TRITOLO (o Trinitrotoluene simmetrico)
Esplosivo che ha la formula chimica CH3•C6H2(NO2)3. È conosciuto in Italia con questo nome l'alfa-trinitrotoluene o più precisamente il trinitrotoluene 2, 4, 6 avente un punto di solidificazione di 80°,6. È un prodotto cristallino, di colore giallo paglierino abbastanza debole, cristallizzato in forma prismatica allungata, a sapore leggermente amarognolo ma segnatamente meno marcato, come per il colore, del trinitrofenolo. La solubilità in acqua del tritolo è piccola e anche in acqua bollente non è maggiore del 0,16%. È leggermente più solubile in alcool e fino al 10% a 58°: è invece molto solubile in acetone, benzene e cloroformio. È sensibilmente solubile in acido solforico concentrato caldo (circa 65% a 100°) dal quale cristallizza puro per raffreddamento. È sensibile all'azione della luce solare sotto la quale imbrunisce fortemente mentre il suo punto di fusione si abbassa. Nel vuoto è insensibile all'azione della luce.
Il tritolo è un prodotto ad alta stabilità. Se ben lavato nella sua purificazione, al test Abel esso dà una stabilità che è superiore alla sensibilità intrinseca del test medesimo. Si può conservare per tempo indeterminato anche a temperature elevate (40°). Il prodotto purissimo solidifica a 80°,7. Con un'ottima fabbricazione si ottiene correntemente del tritolo a un punto di solidificazione superiore a 80°,5; spesso anche a 80°,6.
Nella sua decomposizione teorica si scinde in ossido di carbonio, metano, idrogeno e azoto, producendo 780 litri di gas per kg. È un esplosivo povero di ossigeno: questo spiega perché le sue miscele con sostanze ossidanti, come ad es. nitrato di ammonio, siano più forti del prodotto puro.
Il tritolo ha una sensibilità molto limitata: sotto l'urto di una massa battente di 2 kg. e nelle condizioni in cui si saggiano gli esplosivi all'urto, esso non detona che a partire da 80 centimetri di caduta.
La fusione del tritolo è molto facile, e avviene a temperatura assai più bassa che per l'acido picrico. L'esplosivo fuso si cola con ogni facilità in forme diverse, entro teste di siluro, proietti dirompenti, ecc. Se si ha cura di ottenere una cristallizzazione disturbata con opportuni espedienti, quali ad esempio il traballamento, oppure con un'agitazione intermittente, si ottiene facilmente il tritolo fuso in forma perfettamente compatta senza caverne e con una densità che può raggiungere 1,58 e si avvicina a quella del prodotto compresso.
La sua facilità al maneggio, la sua assoluta stabilità, la sua buona potenza, hanno fatto sì che il tritolo si è imposto sino a questi ultimi tempi come il migliore degli esplosivi da scoppio conosciuti per usi bellici. Unica limitazione è la possibilità di rifornimento di toluolo i cui approvvigionamenti sono stati, in tempo di guerra, molto insufficienti. Questo spiega perché al tritolo puro si è preferito quello in miscela con altri corpi, soprattutto con nitrato di ammonio (v. Amatoli = miscele al 20-40-60% di tritolo, il rimanente essendo nitrato di ammonio), oppure con altri esplosivi derivanti da sostanze aromatiche nitrate come il trinitrocresolo (cresiliti) oppure con l'esanitrodifenilamina (hexil).
È certamente un ottimo esplosivo, ma più particolarmente adatto per le nazioni che hanno largo rifornimento nazionale di toluolo, ossia dispongono di carbon fossile in quantità illimitata.
La manipolazione del tritolo non presenta generalmente pericolo di intossicazione per il personale operaio: però occorre provvedere a un'ottima ventilazione dei locali in cui esso viene maneggiato e porre attenzione agli avvelenamenti che si producono, attraverso la pelle, con i prodotti a nitrazioni inferiori, mono- e binitrotolueni che si formano in corso di lavorazione.
La fabbricazione del tritolo è, globalmente considerata, una nitrazione. Essa però non viene condotta in una sola fase, ma in più fasi separate. I procedimenti seguiti sono stati molti, ma ha finito con avere la preferenza lo schema adottato nelle fabbriche inglesi ove la nitrazione viene eseguita in tre fasi, rispettivamente di mononitrazione, detoluazione e trinitrazione.
