GABRIEL (Gabriele), Trifone
Nacque il 20 nov. 1470 a San Polo di Piave in provincia di Treviso dal patrizio veneziano Bertucci e da Diana Pizzamano, seconda moglie di questo.
A venti anni G. estrasse la bolla d'oro, e iniziò il cursus honorum; fu dei Signori della notte, ossia giudice criminale, carica cui rinunciò per prendere gli ordini minori ecclesiastici, probabilmente nel 1498 come risulta da una lettera di Pietro Bembo al G. datata 2 febbr. 1498, in cui si parla di un viaggio a Roma compiuto da quest'ultimo che gli avrebbe permesso di dedicarsi finalmente alla vita contemplativa come desiderava, questione ripresa in una lettera sempre del Bembo al G., inviata da Ferrara a Venezia nel 1499. Il 14 genn. 1499 fu nominato da papa Alessandro VI coadiutore di Agostino vescovo d'Argo e suo successore; ma il 20 marzo 1504, quando la carica si rese vacante, egli la rifiutò, e la stessa cosa accadde nel 1524 per il patriarcato di Venezia e nel 1527 con il vescovato di Treviso. Il G. stesso fa riferimento probabilmente proprio a questi avvenimenti in una lettera a lui attribuita e indirizzata al fratello Francesco e al nipote Bertucci Gabrieli. Dopo aver trascorso principalmente la sua vita tra Padova e Venezia, morì il 20 ott. 1549 a Venezia, nella parrocchia di S. Canciano e fu seppellito nella chiesa di S. Maria della Celestia.
Ancora vivente il G., Donato Giannotti nel Libro de la Republica de Vinitiani (Roma 1540) lo scelse quale interlocutore insieme con Giovanni Borgherini del Dialogo primo, ambientato a Padova nella casa di Pietro Bembo, tracciandone un ritratto particolarmente efficace: "Era in quelli giorni M. Trifone Gabriello in una sua villa, nella quale assai tempo egli è usato dimorare, lontano da ogni ambitione, libero dall'amministrazione della Repubblica, discosto da molte incommodità, che seco porta la vita civile. Gode egli nella sua villa questa nostra vita felicemente - con tanta tranquillità d'animo, di quanta humanamente può essere capace. Ne mai è che egli non sia in compagnia d'alcuno di quegli antichi et nobili spiriti, così Toscani, come Latini, si com'è Cicerone, Virgilio, Horatio, Dante, il Petrarcha, il Boccaccio, co quali egli continovamente i loro volumi leggendo ragiona. Et perché la villa, nella quale egli dimora, non molto dalla Città lontana, con gran sua commodità viene spesse volte in Padova a fare parte a molti suoi amici della sua dolce conversatione: la quale da ciascuno, che di lui ha cognitione, è grandemente desiderata. Perciò che oltre alla gravità de costumi, egli è ripieno d'humanità et cortesia, le quali cose producono negli animi di ciascuno grandissimo desiderio di lui" (c. 5v). Testimonianza questa di una scelta di vita che indusse il G. a rifiutare cariche pubbliche a favore di uno studio costante dei classici latini e volgari, rispetto ai quali esercitò un magistero umanistico di cui molto si è discusso in sede critica per cercare di stabilire le coordinate che lo guidarono in un periodo cruciale per la storia della letteratura italiana. Coordinate difficili da determinare con certezza dato che del G. nulla rimane di autografo se non il testamento, recentemente ritrovato nell'Archivio di Stato di Venezia (Notarile, Testamenti, Notaio Antonio Marsilio, b. 1214, n. 993), datato 27 sett. 1540, con il quale nomina suo erede il nipote Jacopo. Allegata al testamento una polizzetta che costituisce una sorta di autoritratto del G. in quanto egli prega il giudice, al quale il testamento fosse stato presentato, di renderlo esecutivo anche se esso presentasse imperfezioni giuridiche. Egli fu noto per la sua scuola e per il suo magistero umanistico, di cui testimoniò B. Daniello nella lettera dedicatoria dei Sonetti, canzoni, e triomphi di messer Francesco Petrarcha con la spositione … (Vinegia 1541), indirizzata ad Andrea Cornelio (Corner) vescovo di Brescia e al G., "al quale nel vero troppo ingrato mi dimostrerei, quando negar volessi esse mie fatiche non esser per la gran parte sue; sì come di colui, che primieramente non pur di