Trivio
All'interno delle sette arti liberali, nel Medioevo furono dette arti del T. o, più brevemente, T. le tre arti della Grammatica, Retorica e Dialettica che, distinte dalle quattro arti del Quadrivio (Aritmetica, Musica, Geometria e Astronomia), ne costituivano il grado inferiore e preparatorio. Il termine T. ricorre una sola volta (Cv II XIII 8) nel lessico dantesco, nello stesso passo dove appare Quadruvio (v. QUADRIVIO), nel corso di una comparazione tra sistema dei cieli e sistema delle arti, realizzata con un procedimento tipico della tradizione simbolica. Questo hapax, come il termine Quadrivio, è significativo della sostanziale inafferenza tra questo tipo di classificazione delle arti e l'immaginario dantesco e della sua conseguente scarsa utilizzazione nella Commedia, ove si costituisce una chiara e strutturata visione del mondo. L'uso di T. si giustifica in un'opera, come il Convivio, composta attraverso ampi riporti delle modalità più correnti del sapere tradizionale. Anche quando si rilevino probabili allegorie delle arti del tipo di quella ipotizzabile (secondo, tra gli altri, Iacopo, Ottimo, Boccaccio, Benvenuto) nel nobile castello / sette volte cerchiato d'alte mura (If IV 106-107) - mura ravvisabili come segni della sapienza e appunto delle sette arti liberali, di un castello collocato nel Limbo e quindi simbolicamente confinato nei limiti dell'antichità - il quadro di riferimento di D. appare regolarmente più articolato di quello tracciabile con lo schema concettuale delle sette arti. In proposito appare indicativo proprio il caso del T. le cui tre discipline ebbero uno svolgimento e un livello di presenza diversissimo lungo tutto l'arco della cultura medievale. Inoltre una lettura del T. come primo grado dell'insegnamento sembra poggiare per lo più su certe entusiastiche affermazioni dell'ermeneutica ottocentesca: la scuola - almeno a quanto mostra la documentazione sinora rintracciata - offriva nei suoi primi gradi l'apprendimento della scrittura, della lettura e del computo, lo studio di un testo grammaticale (Donato) e di un testo musicale (Salterio) e l'apprendimento delle tecniche di compilazione di documenti relativi ad atti pubblici e privati. Tra gli ultimi decenni del sec. XIII e i primi decenni del sec. XIV è possibile rinvenire tracce di un'almeno triplice distinzione degl'istruttori del primo grado degli studi (doctores puerorum, maestri d'abaco e maestri di grammatica) che segnala la presenza di diverse infrastrutture scolastiche offerte ai diversi gruppi sociali. La testimonianza di G. Villani (XI 94) fornisce anche alcuni dati sulle trasformazioni intervenute nell'organizzazione scolastica fiorentina al principio del sec. XIV anche se non differenzia in modo indicativo le diverse articolazioni dell'istruzione primaria. Né d'altra parte il cursus previsto dalle università toscane e in genere dall'istruzione di grado superiore comprendeva articolazioni facilmente riconducibili allo schema del T. o in genere delle sette arti liberali. Quanto all'esperienza personale di D., risulta abbastanza chiaro il suo apprendistato di Grammatica (Cv II XII 2-4), di Retorica (soltanto Brunetto Latini?) e qualche lettura di dialettica nel corpus dell'Organon.
Questo uso della nozione di T. faceva quindi parte - come nel caso della nozione di Quadrivio e in genere di arti liberali - della già ricordata visione simbolica di un universo contrassegnato da perfette rispondenze numeriche tra le sue diverse componenti. Sulla base degli schemi ottenuti - si è fatto l'esempio, a proposito di Quadrivio, della frequenza delle divisioni per sette - si rendeva possibile sia sistematizzare in un sistema armonico l'immaginario culto sia offrire un modello ermeneutico alla ricerca realizzata con la tecnica dell'analogia.
