TRIESTE (A. T., 22-23)
Città della Venezia Giulia, capoluogo di provincia; si affaccia sull'omonimo golfo nell'alto Adriatico tra la Valle di Zaule a sud e il Promontorio di Miramare, guardato dallo storico castello, a nord-ovest. Si estende la città nei brevi tratti pianeggianti, sistemati dalla mano dell'uomo, e s'inerpica su per le pendici dell'altipiano carsico, che incombe con ciglio precipite, insinuandosi nelle vallate più o meno ampie, che intersecano il rilievo. Per la sua posizione geografica Trieste gode di un clima mediterraneo temperato, con una temperatura media annua di 14°; gl'inverni sono miti (4°,5 in gennaio); calde le estati (24°,2 in luglio) con minimi e massimi assoluti accentuati (−16° e +35°). Le precipitazioni sono abbondanti, pari a 1099 mm. annui, distribuiti in ogni mese dell'anno, ma con prevalenza del periodo autunnale, mentre la maggiore siccità si riscontra durante l'inverno. Scarsa è la neve, con una frequenza media annua di 6,4 giornate. Venti prevalenti sono lo scirocco, vento caldo e umido, causa di violente mareggiate, e la famosa bora, freddo e secco, che proviene dall'interno, con velocità straordinarie, raggiungendo persino i 150-160 km. orarî: è un vento tipicamente invernale, che riesce nelle giornate di maggior furia a paralizzare quasi completamente la vita della città.
Trieste offre un esempio significativo di quanto possano le influenze fisico-antropiche sullo sviluppo di un grande centro. La città sorge nell'estremo lembo nord-occidentale della zona arenacea dell'Istria pedemontana, impermeabile, onde a differenza del soprastante altipiano, l'idrografia è superficiale e ha inciso i rilievi, frastagliandoli in colli più o meno isolati, individuando numerosi speroni, formando con le alluvioni zone pianeggianti costiere, di cui la più vasta è quella che si estende fra il Colle di S. Giusto e le pendici della collina di Scorcola, sulla quale si è andata sviluppando la "Città Nuova".
Incerte sono le origini del centro: è certo in ogni modo che esso sorgesse ai piedi del Colle di S. Giusto, in diretto rapporto con lo sfruttamento delle numerose saline e abbastanza ben riparato dallo scirocco e dalle raffiche della bora.
Con la conquista di Roma, il porto assunse sviluppo considerevole. I secoli successivi non portarono gran mutamento alla città. Circondata da campagne coltivate e da saline, Trieste lotta per l'espandersi del suo commercio, ostacolato dalle vicine città italiane, favorite dal dominio di Venezia, mantenendo per altro le caratteristiche di emporio locale.
Al principio del secolo XVIII Trieste contava circa 600 case con 5700 ab., su una superficie di 34 ettari, corrispondente press'a poco all'attuale "Città Vecchia" (II distretto urbano). La proclamazione del porto franco, per opera di Carlo VI d'Asburgo (1719), segna una data fondamentale nella storia triestina. La città incominciò a estendersi a nord delle mura, al posto delle saline, di cui riproduceva nella rete delle vie il disegno geometrico: il nuovo quartiere fu chiamato "Borgo Saline" o "Città Nuova" (III distretto urbano). Lo sviluppo del traffico, il rapido decadimento di Venezia, i provvedimenti di Carlo VI e di Maria Teresa portarono a un aumento notevole del centro; nel 1788 venne incorporato il Borgo Ss. Martiri (I distretto); nel 1796 vennero aggregati alla città alcuni terreni di Chiadino (V distretto). In quell'anno la popolazione toccava i 27.000 ab., di cui 20.000 nella città. Dopo la bufera napoleonica, l'ascesa riprende tanto che nel 1824 si superano i 50.000 ab.; nel 1840 gli 80.000. È un periodo di fervida attività: si apre la strada per Opicina, si fondano la Società di Navigazione del Lloyd Austriaco (poi Triestino; 1836); le due grandi società di assicurazione, le Assicurazioni Generali (1831) e la Riunione Adriatica di Sicurtà (1838). Il ritmo si accentua nella seconda metà del secolo: nel 1857 giunge a Trieste la ferrovia e si fonda lo Stabilimento Tecnico Triestino; si ampliano le opere portuarie per il traffico ognora crescente. Tra il 1869 e il 1883 si costruisce il Porto Nuovo (ora Vittorio Emanuele lII) ampliato poi nel 1893; in quell'anno si fonda il parco ferroviario di Barcola, si creano il porto del petrolio a S. Sabba e uno scalo legnami a S. Andrea. Abolito nel 1891 il porto franco, incominciò un'epoca di floridezza per le industrie e nelle zone ancora disabitate a sud della città sorsero nuovi stabilimenti (raffinerie di olî minerali, pilatura del riso), mentre cantieri e ferriere aumentavano la loro attività: la popolazione sale da 123.000 nel 1869 a 155.471 nel 1890; a 176.383 nel 1900. Tra l'inizio del sec. XX e lo scoppio della guerra mondiale si compirono due opere fondamentali: nel 1901 s'iniziano i lavori del Porto Nuovo di S. Andrea (ora duca d'Aosta); si allargano le rive del porto doganale; si crea un nuovo porto del legname a Servola; nel 1907 si costruisce la tanto attesa ferrovia transalpina o di Piedicolle, atta a congiungere il porto con i paesi del medio e alto Danubio. Lo scoppio della guerra mondiale vede Trieste all'apice della sua floridezza economica e del suo sviluppo demografico (247.099 ab. nel 1913). La guerra italo-austriaca porta un collasso pauroso, tanto che nel 1917 gli abitanti erano soltanto 160.000. La vittoria italiana fa ritornare Trieste irredenta nel grembo della patria: la rinascita si fa sentire e la città si estende con i suoi fabbricati verso la plaga di Montebello, verso Cologna, sul colle di S. Andrea, e sulle pendici di S. Giacomo che guardano Muggia, mentre verso nord la città ha ormai raggiunto il centro di Roiano. Si rinnova il porto deserto e crollante, si crea la Stazione Marittima sul Molo dei Bersaglieri, si porta un riassetto edilizio imponente soprattutto nel quartiere Oberdan e nella Città Vecchia.
La popolazione complessiva sale da 238.655 ab. nel 1921 e 249.574 nel 1931 (di cui 2241 sparsi per la campagna), a 252.238 nel 1936, per cui oggi Trieste è al 10° posto tra le grandi città italiane. Si nota uno spiccato decentramento demografico a favore delle zone periferiche causato dall'ubicazione dei nuclei industriali, dal rilevante numero delle nuove costruzioni, dallo smantellamento di aree centrali.
La città può venire distinta a seconda del suo aspetto in varie zone: il nucleo primitivo (Città Vecchia) ha vie strette, tortuose, case basse; il distretto della Città Nuova ha reticolato regolare ed è sede dei più importanti uffici pubblici. La parte industriale si estende invece lungo la spiaggia che guarda il vallone di Muggia, spingendosi fino a S. Sabba. Per allacciare questa parte con il resto della città sono state aperte due gallerie, percorse da tramvie. La zona dei sobborghi si arrampica su tutte le pendici arenacee alle spalle della città, toccando Barcola. Essa non raggiunge il vertice di nessuna collina e non supera come massa unita la isoipsa di m. 180: in genere si nota nello sviluppo urbano la fuga costante dalle alture e a questo si deve l'aspetto digitato dell'aggregato cittadino.
