TRIESTE (XXXIV, p. 327; App. I, p. 1069; II, 11, p. 1020)
La sistemazione territoriale uscita dal trattato di pace del 10 febbraio 1947, entrato in vigore il 15 settembre, si rivelò ben presto non vitale, soprattutto a proposito del Territorio libero di Trieste diviso con la cosiddetta linea Morgan in Zona A, affidata all'amministrazione e occupazione anglo-americana, e in Zona B, affidata in amministrazione alla Iugoslavia. Questa sistemazione che doveva essere provvisoria (legata come origine ad un accordo militare) a sette anni di distanza finì per essere accettata dall'Italia e dalla Iugoslavia con il Memorandum d'intesa di Londra del 5 ottobre 1954.
La maggior parte della popolazione di T. fu sempre fortemente ostile all'idea del Territorio libero che significava comunque distacco dall'Italia, per rimanere in un organismo che avrebbe avuto una vita incerta, difficile, sottoposta a influenze non chiare delle grandi Potenze. Tuttavia il trattato di pace stava per entrare in vigore e, allo scopo di definire le posizioni italiane, i partiti politici italiani a T. (ad eccezione dei comunisti) il 2 settembre 1947 diedero una nuova fisionomia e nuovi compiti alla loro "Giunta d'intesa" che riunirà i partiti seguenti: democratico cristiano, partito socialista della Venezia Giulia, partito repubblicano italiano d'azione, partito liberale e gruppi di destra. Si forma o trasforma anche, per adeguarsi al nuovo assetto territoriale, un partito comunista del T.L.T., favorevole come gli Iugoslavi e gli sparuti gruppi autonomisti all'entrata in vigore dello Statuto, con nomina del governatore. Intanto, fra il 10 febbraio e il 15 settembre 1947 si assiste all'esodo in massa degli Italiani della Venezia Giulia: 30.000 da Fiume, 4000 da Rovigno, 28.000 da Pola, ecc. per giungere a cifre che, fra il 1947 e il 1954, fanno salire il numero dei profughi italiani fra i 230 e i 250.000.
Sul piano internazionale, quanto all'entrata in vigore, concretamente, dello statuto del Territorio libero, il problema della nomina del governatore divide fortemente le varie potenze e soprattutto l'Italia e la Iugoslavia, già prima della firma del trattato di pace. Se, nell'elaborazione del trattato, Russi e Iugoslavi non avevano ottenuto che la carica di governatore fosse, come da essi proposto, priva di effettivo potere, quando si trattò di sceglierlo essi si preoccuparono di far cadere la scelta su persona ad essi gradita. Dopo la proposta di numerosi nominativi, tutti caduti perché non accettati dall'uno o dall'altro, dopo che il 18 dicembre 1947 era stata accettata la proposta francese di invitare Italia e Iugoslavia a mettersi d'accordo sul nome, in realtà gli Occidentali già da questo momento avvertono che - nel clima di guerra fredda con l'URSS - il T.L.T. non può essere una soluzione vitale. Così, mentre proseguono invano i contatti italo-iugoslavi per la ricerca di un nominativo accetto alle due parti, gli Occidentali sentono che occorre attuare, proprio circa il T.L.T., una revisione del trattato di pace, a favore dell'Italia: in presenza della crescente tensione internazionale e della stessa situazione interna italiana era indispensabile che l'Italia ricevesse concrete prove di amicizia da parte degli Occidentali. Così, fra gli altri provvedimenti, il 20 marzo 1948 le tre Potenze occidentali proposero all'URSS che tutto il T.L.T. venisse trasferito all'Italia. Questa che poi verrà chiamata "Dichiarazione tripartita", non aveva, in realtà, alcun valore positivo, se non quello di riaprire nuovamente e in modo aspro - sottolineato da incidenti e manifestazioni - la questione territoriale che il trattato di pace aveva regolato. L'URSS rifiutò di accedere alla proposta degli Occidentali e da allora sino al 1954 rimase ferma, legalisticamente, all'idea del T.L.T., chiedendo più volte che lo Statuto entrasse in vigore, con conseguente allontanamento delle truppe anglo-americane e nomina di un governatore. Ma sempre, in seno al Consiglio di sicurezza delle N.U., si trovò di fronte l'opposizione degli Occidentali. Intanto, dopo la rottura tra Tito e il Cominform (28 giugno 1948) si entrò in una fase nuova del problema di Trieste. La situazione internazionale generale fece sì che le potenze occidentali finissero per essere fortemente combattute circa l'orientamento da assumere nella questione: se l'Italia s'inseriva stabilmente nell'Alleanza atlantica, S.U.A. e Gran Bretagna pensavano di guadagnare alla propria politica anche la Iugoslavia in rotta con l'URSS. Così, mentre non ottenevano alcun risultato i negoziati italo-iugoslavi, del resto mai approfonditi, del 1950 e del 1951, apparve chiaro che il tempo lavorava a favore della Iugoslavia: la sua posizione internazionale, dopo lo scoppio del conflitto coreano e con l'elezione