Vedi TRIPODE dell'anno: 1966 - 1997
TRIPODE
La parola, che nell'uso moderno può indicare sia recipienti che sostegni a tre piedi, è già testimoniata in età micenea da due tavolette in scrittura Lineare B trovate a Pilo (Ta 641 e Ta 709) che presentano la forma tiripo al singolare e tiripode al duale. Il testo è accompagnato da ideogrammi di tripodi a bacino emisferico o cilindrico con gambe che si attaccano all'altezza della spalla e anse orizzontali o verticali.
Omero conosce il t. che si mette sul fuoco e serve a scaldare l'acqua, oggetto utile e prezioso che si offre in premio al coraggio dei guerrieri e alla bravura degli atleti.
Vasellame a tre gambe destinato a esser posto sul fuoco è conosciuto in Anatolia occidentale fin dalla prima Età del Bronzo (Troia I-V, Kusura, Isparta, Inegöl, Bozüyük e Thermi); ha fianchi alti, fondo arrotondato e una o due anse verticali. A Troia VI un vaso dello stesso tipo ha corpo globulare con bocca larga ed espansa e due anse verticali. Simile vasellame è familiare nella Grecia continentale durante il Medio Elladico (Eleusi) e soprattutto nel Tardo Elladico (Micene, Atene, Eutresis, Asine, ecc.) e sopravvive anche in età più tarda (a Tirinto dalla necropoli di età geometrica e ad Eleusi).
Calderoni in bronzo o rame a t. si trovano a Creta fin dalla fine del periodo Medio Minoico: hanno bacino cilindrico con orlo sporgente e tre anse orizzontali (Cnosso) o due anse orizzontali e una verticale (Gournià) in corrispondenza delle gambe; affine a questi è un calderone di Alalakh, dal palazzo del VII livello (XVIII sec.), con pareti ricurve ed anse a maniglia verticale.
Più tardo (Tardo Minoico III A) è un esemplare, diverso dai precedenti, da Zapher Papoura, con profondo bacino globulare retto da tre corte gambe che si attaccano all'altezza della spalla e due anelli inchiodati verticalmente sul labbro, affrontati, così da permettere il trasporto del recipiente infilando in essi un bastone.
Nella civiltà micenea si hanno due tipi di t.: con bacino poco profondo o, più frequentemente, in età tarda, con corpo emisferico come il t. di Zapher Papoura e due anse di forme variabili: a maniglia, poste al di sopra dell'orlo (Tragana, Denderah) o verticali, dall'orlo alla spalla (Asine, Tirinto). Caratteristico del periodo finale della civiltà micenea è un t. da Micene con orlo rientrante e due anse verticali sormontate da due anelli.
Esso è in testa alla serie dei lebeti a t. di età geometrica, ex voto offerti agli dèi nei principali santuarî della Grecia. In quest'epoca l'utensile si presenta sotto forma di un bacile di bronzo quasi emisferico al cui orlo rientrante sono inchiodate tre gambe decorate con motivi geometrici; gli anelli verticali sono talvolta sostenuti da figurette umane e sormontati da figure o protomi di animali.
Essi sono stati trovati soprattutto ad Olimpia (700 frammenti fra quelli pubblicati dal Furtwängler e quelli pubblicati dal Willemsen); un centinaio di pezzi provengono dallo Heraion di Argo, Atene, Delfi, Dodona, Itaca e Creta. La classificazione è fatta in base a criteri tipologici; di conseguenza l'evoluzione e la cronologia indicate variano a seconda degli autori che se ne sono occupati (Furtwängler, Benson, Willemsen).
Nell'viii sec. cominciano ad essere eseguiti in lamina battuta e decorati a sbalzo; la loro fabbricazione continua ancora nel VII sec. talvolta con una nuova forma a labbro distinto (da chiamare più propriamente dèinos e non lebete) e con decorazione orientalizzante. Come utensili di uso corrente essi scompaiono nel corso del VII sec., eclissati dal tipo orientale, ma, in connessione con il culto di Apollo o come premi per le gare, si vedono ancora rappresentati in età classica su rilievi, vasi e monete che ci testimoniano ulteriori sviluppi morfologici. Tali erano probabilmente i grandi t. votivi di Delfi: i t. d'oro offerti da Gelone e Gerone, quello consacrato dai Greci dopo la battaglia di Platea e quello che coronava la colonna di acanto con il gruppo delle tre danzatrici. Il seggio della Pizia è così rappresentato sulla coppa di Vulci in cui Temide dà un oracolo ad Egeo e sui numerosi vasi in cui Apollo ed Eracle si disputano il t. profetico (Vol. i, fig. 631).