Una profonda differenza si nota tra la città, il suburbio e l'altipiano anche nei riguardi della densità demografica. Accanto a un valore medio di 2595 ab. per kmq., sta la città vera e propria con 23.890, seguita dai distretti suburbani (2556); infine la zona agricola per eccellenza con soli 158 individui per kmq. Ma anche in seno all'agglomerato cittadino le differenze sono sensibili, ché le maggiori densità si avvertono nei distretti Città Vecchia, Barriera Nuova e Vecchia, S. Giacomo, con il massimo di quest'ultimo (55.761 individui per 100 ettari); S. Vito, con vaste aree non fabbricate, grandi impianti ferroviarî e portuali ha solo 8868 abitanti per km. e la Città Nuova, ricca di uffici, 15.522.
L'aumento demografico triestino è causato principalmente dal fattore immigratorio, ché l'eccedenza delle nascite sulle morti si è sempre mantenuta molto modesta (0,6 per mille negli anni 1926-1930). Trieste, nel periodo della sua maggiore floridezza, fu un crogiuolo di popoli diversi e ancora adesso, benché il flusso immigratorio sia diminuito di molto, l'eterogeneità delle origini traspare evidente. Prima della guerra mondiale, le regioni che più contribuivano al flusso immigratorio erano il Goriziano, la Carniola, l'Istria: il contributo istriano fu sempre ragguardevole, sia per qualità, sia per numero. Dopo l'armistizio, il flusso immigratorio si è notevolmente contratto a favore principalmente della patria, che inviò nella città redenta soprattutto impiegati e professionisti (ferrovieri, funzionarî statali, insegnanti, avvocati, medici, ecc.). Nel 1931 su 249.574 individui risultavano nati in Trieste o in comuni dello stesso compartimento 185.100 persone (740‰); nati in altri compartimenti 49.040 (196‰) con i valori principali del Veneto (18.106), delle Puglie (7160) della Sicilia (3253) dell'Emilia (3084), della Lombardia (2581), ecc. Erano nati all'estero 15.314 individui. Per il suo carattere eminentemente commerciale e per le vicende politiche trascorse, Trieste è ancor oggi il comune italiano che alberga il maggior numero di stranieri. Nel 1931 essi erano 8780, di cui 7251 con dimora abituale. I nuclei più rappresentati erano gli Iugoslavi (2500), gli Austriaci (1300), i Cecoslovacchi (683), i Nordamericani (Stati Uniti, 497), ecc.
Il pertinace tentativo di snazionalizzare la compagine italiana a Trieste, perpetrato per decennî dal governo austriaco, non sortì effetto, ché anzi si assiste, anche nell'anteguerra alla diminuzione costante dei parlanti linguaggi alloglotti, sopra tutto nei riguardi dello sloveno e del serbo-croato. La maggior compagine alloglotta slava si avverte sull'altipiano, ma essa scende dal 97,9% nel 1875 al 60,6% nel 1921; nel suburbio 45,9% e 17,7% rispettivamente, mentre la città ha sempre avvertito valori minimi (3,7% e 1,3%). La preminenza dell'altipiano e del suburbio è spiegata dal carattere essenzialmente agricolorurale di gran parte della zona, dove furono fissate dal governo austriaco numerosissime famiglie slave, carattere mantenuto fino in tempi recenti, fino a quando lo sviluppo del centro cittadino non ha incominciato a incorporare queste borgate a contatto diretto con la campagna.
La città ha una fisionomia spiccatamente industriale e commerciale. Nel 1927 la grande industria impiegava 49.364 addetti in 3628 aziende: emergono le industrie siderurgiche (ferriere) e meccaniche (soprattutto costruzioni navali) con 9627 operai. I cantieri triestini hanno dato, dal 1922 al 1933, 101 navi mercantili per 675.000 tonnellate e 28 navi da guerra per 48.000 tonnellate. Hanno anche grande importanza le industrie alimentari e chimiche (oleifici, pastifici, risifici, lavorazione delle sardine in scatola, manipolazione del caffè, produzione di olî minerali, ecc.), le manifatture tabacchi, le industrie tessili (iutificio), l'industria della carta (fabbriche di carte da giuoco, cartine per sigarette), l'editoria. Attiva è anche la pesca, che occupava (nel 1927) 232 persone.
Ma la vera ragion d'essere per Trieste è il porto. Il suo retroterra economico si estende non soltanto in tutta la Venezia Giulia, ma valica il confine politico, comprende tutta la Iugoslavia settentrionale (Slovenia), l'Austria ad eccezione del Tirolo; si spinge in Germania (Baviera, fino a Monaco) e in gran parte della Cecoslovacchia. Quando questi territorî appartenevano quasi interamente alla ex-monarchia austro-ungarica, l'unità politica non poté che favorire il porto di Trieste contróbilanciando le concorrenze dei porti nordici, soprattutto di Amburgo, infinitamente meglio situato per intrinseche condizioni naturali. Quando invece l'unità politica fu spezzata, il retroterra economico fu diviso in tante unità indipendenti, che non sempre hanno favorito il commercio triestino.
Il porto consta di tre parti distinte: a nord il porto franco Vittorio Emanuele III, con 45 ettari di superficie; al centro il Porto Vecchio o Porto Doganale sede del traffico locale per merci e passeggeri, con la modernissima Stazione Marittima (Molo dei Bersaglieri); a sud, separato dall'accentuata penisola ove sorge la stazione di S. Andrea, il porto franco Duca d'Aosta (43 ettari di superficie): moli, banchine (circa 7000 m. di sviluppo); gru, impianti ferroviarî, silos, completano il quadro portuale, uno dei meglio attrezzati del mondo.
Il traffico complessivo in mare fu di 2,1 milioni di tonnellate annue nel periodo 1901-1905; tocca il massimo, non più raggiunto, di 3,1 nel 1911-13. Durante la guerra mondiale si ha un tracollo (16.435 tonnellate nel 1916). Le sorti si risollevano dopo l'armistizio: da 1,5 milioni di tonnellate nel periodo 1919-21 si sale a 2,2 milioni negli anni 1930-34. Trieste passa quindi al terzo posto come traffico dí merci, dopo Genova e Venezia, mentre mantiene il primo posto per il numero delle navi entrate e uscite (media di 34.350 unità all'anno nel periodo 1930-34, con un tonnellaggio di 10,4 milioni, di contro a 19.821 unità e 5,4 milioni di tonnellate di stazza nel periodo 1901-o5).
Il traffico marittimo per l'importazione riguarda soprattutto carbon fossile, proveniente dalla Gran Bretagna, dalla Germania, dall'Olanda; olî minerali (Romania e Russia in prevalenza); minerali metallici, ceneri, scorie, soprattutto dall'interno e dalla Grecia; semi e frutti oleosi in assoluta prevalenza dall'India Inglese e dalla Cina; cotone greggio dagli Stati Uniti, dall'India e dall'Egitto, frutta secche e ortaggi principalmente dall'interno; agrumi dall'interno; riso dall'India; caffè dal Brasile. I principali articoli esportati via mare sono carte, cartoni, prodotti delle arti grafiche diretti nel regno e soprattutto nel Levante mediterraneo; ghisa, ferro, acciaio, soprattutto verso l'Italia e i paesi dell'Estremo Oriente; cereali, principalmente diretti all'interno; legname assorbito massimamente nel regno, in fortissima diminuzione rispetto all'anteguerra; zuccheri diretti principalmente nel Levante mediterraneo (grande contrazione rispetto al 1913); magnesite verso la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, ecc. Questa funzione di Trieste come collegamento della madre patria con i paesi del vicino ed estremo Oriente, è stata facilitata da numerose e potenti società di navigazione, quali la Cosulich, che attualmente fa parte del gruppo Italia, il Lloyd Austriaco poi Triestino, fondato nel 1836, cui si sono aggiunte la Sitmar e la Marittima Italiana (267.000 tonnellate lorde); la Navigazione Libera Triestina; la Tripcovich, ecc. Nel 1933 erano iscritte al porto di Trieste 145 navi per un tonnellaggio complessivo di 587.000 tonnellate lorde appartenenti a 16 società.
