tricordo
L'aggettivo ricorre, nell'ambito di una similitudine, in Pd XXIX 24 Forma e materia, congiunte e purette, / usciro ad esser che non avia fallo, / come d'arco tricordo tre saette: forma pura, materia pura e forma congiunta a materia, create da uno stesso atto di Dio, uscirono simultaneamente a un'esistenza perfetta, come tre frecce scagliate contemporaneamente da un arco con tre corde.
L'immagine dell'arco tricordo da cui partono le tre saette, usata a raffigurare il triforme effetto (v. 28) dell'atto creatore, con l'insistenza sul ‛ tre ', sembra ideata da D. per rendere insieme la simultaneità e l'istantaneità della creazione. Non si opporrebbe a tale interpretazione (che è quella di B. Nardi, Il c. XXIX del Paradiso, in Lect. Romana, 1956, 12-13, e di S. Pasquazi, in Lect. Scaligera III 1040) la chiosa del Buti: " come si gitterebbono da uno arco che avesse tre corde tre saette, ad una ora, quando si saettasse ", né quella generica di Benvenuto: " ab arcu habenti tres chordas ". Alla reale esistenza di tali archi si richiama invece il Lana " fansi archi c'hanno tre corde e saettano insieme tre saette, così balestre che saettano bolcioni e quadrelli " e alla sua chiosa fanno riferimento Casini-Barbi, Rossi-Frascino, Scartazzini, Porena, nel sostenere il realismo dell'immagine dantesca.
Nel commento di Pietro al passo dantesco si legge: " Augustinus in XI de Civitate Dei: ‛ sic ergo credant et mundum ex tempore fieri potuisse, nec tamen ideo Deum in eo faciendo aeternum consilium voluntatemque mutasse '. Quia Deitas et Trinitas, ut arcus trichordis, simul hoc fecit... ". Il Torraca, il Momigliano e il Mattalia, basandosi sull'inesatta corsivazione che, nel testo a stampa di Pietro, comprende anche le frasi successive alla citazione di s. Agostino (Civ. XI 4) - nonostante la segnalazione dell'errore fatta da V. Nannucci a p. CXXVIII dell'edizione del commento (Firenze 1845) - considerano l'immagine dantesca come derivata direttamente da s. Agostino, senza rendersi conto che " arcus trichordis " si trova in un'evidente parafrasi che Pietro fa del testo dantesco, posta a seguito della citazione.