al consiglio di sicurezza si era rafforzata; essa riceveva aiuti economici massicci (oltre 500 milioni di dollari), ed era ormai considerata come l'alleato potenziale, quello che in caso di conflitto avrebbe dovuto sopportare il primo urto del blocco orientale. Di qui l'evoluzione della politica alleata a Trieste: la dichiarazione tripartita fu considerata sempre meno attuale, il comandante della zona A del T.L.T. gen. Airey (che si era più volte espresso per il ritorno di tutto il Territorio libero all'Italia) il 19 marzo 1951 fu sostituito dal gen. Winterton. Questi contro la realtà nazionale italiana della zona A, inaugurò una decisa politica di equidistanza (che era ben lungi dal poter essere applicata nella zona B sotto amministrazione iugoslava). Fatti grandi e piccoli - principali la rottura di rapporti fra gli organi giudiziarî della zona A e quelli d'Italia e il rinvio delle elezioni amministrative (6 settembre 1951) - sottolineavano il nuovo orientamento che trovò conferma con la firma a Belgrado il 14 settembre 1951 di un accordo per gli aiuti militari da parte degli S.U.A. in base al Mutual security Act. Localmente poi questa politica conduceva, di fatto, a favorire la Iugoslavia, facendole guadagnare posizioni preziose nella zona A.
Questa situazione generale ebbe a T. ripercussioni sempre più esasperate. La tensione degli animi giunse al massimo il 20 marzo 1952, quando la polizia disperse con la forza una manifestazione per l'anniversario della Dichiarazione tripartita, con oltre 150 feriti. Da questo momento la politica alleata si rese conto della realtà e dei pericoli della situazione e si chiarì nel senso di imporre, a poco a poco, l'avvicinamento delle due parti - Italia e Iugoslavia - all'idea della spartizione del T.L.T. Si ebbe così, a seguito delle conversazioni anglo-italo-americane di Londra, l'entrata in vigore il 15 maggio di un nuovo regime amministrativo: ferma restando la responsabilità generale del Govermo Militare Alleato (che manteneva la direzione della polizia e del porto) il govern0 italiano nominò: un consigliere politico presso il comando di zona nella persona dell'istriano prof. Diego de Castro, un direttore superiore dell'amministrazione civile, nella persona del prefetto Vitelli; 21 funzionarî italiani in sostituzione di altrettanti anglo-americani.
Questa parte maggiore dell'Italia nell'amministrazione della zona A suscitò forti reazioni da parte della Iugoslavia che, da parte sua, lo stesso 15 maggio adottò misure analoghe per la zona B. Le elezioni del 25 maggio nella zona A diedero una netta vittoria ai partiti italiani (DC, PRI, PLI, Partito Socialista della Venezia Giulia: 40 seggi; destre 5 seggi), contro i 6 seggi dei social-comunisti, i 6 degli autonomisti e i 2 seggi degli Sloveni.
Riequilibrata, almeno in parte, la posizione dell'Italia, la diplomazia anglo-americana spinse con sempre maggiore insistenza a far accettare la realtà della spartizione, ormai in atto. La situazione fra Italia e Iugoslavia si inasprì fra la fine di agosto e la metà di settembre 1953: in conseguenza di certe voci, rese attendibili dall'avallo dell'agenzia United Press, di annessione della zona B da parte della Iugoslavia, il presidente del Consiglio G. Pella decise di mandare truppe alla frontiera per controbilanciare un eventuale atto iugoslavo con l'occupazione della zona A e essere così in grado di poter negoziare su piede di parità effettiva. Poco dopo la mediazione delle potenze e la buona volontà delle parti sdrammatizzarono la situazione e consentirono agli Anglo-Americani di compiere un altro passo verso la spartizione di fatto: l'8 ottobre 1953 Gran Bretagna e S. U. A. annunziarono la decisione di ritirare le loro truppe da Trieste e di affidare la zona A del T.L.T. all'amministrazione italiana. La mancata attuazione immediata e la violentissima reazione iugoslava fermarono tutto; dopo che ai primi di novembre del 1953 si ebbero sanguinosi incidenti a Trieste con una dura repressione della polizia, Gran Bretagna e Stati Uniti avvertirono più che mai la necessità di "liberarsi" della questione di Trieste e dai primi di febbraio del 1954 avviarono a Londra negoziati segretissimi con la Iugoslavia per trovare una base di accordo. Dal giugno alle conversazioni prese parte anche l'Italia e così si giunge al Memorandum d'intesa del 5 ottobre 1954 concluso a Londra dai cinque governi. Stabilite alcune reciproche rettifiche di frontiera (vedi appresso) Anglo-americani e Iugoslavi avrebbero posto fine al regime di occupazione militare; i primi si impegnavano a consegnare la zona A all'amministrazione italiana e i due governi italiano e iugoslavo avrebbero esteso "immediatamente la loro amministrazione civile sulla zona per la quale avranno la responsabilità".
