione di carattere ricostruttivo tra teoria soggettiva (in ragione delle caratteristiche dell’ente destinatario dell’entrata35) e teoria oggettiva (in ragione dell’interesse generale al finanziamento della spesa), sembra oggi sovrapporsi un piano ancora differente che attribuisce rilievo all’effettiva incidenza dell’entrata (definitiva decurtazione patrimoniale del soggetto passivo) sul bilancio dello Stato36. Tale prospettiva appare in effetti fortemente condizionata alla già cennata esclusione dalla nozione di tributo di ciò che, pur accedendo al bilancio pubblico, resti attratto a un segmento di mera mutualità, che pur espressione di una solidarietà diffusa non si propaghi alla generalità. Significativi al riguardo appaiono alcuni passaggi giurisprudenziali che attribuiscono rilievo determinante la circostanza che il prelievo non sia «acquisito allo Stato, né destinato alla fiscalità generale», bensì mantenuto da un istituto pubblico (nella specie l’Inps) «all’interno delle proprie gestioni, con specifiche finalità solidaristiche endoprevidenziali»37. Del resto, a margine di un caso di prelievo forzoso imposto alla Cassa dei commercialisti per ragioni di cd. spending review38 e dichiarato incostituzionale per irragionevolezza ex art. 3 (senza analizzare la prospettiva della natura tributaria del prelievo), avevo criticamente osservato che «non v’è dubbio, infatti, che solo con il prelievo istituito con il d.l. n. 95/2012 una somma già previamente indicata nella contabilità generale – ma intangibile in quanto destinata ad una specifica previdenza – diviene entrata dello Stato, acasualmente funzionalizzata al finanziamento delle pubbliche spese, assumendo così rilevanza agli effetti della predetta nozione di tributo a prescindere dalla natura (pubblica o privata) del soggetto passivo»39.
Dall’analisi dei tre elementi indefettibili enucleati dalla giurisprudenza sembra emergere che il cd. profilo funzionale della decurtazione patrimoniale diviene carattere strutturale della complessa ed articolata disciplina tributaria che costituisce il tributo, quale istituto giuridico, da considerarsi costituzionalmente legittimo appunto nei limiti di quanto prescritto dagli artt. 3 e 53 cost.
Pertanto, quando la Corte costituzionale, nell’individuare il terzo elemento, specifica che le risorse devono essere «connesse a un presupposto economicamente rilevante» ovverosia devono scaturire quale effetto di una disciplina idonea a perseguire la funzione del concorso alle pubbliche spese in ossequio al principio di ragionevolezza e di capacità contributiva. A conferma di ciò si noti che se nella generalità delle sentenze richiamate in nota l’espressione “presupposto economicamente rilevante” viene utilizzato senza alcuna ulteriore specificazione, in una delle prime pronunce40 veniva precisato che il terzo requisito doveva intendersi soddisfatto «in quanto l’entità di detta contribuzione è determinata con una percentuale fissa rispetto ai ricavi annui delle imprese regolate». Cioè riferendo tale espressione alla disciplina dell’istituto giuridico sub specie di tributo41 e non già alla sussistenza in sé di un indice di capacità contributiva42.
Dall’analisi sopra condotta emerge una tendenziale coerenza argomentativa della giurisprudenza costituzionale nell’individuazione della nozione di tributo, resa agevole proprio dal ricorso alla tassonomia degli ormai consolidati elementi indefettibili. A fronte di questo grado di certezza giuridica e di sistematicità nella ricostruzione dell’istituto, non si può tuttavia trascurare che talvolta la Corte costituzionale ha declinato strumentalmente tale elencazione per negare la natura tributaria di determinati prelievi, specialmente con riferimento a prelievi genericamente ascrivibili al cd. circuito previdenziale. Va inoltre rilevato che la menzionata giurisprudenza della Consulta ha ricondotto alla nozione di tributo, oggi così unitariamente intesa in ragione dei predetti elementi, sia le tasse, che le imposte, che i contributi speciali, che gli altri prelievi funzionalmente intesi al di là di qualsiasi riferimento nominalistico. In una tale prospettiva di omogeneità della valutazione delle caratteristiche di questo specifico istituto giuridico sembra allora condivisibile la posizione di quella dottrina che da tempo ritiene non giustificata l’esclusione delle tasse dalla verifica ex art. 53 cost.43. La sussistenza di una nozione costituzionale di tributo desumibile dai principi della Carta così come interpretati dalla cennata giurisprudenza, sembra trovare infine una implicita conferma nella possibilità – sancita di recente dalla Corte costituzionale – di sindacare la irragionevolezza di una norma dichiaratamente interpretativa che «lungi dall’esplicitare una possibile variante di senso della norma interpretata, incongruamente le attribuisce un significato non compatibile con la intrinseca ed immutata natura tributaria della prestazione, così ledendo la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico»44.