questo, e dell'altro Fiorentino Poeta, ma e degli antichi Latini anchora i più profondi sentimenti, le più belle, e dotte sentenze, e le più leggiadre, et artificiose figure del dire investigando, la grandezza, et eccellenza loro ha chiaramente al mondo dimostrato, e di continuo dimostra" (c. ijrv). La dedicatoria prosegue poi affermando che molti si sono appropriati della sapienza del G. pubblicandola sotto il proprio nome, altri hanno invece insinuato che ciò che Daniello stesso scriveva fosse in realtà opera del G. stesso. A questo proposito Daniello risponde che egli si è comportato come Platone "il quale del suo Socrate fece quello, ch'io hora di quest'altro mio novello Socrate ho fatto", giovandosi del suo insegnamento, ma discostandosene quando ritenesse ne fosse il caso. Ha qui origine quella definizione che tanta fortuna ha avuto del G. come un novello Socrate, fortuna dovuta propria alla scarsità di testi tramandati sotto il suo nome, di contro alla moltitudine di testimonianze attestanti la fama della sua scuola di humanitas, fra tutte l'inserimento del suo nome nell'edizione del 1532 dell'Orlando furioso ariostesco (XLVI, XV, v. 8). Fu infatti in un rapporto di sodalitas e stretta amicizia con il patrizio veneto G.A. Augurelli che gli dedicò il carme X del II libro del suo Iambicus liber (Venetiis 1505), "Ad Tryphonem Chabrielum patricium Venetum: vitae propriae immutationem immutationisque detestationem"; e il quarto sermone del Sermonum liber II, un ritratto del G. già dedito alla vita contemplativa intitolato "Tryphoni Chabrielo patricio Veneto. Qui cum ea ridet, quae vulgur admiratur". Numerose le lettere che intercorsero tra il G. e il Bembo attestanti un rapporto di mutua e consona fiducia, a partire da quella inviata al G. dal Bembo a Ferrara nel 1497 in cui gli parla degli Asolani, per passare a quella con cui l'11 dic. 1507 da Urbino gli manda la canzone in morte del fratello Carlo, a proposito della quale gli scrive: "Emendatela, vi priego, e scrivetemene il parer vostro: ché molto lo disidero". Nel 1512 gli inviò in lettura i primi due libri delle Prose della volgar lingua, come attesta la nota lettera spedita dal Bembo il 1° apr. 1512 da Roma a Venezia allo stesso G., contenente precise indicazioni sul lavoro di revisione dell'opera che il Bembo affidò ad un gruppo di amici composto dal G., Augurelli, N. Tiepolo, G.F. Valerio, G.B. Ramusio e A. Navagero. "Ora vi priego tutti insieme, e ciascuno separatamente, che poi che avete voluto questa parte così come è, imperfetta e incorretta, vediate diligentemente e notiate ogni cosa che vi ritroverete star male, o meno che a satisfazione vostra, o molto o poco"; tributandogli per altro un affettuoso omaggio nel libro I delle stesse Prose della volgar lingua. In una lettera del 1525 a F.M. Molza Bembo cita una canzone da lui stesso donata al G., probabilmente il sonetto n. CIII delle Rime, e nel 1530 gli invia il sonetto a lui dedicato con l'indicazione di alcune varianti, confluito poi nelle Rime bembine (n. CXXII). Attestano una amicizia durata il corso di una vita intera le lettere che Bembo scrisse al G. con la data 11 ag. 1535 in occasione della morte della Morosina, e in data 27 marzo 1546 da Roma in cui si ribadiscono la stima e il profondo affetto reciproci. In quegli anni sovente Bembo interloquì con il G. tramite l'intermediazione di Vettore Soranzo, tanto da scrivere in una lettera a quest'ultimo del 28 sett. 1529: "Son trascorso a parlar con M. Trifone come se io li scrivessi questa lettera, ché queste due righe son volte a lui. In ogni modo non ho errato, ché sète amendue uno stesso", a testimonianza di un magistero esercitato dal G., che ebbe come certi allievi lo stesso Soranzo, Daniello e A. Brocardo, ricordato da S. Speroni nel Dialogo della rettorica (in I dialogi di messer Speron Speroni, Vinegia 1542), ambientato a Bologna durante l'incoronazione di Carlo V nel 1530 e avente come protagonisti G.F. Valerio, Soranzo e Brocardo, che nel suo discorso traccia un vivido ritratto del maestro.