L'apparecchiatura impiegata è identica per le tre fasi e si compone di robusti recipienti di ghisa, con camicia esterna per raffreddamento o per riscaldamento e contenenti internamente un agitatore e un apparecchio per riscaldamento. Quest'ultimo è costituito da serpentino oppure, e meglio, da un corpo cilindrico con entrata e uscita per il vapore o per l'acqua e dentro cui ruota l'elica agitatrice. Gli apparecchi nitratori possono essere di differente capacità, ma sono generalmente tali da permettere una nitrazione di 1000/1500 kg. di prodotto finito e contenere quindi le quantità corrispondenti di acido. Almeno due termometri, che pescano nella miscela nitrante, permettono di controllare la temperatura e sono protetti da opportune guaine metalliche.
Il procedimento è a contro corrente, nel senso che il toluolo puro, prodotto di partenza, viene impiegato nella mononitrazioue e la miscela d'acido vergine e più forte nella fase di trinitrazione, da cui poi passa alla detoluazione e infine, dopo correzione opportuna, alla mononitrazione.
Nella fase di mononitrazione s'impiegano, ad esempio, 500 kg. di toluolo con 3 tonn. di miscuglio al 60% di acido solforico e 20% di acido nitrico. La miscela nitrante proviene dalla detoluazione ed è rinforzata con aggiunta di acido nitrico forte.
La nitrazione viene effettuata a una temperatura iniziale non superiore a 40° e viene terminata a 60°. Si ottiene un cosiddetto mononitrotoluene che è in realtà intermedio, come titolo azotometrico, fra il mononitrotoluene puro ed il binitrotoluene. Questo prodotto viene impiegato in un secondo apparecchio nitratore per estrarre dall'acido riguadagnato dalla trinitrazione quei quantitativi di tritolo che rimangono sciolti nell'acido stesso. Ecco perché questa operazione, che serve in definitiva ad aumentare il rendimento in tritolo a partire dal toluolo, si chiama detoluazione. Il prodotto che se ne separa aumenta naturalmente, per doppia ragione, di titolo azotometrico e si avvicina quasi al titolo di un dinitrotoluene.
Finalmente questo prodotto viene portato alla trinitrazione, sempre in apparecchi identici a quelli già descritti, dove viene ulteriormente e definitivamente nitrato in presenza del miscuglio solfonitrico più forte. Questo miscuglio, che è circa nel rapporto di 3 a 1 col dinitrotoluene, non deve contenere più nessuna quantità di acqua, ma piuttosto dell'anidride solforica libera. Per avere una nitrazione completa, e in definitiva un tritolo puro, bisogna che la miscela nitrante sia in eccesso. La trinitrazione s'inizia generalmente da sola e si controlla con l'aumento di temperatura ai termometri; altrimenti si innesca dando un po' di vapore all'esterno del nitratore. La temperatura deve poi naturalmente salire in modo regolare e non troppo rapido: viene finalmente portata fino a 120-125° e questo per almeno due ore.
Per gli opportuni spostamenti, mediante aria compressa, del contenuto degli apparecchi, occorre lasciare che siano ben decantati i nitrotoluoli e separati in modo completo. Allora, attraverso opportune spie di vetro, collocate o in basso o in alto degli apparecchi, a seconda che si opera per sifonaggio o per pressione, si può cogliere con esattezza la linea di separazione fra prodotti nitrati del toluolo e miscele acide da ricuperare. Comunque, tutte le miscele solfonitriche che hanno servito alla nitrazione del toluolo, debbano o no venire poi corrette, sono da tenersi per qualche tempo in riposo per poter separare quello che esse possono contenere di prodotti nitrati residuati.
I prodotti nitrati del toluolo passano dall'uno all'altro apparecchio nelle tre fasi di nitrazione, oppure dalla fase di trinitrazione alla tina di lavaggio mediante tubazioni riscaldate con mantello esterno di vapore, in modo da conservarsi perfettamente fluidi.