In questo panorama tendenzialmente omogeneo della giurisprudenza della Corte costituzionale, la Corte di cassazione pare – su determinati filoni casistici – prendere un percorso differente. Spesso, come già ricordato in principio, si tratta di giurisprudenza di legittimità a sezioni unite poiché attinente a questione pregiudiziale di giurisdizione, funzionale a individuare la competenza o meno del giudice speciale tributario. Il punto di principale disallineamento sembra essere rappresentato dalla valutazione della natura tributaria di alcuni prelievi connessi a quella solidarietà circoscritta che abbiamo definito sopra “mera mutualità”. Significativa al riguardo appare la sentenza a sezioni unite45 che ha dichiarato la giurisdizione tributaria delle liti relative ai diritti camerali (diritti di iscrizione in albi e registri delle Camere di commercio). Proprio sulla scorta di questo precedente la Cassazione sembra del resto avere, più di recente, fondato la propria determinazione46 relativa alla giurisdizione del giudice tributario riguardo ai contributi che gli iscritti ai rispettivi albi del Consiglio nazionale forense debbono corrispondere annualmente a titolo di concorso nelle spese di funzionamento. La Corte, nel motivare la questione pregiudiziale, premette che «il sistema normativo riconosce (…) all’ente Consiglio, una potestà impositiva rispetto ad una prestazione che l’iscritto deve assolvere obbligatoriamente, non avendo alcuna possibilità di scegliere se versare o meno la tassa (annuale e/o di iscrizione nell’albo), al pagamento della quale è condizionata la propria appartenenza all’ordine. Siffatta ‘tassa’ si configura come una ‘quota associativa’ rispetto ad un ente ad appartenenza necessaria, in quanto l’iscrizione all’albo è conditio sine qua non per il legittimo esercizio della professione». A detta della Cassazione proprio alla luce di questa disciplina si possono verificare gli elementi caratterizzanti la nozione di tributo: innanzitutto «la doverosità della prestazione. Chi intenda esercitare una delle professioni per le quali è prevista l’iscrizione ad uno specifico albo, deve provvedere ad iscriversi sopportandone il relativo costo (la tassa di iscrizione e la tassa annuale), il cui importo non è commisurato al costo del servizio reso od al valore della prestazione erogata, bensì alle spese necessarie al funzionamento dell’ente, al di fuori di un rapporto sinallagmatico con l’iscritto». Conseguentemente conclude la Cassazione «ecco, quindi, il secondo elemento perché sia riconoscibile la ‘natura tributaria’ della prestazione: il collegamento della prestazione imposta alla spesa pubblica riferita a un presupposto economicamente rilevante. Il presupposto, nella specie, è costituito dal legittimo esercizio della professione per il quale è condizione l’iscrizione in un determinato albo. La spesa pubblica è quella relativa alla provvista dei mezzi finanziari necessari all’ente delegato dall’ordinamento al controllo dell’albo specifico nell’esercizio della funzione pubblica di tutela dei cittadini potenziali fruitori delle prestazioni professionali degli iscritti circa la legittimazione di quest’ultimi alle predette prestazioni». Questa pronuncia è salutata come una conferma della giurisprudenza costituzionale sulla rilevanza determinate ai fini della nozione di tributo del dato funzionale a fronte dell’irrilevanza del dato nominalistico. Non indenne da critiche tuttavia è stato il passaggio motivazionale in cui la Suprema corte ha giustificato la sussistenza di un presupposto economicamente rilevante con la semplice iscrizione all’albo professionale «trattandosi di un atto neutro sotto il profilo economico e pertanto inidoneo alla configurazione del tributo»47. Parte della dottrina48 vi ha, inoltre, letto una nuova prospettiva di riconoscimento della natura tributaria in genere per tutti i sistemi di solidarietà circoscritta, ancorché previdenziali e strutturalmente mutualistici. Tuttavia più di recente la Cass., S.U.49, «ha escluso