TRIESTE
(lat. Tergeste; Tergestum nei docc. medievali)
Città del Friuli-Venezia Giulia, capoluogo della regione e sede vescovile, distesa a S-O dei colli di San Giusto e di San Vito.
Dell'impianto urbano di T., conosciuto dal 33-32 a.C., sono state individuate tre fasi fino all'età moderna (Ruaro Loseri, 1983, pp. 9-23; Mirabella Roberti, 1986, pp. 185-190).Il primo vescovo noto è Frugifero (547; Inscriptiones Italiae, 1936-1951, X, 3, nr. 168; X, 4, nrr. 295-296), ma fuori delle mura, dove c'erano già varie necropoli, era sorta verso il 400 una basilica martiriale e, intorno alla metà del sec. 5°, la futura cattedrale aveva occupato una sede di culto precristiano, caso unico nella Venetia et Histria. Si legano alle origini cristiane alcuni culti, a s. Giusto e a un più incerto s. Servolo. Negli intensi contatti con Aquileia (Cuscito, 1973; Pietri, 1982, p. 120), Frugifero sostenne la resistenza aquileiese al secondo concilio costantinopolitano del 553. Anche Severo continuò in quell'appoggio, ma non partecipò al sinodo di Marano del 590 con altri vescovi 'sudditi' dei Longobardi. Soggetta a Giustino II nel 571 (Inscriptiones Italiae, 1936-1951, X, 4, nr. 293), T. subì in seguito ripetuti attacchi longobardi, avari e slavi (Lettich, 1984, pp. 41-45).T., longobarda fra il 751 e il 774, fu poi possesso dei Franchi (787-788, 790), e diede alla Chiesa di Grado due autorevoli patriarchi, Giovanni e Fortunato, fra il 767 e l'826, fautori d'una politica filocarolingia. Nel sec. 10° i vescovi di T. cominciarono a essere investiti anche di poteri temporali. I conflitti interni (potere vescovile e Comune) si aggravarono per le mire di Venezia, che nel 1202 pretese un atto di fedeltà. Per resistere T. si accostò al patriarca di Aquileia e ai conti di Gorizia, che ne divennero spesso podestà (Szombathely, 1930, pp. XVII-XVIII, XXIII). Al partito filoveneziano si contrappose una preferenza verso l'Austria, che dopo la guerra di Chioggia prevalse; T. fu occupata da Ugo di Duino per conto del patriarca e si diede poi a Leopoldo III nel 1282: salvò così le autonomie e si aprì orizzonti centroeuropei.L'impianto della T. medievale si ricostruisce sulla base di varie immagini (Godoli, 1984; Iona, 1995, pp. 12-14), quali un sigillo trecentesco (coll. privata), la c.d. saliera di Canopeo (Trieste, Mus. Civ. di Storia e Arte; Bianco Fiorin, 1992, pp. 259-260), alcuni affreschi trecenteschi, il S. Giusto del fianco di campanile, il Breviarium dell'Arch. Capitolare di T., ecc. (Mirabella Roberti, 1970, pp. 66, 325; Favetta, 1990, pp. 67-68, 79 n. 47). La città, distesa in forma triangolare su un erto pendio, era cinta da mura turrite dall'alto del colle (Mirabella Roberti, 1986, pp. 185-190) al mare, dotate di tredici porte con sedici torri (Ruaro Loseri, 1983, pp. 9-36): sono superstiti le torri Cucherna e di Donata (Caprin, 1897, pp. 31, 47; Szombathely, 1934, p. 9; Ruaro Loseri, 1983, pp. 20-23; Furlan, 1990, p. 35).