Al traffico per via mare si deve aggiungere quello ferroviario, che nel periodo 1930-34 è stato di 1,6 milioni di tonnellate annue (1,7 nel periodo 1901-05; massimo nel 1924 con 2,98 milioni). I paesi maggiormente interessati sono quelli dell'immediato retroterra economico (Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Iugoslavia, Germania). Numerose linee ferroviarie irraggiano da Trieste, dotata di due stazioni per passeggeri (Trieste Centrale e Trieste Campomarzio); alcune linee sono a semplice binario e a carattere locale, altre a doppio, di carattere internazionale: Trieste-Cervignano-Venezia (km. 157); Trieste-Divaccia-Fiume (km. 129); TriesteDivaccia-Postumia (km. 82); Trieste-Monfalcone-Gorizia-Udine (km. 83); Trieste-Pola (km. 130); Trieste-Gorizia-Piedicolle (km. 110).
Quasi tutte le linee triestine sono state elettrificate. Emerge per importanza economica la linea Venezia-Trieste-Postumia, a doppio binario, tronco orientale della grande arteria pedemontana italiana e sezione della linea dei paralleli, che unisce l'Europa nord-occidentale atlantica con i paesi danubiani e balcanici.
Ha perduto invece gran parte della sua importanza, per mutate condizioni politiche, il transito di Piedicolle, che insieme con quello di Fiume, ha carattere complementare. Le comunicazioni più rapide ferroviarie tra la città e l'altipiano sono assicurate dalla tramvia elettrica Trieste-Villa Opicina.
Completa il quadro delle comunicazioni una fitta rete di servizî automobilistici, che collegano la città con i centri più importanti del suo retroterra geografico ed economico (Pola, Fiume, Postumia, Gorizia, Udine, Grado, ecc.). Le città rivierasche giuliane sono poi unite con Trieste da servizî regolari di navigazione locale.
Attivissimo è anche il movimento aereo: dall'idroscalo (Bacino San Giorgio) partono linee regolari per Venezia, Zara, Ancona, esercitate dalla S. A. Ala Littoria di Roma.
Il comune di Trieste misura una superficie di 96, 18 kmq. di cui 83,52 costituiscono la superficie agraria forestale (86,8%). Buone sono le condizioni altimetriche, tanto che la massima altezza tocca i 672 m. s. m.; i seminativi non sono abbondanti (10,1% della superficie produttiva), costituiti in prevalenza da mais, campi di patate, orti, numerosi alla periferia della città, concorrendo in parte all'alimentazione del grande centro; diffusissimi invece i prati e i pascoli permanenti (28,3%), i boschi (27,4%), gl'incolti produttivi (20,2%). Tra le colture legnose specializzate (10,2%) meritano speciale menzione i vigneti (790 ettari di superficie specializzata e 388 di promiscua) con una produzione annua di 31.000 quintali di uva; molto abbondanti anche i frutteti (peri e susini in prevalenza).
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Monumenti. - Un edificio civile dell'epoca romana sembra quello di cui rimane una parte entro il campanile della cattedrale, mentre l'altra, conservata solo nelle fondazioni, è accessibile dal lapidario. La facciata è formata da un portico affiancato da due avancorpi e risale probabilmente all'età adrianea. Ma le tracce romane più importanti sono state ritrovate negli scavi e nelle sistemazioni compiute dal 1930 al 1934. Anzitutto i resti della pavimentazione del Foro accuratamente conservati nel pavimento della platea su cui sorge il Monumento ai Caduti. Poi la bella basilica tornata alla luce fra questo e il Castello. Si tratta d'un edificio d'ètà traianea largo m. 23,50 e lungo 88 diviso in tre navate da colonne di calcare e terminante ai lati corti con due esedre, una delle quali sopraelevata. Essa è dovuta probabilmente alla munificenza di un cittadino di Trieste, Quinto Baieno Blassiano. Trieste ebbe anche un teatro di cui si stanno ora rimettendo in valore le rovine, due acquedotti e numerose ville nei suoi dintorni, fra cui quella di Barcola con bei musaici pavimentali.
La cattedrale, dedicata a S. Giusto, è un vero palinsesto in cui tutte le età hanno lasciato le loro tracce.
La costruzione romana, che in parte si cela entro il campanile, e di cui si è fatto cenno più sopra, fu la prima ad essere trasformata in chiesa cristiana, con la chiusura del portico che univa i due avancorpi dell'edificio mediante un muro del quale si sono ritrovate le tracce. Questa prima costruzione così ottenuta andò certo distrutta dai barbari e sostituita con altra, probabilmente a tipo basilicale, di cui purtroppo rimangono solo scarsi frammenti decorativi (secoli VIII-IX).
Nello stesso tempo, vicino, a destra, sorse un altro edificio sacro dedicato a S. Giusto e del quale sono superstiti nella cattedrale le magnifiche colonne dell'abside di sinistra. Ma anche queste due chiese primitive ben presto scomparvero e furono sostituite da altre due dedicate a S. Giusto e all'Assunta. I recenti lavori di restauro hanno messo in luce che quanto resta della prima chiesa corrisponde alle due navate minori di destra e ha carattere nettamente romanico con la sistemazione interna ad archetti e colonne e con la stessa decorazione ad affresco come si vede dal poco superstite nell'absidiola detta di S. Nicolò.
Meglio conservato è il carattere unitario della basilica dell'Assunta (navata e navatella di sinistra) che si ricollega con le consuete basiliche romaniche a tre navate: i capitelli sono una tipica derivazione di quelli della grande basilica di Aquileia consacrata nel 1031, così come i magnifici musaici che ornano tanto l'abside di S. Giusto quanto questa dell'Assunta derivano direttamente, nonostante ogni affermazione in contrario, dai grandi musaici di Torcello e di S. Marco e quindi non possono risalire oltre il sec. XII.
Nella seconda metà del sec. XIV, risultando le due chiese insufficienti e mancando probabilmente i mezzi per una costruzione ex novo, esse furono riunite mediante una grande navata di mezzo con relativa abside e nuova facciata adorna di un magnifico rosone. Ne fu rinnovata anche la decorazione; nell'abside di S. Giusto, al disotto del musaico prezioso, furono affrescate le storie del Martire al disopra di altre più antiche ora parzialmente riapparse. L'abside maggiore, barbaramente distrutta nel sec. XIX e di recente rinnovata, era arricchita con la scena dell'Incoronazione della Vergine, opera dei due pittori friulani Baietto e Domenico di Giovanni; altri affreschi poi davano vita a tutte le pareti come dimostrano i pochi frammenti superstiti qua e là (uno di essi porta la data: 1459).
Di fianco a S. Giusto, a sinistra, è la chiesetta di S. Giovanni, del sec. XI, che però porta nella sua tormentata struttura anche tracce di età più antiche e che fu sempre adibita a battistero; a destra è quella di S. Michele, bella costruzione trecentesca. Alle radici del colle è la chiesa di S. Silvestro, ora consacrata al culto valdese: i restauri del 1926 hanno dimostrato che essa è l'ampliamento fatto in epoca romanica di un più antico sacello costruito a ridosso delle mura e di una delle torri militari della città poi trasformata in campanile.
Invece la superba mole militare del castello nel suo complesso è dovuta al più tardo influsso di Venezia.
Nulla infatti rimane della rocca che secondo la tradizione avevano eretto i vescovi della città. L'attuale edificio, restaurato con imponente opera nel triennio 1934-1936, deve la sua origine ai Veneziani che, occupata nel 1369 la città, per assicurarsene il possesso eressero due forti, l'uno al mare, poco dopo distrutto, l'altro sul colle che è quello tuttora superstite.