che il contenzioso tributario abbia qualsivoglia attinenza con le vertenze sulla contribuzione previdenziale» dichiarando la giurisdizione del giudice ordinario. In tale occasione la Corte ha affermato che «in tali controversie, del resto, manca completamente un atto qualificato, che rientri nelle tipologie di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, o che sia ad esse assimilabili (Cass., S.U., 5.6.2017, n. 13913), ovverosia un atto che possa ricondursi alla autorità fiscale e all’amministrazione finanziaria, nonché, più in generale, all’esercizio del potere impositivo sussumibile in quello schema potestà-soggezione che è proprio del rapporto tributario». Trattasi quest’ultima di un’espressione già più volte utilizzata dalla Cassazione50 per confermare la giurisdizione del giudice ordinario in merito alla definizione dei rapporti tra sostituto e sostituito, trattandosi di «un rapporto di tipo privatistico, cui resta estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario». In entrambi casi l’argomentazione della Corte sembra ispirata da ragioni sistematiche volte ad espungere dall’ambito di una giurisdizione ampia, ma costituzionalmente limitata, ciò che ne è estraneo. Lo schema evocato può tra l’altro echeggiare all’esclusione di una modificazione sinallagmatica (secondo l’interpretazione sopra prospettata) e a una coattività del prelievo funzionalizzata attraverso l’evocato rapporto di soggezione, tuttavia esso trapela uno “strutturale” scarto di prospettiva rispetto alla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Non del tutto allineata appare del resto anche la recente pronuncia della Cassazione51 in tema sovracanone per i bacini imbriferi montani. Affermato che essi configurano una «prestazione patrimoniale imposta a fini solidaristici» è stata loro riconosciuta «natura tributaria». Pertanto la chiara struttura solidaristica del prelievo, soggettivamente circoscritta, non è stata considerata ostativa al riconoscimento di una destinazione dello stesso a finalità di fiscalità generale52. Appare allora significativo porre a confronto questa ricostruzione con quella costituzionale in tema di consorzi di bonifica. Con la sent. n. 188/2018 la Corte costituzionale, anche preso atto dell’evoluzione della giurisprudenza di merito e di legittimità, ha affermato che «il contributo consortile di bonifica ha natura tributaria, conformemente alla sua struttura non sinallagmatica, e costituisce un contributo di scopo. Questo essendo ormai il punto d’arrivo del diritto vivente, deve conseguentemente identificarsi un vero e proprio potere impositivo del consorzio nei confronti dei consorziati sul presupposto della legittima inclusione del bene immobile nel comprensorio di bonifica e del ‘beneficio’ che all’immobile deriva dall’attività di bonifica […] il beneficio per il consorziato-contribuente deve necessariamente sussistere per legittimare l’imposizione fiscale; esso però consiste non solo nella fruizione, ma anche nella fruibilità, comunque concreta e non già meramente astratta, dell’attività di bonifica, che, in ragione del miglioramento che deriva all’immobile del consorziato, assicura la capacità contributiva che giustifica l’imposizione di una prestazione obbligatoria di natura tributaria»53.
1 Fedele, A., La nozione di tributo e l’art. 75 cost., in Giur. cost., 1995, 23 ss.; Fransoni, G., La nozione di tributo nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Perrone, L.Berliri, C., a cura di, Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006, 123; Fedele, A., La definizione del tributo nella giurisprudenza costituzionale, in Riv. dir. trib., 2018, I, 1; Gallo, F., L’enciclopedia del diritto e l’evoluzione del diritto tributario, in Giur. comm., 2009, 553, par. 2.
2 C. cost., 30.7.2018, n. 167, p. 4.3 del considerato in diritto.
3 Fedele, A., ult. op. cit., 4.
4 Cfr. C. cost., 6.2.1969, n. 6 e C. cost., 10.2.1969, n. 10 (sentenze di inammissibilità); successivamente C. cost., 3.8.1976, n. 215 e 24.11.1982, n.196.