Lettere attribuite al G. e indirizzate a Gasparo Contarini (senza data né luogo) e a Daniello in data 13 dic. 1530 e in data 12 ottobre (senza specifica dell'anno) furono pubblicate nel Novo libro di lettere scritte dai piu rari auttori et professori della lingua volgare italiana (Venetia 1544, carta non numerata la prima, c. 82r e 101r)); in Della nuova scielta di lettere di diversi nobilissimi huomini, et eccell. ingegni, scritte in diverse materie attribuita a B. Pino (Venetia 1574) è riproposta la lettera al Contarini (l. II, p. 69), insieme con le lettere ai nipoti Andrea e Marc'Antonio Gabrieli (l. II, pp. 269 s.); ancora al nipote Bertucci Gabriele in data 26 ott. 1526 (l. II, pp. 270 s.); al fratello Francesco e al nipote Bertucci Gabriele (l. II, p. 271); a M. Savorgnan e B. Ramberti (l. II, pp. 271-273); a V. Rimondo, datata 4 apr. 1529, contenente una apologia della propria scelta per la vita contemplativa (l. II, pp. 272-273, p. 272); al vescovo di Bergamo Pietro Lippomano (l. II, p. 273); al Bembo (l. II, pp. 273 s.); le due lettere indirizzate a Daniello erano già presenti nella raccolta di Venezia del 1544 (qui l. II, pp. 344 s. e 365); nella ristampa di Della nuova scielta… (Venetia 1582), oltre ai testi già citati, è contenuta una lunga lettera del Contarini al G. avente per oggetto la questione mente-intelletto (l. I, pp. 113-119) e una lettera del G. al Bembo, non datata (l. IV, pp. 70-72), una vera e propria piccola poetica in nuce sulle figure retoriche e sulla sonorità dell'usus scribendi petrarchesco, in cui E. Raimondi ha riconosciuto lo schema di svolgimento della Poetica di Daniello, dialogo di cui il G. è uno dei protagonisti. Attribuita al G. anche una lettera recante il titolo. M. Trifon Gabriele ad un suo nipote, contenuta nel ms. Vat. lat. 5182 (cc. 219r-223v), edita a stampa in una rara edizione cinquecentesca con il titolo Vita di m. Triphone G., nella quale si mostrano a pieno le lodi della vita solitaria e contemplativa (Bologna, B. Bonardo - M.A. Grossi, 1543). L'edizione a stampa riporta anche un "Epitaphio del medesimo M. Triphone Gabriele nella sua morte".
Sono attribuiti al G. commenti a classici latini conservati manoscritti nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. L'Ambrosiano S 78 sup., contenente un commento al De officiis (c. 11rv) e al Somnium Scipionis di Cicerone (cc. 13r-37r), trascritti entrambi da due corsive della seconda metà del sec. XVI, e il commento al sonetto CCIV del Canzoniere petrarchesco (cc. 47r-48r); l'Ambrosiano Q 120 sup. tramanda un commento al libro I delle Georgiche di Virgilio (cc. 242r-285r; mentre l'Ambrosiano A 70 inf. contiene l'Espositionedi M. Triphone Gabriele sopra li versi del VI di Virgilio Principio caelum ac terras e l'operetta Del flusso e riflusso del mare da messer Triphon Gabriele in Padoa 1544, entrambe tramandate anche dal Vat. lat. 8263 e dal Palatino 1033 della Bibl. Palatina di Parma. Nel Seicento I.P. Tomasini segnalava nella Bibliothecae Patavinae manuscriptae publicae et privatae quibus diversi scriptores hactenus incogniti recensentur ac illustrantur (Utini 1639, p. 110, col. 2) un volume in quarto intitolato Triphon Gabriele sopra alcune Canzoni del Petrarcha, e un altro sempre in quarto recante il titolo Institutione della grammatica volgare di Tryphon Gabriele, affermando di averne preso visione nella biblioteca privata di Nicolò Trevisan, ma entrambi risultano dispersi o comunque irreperibili. Il nipote Jacopo Gabriele pubblicò le Regole grammaticali (Vinetia 1545) sostenendo che esse avessero avuto origine da un dialogo avvenuto con il G. e che quindi dalle sue parole traessero sostentamento, ma non vi sono prove di una partecipazione diretta del G. allo loro composizione; il G. è anche protagonista di un'altra opera dello stesso nipote, pubblicata nello stesso anno, Dialogo nel quale de la sphera et de gli orti et occasi de le stelle, minutamente si ragiona, in cui si riconferma un ritratto del G. dedito alla vita contemplativa e allo studio dei classici.