In via della Madonna del Mare sorgeva una basilica a pianta a croce, riferibile a un culto martiriale, come è confermato dalla fossa per le reliquie nel presbiterio (Lettich, 1978; Piussi, 1978, p. 478): verso il 550 la basilica fu decorata nuovamente con mosaici senza sostanziali modifiche nella pianta (Tavano, 1982, p. 13).Sulla sommità del colle San Giusto, con un raro processo di esaugurazione, sorse una basilica trinavata e rettangolare, dapprima senz'abside (Tavano, 1982), che inglobò uno dei propilei del sec. 1°, su cui si sarebbe alzato più tardi il campanile (Mirabella Roberti, 1962). Spunti aquileiesi sono riconoscibili anche nella forma esagonale del fonte in un battistero che sorgeva a N (Mirabella Roberti, 1970, p. 43).Verso il 550 il vescovo Frugifero forse aggiunse un'abside (Mirabella Roberti, 1970, p. 19): i pulvini con il suo monogramma, sovrapposti a capitelli di età giustinianea, dovevano appartenere a un ciborio o a una pergula. Questa basilica fu sostituita da un nuovo edificio che, più ridotto in ampiezza, comprese i muri nord e ovest e si completò con tre absidi semicircolari estradossate (Safred, 1982). Le proporzioni sono in armonia con quelle delle basiliche del territorio di Aquileia (Bergamini, Tavano, 1984, pp. 176-177): in questo rifacimento è possibile riconoscere l'iniziativa del vescovo Adalgero (m. nel 1072 ca.), presente per la consacrazione della basilica di Aquileia nel 1031. La basilica trinavata, con sette colonne per filare, era dedicata alla Madre di Dio, ma anche a s. Giusto: alla fine del sec. 11°, riprendendo forse uno schema paleocristiano (per es. quello di Concordia Sagittaria), si sviluppò a S-E un sacello dai singolari e nobili caratteri strutturali che lo fanno dipendere da una cultura mediobizantina, sia pure riflessa da Venezia. Il sacello triestino è culturalmente affine al battistero di Concordia Sagittaria, innalzato intorno al 1100, nell'intelligente interpretazione di modelli aulici, specialmente nella cupola. La pianta è a croce (un braccio potrebbe corrispondere alla cappella di S. Carlo), con quattro colonne che sostengono una cupola, sottolineata nel tamburo da un giro di arcatelle a doppia ghiera su colonnine (il giro esterno è sfalsato). Delle absidi, ricavate nello spessore del muro, la centrale è fasciata da archetti ciechi su colonnine (con il reimpiego dei pulvini di Frugifero). Si apprezzano soluzioni stringate ed eleganti, anche per l'adozione di valori proporzionali raffinati (Tavano, 1985, pp. 434-436; 1992, pp. 73-79). Più tardi il sacello fu connesso a una basilica trinavata.
Dal 1302, con un'impresa coraggiosa avviata da Rodolfo Pedrazzani, abbattuti il muro meridionale della cattedrale, ormai dedicata all'Assunta, e il muro settentrionale della basilica derivata dal sacello di S. Giusto, si ottenne un grande organismo asimmetrico a cinque navate: l'opera poté dirsi conclusa sotto l'episcopato di Enrico di Wildenstein (1383-1396), che la consacrò.Persistono caratteri austeramente 'romanici' specie nella facciata in arenaria, mossa tuttavia dal rosone leggero (Mirabella Roberti, 1970, pp. 34-36) e schiarita anche dalle due metà della stele dei Barbii, usate quali stipiti. Nella stessa riscoperta dell'Antico si inserì il reimpiego di sculture del sec. 1° nei fianchi del campanile. Questo, che venne rifatto fra il 1337 e il 1343, si armonizza nell'intonazione 'romanica', corretta però con cornici e fregi antichi (Mirabella Roberti, 1970, pp. 36-37). La cuspide, già aguzza e sormontata dal 'melone' (Trieste, Mus. Civ. di Storia e Arte) con l'alabarda, venne ridotta nel 1421.Sono conosciuti altri lavori svolti nel corso del sec. 14° (Tamaro, 1924, pp. 165-166; Szombathely, 1934) e riguardanti varie cappelle della cattedrale (Mirabella Roberti, 1970, p. 44). Probabilmente duecentesca è la cappella-ossario di S. Michele al Carnale, con cripta dalle volte trasversali (Mirabella Roberti, 1970, pp. 288-295). Viene attribuita al sec. 12° la basilica di S. Silvestro, che subì rifacimenti nel Trecento (Fazzini Giorgi, 1990): la muratura scabra è ravvivata da note di pietra bianca nel campanile parzialmente pensile e nel rosoncino. L'interno, a tre navate irregolari, si rifà a schemi istriani (Marušić, 1977-1978; Cuscito, 1992b, pp. 41-45).Nel Trecento sorsero gli edifici di S. Sergio e S. Chiara e altre chiese sparse nel territorio (Szombathely, 1934; Mongiat, 1989; Cuscito, 1992b). Segni della transizione tra Romanico e Gotico traspaiono per es. nelle bifore di via Donota (Maselli Scotti, 1989, p. 42), ma sono perdute molte architetture anche notevoli: un imponente palazzo comunale, un nuovo palazzo vescovile, un S. Pietro, ecclesia Communis, con due rosoni nella facciata a fasce bicolori (Rutteri, 1981, p. 74; Furlan, 1990, p. 43; Cuscito, 1992b, pp. 79-81, 141-142).Per gli ordini religiosi, una chiesa di S. Francesco (1257) sorgeva fuori di porta Cavana (Cuscito, 1992b, pp. 71-72). Le Clarisse sono documentate fra il 1265 e il 1278: una loro chiesa sorgeva fra la cattedrale e il castello (Le Benedettine, 1978; Rutteri, 1981, p. 74).Il castello, attestato nel 1253, fu rifatto dai Veneziani (1371) in forma di quadrilatero: la torre superstite del capitano include una cappella. Dopo la distruzione del 1380-1381 il castello venne nuovamente ricostruito da Federico III nel 1470 (Szombathely, 1934, pp. 4-5). Del castello inferiore rimangono resti nei pressi di piazza del Mercatovecchio (Rutteri, 1981, p. 30; Ruaro Loseri, 1985, pp. 171-172).
Fra i rilievi paleocristiani (tre frammenti di plutei murati in S. Michele; Mirabella Roberti, 1970, pp. 290-291), rivelano un'alta qualità i sei capitelli reimpiegati nel sacello di S. Giusto: sono di tipo corinzio, con foglie finemente dentellate e con una coroncina nel collarino, secondo orientamenti protogiustinianei (S. Polieucto a Costantinopoli; Tavano, 1988, pp. 156-158).Svariati rilievi, plutei e cornici, ripetono formule consuete per l'età carolingia (Cammarata, 1978-1979, pp. 75-94) e trovano precisi riscontri a Grado, ad Aquileia e a Capodistria: spicca l'antependium con undici colombe nell'absidiola meridionale del sacello di S. Giusto (Gaberscek, 1988, p. 231). Due capitelli dello stesso sacello hanno permesso di ipotizzare una fase carolingia per l'intero edificio (Mirabella Roberti, 1957; 1970, p. 161).I quattordici capitelli dell'Assunta, attribuiti all'episcopato di Adalgero, sono definiti 'a palmette' e tardo-ottoniani (Buchwald, 1966) come quelli della basilica di Aquileia, ma, per le proporzioni e per il colorismo più discreto, si accostano ai capitelli di S. Lorenzo del Pasenatico (Gaberscek, 1988, pp. 264-267; Luca, 1996).Versione provinciale d'una figuratività romanica appare un S. Pietro d'una fronte di sarcofago duecentesca (Trieste, Mus. Civ. di Storia e Arte), giunta da Montona. Nel Trecento si distinguono per vivace sensibilità i due rosoni, l'uno nella facciata di S. Giusto e l'altro, più conciso, in quella di S. Bartolomeo a Barcola (Ruaro Loseri, 1985, pp. 426-427). È il momento in cui acquistano nuovo significato le stesse sculture romane, valorizzate, quasi citazioni dotte, all'esterno della cattedrale: negli stipiti con i Barbii una figura divenne S. Sergio (Mirabella Roberti, 1970, pp. 35-36) e nel fianco del campanile un arco ogivale esalta la figura di S. Giusto (Sforza Vattovani, 1980), solida e rigidamente drappeggiata con modi vicini al magister Iohannes di Venzone (Walcher, 1988, pp. 336, 339); l'opera è stata anche giudicata tardoantica (Iona, 1995, p. 12 n. 11).Su un versante veneto si colloca il crocifisso ligneo del monastero benedettino di S. Cipriano, con echi di Jacopo di Monselice, ma fors'anche dei Moranzone (Walcher, 1988, pp. 366-369; Skerl Del Conte, 1990) e potrebbe risalire agli anni intorno al 1380.