L'incarico della costruzione fu affidato dapprima a Goro e Giacomo da Medicina, poi nel 1371 ad Allegrino da Verona: ad essi si deve probabilmente il cosiddetto Palazzetto del capitano, anteriore al grande torrione rotondo che gli fa da schermo. Questo invece appartiene alla ricostruzione della fortezza in forma nuova, a pianta triangolare decisa dai Veneziani nel 1508 durante la loro effimera rioccupazione della città, ma effettivamente portata a termine nel sec. XVII durante il dominio degli Austriaci che pur tuttavia si valsero sempre di architetti della vicina repubblica. Struttivamente esemplare è la costruzione dei grandi sotterranei che si ritrovano in quasi tutte le costruzioni militari dell'epoca dovute al genio di Venezia.
Nulla ci resta dell'arte dei secoli seguenti in Trieste, se si voglia eccettuare la barocca chiesa dei gesuiti dovuta ai disegni di Andrea Pozzo e qualche raro esempio di architettura settecentesca (palazzo Pitteri). L' importanza artistica di Trieste torna a riaffermarsi solamente nel sec. XIX.
Dalle costruzioni neoclassiche dovute all'architetto Nobile (casa Costanzi, la chiesa di S. Antonio Nuovo), al Pertsch (Teatro Verdi, palazzo Carciotti), al Molari (la Borsa, il palazzo Chiozza) si passa a quelle più propriamente ottocentesche, ora con impronte goticheggianti (castello di Miramare, arsenale del Lloyd), ora costruzioni grandiose di massa, se non, purtroppo, di proporzioni. Gli stessi architetti viennesi che vi lavorano come il Ferstel (palazzo del Lloyd), il Flattich (stazione), lo Schachler (palazzo Parisi) assumono un'impronta italiana. Della fine dell'Ottocento la migliore opera architettonica è forse la sinagoga eretta da Ruggero Berlam.
Modernissima impronta novecentesca hanno invece tutte, o quasi tutte, le costruzioni del dopoguerra: degna di particolare menzione la sistemazione della cella e del luogo del martirio di Oberdan (arch. Umberto Nordio), la nuova abside di S. Giusto col musaico di Guido Cadorin, la sistemazione della Via Capitolina e del Colle di S. Giusto col monumento ai caduti del Selva.
Accanto all'architettura comincia a fiorire nell'Ottocento anche la pittura. Se i pittori triestini seguono in complesso il movimento italiano, non mancano in essi taluni riflessi d'oltralpe. Tra gli accademici vanno ricordati il Gatteri e il Dall'Acqua; della generazione a tendenza romantica fiorita intorno al 1870, lo Scomparini, il Lonza, il Garzolini, i Tominz; dei più moderni, Umberto Veruda, morto assai giovane, e il Rietti con i loro epigoni. Essi sono l'anello di transizione all'arte recentissima con cui Trieste s'inserisce in modo definitivo nelle correnti della madrepatria, pur conservando un accento suo proprio. (V. tavv. XLIX-LII).
Bibl.: Corp. Inscript. Lat., V, p. 53 segg.; Rivista mensile della città di Trieste, passim; Archeografo triestino, passim; Atti e mem. della Soc. istriana di archeol. e st. pat., passim; S. Benco, Trieste, Trieste 1910; A. Tamaro, Storia di Trieste, Roma 1924; S. Benco, L'architettura neoclassica a Trieste, in Dedalo, VI (1925-26), pp. 783-809; G. Gärtner, La basilica di S. Giusto, Trieste 1928; F. Forlati, La chiesa di S. Silvestro, in Boll. d'arte, n. s., IX (1929-30), pp. 49-58; id., La cattedrale di S. Giusto, in Archeografo triestino, s. 3a, XVIII (1923); R. Protti, Il castello di Trieste, in Le Vie d'Italia, 1936, pp. 538-544; U. Piazzo, Archit. neoclassica a Trieste (I monum. d'Italia), Roma 1935, fasc. 4°.
Storia. - L'antica Tergeste (gr. Τέργεστον o Τέργεστον) fu in origine un centro dei Galli Carni, fiorente per commerci, essendo posta sulla via più breve ehe dall'Adriatico conduceva ai paesi transalpini. Venne a contatto con i Romani probabilmente sin dai tempi della fondazione della colonia di Aquileia (181 a. C.) e della prima spedizione contro gli Istri (177 a. C.). Fu saccheggiata dai Giapidi nel 52 a. C., soccorsa da Giulio Cesare, fortificata da Augusto cui si deve con ogni probabilità la fondazione della colonia romana, iscritta alla tribù Pupinia e retta da duoviri. Ebbe un territorio abbastanza vasto che si estendeva all'interno dell'Istria e lungo la costa sino all'agro della colonia di Parenzo, e, come tutta l'Istria, fiorì particolarmente durante l'impero. Il centro della città romana sorgeva sul Colle di S. Giusto. Non si sono però finora trovate le tracce sicure della pianta e dell'ubicazione del tempio dedicato alla triade capitolina di Giove, Giunone e Minerva di cui parlano gli scrittori triestini.
Caduto l'impero romano, Trieste fu soggetta a continui mutamenti. Appartenne ai Goti, ai quali la strapparono i Greci nel 539. I Longobardi, valicate le Alpi a Postumia, la devastarono nel 568, ma nell'anno seguente era ricostruita e ritornata ai Greci. Aveva allora ancora la sua curia romana. Fu in mano dei Longobardi per poco (nel 590 o 591) e riprese subito il suo posto nell'Italia bizantina. In quel tempo circa ottenne la costituzione di numerus, probabilmente come organismo a difesa dei valichi alpino-carsici. La città rimase per oltre un secolo e mezzo non toccata dalle istituzioni longobardiche, né queste sembrano essere state introdotte negli anni in cui i Longobardi la riebbero nelle loro mani (752-774). Caduti questi, Trieste, sebbene i suoi maggiori figli - i patriarchi di Grado Giovanni e Fortunato - fossero legati al partito francoitalico, ritornò ancora ai Greci, ma nel 787 (o 788) venne in potere di Carlomagno.
Solo allora incominciò l'introduzione di consuetudini e leggi germaniche, contro le quali la città (ancora organizzata come numerus) protestò vivamente insieme con gli altri Istriani nel placito del Risano (804), riuscendo a salvare la lex antiqua, romana.
Nel sec. X Trieste, dipendente dal re d'Italia, appare come civitas e a poco a poco subisce due dominî interferenti: dal mare la crescente potenza marittima dei Veneziani, dall'interno la progressiva consolidazione del dominio dei vescovi. Nel 948 re Lotario affidò al vescovo Giovanni l'esercizio del potere regio a Trieste. I vescovi però non furono mai signori effettivi, né portarono allora il titolo di conti: ebbero l'immediata rappresentanza del potere regio di fronte alla civitas, la quale, attraverso il vescovo, dipese direttamente dal re, e non dalle autorità regie costituite in Istria. Ciò favorì movimenti autonomi e nel sec. XI si sviluppò quell'organizzazione di popolo che prese il nome di comune: nome che, nei documenti, si può riferire alla città nel 1060. Nel 1081, ridotta all'impotenza la chiesa triestina, l'imperatore Enrico IV la sottopose al patriarca d'Aquileia e, malgrado grandi proteste, nel 1082 mantenne la dipendenza. Un documento del 1139 mostra in piena forma ed efficienza il comune Tergestinae civitatis, e il capo del comune, detto ancora gastaldo, agisce non per altri interessi, ma pro Comune de Tergesto. Alla fine del secolo Venezia si fece sempre più forte (obbligazioni imposte forse nel 1190) e nel 1202 gli uomini del comune ne dovettero accettare il dominio, giurando fedeltà a Enrico Dandolo. Il patto allora giurato lasciava piena libertà al comune nella sua organizzazione interna e Venezia lo riconosceva facendo nel 1225 e 1233 nuovi patti commerciali con la città. Le istituzioni comunali si svilupparono sempre più durante tutto il secolo, riscattando o col danaro (1236 e 1253) o con la lotta (1257) le ultime giurisdizioni dei vescovi. Mentre Capodistria, ottenuto sino dal 1182 dai Veneziani il monopolio per il commercio del sale via mare e coi transalpini, le impediva di sviluppare lo scambio del sale con altri prodotti del retroterra carsico-carniolico, Trieste tentava di diventare sbocco ed entrata dello stato patriarchino, col quale s'alleò nelle guerre contro Venezia, dal 1275 al 1291, finendo con l'esserne vinta. Nel 1313 stroncò un tentativo di signoria compiuto dal migliore dei cittadini, Marco Ranfo, dopo di che rafforzò ancora più l'organismo politico in piena indipendenza. Rimesso ai suoi soli mezzi, il piccolo comune, costretto a difendere la sua libertà e i pochi commerci, esaurì le proprie forze e dopo avere oscillato lungamente fra Venezia e il Friuli, venne dapprima in potere di San Marco (1369), poi del Friuli (1379) e finì col diventare facile preda degli Asburgo (1382).