Attribuiti al G. alcuni componimenti poetici tramandati dal ms. Ital. cl. IX 202 (=6755) della Bibl. naz. Marciana di Venezia: si tratta dei sonetti Tornava a ristorare il novo giorno (c. 126v, conservato anche nel ms. Palat. 221 della Bibl. naz. di Firenze, c. 24r), Aventurosa piaggia ove i begli occhi (c. 126v, a stampa in L. Dolce, Rime di diversi, et eccellenti autori, Vinegia 1556, p. 417; Lirici veneziani del secolo XVI, Venezia 1788, p. 73); Quando avvien che'l desio ch'aggio nel petto (c. 127r, conservato anche nel ms. Palat. 221 della Bibl. naz. di Firenze, c. 29r); Mentre che forse tu col vago piede dedicato a Bembo (c. 127r); Spirto gentil, che per fuggir gl'inganni indirizzato a V. Quirini (c. 127v); il madrigale Poi che si piace Amore (c. 127v); tutti pubblicati a stampa nell'Ottocento dal Parnaso italiano (XII, Lirici del secolo quarto, quinto, sesto e settimo cioè dal 1501 al 1835, Venezia 1851, pp. 1278-1282). Nel Settecento si aveva notizia di un codice, Raccolta di poesie italiane di celebri autori del buon secolo, datato secolo XVI, contenente numerosi componimenti poetici del G., oggi irreperibile (cfr. F.V. Poggio, Notizie della Libreria de' padri domenicani di S. Romano di Lucca, Lucca 1792, p. 185). Attribuito al G. anche il De spherica ratione, pubblicato in appendice al trattato di Giason de Nores In epistolam Q. Horatii Flacci de arte poetica Iasonis de Nores Ciprii ex quotidianis Tryphonis Cabrielii sermonibus interpretatio. Eiusdem brevis, et distincta summa praeceptorum de arte dicendi ex tribus Ciceronis libris de oratore collecta (Venetiis 1553), poi con il titolo La spheretta del clarissimo messer Triphon Gabriel, tradotta dal latino in volgare, nella quale con meraviglioso ordine et brevità si descrivono i cerchi della sphera materiale, immaginati nel Primo Mobile (Padova 1582, cc. 21v-24v).
L'opera grazie alla quale il suo nome è maggiormente ricordato sono le Annotationi nel Dante fatte con m. Trifon G. in Bassano (ora pubblicata in edizione critica da L. Pertile, Bologna 1993), variamente citate dai contemporanei e circolate manoscritte, come testimonia il poemetto in terza rima di Filippo Oriolo da Bassano Il monte Parnaso (Cian, 1885, Appendice di documenti inediti, doc. XL, p. 228). Quattro i testimoni delle Annotationi: il Barb. lat. 3938 e il Vat. lat. 3193 della Biblioteca apostolica Vaticana, l'Acquisti e doni 207 della Biblioteca Medicea Laurenziana, il XIII C 8 della Biblioteca nazionale di Napoli (cfr. ed. Pertile, pp. XVII-XXVIII). L'attenzione per i manoscritti recanti le redazioni delle Annotazioni nel Dante è ottocentesca: il codice barberiniano è segnalato per primo da L.M. Rezzi: si tratta di un'opera scritta da uno o più allievi del G. (forse lo stesso V. Soranzo), che trascrissero i testi delle sue lezioni dantesche, avvenute con tutta probabilità a Bassano del Grappa, per le quali appare però difficile stabilire una datazione certa se non per indizi interni al testo, inerenti le Prose di Bembo e quindi collocantesi tra il 1512, data in cui il G. le poté leggere come dalla lettera bembina sopra citata, e la citazione che ne fa Daniello nel 1541, data quindi ultimativa. Il Pertile nella sua edizione critica ipotizza una data posta tra il 1527 e il 1528 (pp. LXXIV-LXXVII). Le Annotationi nel Dante, come hanno notato numerosi critici, presentano un carattere originale rispetto alle esposizioni coeve: sono infatti più un commento che una nota al margine, pur incorrendo spesso in errori interpretativi che risultano però interessanti rispetto alla lettura del testo dantesco che aveva corso. Esse spaziano da glosse di tipo grammaticale e lessicale, che instaurano un continuo, proficuo confronto con la lezione petrarchesca mediata dalla lettura bembina, a chiose di tipo allegorico, scientifico-astronomico, filosofico-morale che molto devono alla filosofia neoplatonica e al commento landiniano, continuamente rievocato nel corso dell'esposizione con note spesso critiche.
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