Il 26 ottobre 1954 si effettuò il passaggio dei poteri dall'amministrazione alleata a quella italiana, nelle mani del gen. Edmondo De Renzi. Il giorno 29 dello stesso mese il govermo del Territorio venne assunto dal commissario generale del governo, prefetto Giovanni Palamara. Il 4 novembre T. ricevette la visita del presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che appuntò sul gonfalone comunale la medaglia d'oro al valor militare, conferita alla città in riconoscimento della lotta sostenuta per la difesa della sua italianità. Nel 1956 venne ripristinato l'ordinamento provinciale, mentre l'anno seguente la nuova provincia poteva eleggere i suoi tre deputati al parlamento della Repubblica italiana.
Per effetto del Memorandum d'intesa, il confine orientale d'Italia si è spostato dalla foce del Timavo alla penisola di Muggia. Da Medeazza al M. Goli, estremo punto orientale (13°55′ E) segue il vecchio confine del T.L.T., mentre poi corrisponde per un breve tratto, fino al castello di S. Servolo, alla vecchia linea di demarcazione interzonale. Quindi attraversa il versante nord-occidentale dei Monti di Muggia a circa 200-300 m dalla linea precedente, procedendo a segmenti rettilinei fra i punti trigonometrici dei M. Castellier (m 245) e S. Michele (m 197), fino al mare, che raggiunge fra Punta Grossa e Punta Sottile, nella valle di S. Bartolomeo. Questo confine, che deve essere ormai considerato definitivo, taglia nel Muggesano una ricca zona agraria, di insediamento molto denso, prevalentemente sparso, portando notevole disagio alla popolazione che vi abita. In seguito alle correzioni apportate, sono stati ceduti alla Iugoslavia circa 13 km2 di territorio, con i centri abitati di Albaro Vescovà, Crevatini e Plavia, in cui viveva una popolazione complessiva di circa 4.000 abitanti, che hanno però preferito quasi tutti l'esodo. Il nuovo valico stradale di confine della via Flavia (S.S. 15, Trieste-Pola) è stato pertanto spostato da Albaro Vescovà a Rabuiese, e quello sulla strada costiera al Lazzaretto.
Il Memorandum, confermando la perdita della Zona B, ha notevolmente ridotto il retroterra agricolo di Trieste, ma ha anche posto fine ad una precaria situazione di instabilità, che impediva la ripresa dell'economia cittadina e teneva lontane le iniziative economiche. Gli accordi italo-iugoslavi di Udine (1955) hanno poi favorito il ripristino del traffico di persone e cose fra le due zone, attenuando i disagi delle popolazioni di frontiera.
La popolazione residente nel Territorio nel 1951 era di 297.003 ab., con una densità di 1330 ab. per km2, inferiore solo a quella della provincia di Napoli, di cui però ben 272.522 risiedevano nel comune di Trieste (densità 3299) e 259.167 nell'area urbana. Molto densa risulta anche la popolazione nei comuni di Muggia (475) e S. Dorligo della Valle (181), che si estendono nella zona marnoarenacea, mentre sono scarsamente abitati i comuni carsici di Duino-Aurisina (117), Monrupino (47) e Sgonico (42). Al censimento del 15 ottobre 1961 la popolazione residente del comune di Trieste risultò di 273.390 e quella dell'intera provincia di 299.187.