Alle forme sobrie e lineari dei mosaici del sec. 5° (livello inferiore della basilica di via della Madonna del Mare e basilica sotto S. Giusto; Mirabella Roberti, 1970, pp. 16-19) succedono nella ricordata basilica suburbana più vivaci policromie e più elaborati motivi, con matasse gonfie, esagoni intrecciati, 'onde subacque', nel clima della restaurazione giustinianea altoadriatica (Tavano, 1986, pp. 249-258).Altri mosaici, ma parietali, compaiono a T. nel sec. 12° nell'abside della basilica dell'Assunta e in quella di S. Giusto. Il primo è nobilissimo documento bizantino nella storia della pittura italiana, per quanto inserito e bilanciato con formulazioni occidentali, come appare dal dibattito a più voci (Gioseffi, 1983). Entro cornici preziose e su un fondo aureo si staglia la Madonna con il Bambino affiancata da due arcangeli, mentre nel semicilindro su un prato smaltato si allineano gli apostoli secondo un 'cerimoniale bizantino'. Nonostante qualche proposta diversa (Polacco, 1986), le due parti devono essere giudicate unitarie e prodotte dalla stessa bottega, imparentata con quella che, nel 1112, lavorò nella basilica Ursiana di Ravenna, e perciò ligia ai modi bizantini che proprio allora venivano accolti e riproposti da Venezia. La prossimità formale con i mosaici di Dafnì, che vale tanto per T. quanto per Ravenna, distingue questi mosaici dai modi di Hosios Lukas e, di riflesso, di Torcello.La figura di Cristo che calpesta l'aspide e il basilisco, fra i ss. Giusto e Servolo, campeggia nel sacello di S. Giusto: l'eleganza rigida e le proporzioni spinte potrebbero anticipare soluzioni gotiche, ma è più ragionevole vedervi ancora elaborazioni di matrice bizantina, fors'anche per sollecitazioni paleologhe: corrispondenze con mosaici marciani (Miracolo delle reliquie) orientano verso gli inizi del Duecento. Gli spazi fra gli archi ciechi sottostanti furono del resto affrescati dopo il 1230 (Gioseffi, 1975, p. 297), forse per un programma in parte coordinato: è da escludere un'intenzione politica (o addirittura nazionale) per celebrare la vittoria su Federico Barbarossa del 1176. Le epigrafi dei due mosaici si sono prestate a varie letture (Gentile, 1951; Gioseffi, 1975, pp. 299-300).
Più aderente ancora alla cultura pittorica bizantina è la figura di S. Giusto dipinta a tempera sulle due facce di un sottile velo di seta, conservato nel Tesoro della Cattedrale, all'origine forse usato come stendardo (Bianco Fiorin, 1992, pp. 254-259): rinvenuto nell'urna del santo nel 1825 (assieme a monete della seconda metà del sec. 13°), nel bilanciamento leggero della figura e nella delicatezza delle tinte, che mirano a superare le stilizzazioni grafiche mediobizantine, rivela una persuasiva vicinanza con le icone musive del S. Marco di Venezia (Gioseffi, 1975, p. 297), e pertanto potrebbe risalire alla metà del sec. 13° (Tavano, 1984, pp. 453-455). Si rivelano istruttivi i confronti con la tempera raffigurante S. Nicola Pellegrino di Trani (Trieste, Mus. Diocesano) o con opere di artisti attivi a Creta o a Venezia stessa (Bianco Fiorin, 1992, p. 289 nn. 12-15).Nell'ambito della cultura pittorica veneta della prima metà del Trecento occupa un posto rilevantissimo il trittico di S. Chiara (Trieste, Mus. Civ. di Storia e