5 La C. cost., 14.3.2008, n. 64, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 2, co. 2, nella parte in cui stabilisce che «appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche previsto dall’art. 63 del d.lgs. 15.12.1997, n. 446, e successive modificazioni». La stessa C. cost., 11.2.2010, n. 39, ha dichiarato: a) l’illegittimità dello stesso co. 2, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza, a partire dal 3.10.2000, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale disciplinato dagli artt. 13 e 14 della l. 5.1.1994, n. 36; b) ai sensi dell’art. 27 della l. 11.3.1953, n. 87, l’illegittimità del secondo periodo del presente comma, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza, a partire dal 29.4.2006, del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, quale disciplinato dagli artt. 154 e 155 del d.lgs. 3.4.2006, n. 152. La C. cost., 14.5.2008, n. 130, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dello stesso co. 2 nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria.
6 Cfr. C. cost., 14.5.2008, n. 130 che al punto 3.2 del considerato in diritto ha ricordato che «‘la giurisdizione tributaria deve essere considerata un organo speciale di giurisdizione preesistente alla Costituzione’ (sentenza n. 64 del 2008). Ha, poi, riconosciuto che l’oggetto di tale giurisdizione, così come la disciplina degli organi speciali, ben possano essere modificati dal legislatore ordinario, il quale, tuttavia, incontra precisi limiti costituzionali consistenti nel ‘non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisprudenza speciale) le materie attribuite’ a dette giurisdizioni speciali e nell’assicurare ‘la conformità a Costituzione’ delle medesime giurisdizioni (ordinanza n. 144 del 1998). ‘Da tale giurisprudenza si desume che il menzionato duplice limite opera con riferimento ad ogni modificazione legislativa riguardante l’oggetto delle giurisdizioni speciali preesistenti alla Costituzione (sia in sede di prima revisione, sia successivamente) e, altresì, che il mancato rispetto del limite di ‘non snaturare’ le materie originariamente attribuite alle indicate giurisdizioni si traduce nell’istituzione di un ‘nuovo’ giudice speciale, espressamente vietata dall’art. 102 Cost. L’identità della ‘natura’ delle materie oggetto delle suddette giurisdizioni costituisce, cioè, una condizione essenziale perché le modifiche legislative di tale oggetto possano qualificarsi come una consentita ‘revisione’ dei giudici speciali e non come una vietata introduzione di un ‘nuovo’ giudice speciale’ (ancora sentenza n. 64 del 2008)». In argomento si rinvia a Fedele, A., La Corte ritorna sulla definizione di tributo e sui limiti alla sua legittimità costituzionale, in Giur. cost., 2017, 3106.
7 C. cost., 8.3.2018, n. 52, p. 4.1 del considerato in diritto ove è stato precisato che la positiva verifica dell’ammissibilità della questione, in ragione delle argomentazioni del rimettente circa il giudicato sulla giurisdizione «e le ragioni della stessa, non escludono tuttavia il potere di questa Corte di valutare la correttezza della premessa interpretativa da cui muove il rimettente il quale, pertanto, non era sollevato dall’onere di motivare in ordine alle ragioni della natura tributaria del prelievo previsto dalle norme regionali censurate».
8 Fransoni, G., ult. op. cit., 125.
9 C. cost., 16.12.1960, n. 70.
10 C. cost., 9.3.1992, n. 92 e C. cost., 30.3.1992, n. 144.
11 C. cost., 12.1.1995, n. 2.
12 Fedele, A., La nozione di tributo e l’art.75 cost., in Giur. cost., 1995, 24.
13 Così C. cost., 28.6.2002, n. 284 in materia di canone RAI a chiudere il precedente filone relativo ad un diverso assetto legislativo (cfr. C. cost., 8.6.1963, n. 81; C. cost., 12.5.1988, n. 535). Per riferimenti giurisprudenziali più recenti in merito ad un criterio oggettivo di individuazione di spesa pubblica sia consentito il rinvio a Mastroiacovo, V., L’uguaglianza di capacità contributiva nella prospettiva della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2013, 3602, nt. a C. cost., 5.6.2013, n. 116.
14 Così Fransoni, G., op. cit., 126.
15 Cfr. C. cost., 6.7.2007, n. 256 ove si afferma che, quanto alla doverosità della decurtazione patrimoniale, tale «requisito è soddisfatto in quanto essa grava sull’intero mercato di riferimento, senza alcuna relazione diretta con il godimento di specifici servizi ed in difetto di un rapporto sinallagmatico tra prestazione e beneficio percepito dal singolo».