In questa sede ci si occupa esclusivamente della nozione generale di T. e dei suoi valori conoscitivi e non delle sue singole discipline per le quali si rimanda alle voci relative. Come già per Quadrivio anche per T. questi valori possono essere chiariti attraverso una puntualizzazione del processo storico relativo all'uso di queste nozioni e alla ricerca teorica sulle classificazioni delle arti.
Una prima fase di tale processo è da vedere nella graduale disgregazione dell'assetto socio-economico e culturale dell'Impero romano, e nel trapasso in ambiente cristiano di alcuni tratti del sistema educativo romano accentrato sulla familia all'interno della quale il giovane riceveva la maggior parte della sua istruzione. Il pensiero cristiano elaborò assai per tempo un'ideologia in grado di modificare almeno l'organizzazione scolastica di base; anche se le modalità di tale modifica non sono di facile rilevazione per l'assenza di studi esaurienti sull'educazione del tardo Impero. Uno dei più fortunati modelli teorici di questa ristrutturazione del sistema del sapere fu elaborato da s. Agostino nel De Ordine, nel De Doctrina christiana e nei libri De Musica, che facevano parte di un disegno enciclopedico. In queste opere Agostino illustrava il modello cristiano della via verso una conoscenza per gradi culminante nella conoscenza dell'essere supremo. In questo senso venivano esaminati tutti i ‛ gradi ' - e cioè le diverse discipline - di quest'ascesa.
Circa un quarantennio dopo questa teorizzazione agostiniana il romanzo allegorico, il De Nuptiis Mercurii et Philologiae scritto prima del 439, di Marziano Capella, ridisponeva in veste simbolica una notevole sezione del sapere latino in via di disfacimento, accentuando le istanze delle culture periferiche alla romanità, parte delle quali già chiaramente permeate dallo spiritualismo di matrice cristiana. I doni nuziali del fantasmagorico sposalizio tra Mercurio e la Filologia erano appunto le arti liberali (" dotales virgines "), ognuna delle quali pronunciava un discorso illustrativo della sua funzione teoretica. I sette discorsi si chiudevano con l'avvertimento dell'assenza delle due arti dell'Architettura e della Medicina. Quest'allegoria sanciva la caduta dall'orizzonte teoretico di queste due ultime arti o almeno una separazione di esse, in quanto meccaniche, dalle arti liberali secondo una sentenza certamente favorita dalla speculazione cristiana.
La stessa struttura narrativa proponeva con i viaggi di Mercurio e di Virtù nei cieli uno schema simbolico che si sarebbe rivelato adattissimo alla tipologia del discorso medievale. Questo testo fu infatti adottato come comune testo di lettura in molti centri del Medioevo europeo come attesta, tra l'altro, la sua ricchissima tradizione manoscritta (cfr. C. Leonardi, I codici). La struttura dell'opera servì da modello ad altre fortunate epopee teoretico-simboliche come ad es. l'Anticlaudianus di Alano di Lilla, il Carmen de septem liberalibus artibus di Teodulfo vescovo di Orléans (sec. IX), Le mariage de sept arts et de sept vertus di Jean le Tenturier e La bataille des sept arts di Henri d'Andeli (sec. XIII), e probabilmente a tutta una serie di raffigurazioni secondarie delle arti in molti settori figurativi (nel Roman de Thèbes le loro figure sono dette incise sul carro di Amfiarao, sec. XII c.).
Circa un settantennio dopo Boezio teorizzò la nozione di " quadruvium " come schema delle quattro arti del numero (Aritmetica, Musica, Geometria, Astrologia) nel corso della sua ricerca matematica iniziata intorno al 500 e in particolare nel De Institutione musica, nel De Institutione arithmetica (traduz. dell'Arithmetica di Nicomaso di Gerasa), nel De Geometria (traduz. degli Elementi di Euclide). Questo schema era però parte di altro più complesso schema se Boezio dedicò tanta parte della sua opera alla ricerca della ‛ filosofia ' e se questa, apparendogli dinanzi - nel De Consolatione Philosophiae - aveva sulla veste le lettere Θ e π, cioè teoria e prassi, settori di un orizzonte teoretico evidentemente tutt'altro che esaurito dalle arti. Inoltre Boezio procedeva a questa distinzione con una cautela indicativa (" quodam quasi quadruvium "), già segnalata dal Rajna, della novità della metafora utilizzata.