Il lavaggio del tritolo, come esso proviene dall'ultima fase di trinitrazione, si inizia raccogliendo il prodotto fuso in un tino di piombo pieno d'acqua fredda tenuta violentemente in agitazione con aria compressa. Si ha così una prima granulazione del tritolo e la più grossa parte di acido che esso contiene passa nell'acqua di lavaggio che viene cambiata diverse volte. Si procede poi a lavaggi con acqua bollente in cui il tritolo si fonde, e si ripete l'operazione finché l'acqua non presenta nessuna reazione alla cartina rosso Congo.
Il tritolo fuso viene passato, insieme con acqua bollente, negli apparecchi cristallizzatori di purificazione. Questi sono tini, generalmente di piombo, con braccia agitatrici di legno duro o metallo opportunamente protetto. Tenendo in movimento lento il prodotto, lo si lascia raffreddare a poco a poco. In queste condizioni si forma una cristallizzazione molto minuta del trinitrotoluolo. Il prodotto, che è quindi nelle migliori condizioni per poter venire purificato cristallino per cristallino, viene lavato con una soluzione, opportunamente concentrata, di solfito di soda, la quale scioglie gli isomeri e i prodotti sotto-nitrati che il trinitrotoluene simmetrico contiene. Con questa operazione si purifica il trinitro innalzandone il punto di fusione di oltre due gradi.
La soluzione del solfito diventa intensamente rossa per i prodotti ivi sciolti e viene eliminata lavando con acqua; poi si lava il tritolo intermediariamente con una soluzione cloridrica debolissima per togliere il color roseo residuale; infine, ripetutamente, con acqua pura sino a perfetta neutralità. In queste condizioni il tritolo ottenuto deve presentare un caratteristico colore leggermente giallo paglierino, essere perfettamente inodoro e dare reazione completamente neutra.
Se le tre fasi di nitrazione sono state condotte accuratamente, il prodotto a questo punto ha un punto di solidificazione di circa 80°. Esso è però ancora umido: non atto quindi a essere compresso in cariche o adoperato. Per l'essiccamento il tritolo viene fuso nuovamente in tini a camicia esterna di vapore e viene lasciato alcune ore in riposo per permettere l'eventuale decantarsi delle materie pesanti o leggiere estranee che esso potesse contenere. Sulla superficie del tritolo fuso si lascia un velo di acqua. Il liquido limpido passa all'apparecchio di essiccamento, che è generalmente un labirinto con riscaldamento esterno a vapore, dove il tritolo cola lentamente con spessore minimo e non superiore a centimetri 1,5. In questa fase si può agitare il prodotto con aria insufflata secca. Nella medesima il tritolo perde le ultime sostanze estranee, segnatamente il tetranitrometano che quasi sempre lo accompagna, e innalza il suo punto di solidificazione di circa mezzo grado, giungendo così alla temperatura di 80°,5-80°,6.
Il prodotto limpido fuso e secco può essere filtrato e passa finalmente alla granulazione. Questa può essere fatta o con insufflazione del prodotto fuso in un recipiente vuoto e raffreddato (con che si raccoglie il tritolo in forma di piccole sferette), oppure in una cristallizzazione a secco per mezzo di lento raffreddamento tenendo la massa agitata, oppure, e molto semplicemente, con raffreddamento su un cilindro internamente raffreddato ad acqua, staccando la pellicola che si forma con un coltello raschiatore ed ottenendo il prodotto in scagliette. Si ha in ogni modo, in scaglie o in sferette, del tritolo minutissimamente cristallizzato e pronto a servire alle successive operazioni: fusione, compressione e altre.
Le presse per il tritolo sono di tipo ordinario, salvo le precauzioni per la compressione di un prodotto esplosivo. L'operazione della compressione non presenta rischi particolari. Il tritolo compresso può poi essere tornito nelle forme più differenti e con buona sicurezza.
La sensibilità del tritolo non è eccessiva e questo è uno dei suoi vantaggi: per questo però esso deve venire innescato con cura particolare. Il tritolo compresso è più sensibile del tritolo fuso: perciò generalmente s'impiega per innescare del tritolo fuso una carica interna cilindrica di tritolo compresso. A sua volta l'innesco secondario di tritolo compresso deve essere fatto detonare da un innesco primario, che può essere a base di fulminato di mercurio con tritolo, con pentrite o con trimetilentrinitramina. La questione dell'innescamento ha sempre un'importanza particolare, perché il rendimento di un esplosivo è in funzione dell'onda esplosiva primaria da cui deriva l'esplosione di tutta la massa.