Dopo il sec. XV la storia di Trieste differì sempre maggiormente da quella delle altre città istriane e contribuì a rafforzare in essa quel carattere particolare, quel singolare distacco dalle provincie circostanti, che le avevano impresso successivamente il numerus, il governo vescovile e il comune. Mentre le altre città istriane avevano trovato la pace sotto le ali di San Marco, Trieste dovette continuare a lottare senza tregua, spesso con tragica vicenda, per difendere la sua individualità etnica, politica, economica: tali lotte la salvarono dall'essere sommersa dalle forze straniere (slave e tedesche) che le stettero addosso.
Durante tutto il sec. XV combatté, con ostinata consapevolezza, per ridurre al minimo effetto i vincoli del dominio austriaco. Poiché i Carniolici preferivano i mercati dell'Istria veneta, Trieste, createsi delle basi sui Carsi, tentò con la violenza di deviare i traffici verso il suo porto. Nel 1461 comprò da Federico III la libertà di governarsi senza alcun rappresentante dell'autorità imperiale, ma non seppe conservare la riacquistata libertà e due anni dopo, vinta da Venezia, che era accorsa in aiuto degl'Istriani, dovette riprendere il capitano austriaco. Nel 1468 il capitano Luogar ordì una congiura per ottenere l'abolizione di tutte le libertà comunali: ma popolo e patrizî sorsero menando feroce vendetta sui "Todeschi". L'anno seguente un esercito austriaco riprese la città (che invano nel frattempo si era offerta a Venezia) e la saccheggiò. Dopo quarant'anni di congiure, di discordie, di sedizioni, di tumulti e di assassinî politici, Trieste, anche con la cooperazione del partito veneto in essa ancora attivo, venne in potere della repubblica di San Marco nel 1508, ma fu da essa abbandonata l'anno seguente, ai primi annunci della Lega di Cambrai. Seguirono due secoli quasi interi di decadenza, che nel campo economico fu spesso vera rovina. La città continuò a lottare nell'interno contro i capitani degli Asburgo per difendere la sua libertà municipale, nell'Adriatico contro Venezia per la libertà del mare e sui Carsi contro i Duinati, i Capodistriani e i Carniolici per far scendere alle sue acque i traffici del retroterra. Invano il vescovo Pietro Bonomo tentò di farla incorporare nei possedimenti italianî della corona spagnola e trasformarla in centro d'una provincia giuliana, facendone "una delle principali fortezze d'Italia", un argine delle provincie austriache e l'emporio delle medesime. Rimasta dal 1518 al 1522 alla corona di Spagna, nel 1522 fu riannessa al patrimonio austriaco degli Asburgo. Credette sempre di essere una "repubblica" vassalla, protetta da casa d'Austria, rifiutò ogni commistione con le genti straniere, ogni annessione alla Carniola, difese a oltranza i suoi antichi statuti, si dichiarò italiana nel 1523, nel 1524, nel 1532 e altre volte, visse tribolatamente in povertà, e rimase italiana, sola, sulla frontiera, circondata da signorie tedesche e da contadini slavi. La violenza delle lotte contro le prevaricazioni del capitano Giovanni Hoyos spinse Ferdinando I a un'essenziale soppressione degli antichi statuti municipali (1550), aggravata dall'arciduca Carlo nel 1564 in seguito ad altre lotte coi capitani e a un sanguinoso conflitto coi Carsi. Ma la città insistette a ridomandare i suoi statuti e riebbe in parte il maltolto. Tale libertà costò sacrifizî e sofferenze, che si manifestarono nel periodico ritornare della carestia e nell'impossibilità di stabilire un commercio, ma non mutarono la politica dei "patrizî" del consiglio maggiore. Quando scoppiò la guerra di Gradisca (1615-1617), la città poté credere che una vittoria austriaca le avrebbe dato almeno la libertà della navigazione e il commercio del sale, ma essa ebbe tutti i danni della guerra e nessun vantaggio. La decadenza si accentuò paurosamente durante il secolo XVII.
ll sec. XVIII segnò il salvamento e iniziò il grande sviluppo della città. Nel 1719 l'imperatore Carlo VI dichiarò Trieste porto franco allo scopo di promuovere l'esportazione di prodotti austriaci e di creare una base ai commerci mediterranei e oceanici della Compagnia Orientale, allora fondata e presto fallita. Incominciò così un'opera che, attraverso innumerevoli errori, continui disastri e incessanti fallimenti, dopo uno sviluppo stentato e tentennante di alcuni decennî, riuscì tuttavia a far valere - relativamente - la funzione naturale del porto di Trieste come sbocco e porta marittima dei paesi dell'Europa danubiana, allora ridestati e chiamati a nuova vita economica.
L'economia della città progredì in realtà sino al 1750 lentamente, soffrendo molto a ogni guerra, ma dopo il 1750 i traffici si regolarono e si moltiplicarono. L'Austria non poteva diventare uno stato moderno senza il porto di Trieste, ma anche questo non poteva crescere se non aderiva al grande organismo di cui doveva diventare parte essenziale. L'avvenire non era nel porto, o non soltanto in esso: questo era uno strumento, non altro. Bisognava che un'idea o una necessità se ne servissero. E questo avvenne specialmente quando lo stato austriaco fu organizzato centralisticamente e il porto ne divenne un organo vitale, pienamente in possesso delle autorità centrali. La città contò soltanto come porta del commercio e fu piegata sotto i piani ideati a Vienna. Si svilupparono anche alcune industrie. Trieste fu base di scambî fra l'Italia e i paesi danubiani e fra questi e il Levante. Alla fine del secolo le navi triestine cercarono anche i paesi transoceanici. Dall'anno 1776 - per merito anche d'un illuminato governatore, il conte Carlo Zinzendorf - incominciò un progresso molto più rapido. Mancò sempre però un piano che potenziasse appieno le risorse che la posizione geografica offriva, e che operasse per fare di Trieste un grande mercato: la città rimase sull'orlo della sfera economica medioeuropea o fu al più un punto di trapasso fra due o più sfere, delle quali essa doveva subire tutti gl'influssi e sulle quali invece, da sé stessa, non ne poteva esercitare alcuno. I traffici affluivano e defluivano senza rispondere in essa a un largo piano d'espansione economica, senza avere in essa un cervello che li creasse, una volontà che li dirigesse e tendesse a svilupparsi senza limiti. Ci si acconciava ai bisogni del presente, anzi, spesso, nel presente a bisogni passati. Comunque, al posto della rovinata comunità del 1700 stava ormai una città, faticosamente e lentamente creata con un lavoro di circa cent'anni, ancora sprovvista di navi e di capitali necessarî al grande commercio, ancora priva di un cervello creatore, ma ciò nonostante molto promettente e che rappresentava una novità - molto interessante e molto commentata - sulla faccia dell'Italia e dell'Europa. Ingrandita con immigrazioni continue di stranieri, assoggettata per un certo periodo a una vera politica germanizzatrice, Trieste si mantenne italiana, e quanto più aumentò la sua mole, tanto più aumentò la sua italianità. Nel 1792 i patrizî ottennero il ripristino di quasi tutti i privilegi municipali distrutti nel secolo, e questo successo portò Trieste sulla soglia dei tempi moderni con una fisionomia sua e con una particolare struttura di corpo provinciale separato. Il che fu fecondo di effetti politici nel sec. XIX, quando l'autonomismo, nutrito da un inesausto tradizionalismo e mantenuto vivo sino all'estrema possibilità, divenne uno dei fondamenti della lotta politica e nazionale contro l'Austria.