16 C. cost., 11.2.2005, n. 73.
17 C. cost. n. 256/2007; C. cost., 4.3.2008, n. 47; C. cost. n. 64/2008; C. cost., 8.5.2009, n. 141; C. cost., 24.9.2009, n. 238; C. cost., 20.5.2010, n.182; C. cost., 28.10.2011, n. 280.
18 C. cost., 12.12.2013, n. 304.
19 Cfr. C. cost., 17.12.2013, n. 310; C. cost., 4.6.2014, n. 154; C. cost., 18.7.2014, n. 219; C. cost., 30.4.2015, n. 70; C. cost., 7.7.2015, n. 131; C. cost., 23.7.2015, n. 178; C. cost., 13.7.2016, n.173; C. cost., 5.4.2016, n. 96; C. cost., 10.11.2017, n. 236; C. cost., 1.12.2017, n. 250; C. cost., 14.12.2017, n. 269; C. cost. n. 52/2018; C. cost., 26.4.2018, n. 89; C. cost. n. 167/2018.
20 Fantozzi, A., Diritto tributario, Torino, 1991, 44. In una diversa (non ontologica) concezione della coattività del tributo si rinvia a Fedele, A., Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005, 18; Fransoni, G., Discorso intorno al diritto tributario, Pisa, 2017, 24.
21 Cfr. C. cost., n. 89/2018 al punto 7.7 del considerato in diritto ove si afferma che «il canone in oggetto, principalmente caratterizzato da tale peculiare connotazione indennitaria, è dunque privo della funzione genericamente contributiva al bilancio degli enti interessati o commutativa di un servizio, che caratterizza i tributi».
22 Fedele, La definizione di tributo, cit., 10.
23 Cfr. la già citata C. cost., 8.10.2012, n. 213 sull’indennità integrativa spettante ai magistrati o alla sent. n. 116/2013 relativa ai trattamenti pensionistici corrisposti da enti della previdenza obbligatoria.
24 Cfr., ad es., p. 5 del considerato in diritto della sent. 4.12.2013, n. 303 relativa al cd. blocco della progressione stipendiale per i diplomatici, ove la Corte ha affermato che «la norma censurata, sulla base degli indici ora riportati, non ha natura tributaria in quanto non prevede una decurtazione o un prelievo a carico del dipendente pubblico. Pertanto, in assenza di una decurtazione patrimoniale o di un prelievo della stessa natura a carico del soggetto passivo, viene meno in radice il presupposto per affermare la natura tributaria della disposizione. Inoltre, viene a mancare anche il requisito relativo all’acquisizione delle risorse al bilancio dello Stato, in quanto la disposizione non realizza un’acquisizione che, anche in via indiretta, venga a fornire copertura a pubbliche spese, ma determina un risparmio di spesa».
25 Si tratta delle già citate sentenze C. cost., nn. 304/2013 e 310/2013, 154/2014, 219/2014 e 70/2015 in cui proprio il vaglio degli elementi indefettibili ha portato a negare, nella specie, la natura tributaria della misura sottoposta all’esame della Consulta.
26 In questo senso sembra argomentare la C. cost. n.167/2018, in relazione al prelievo finalizzato al fondo servizi antincendi negli aeroporti, al punto 4.2 del considerato in diritto.
27 Cfr. C. cost., n. 236/2017 ove la Corte ha precisato che «è di tutta evidenza, dunque, che le modifiche introdotte dalla novella incidono, modificandolo, sul sinallagma contrattuale, perché il diritto alle propine viene modulato differentemente in ragione del rendimento degli avvocati dipendenti: non si risolvono, dunque, esclusivamente in una decurtazione patrimoniale, così da condurre la fattispecie al di fuori dei casi di imposizione tributaria anomala e implicita, in altre occasioni riscontrati da questa Corte».
28 Cfr. C. cost., 6.12.2016, n. 281 (tassa di sbarco); nonché da ultimo C. cost., 25.9.2018, n. 188 che in tema di contributo di bonifica ha affermato che «il beneficio che giustifica l’assoggettamento a contribuzione consortile non è legato, con nesso sinallagmatico di corrispettività, all’attività di bonifica, come sarebbe se si trattasse di un canone o di una tariffa, che invece tale nesso sinallagmatico presuppongono; con riferimento proprio a una prestazione patrimoniale di natura non tributaria questa Corte (sent. n. 335/2008) ha dichiarato incostituzionale la previsione di debenza della tariffa riferita al servizio di depurazione ‘anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi’».