Il movimento naturale della popolazione è caratterizzato da una bassa natalità (9,3‰ nel periodo 1951-57) e da una mortalità leggermente superiore alla media nazionale (11,2‰) per cui ne risulta un decremento demografico (− 1,9‰). Molto elevata è stata pure nell'ultimo decennio l'emigrazione permanente, soprattutto verso l'Australia (15.062 partenze nel periodo 1954-57), compensata però dall'afflusso dei profughi dai territorî ceduti (26.914 arrivi nello stesso periodo) e da una discreta corrente immigratoria dall'Italia. Pertanto alla fine del 1958 la popolazione residente era salita a 308.563 ab., con un aumento di 11.560 unità in sette anni. Gli abitanti di T. e di Muggia sono italiani, mentre sull'Altipiano Carsico prevalgono gli Sloveni, valutati nel 1958 a circa 30.000 unità, che sono tutelati, come la popolazione italiana rimasta nella ex zona B, dallo Statuto speciale per le minoranze, allegato al Memorandum di Londra.
In tutto il Territorio molto intenso è stato nell'ultimo decennio il fervore edilizio, che ha ulteriormente esteso l'area urbana di T. ed ha fatto sorgere nuovi centri abitati per i profughi, come i villaggi pescherecci alla foce del Timavo e presso Muggia e i villaggi residenziali S. Mauro, presso Sistiana, e S. Nazario, presso Prosecco. Nella zona industriale di Zaule è poi in corso di realizzazione un centro satellite suburbano, denominato Borgo S. Sergio.
L'economia triestina, uscita indebolita dal lungo travaglio politico del Territorio, si trova ancora in una fase critica di assestamento, caratterizzata dalla preoccupante flessione del movimento portuale, dalla scarsità di commesse per le industrie cantieristiche e dalla difficoltà di attrarre nuove iniziative industriali che permettano di mantenere l'attuale livello di occupazione.
La decadenza dei traffici portuali si è accentuata in conseguenza delle mutate direttrici del commercio estero austriaco, che si orienta soprattutto verso i paesi dell'Europa orientale, e per l'accresciuta concorrenza di altri porti, fra cui specialmente quello di Fiume. Dopo aver raggiunto nel 1957 un movimento commerciale di 5.138.439 t, costituito però in prevalenza da combustibili, minerali e cereali, il porto triestino ha subìto nei due anni successivi notevoli perdite, scendendo nel 1959 a 4 milioni e 100.000 t, per cui ora figura all'8° posto fra i porti italiani, dopo essere stato superato da Livorno, La Spezia, Augusta, Savona e Bari. Tuttavia sono in corso importanti opere di potenziamento degli impianti portuali, come la costru2ione del molo VII, a cui potranno attraccare anche navi dalla stazza di 60.000 t, e di una ferrovia di cintura urbana, in galleria, elettrificata e a doppio binario, che migliorerà i collegamenti fra la stazione centrale e la zona industriale ed il porto nuovo. Lo sviluppo industriale è favorito dalla istituzione dell'Ente Porto Industriale di Zaule (1948), che recentemente ha ottenuto non solo il rinnovamento delle agevolazioni fiscali per un ulteriore decennio, ma pure un punto franco di circa 21 ettari.
Fra le maggiori industrie finora stabilitesi nel comprensorio figura il cementificio dell'Italcementi, la manifattura tabacchi ed un grande stabilimento tessile per la produzione di fibre artificiali. Per favorire le iniziative economiche venne istituito nel 1955 un Fondo di Rotazione, in comune però con la prov. di Gorizia. In corso di miglioramento è anche la rete delle comunicazioni che fa capo alla città, con l'elettrificazione già completata della linea ferroviaria Trieste-Mestre e la progettazione dell'autostrada Trieste-Palmanova-Venezia, di ormai prossima attuazione. Scarsa importanza hanno nel Territorio le attività agricole, accentrate soprattutto nella zona marno-arenacea, che riescono a soddisfare appena il 5% del fabbisogno locale. Prevalgono le coltivazioni foraggere permanenti (31,5%) ed i boschi (21,8%), mentre scarsa estensione hanno le coltivazioni erbacee e legnose. L'espansione urbana e industriale tende a ridurre ulteriormente la superficie produttiva, mentre è in atto un processo di deruralizzazione della popolazione agricola (2,1% nel 1951).
Le attività pescherecce, invece, sono considerevolmente aumentate, nonostante la perdita delle acque territoriali istriane, per l'afflusso di numerosi pescatori profughi, che hanno trasferito a Trieste le loro imbarcazioni. Sebbene il compartimento marittimo triestino abbia perduto anche i porti di Monfalcone e Grado, oltre a quelli istriani, oggi la produzione di pesce è raddoppiata rispetto all'anteguerra, cosicché T. è divenuto un importante centro di produzione che copre oltre la metà del suo consumo. Le risorse ittiche del golfo triestino vanno però impoverendosi, per l'eccessivo numero di pescatori, nonostante i modesti benefici derivanti dai recenti accordi italo-iugoslavi.
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