La città fu occupata e presto lasciata dai Francesi nel 1797. Dopo anni felici per il commercio, nei quali incominciarono anche a crearsi i moderni contrasti di pensieri politici, e la città aveva mandato a Napoli quei Piatti che morirono sul patibolo, s'ebbe una seconda disastrosa occupazione francese nel 1805, e nel 1809 la terza con l'annessione, non com'era stato voluto dai massoni e dai francofili triestini, al Regno Italico, sì bene alle Provincie Illiriche. Si formarono in quel tempo per la prima volta i partiti; due principali: quello per mantenere l'unione con l'Austria, l'altro per l'unione alla Francia o all'Italia. Si può dire che in quegli anni si ponessero le fondamenta di tutto il secolo veniente, appunto perché i due partiti maggiori si contrapposero come amici o nemici dell'Austria. I Francesi, col blocco continentale, distrussero il commercio della città, e con la mairie l'autonomia antica, per cui perdettero presto le simpatie anche di quelli che li avevano invocati. Il 13 ottobre 1813 ritornarono gli Austriaci e fu la volta delle delusioni per gli austrofili. La città fu dichiarata terra di conquista e l'autonomia rifiutata. Fu però ripristinato il porto franco. Trieste, come "capoluogo della provincia del Litorale", continuò a mantenere la posizione centrale che le avevano data i Francesi nella Venezia Giulia e ciò fu di grande vantaggio, perché la città assorbì eccellenti energie del Friuli e dell'Istria, che valsero a irrobustire la sua italianità.
Il sentimento dell'appartenenza, geografica e morale, all'Italia fu molto vivo in quel primo periodo della restaurazione. I primi decennî del sec. XIX videro svolgersi anche a Trieste l'idea italiana, ma la ripresa dei commerci fece immigrare molti Italiani, Greci, Tedeschi, che si sentirono obbligati al governo austriaco soltanto dagl'interessi e costituirono una massa antinazionale che pesò lungamente sulla città. Mancò anche una vera oppressione da parte del governo: anzi qualche governatore, come F. S. Stadion, si conquistò simpatie fra gli stessi patrioti e con ciò mancò un'educazione rivoluzionaria. Nel 1838 fu istituita una consulta municipale, che si chiamò "consiglio ferdinandeo", dal nome dell'imperatore: anche in questo corpo, benché in maggioranza ligio all'Austria, l'idea particolaristica triestina fu così radicata che nel 1843, contro la volontà del governo, dichiarò che si poteva "essere cittadini di Trieste senza essere sudditi austriaci". Centro del movimento nazionale, che raccoglieva la migliore gioventù, fu il giornale La favilla, fondato nel 1836 da Giovanni Orlandini e Antonio Madonizza.
Nel terzo decennio s'ebbe la fondazione dei tre istituti, che poi divennero base di tutta la vita economica triestina: le Assicurazioni Generali (1831), la Società di navigazione del Lloyd austriaco (1836) e la Riunione Adriatica di Sicurtà (1838).
Nel marzo del 1848 le prime dimostrazioni parvero promettere un moto, che fu atteso anche dall'Istria. Il 23 un gruppo di patrioti, fra i quali l'Orlandini e Giacomo Venezian, che poi morì combattendo a Roma, tentarono d'impadronirsi della città, ma furono vinti dalle forze del governo. Formatasi una commissione municipale, questa propugnò vivamente l'italianità della città e salutò con pubblico voto la rivoluzione di Vienna. Tutto il '48 fu ricco di episodî patriottici, ma il governo, nelle mani del crudele F. Gyulai, seppe tenere la città applicandovi lo stato d'assedio. L'ammiraglio Giuseppe Albini venne nelle acque di Trieste, ma non fece alcuna zione, forse anche perché la confederazione germanica aveva dichiarato Trieste appartenerle. Alla dieta di Kremsier, il deputato triestino chiese l'indipendenza della città. Questa mostrò così vivamente la sua anima allora, che il governo stimò di doverla acquetare e nel 1850 le largì uno statuto di città-provincia, con notevole autonomia e facoltà legislative al consiglio municipale in sede di dieta, statuto che durò con poche modificazioni fino al 1914. Sotto la pressione dei tempi, al governo riuscì di ottenere una maggioranza obbediente, ma non osò ripetere le elezioni e prolungò per dieci anni l'esistenza di quello che nella storia cittadina è rimasto col nome di consiglio decennale. Appena nuove elezioni furono indette, nel 1861, il partito nazionale, che nel frattempo si era potentemente sviluppato sotto la guida di Arrigo Hortis (la più nobile figura del Risorgimento triestino) e di Francesco Hermet, conquistò la grande maggioranza dei seggi. Sciolto presto dal governo, il consiglio si ricostituì nel 1862 con eguale maggioranza. Nel 1865, avendo La Marmora con un'infelice frase valorizzato l'ipoteca germanica su Trieste, e avendo il Comitato triestino protestato pubblicamente in Italia, il governo desiderò dal consiglio un atto di omaggio all'imperatore, ma il consiglio lo rifiutò. Fu sciolto di nuovo, e la maggioranza italiana fu vinta nelle elezioni. Ma non vinta nella vita della città. Nel 1866, avendo Trieste manifestato chiaramente le sue idealità, furono dati da Vienna i primi ordini per una metodica snazionalizzazione della città. Ma il sentimento italiano si fece sempre più popolare e nel 1868 ebbe il primo moto, molto sanguinoso, con gli Slavi portati in città. Nelle elezioni del 1869 il comune ritornò nelle mani del partito nazionale e rimase in suo potere sino al 1914. La difesa del comune autonomo, in un'atmosfera di esasperato particolarismo e di ardente italianità, costituì l'essenza della lotta nazionale antiaustriaca. La città, sola dinnanzi alla potente monarchia austro-ungarica, si organizzò per una lunga lotta, che ebbe tanto maggiore grandezza, in quanto la città divenne campo d'un duello decisivo anche per la vita di tutta la Venezia Giulia. Il governo austriaco fu incapace di opporre alle idee del partito nazionale - allora liberale-democratico - altre idee efficaci, subì la situazione e non seppe reagire che con la violenza e con la polizia. E mentre affermava che a Trieste gl'interessi commerciali dovessero prevalere sui sentimenti, fece poco per il progresso del porto e quel poco in ritardo. L'agitazione irredentista fu continua in città. Nel 1873 il partito rifiutò di partecipare alle elezioni politiche per protesta contro l'appartenenza della città all'Austria. Nel 1878 il consiglio fu sciolto perché rifiutò di ricevere i soldati reduci dalla Bosnia. Nel 1882, le agitazioni culminarono nel martirio di Guglielmo Oberdan (v.). Il governo austriaco combatté invano contro il partito nazionale e svalutò di nuovo i suoi argomenti economici quando nel 1891 tolse il porto franco. Il comune rimase sempre in mano agl'irredentisti, i quali, accettate nel 1897 anche le elezioni politiche, e guidati da Felice Venezian, riportarono magnifiche vittorie contro il governo, gli Slavi e i socialisti. Dopo quell'anno il governo, compresa l'impossibilità di vincere con un partito "giallonero", cambiò tattica: dapprima ordinò al massimo grado la penetrazione e lo spiegamento dello slavismo, poi decise di sfruttare ai suoi fini, insieme con lo slavismo, anche l'internazionalismo socialista. Il governatore principe Corrado di Hohenlohe-Schillingsfürst dopo il 1904, si dedicò a quest'ultima opera, sostenuto dall'arciduca Francesco Ferdinando. La situazione del partito nazionale si fece difficile, perché il movimento socialista era spinto dalla corrente del tempo e perché il porto, diventato strumento della nuova politica imperialista dell'Austria, si sviluppava grandemente, specialmente nei transiti, nelle costruzioni navali e nella navigazione. Con ciò aumentava il proletariato socialista, si intensificava l'inurbamento e l'importazione artificiale degli Slavi, si faceva più sensibile la gravitazione tedesca sulla città, si eccitavano sempre più le ambizioni dello slavismo, e poiché la lotta dell'impero per il dominio dell'Adriatico e il suo espansionismo balcanico ed orientale erano diretti contro l'Italia, diventava per esso ragione di stato lo stroncamento dell'italianità di Trieste. Ma il partito nazionale, proprio mentre sembrava che prepotenti interessi materiali dovessero legare la città all'Austria, riportò continue vittorie ed escluse ancora nel 1903 e nel 1906 ogni minoranza austriacante o socialista dal consiglio. Subì una sconfitta soltanto nelle elezioni politiche del 1907. Ma nel 1909, benché il governo avesse modificato a suo danno la legge municipale e un attacco formidabile fosse condotto col suffragio universale dalla coalizione del governo, dei socialisti e degli Slavi, il partito nazionale mantenne nelle sue mani il comune e vinse di nuovo nel 1911 con una superiorità anche maggiore contro eguale coalizione. Alla vigilia della guerra redentrice, nelle lotte intorno all'italico comune si scontrò l'Italia del Risorgimento con l'anti-Italia delle combinate forze austriache-socialistiche; si scontrò la stessa Italia con le nazioni dell'Europa centrale agognanti al possesso assoluto dell'Adriatico. Quest'è l'intima verità dell'ultima storia triestina.