Arte), imponente opera eseguita per la comunità triestina di S. Chiara, che per ragioni iconografiche dovrebbe risalire agli anni 1328-1330. L'alto livello qualitativo risente gli effetti della pittura paleologa, soprattutto nelle scene centrali, opera forse di un miniatore, talora identificato con Marco, fratello di Paolo Veneziano, a cui invece si attribuiscono le due ali, dove si intuiscono spunti pisani e riminesi (Lucco, 1986, p. 144; Boskovits, 1990, p. 196; Travi, 1992; Flores d'Arcais, 1994, p. 242).Nell'ambito della maniera di Paolo Veneziano o del Maestro del Trittico di S. Chiara (Santini, 1995, p. 187) si collocano un paliotto con dodici santi e un crocifisso della cattedrale; sempre nella cattedrale un'Annunciazione, con una parte di Crocifissione, denota maniere affini a Paolo Veneziano (Travi, 1992, pp. 86-89; Santini, 1995, p. 187). Un pittore sempre veneziano dipinse la croce di S. Cipriano (Tesori, 1978, pp. 36-38; Walcher, 1995, pp. 234-236).Nel ricordato semicilindro del sacello di S. Giusto erano affrescati dieci episodi (ne rimangono sette) con la Passione del santo, opera del Primo Maestro di S. Giusto, con riferimenti agli affreschi di S. Maria Assunta a Muggia Vecchia e quindi a quelli nella Johanneskapelle a Pürgg, in Stiria, entro il 1240 (Dalla Barba Brusin, Lorenzoni, 1968, p. 85; Bergamini, 1994, pp. 141-142). Non ben definibili sono altri affreschi, come quello dell'absidiola destra in S. Giusto (Mirabella Roberti, 1970, pp. 33, 246-247) e quelli di S. Silvestro.Un Secondo Maestro di S. Giusto sovrappose, un secolo e mezzo dopo, un nuovo ciclo pittorico con storie del martire triestino in cinque pannelli (Bianco Fiorin, 1969), che rivelano la mano d'un postgiottesco, conoscitore di Vitale da Bologna, di Tomaso Barisini e di Guariento di Arpo, all'interno dunque del panorama padano-veneto della seconda metà del Trecento. La stessa mano è studiabile nella basilica di Aquileia e fenomeni simili si riconoscono altrove in terra friulana (Sforza Vattovani, 1980b, pp. 1586-1587; Bergamini, Tavano, 1984, p. 252). Certi anacronismi riguardo alle architetture hanno indotto a una datazione fra il 1370 e il 1382 (Godoli, 1984, p. 17; Bianco Fiorin, 1992, pp. 261-288; Walcher, 1995, pp. 234-236). Un 'attardato repertorio emiliano' persiste ancora nel 1422 nella pittura dei friuliani Antonio Baietto e Domenico Lu Domine, che affrescarono l'abside maggiore della cattedrale: rimangono solo due teste (Tesori, 1978, pp. 105-106; Sforza Vattovani, 1980b, p. 1587; Furlan, 19872, pp. 212-213; Bianco Fiorin, 1992, pp. 253, 288 n. 7). Non poche tracce medievali permangono anche nel Quattrocento (Pittura su tavola, 1975, pp. 59, 73, 82, 84).
Si conoscono miniatori attivi a T. nel Trecento e oltre: un Martino da T. (1339), un Deserto, autore di centinaia di iniziali per gli Statuti del 1365 (Trieste, Bibl. Civ. A. Hortis, βEE3; Rossetti, 1830, p. 151; Szombathely, 1930, p. XXVIII), un Daniele d'Aquileia, che nel 1449 decorò gli Statuti del 1421 (Caprin, 1897, p. 167; Tamaro, 1924, p. 282; Szombathely, 1934, p. 10). Fra i molti codici miniati della Bibl. Civ. A. Hortis di T. è da segnalare un Liber pontificalis (αEE12) eseguito nell'ambito di Nicolò di Giacomo fra il 1360 e il 1370 (Skerl Del Conte, 1996).