A partire dalla fine dell'viii sec. appare un nuovo tipo di t. di origine orientale: il calderone è ornato spesso con protomi animali o umane (le cosiddette Sirene) talvolta fornite di anse ad anello mobile. Esso è indipendente dal supporto a tre gambe, costituito da un insieme di verghe dritte e arcuate terminanti in piedi di animali.
Sostegni a tre piedi risalgono però ad età molto più antiche: nel Mediterraneo orientale, con centro a Cipro, si trovano in uso nel XII e XI sec. due classi affini di t.; la più numerosa (Rod Tripods) ha un anello o fascia circolare di sostegno con pendenti, gambe diritte terminanti in alto con due volute e rafforzate con sbarrette arcuate, anello centrale inferiore raccordato alle zampe. Si trova anche in Grecia e a Creta, in contesti più tardi (X-VIII sec.) e fino in Italia (ripostiglio di Piediluco). L'altro tipo (Cast Tripods) più antico secondo il Benson, contemporaneo secondo il Catling, presenta larghe gambe ricurve, semplici senza verghette arcuate e senza anello centrale inferiore; è sempre di piccole proporzioni. Questi tipi, di cui conosciamo imitazioni in terracotta specie in età geometrica, penetrarono in Occidente dando luogo a una serie che presenta sviluppi originali in Etruria e nel Lazio nel VII e fino al VI sec. (Narce, Roma, Cerveteri, Vulci, Conca; cfr. Petersen, in Röm. Mitt., 1897, p. 6, nota 3). Strettamente connessa ai t. ciprioti, e forse più antica, è un'altra classe di sostegni a tre gambe terminanti in basso con due volute e intrecciate in alto in un unico stelo che sostiene un piatto per offerte: ne sono stati trovati esemplari a Meggido, Beth Shan, Rās Shamrah e uno solo a Cipro.
Nel VII sec., come abbiamo già detto, appare in Grecia un nuovo tipo di t. con archi e gambe di uguale spessore con piedi di animali e anellone di base. Questa classe, ritenuta dal Riis tipicamente greca (Early Greek Group) risulta ora verosimilmente di ispirazione urartea (v. urartu), come attesta il t. di Altin Tepe presso Erzincan in Armenia, datato circa alla fine dell'VIII sec., con gambe terminanti in piedi bovini; questa caratteristica si trova anche nei t. assiri: frammenti ne sono stati trovati a Kuyunjik nel palazzo di Sennacherib e a Nimrud.
In Grecia il modello urarteo fu sempre più modificato introducendo una ricca decorazione plastica e una novità tecnica, cioè l'utilizzazione degli archi come principali elementi portanti (Ornate Greek Group e Bead-and-Reel Group intorno alla metà del VI sec.). In Etruria nel VII e VI sec. troviamo una serie numerosa detta dal Riis Fittings Group risultante da una contaminazione della classe urarteo-greca (verghe arcuate e piedi zoomorfi) con quella cipriota (raccordi delle zampe con un anello centrale) più una caratteristica che è l'unione delle zampe all'anello non più mediante un processo di fusione o con chiodi, ma con tubetti cavi.
Di fabbrica vulcente è la serie successiva datata al periodo 540-470 (Ornate Etruscan Group) che presenta la trasformazione del recipiente in un braciere; gli archetti e le asticelle verticali hanno una ricca decorazione plastica con figure umane e animali.
A parte sono da considerare i t. Loeb, ben differenti per forma, tecnica (da Akurgal) e decorazione dai precedenti, provenienti dai dintorni di Perugia; la forma a piramide triangolare tronca, con le pareti costituite da lamine bronzee lavorate a sbalzo, si ritrova in alcuni incensieri etruschi del VI-V sec. e continua in età romana per i candelabri di bronzo e di marmo. Sono databili a circa il 520 o poco dopo e appartengono forse a scuola ceretana.
Sono da ricordare infine quei bacini emisferici di bronzo senza anse con tre gambe inchiodate che si trovano in Etruria e Lazio fin dall'VIII sec. (Vetulonia, Vulci, Chiusi, Narcé; Palestrina, Caracupa, Capena; cfr. Montelius, II, passim e Mon. Ant., 1958, 56 e 100). Un gruppo più importante appartiene al periodo orientalizzante e presenta gambe piegate e ornate con figurine di cavalieri (a Vetulonia soprattutto, poi Veio e Tarquinia).