Scoppiata la guerra, nel 1915 la città fu considerata dal governo austriaco come terra nemica. Ma niente poté piegare l'anima italiana di Trieste che diede alla guerra 1804 volontarî. Il 30 ottobre 1918 i cittadini abbatterono le aquile asburgiche e alzarono il tricolore. Il 3 novembre i soldati italiani presero possesso della città in nome del re.
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Istituti di cultura.
Istruzione superiore. - R. Università degli studî economici e commerciali. - Costituita con tale nome nel 1924, ebbe origine dalla Scuola superiore di commercio che, fondata nel 1877 per volontà testamentaria di Pasquale Revoltella (morto nel 1869), soppressa nel 1915 dal governo austriaco, cominciò a fiorire quando, nel 1920, fu elevata a R. Istituto superiore di scienze economiche e commerciali. Pubblica un Annuario (dal 1878) e Annali (dal 1929). La biblioteca universitaria conta, insieme con le raccolte speciali dei varî istituti, circa 32.000 volumi e 600 periodici. È ospitata nell'edifizio e diretta dal rettorato dell'università la scuola sindacale "Lino Domeneghini".
Archivi e biblioteche. - Il R. Archivio di stato fu istituito nel 1926, ma il concentramento e il riordinamento degli archivî delle amministrazioni locali e delle carte restituite dall'Austria e dalla Iugoslavia cominciarono subito nel dopoguerra.
La Biblioteca civica, donata alla città dall'Accademia degli Arcadi Sonziaci nel 1796, nel 1818 unita con la biblioteca dell'Accademia di commercio e nautica, ebbe nel 1870 la piena autonomia. Le nuove sale di lettura della biblioteca s'inaugurarono nel 1929. Conta circa 180.000 volumi, 400 manoscritti, 320 incunabuli e oltre 6000 autografi. Delle sue collezioni speciali vanno menzionate la Petrarchesca-Piccolominea, creata e legata alla biblioteca da Domenico Rossetti, la Boccaccesca (1928), la sezione patria e la raccolta di edizioni bodoniane.
Alla biblioteca è annesso l'archivio diplomatico, che conserva gli atti (secoli XIV-XVIII) dell'antico archivio del comune e della Vicedominaria, insieme con statuti, documenti e manoscritti riguardanti Trieste e tutta la regione: fra questi i manoscritti autografi dei maggiori storici della città, Ireneo della Croce, Vincenzo Scussa, Domenico Rossetti, Pietro Kandler e Attilio Hortis.
Istituti scientifici. - L'osservatorio astronomico-meteorologico, in origine sezione dell'I. R. Accademia di commercio e nautica, autonomo dal 1890 e costituito nel 1904 osservatorio marittimo, fu riorganizzato negli anni 1919-23 con indirizzo puramente astronomico, e col titolo di R. Osservatorio astronomico inaugurato nel 1925. Pubblica Monografie (dal 1925) e un Annuario (dal 1934).
Ristretta l'attività dell'osservatorio marittimo all'astronomia, le due altre sue sezioni, di meteorologia e di sismografia, furono assunte dal R. Comitato talassografico e formarono l'Istituto geofisico, che nel 1920 occupò la sede della stazione zoologica (trasferita a Rovigno e unita con quella stazione) e ne trasformò il laboratorio di chimica e fisiologia nella nuova sezione di geochimica, attrezzata particolarmente per le ricerche oceanografiche.
La sezione sismologica cominciò la serie regolare delle registrazioni nel marzo del 1932.
Musei. - Il Museo civico di storia ed arte, ideato verso il 1820 da Domenico Rossetti, creato insieme con l'Orto Lapidano da Pietro Kandler nel 1843 come Museo civico di antichità, dal 1873 autonomo, occupò nel 1925 la sua odierna sede nella zona capitolina, dove ebbe nuovo assetto, e nel giugno del 1936 parte del Castello restaurato, disponendovi l'armeria. Comprende varie collezioni di preistoria, archeologia, etnografia e arte popolare e una sezione numismatica. Ha un archivio di fotografie documentali (4000 negative e 18.000 positive). Nell'Orto Lapidario sono collocati avanzi architettonici romani e medievali e lapidi di Trieste e della regione.
Il Museo civico di storia patria, creato insieme con quello del Risorgimento subito dopo la redenzione, contiene raccolte storiche, etnografiche, topografiche e altre che illustrano la vita privata della città e della regione. Il Museo civico del Risorgimento, nel 1934 trasferito nella Casa del Combattente, conserva notevoli cimeli riguardanti il periodo napoleonico, i garibaldini e volontarî giuliani, l'irredentismo e la guerra mondiale.
Il Civico Museo Revoltella di belle arti, formato e, insieme col palazzo che lo accoglie e con una dotazione perpetua, legato al comune da Pasquale Revoltella, fu aperto al pubblico nel 1872. Vi sono rappresentati artisti moderni e contemporanei d'Italia (Balestrieri, Bistolfi, Michetti, Morelli, Trentacoste), specialmente della regione (Dell'Acqua, Gatteri, Veruda), e dell'Europa centrale e occidentale (Cottet, Stuck, Zorn, Zuloaga).
Il Museo civico di storia naturale, fondato nel 1846, comunale dal 1852, oltre alle raccolte zoologiche, mineralogiche e geologiche esposte in 16 sale, possiede importanti erbarî e collezioni entomologiche delle colonie italiane. Pubblica Atti dal 1884. Dipendono dal museo l'orto botanico, fondato nel 1903, dove è curata precipuamente la flora propria della regione, e l'acquario marino (1933), fornito di 43 vasche; il riscaldamento centrale dell'acqua permette di mantenere una mostra di pesci tropicali.