Perduta una lamina di piombo riferibile al trasporto del tesoro di Aquileia a Grado, avvenuto nel 568 (Lettich, 1984, p. 43), si legano alla Tarda Antichità una formella in avorio con soggetti mitologici, di fattura copta (sec. 6°; Ruaro Loseri, 1977, pp. 52-53), e un enkólpion cruciforme (Bravar, in Tesori, 1978, p. 47), ambedue nel Mus. Civ. di Storia e Arte. Duecenteschi e ugualmente importati sono i frammenti d'una cassetta lignea conservata presso la curia vescovile, con geometrie e teste d'aquila, giunta dall'Italia meridionale (Crusvar, 1992, pp. 317-320), e il crocifisso limosino in bronzo di Corgnale (Buffolini, 1979).
Sono rigorosamente triestini invece il reliquiario in argento per S. Giusto oggi nel Tesoro della Cattedrale, con forme schematizzate, specie nei crocifissi (Crusvar, 1992, pp. 297-317), l'alabarda (Crusvar, 1992, p. 299), e il crocifisso dei Battuti (Crusvar, 1978, pp. 50-51), sempre nel Tesoro della Cattedrale. Una 'saliera' esagonale in peltro oggi nel Mus. Civ. di Storia e Arte fu eseguita da un Bostetus e reimpiegata dal vescovo Angelo Canopeo fra il 1369 e il 1382 (Bianco Fiorin, 1992, pp. 259-261; Buora, in Ori e tesori, 1992, p. 86). Risale al 1383 una finissima croce flamboyante per Alda de' Guliani nel Tesoro della Cattedrale (Crusvar, 1978, pp. 52-53).In quest'orizzonte rientrano i ventidue tipi monetali, battuti dai vescovi di T. fra la fine del sec. 12° e gli inizi del Trecento, con stretta somiglianza con emissioni aquileiesi e goriziane (Bernardi, 1995, pp. 14-15).
Bibl.: D. Rossetti, Statuti descritti e illustrati, Archeografo triestino 1, 1830, pp. 101-209; G. Caprin, Il Trecento a Trieste, Trieste 1897; A. Tamaro, Storia di Trieste, Trieste 1924 (19762); I. Gärtner, La Basilica di S. Giusto, Trieste 1928; M. Szombathely, Appunti sulla cattedrale di Trieste, Archeografo triestino, s. III, 15, 1929-1930, pp. 391-405; id., Statuti di Trieste del 1350, Trieste 1930; id., Arte e lavori pubblici a Trieste nel XIV e XV secolo, La Porta orientale 4, 1934, pp. 1-15; Inscriptiones Italiae, X, 3-4, a cura di A. Degrassi, P. Stricotti, Roma 1936-1951; E. Morpurgo, Il castello di Trieste, Trieste 1949; A. Gentile, L'invocazione alla Vergine Assunta nella Cattedrale di San Giusto a Trieste, La Porta orientale 21, 1951, pp. 96-101; M. Mirabella Roberti, Il sacello di San Giusto a Trieste, in Karolingische und ottonische Kunst (Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie, 3), Wiesbaden 1957, pp. 193-209; M. Campitelli, Nota sul musaico con i dodici apostoli di S. Giusto a Trieste, Arte veneta 12, 1958, pp. 19-30; M. Walcher, Il Trittico di S. Chiara e l'orientamento paleologo nell'arte di Paolo Veneziano, Trieste 1961; M. Mirabella Roberti, La basilica paleocristiana di S. Giusto a Trieste, in Festschrift Friedrich Gerte, Baden-Baden 1962, pp. 55-64; H. Buchwald, Eleventh Century Corinthian Palmette-Capitals in the Region of Aquileia, ArtB 48, 1966, pp. 147-158 (trad. it. Capitelli corinzi e palmette dell'XI secolo nella zona di Aquileia, Aquileia nostra 38, 1967, coll. 177-222); D. Dalla Barba Brusin, G. Lorenzoni, L'arte del patriarcato di Aquileia dal secolo IX al XIII, Padova 1968; M. Bianco Fiorin, Il maestro di San Giusto, Udine 1969; G. Cuscito, La basilica martiriale paleocristiana di Trieste, Atti e Memorie della Società istriana di archeologia e storia patria, n.s., 18, 1970, pp. 37-68; M. Mirabella Roberti, San Giusto, Trieste 1970; G. 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