In Roma prosegue il tipo del t. greco con piedi dritti e lebete spesso baccellato e talvolta decorato sull'orlo con motivi floreali e ghirlande. I piedi assumono spesso forme architettoniche e sono sormontati da capitelli; nella decorazione dei t. compare talvolta il motivo della maschera. Abbiamo varie riproduzioni su monete, su rilievi, oltre ad esemplari in bronzo e anche in marmo.
Diverso dal t. è invece il treppiede che serve di supporto ad una mensa; ne abbiamo eleganti esempî bronzei da Pompei, fra i quali uno con Sfingi, e anche riproduzioni in pitture. Alcuni di questi treppiedi erano pieghevoli. In Roma il t. è un simbolo del quindecenvirato ed è raffigurato su monete; è usato inoltre nei sacrifici per le libazioni e compare raffigurato nei rilievi storici romani con scene di sacrificio e nelle pitture pompeiane con la libazione del genius familiaris.
Il t. è un motivo raffigurato spesso nella decorazione di urne, di cippi funerarî e di are romane come simbolo apollineo.
Bibl.: Generale: E. Reisch, in Pauly-Wissowa, V, 1905, c. 1665 ss., s. v. Dreifuss; Ch. Dubois, in Dict. Ant., V, s. v. Tripus; K. Schwendemann, Der Dreifuss, ein Formen- und Religionsgeschichtlicher Versuch, in Jahrbuch, XXXVI, 1921, pp. 98-185. - Vasellame da cucina: Blegen, Caskey e altri, Troy, I, 1950, pp. 75; 240; III, 1953, p. 72; K. Bittel, in Istanbuler Mitteil., V, 1942, pp. 161; 183; A. Furumark, Mycenean Pottery, Stoccolma 1941, p. 76, tipo 320; Müller-Ölmann, Tyrins, I, Atene 1912, p. 159. - Calderoni e lebeti: S. Benton, The Evolution of the Tripod-Lebes, in Ann. Brit. Sch. Athens, XXXV, 1935, pp. 74-130; F. Willemsen, Der delphische Dreifuss, in Jahrbuch, LXX, 1955, pp. 85-104; id., Dreifusskessel von Olympia, Berlino 1957; L. R. Palmer, The Interpretation of the Mycenean Greek Texts, Oxford 1963, p. 342 ss. Per i t. votivi di Delfi si veda Pauly-Wissowa, Suppl., IV, s. v. Delphoi, n. 107 e Suppl. V, nn. 133-134; 138; N. Tosti, Il tripode votivo nell'arte greca, in Historia, VII, 1933, pp. 433-465; L. Woolley, Alakh, Oxford 1955, p. 277. - Sostegni: G. Karo, Orient und Hellas in archaischer Zeit, in Ath. Mitt., XLV, 1920, p. 128 ss.; P. J. Riis, Rod-Tripods, in Acta Arch., X, 1939, pp. 1-39; E. Gjerstad, The Swedish Cyprus Expedition, IV, 2, 1948, pp. 403-404, fig. 27; J. Du Plat Taylor, Mirtou-Pigadhes, Oxford 1957, p. 88 ss.; J. L. Benson, Bronze Tripods from Kourion, in Greek, Roman and Byz. Studies, 1960, p. 7 ss.; H. W. Catling, Cypriot Bronzework in the Mycenean World, Oxford 1964, p. 190 ss.; 154 ss.; 169 ss.; R. D. Barnett-N. Gökce, The Find of Urartian Bronzes at Altin Tepe, in Anatolian Studies, III, 1953, p. 121 ss; E. Akurgal, Die Kunst Anatoliens v. Homer bis Alexander, Berlino 1961; M. Pallottino, Gli scavi di Karmir Blur in Armenia, in Arch. Cl., 1955, pp. 118-119; L. Banti, Bronzi arcaici etruschi: i tripodi Loeb, in Tyrrhenica, Milano 1957, p. 77 ss. Si veda inoltre: P. Amandry, Grèce et Orient, in Études d'archéol. class., I, 1955-56, p. 3 ss.; id., Chaudrons à protomes de Taureau, in The Aegean and the Near East Studies to H. Godman, New York 1956, p. 251 ss.; H. Hencken, Horse Tripods of Etruria, in Am. Journ. Arch., LXI, 1957, p. i ss. Per i vasi su tre piedi anulari o a spirale si veda: H. Payne, in Ann. Brit. Sch. Athens, XXIX, 1927-8, p. 239; E. Gjerstad, op. cit., p. 285; H. Goldman, Excavations at Gözlü Kule, II, 1956, p. 139 e per i vasi a t. iranici della media Età del Bronzo e dell'Età del Ferro: L. Vanden Berghe, Archéologie de l'Iran ancien, Leida 1959, pp. 43; 89; 135.