29 Cfr. C. cost., n. 269/2017 ove al p. 9 del considerato in diritto è stato precisato che «il contributo dovuto all’AGCM sulla base dell’art. 10, commi 7ter e 7quater [della legge 10/10/1990, n. 287, aggiunti dall’art. 5bis, c. 1°, del decretolegge 24/01/2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24/03/2012, n. 27], non è giustificato da alcun rapporto negoziale con l’Autorità indipendente, ma configura una prestazione patrimoniale imposta dalla legge a favore della medesima Autorità, che dispone di poteri coercitivi per imporre il pagamento. Esso ha, quindi, carattere coattivo e prescinde completamente da qualsiasi rapporto sinallagmatico con l’Autorità, alla quale è dovuto indipendentemente dal fatto che il contribuente sia stato destinatario dei poteri dell’ente o abbia beneficiato della sua attività».
30 Cfr. C. cost., 22.11.2016, n. 7 relativa alle riduzioni di spesa previste per legge per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza per i dottori commercialisti versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, in merito alla quale avevamo osservato che «resta tuttavia in modo ingombrante sullo sfondo, la reiterata affermazione, nelle considerazioni in diritto, sul carattere di neutralità finanziaria di tale prelievo nell’ambito della manovra complessiva, in ragione della natura pubblica dei soggetti che partecipano al bilancio aggregato dello Stato» (in Mastroiacovo, Le differenti ragioni dell’irragionevolezza di un prelievo forzoso a favore dell’Erario, in Giur. cost., 2017, 58; si rinvia inoltre a Boria, P., L’illegittimità costituzionale del tributo da «spending review», in Riv. dir. trib., 2017, II, 196).
31 Per tutti si rinvia a Puri, P., Destinazione previdenziale e prelievo tributario: dalla parafiscalità alla fiscalizzazione del sistema previdenziale, Milano, 2005, 115; Boria, P.Puri, P., Welfare e previdenza: il benessere dietro l’angolo : idee per una riforma dell’ordinamento italiano della previdenza e della sicurezza sociale, Roma, 2012, 75.
32 Cfr. oltre par. 3.
33 Tra molti si rinvia a Fabozzi,R., Perequazione, contributo di solidarietà ed esigenze di bilancio: in difficile equilibrio, in Giur. cost., 2016, 1847; Pepe, G., La solidarietà intergenerazionale quale strumento di giustizia redistributiva. Commento a Corte costituzionale n. 173 del 2016, in www.ambientediritto.it, 2016.
34 Nello stesso senso cfr. da ultimo C. cost., n. 67/2018 ove la Corte ha affermato che «l’obbligazione contributiva dell’assicurato iscritto alla Cassa trova fondamento nella prescritta tutela previdenziale del lavoro in generale (art. 38, secondo comma, Cost.) e si giustifica nella misura in cui è diretta a realizzare tale finalità, la quale segna anche il limite della missione assegnata alla Cassa. Diversa è l’obbligazione tributaria che si fonda sulla ‘capacità contributiva’ (art. 53, primo comma, Cost.) e che non ha necessariamente una destinazione mirata, bensì si raccorda al generale dovere di concorrere alle ‘spese pubbliche’ e può anche rispondere a finalità di perequazione reddituale nella misura in cui opera il prescritto canone di progressività del sistema tributario (art. 53, secondo comma, Cost.). Stante questa differenziazione, la contribuzione dovuta alla Cassa, fin quando assicura l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici alle esigenze di vita, anche con un indiretto effetto di perequazione, non eccede la solidarietà categoriale di natura previdenziale, in quanto ‘volta a realizzare un circuito di solidarietà interno al sistema previdenziale’ (sentenza n. 173 del 2016), né trasmoda in un’obbligazione ascrivibile invece alla fiscalità generale e quindi di natura tributaria».
35 Cfr. C. cost. n. 188/2018 ove si afferma che il contributo di bonifica è «un tributo che può definirsi di scopo, almeno in senso lato, perché destinato ad alimentare la provvista del Consorzio per poter realizzare le opere di bonifica» ovverosia opere di interesse generale a cura di un ente che non è propriamente riconducibile a un ente pubblico.