Nell'edifizio del Teatro Verdi ha sede dal 1924 il museo teatrale, ideato e cominciato verso il 1880 da Carlo Schmidl.
Associazioni scientifiche e letterarie. - La più antica è la Società del Gabinetto di Minerva, sorta nel 1810 per opera di Domenico Rossetti, dal 1931 unita col Circolo di lettura, ora Dopolavoro intraziendale dei commercianti. Cura la pubblicazione dell'Archeografo Triestino (dal 1829). È anche da ricordare il Circolo artistico (1874): col 1936 sostituito dal Circolo di cultura dei professionisti ed artisti.
La Società Adriatica di scienze naturali pubblica dall'anno della sua fondazione (1894) un Bollettino scientifico; possiede una biblioteca di 22.000 volumi ed è depositaria della Carnegie Institution. Appartiene ad essa il museo del mare, creato nel 1911, ampliato e riordinato nel 1932, che consta di tre sezioni: la mostra della pesca (1904), a cui è unito un laboratorio biologico, la raccolta nautica (1910) e quella degl'impianti portuali. Un bollettino scientifico pubblica anche, dal 1897, l'Associazione medica triestina.
Un contributo efficace alla diffusione della cultura portò l'Università popolare (1899), che dal 1930 continua la sua opera con il nome e la funzione di Istituto fascista di cultura.
Bibl.: Istituti di cultura: La R. Università degli studî economici e commerciali di Trieste, Trieste 1924; F. Pasini, in Rivista mensile della città di Trieste, II, v (1929); Inventario generale delle carte contenute nel R. Archivio di stato di Trieste, ecc., ivi 1933; A. Hortis, Catalogo delle opere di F. Petrarca esistenti nella Petrarchesca Rossettiana di Trieste, ivi 1874; L. Suttina, Bibliografia delle opere a stampa intorno a F. Petrarca esistenti, ecc., ivi 1908; (G. Cesari), La Biblioteca civica di Trieste e la sua nuova sistemazione, in Riv. mensile, II, vi (1929); C. De Franceschi, L'Arcadia Romano-Sonziaca e la Biblioteca civica di Trieste, in Archeografo triestino, s. 3a, XV (1929-30); G. Peisino, Cenni sulle origini e sullo sviluppo del R. Osservatorio Astronomico di Trieste, in annuario dell'Osservatorio, Trieste 1933; P. Sticotti, I musei di storia ed arte di Trieste, in Archeogr. triest., s. 3a, XIV (1927-28); La sistemazione del Museo Lapidario, in Riv. mens., VII, ii (1934); G. Cesari, Il Museo triestino del Risorgimento, ibid., I, iii (1928); VII, iv (1934); Il Civico museo Revoltella di Trieste. Catal. della Galleria d'arte moderna, Trieste 1933; G. Müller, Relazione sul Museo civ. di storia naturale (1922-30), in Atti, XI, ii (1931); (G. Cesari), Il Museo teatrale di Trieste, in Riv. mens., II, v e vi (1929); A. Gentile, Il primo secolo della Società di Minerva, Trieste 1910; M. Stenta, Per il Cinquantenario della Soc. Adr., ecc., ivi 1924, rist. 1925, e Bull. della Soc., XXIX, ii (1927); C. Wostry, Storia del Circolo Artistico di Trieste, Udine 1934.
Il castello di Miramare.
Miramare, castello di Trieste, fu eretto fra il 1856 e il 1860, per volere dell'arciduca Massimiliano d'Asburgo (1832-67), fratello minore dell'imperatore Francesco Giuseppe d'Austria. L'arciduca, che risiedeva a Trieste quale comandante supremo della flotta, invaghitosi della bellezza naturale di un piccolo promontorio del golfo poco distante dalla città, a quel tempo semideserto e privo di comunicazioni, vi fece costruire per sua dimora un castello turrito a specchio del mare, recinto da un vasto parco con terrazze e giardini. Architetto del castello fu il viennese Carlo Junker; Massimiliano stesso diede i disegni del parco. Solo pochi anni vi dimorò l'arciduca con la moglie Carlotta del Belgio: cioè dalla fine del 1859 all'aprile del'64, allorché partì per il Messico. L'arciduca impresse a Miramare molte tracce della sua personalità.
Nel 1866 Miramare fu per alcuni mesi l'asilo di Carlotta pazza. Giosue Carducci, visitando il castello nel 1878, ne trasse l'ispirazione per una delle sue odi barbare, che da esso appunto s'intitola. Dal 1870 allo scoppio della guerra mondiale molti membri della famiglia imperiale austriaca vi fecero soggiorno. Con la redenzione della regione, Miramare è divenuto proprietà statale italiana. È dal 1931 residenza del duca Amedeo d'Aosta.
Bibl.: E. Metlicovitz, Miramar, note storiche, Trieste 1902; P. Sticotti, Il castello di Miramare di Trieste, Roma 1930.
La provincia di Trieste.
La provincia di Trieste fu creata il 15 gennaio 1923 e copre una superficie di 1229,92 kmq. Confina con le provincie di Pola, Fiume, Gorizia, Udine; verso oriente con la Iugoslavia, mentre ad ovest ha per limite il Mare Adriatico. Orograficamente il territorio è composto in prevalenza da altipiani (di Sesana, Senosecchia e Postumia), con scarsi terreni pianeggianti alluvionali (sezione costiera a ovest di Monfalcone sino al confine con la provincia di Udine). I terreni sono in gran parte argillosi, rossicci, residuati dal disfacimento dei calcari, e marnosi, di colore variante dal grigio biancastro all'ocraceo e al bruno. La natura geologica del suolo spiega la diffusione dei fenomeni carsici e l'idrografia in gran parte sotterranea.
La popolazione complessiva è salita da 250.697 individui nel 1900 a 312.493 nel 1910, a 325.940 nel 1921, a 348.494 nel 1931.
Gran parte dell'aumento è dovuto alla presenza del grande centro di Trieste, che nel 1931 rappresentava oltre il 70% della popolazione dell'intera provincia. La densità della popolazione sale da 204 ab. per kmq. nel 1900 a 283 nel 1931, e anche questo valore è dovuto al centro triestino, ché il rimanente della provincia sale da 64 a 87 ab. soltanto. Caratteristica demografica saliente è la scarsità della popolazione sparsa (3% nel 1931) e dei centri: nel 1931 superavano i 5000 ab. soltanto Muggia, Monfalcone, Trieste, tutti centri fondamentali per l'industria navale.
La superficie agrario-forestale rappresenta l'88,3% di quella totale. La natura geologica spiega la scarsità dei seminativi (13,7%), diffusi principalmente nelle regioni interne a Sesana e a Postumia, con prevalenza dei cereali (grano, mais), delle patate, dei prati permanenti (6,5%), accanto alla grande estensione delle aree pascolive (36,6%), dei boschi (27,5%), degl'incolti produttivi (13,2%). Le colture legnose specializzate rappresentano il 2,5% della superficie produttiva, costituite soprattutto da vigneti e frutteti, con le più vaste superficie nei comuni di Muggia e S. Dorligo della Valle (Istria nord-occidentale). L'allevamento è forte di 19.047 bovini, 10.483 suini, 4136 equini, 3747 ovini e 2185 caprini. La provincia ha importanza fondamentale dal punto di vista delle industrie: 5000 esercizî e 65.364 operai nel 1927 per il 77% concentrati nel solo comune di Trieste, con 49.364 operai. Seguono per importanza Monfalcone (9045 operai), soprattutto per le costruzioni navali; Muggia (1478) idem; Ronchi dei Legionari (1144) per le industrie tessili; Aurisina (884) per le famose cave e lavorazione di pietre da costruzione; Grado (802) per la pesca e le industrie alimentari. La provincia ha inoltre grande importanza per l'attività turistica (grotte di Postumia, ecc.) e per la vita balneare con i centri principali di Trieste e Grado.