36 Cfr. C. cost. n. 223/2012 ove si precisa che «l’assenza di una espressa indicazione della destinazione delle maggiori risorse conseguite dallo Stato non esclude che siano destinate a sovvenire pubbliche spese, e, in particolare, a stabilizzare la finanza pubblica, trattandosi di un usuale comportamento del legislatore quello di non prevedere, per i proventi delle imposte, una destinazione diversa dal generico ‘concorso alle pubbliche spese’ desumibile dall’art. 53 Cost. Nella specie, tale destinazione si desume anche dal titolo stesso del decretolegge: ‘Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica’, in coerenza con le finalità generali delle imposte».
37 Così C. cost. n. 173/2016, p. 9 del considerato in diritto.
38 Il riferimento è alla già citata C. cost. n. 7/2016.
39 Così Mastroiacovo, V., Le differenti ragioni, cit., 60; Boria, P., op. cit., 196.
40 C. cost. n. 256/2007.
41 Correttamente la dottrina ha posto l’interpretazione di tale profilo in stretta correlazione con l’individuazione della ratio stessa del tributo; si veda Fedele, A., La definizione di tributo, cit., 14, con richiami anche alla cd. Robin Hood Tax su cui C. cost., 11.2.2015, n. 10.
42 Per completezza si veda C. cost. n. 269/2017 in tema di contributi AGCM ove al p. 9.2 del considerato in diritto si afferma che «la contribuzione è connessa a un presupposto economico, essendo commisurata al volume di fatturato che viene assunto a indice di capacità contributiva». Analogamente cfr. C. cost. n. 167/2018, p. 4.2 del considerato in diritto.
43 Così C. cost., 2.4.1964, n. 30; C. cost., 17.4.1968, n. 23; C. cost., 3.3.1972, n. 41; C. cost., 20.4.1977, n. 62. Da ultimo la questione, pur stemperata dall’introduzione del contributo unificato considerato dalla Corte costituzionale avente natura tributaria e in quanto tale verificabile ex art. 53 cost. (C. cost., 28.3.2008, n. 73), mantiene la sua rilevanza sistematica. Si rinvia a Fedele, A., La definizione di tributo, cit., 17.
44 Così C. cost. n. 167/2018.
45 Cass., S.U., 24.6.2005, n. 13549.
46 Cass., S.U., 26.1.2011, n. 1782 e Cass., S.U., 10.3.2011, n. 5689.
47 Così Marini, G., La nozione di tributo, in Libro dell’anno del diritto 2012, Roma, 2012, 548. Al riguardo si osserva che questa dottrina appunta la propria critica in ragione dell’assenza di capacità contributiva nell’iscrizione all’albo, mentre a nostro avviso – coerentemente con quanto sopra accennato – l’eventuale criticità doveva essere evidenziata in ragione dell’irragionevolezza dell’inferenza avuto riguardo alla disciplina del tributo.
48 Puri, P., Contributo all’albo come tributo: verso una nozione generica di prestazione imposta?, in Corr. trib., 2011, 2041, il quale ritiene che le conclusioni raggiunte dalla Corte in un ambito commutativo possano dunque spingersi oltre: «nella contribuzione previdenziale non vi è alcun vantaggio individuale ma coincidenza tra interesse pubblico e interesse dei soggetti protetti poiché la tutela previdenziale è una funzione sociale dello Stato, un’espressione della solidarietà del sistema».
49 Cass., S.U., 3.11.2017, n. 26149.
50 Cass., S.U., 20.9.2016, n. 18396; conformi Cass., S.U., 18.4.2014, n. 9033; Cass., S.U., 26.6.2009, n. 15032; Cass., S.U., 8.4.2010, n. 8312.
51 Cass., S.U., 23.1.2018, n. 1657.
52 Osserva infatti la Corte che l’art. 1, co.14, l. 27.12.1953, n. 959) prevede la destinazione del sovracanone ad un fondo comune gestito dai consorzi per finalità di promozione dello sviluppo economico e sociale delle popolazioni interessate e per la realizzazione delle opere che si rendano necessarie per rimediare alle alterazioni del corso naturale delle acque causata dalla loro regimazione artificiale.
53 Cfr. Cass., S.U., 26.1.2011, n. 1780 sul contrassegno SIAE quale imposta di scopo.