Circa un ventennio dopo un uomo di governo come Cassiodoro tentò un adattamento di quest'orizzonte e in particolare della scala conoscitiva agostiniana all'organizzazione degli studi. Nelle Institutiones divinarum lectionum e soprattutto nelle Institutiones saecularium lectionum, scritte queste ultime dopo il 540, veniva definita un'organizzazione del processo conoscitivo secondo uno schema per più versi analogo a quello che si sarebbe avuto nelle arti liberali: le sezioni per allora tentate erano la Grammatica (Donato), la Retorica (Cicerone, Quintiliano, Fortunaziano), la Dialettica (Aristotele) e la Musica (nel De Musica che faceva parte del De Artibus ac disciplinis liberalium artium, scritto tra il 550 e il 562).
Se anche le Etimologiae di Isidoro di Siviglia (sec. VI-VII) elencavano semplicemente le arti e se Cassiodoro non riprese la definizione di " quadruvium " di Boezio, questo avvenne perché questo enciclopedismo tra la fine del sec. IV e la metà del sec. VI utilizzava soprattutto - nel suo progetto di restauro e insieme di ristrutturazione del sapere romano - il valore simbolico della separazione delle arti liberali dalle arti meccaniche e del loro numero, il sette, rifacendosi soprattutto a quei passi della Scrittura nei quali apparissero cenni a modelli simbolici equivalenti, come era il caso delle " sette colonne " della " domus sapientiae " di Salomone.
Questa preminente attenzione ai valori altamente simbolici dello schema delle arti spiega il mancato trasferimento dello schema stesso in una prassi conoscitiva e in un'organizzazione dello studio e della ricerca peraltro poverissima e molto frazionata. Le sette arti non furono tutte egualmente coltivate per gran parte dell'età medievale: se la Musica - soprattutto per le indicazioni di Marziano e di Boezio - trovò larga fortuna anche per il suo caratteristico momento collettivo, non altrettanto si può dire per la Geometria o la Retorica; tuttavia, come già notato dal Rajna, proprio il valore simbolico del numero sette frenò le scoperte tendenze verso una teorizzazione che andasse oltre lo schema proposto. Nel sec. VI questa vicenda teoretica si può dire conclusa, lo schema delle arti subì soltanto ritocchi marginali, sempre nella dimensione del commento, mentre si assisteva alla fissazione del termine T. a designare - in analogia a Quadruvium - i primi tre gradi della conoscenza (l'archetipo di questa denominazione è usualmente trovato in Giustino Histor. Philippi XXI 5 e 8) e alla trasformazione quadruvium → quadrivium per analogia con Trivio.
Quest'operazione venne senza dubbio realizzata utilizzando le sparse indicazioni della cultura romana. Schemi della cultura classica come quello delle nove muse o quello, che sembra parlasse proprio di nove arti, dei perduti Libri novem disciplinarum di Varrone, sono da vedersi come semplici frammenti profondamente alterati nell'uso simbolico che ne fece la cultura cristiana già nell'alto Medioevo. L'impostazione neoplatonico-agostiniana dei gradus della conoscenza dalla terra al cielo costituì una delle divisioni più nette tra queste due culture orientando diversamente tutto il processo conoscitivo e motivando quindi diversamente tutti i suoi momenti, ivi compresi quelli delle arti, nonostante certe apparenti continuità. Dopo il sec. VI lo schema delle arti continuò quindi a costituire un termine di riferimento e trovò spazio anche nel campo delle arti figurative o delle arti plastiche in genere: un passo dell'Historia di Turpino (Turpini Historia Caroli Magni et Rotholandi, a c. di F. Castes, Montpellier 1880) segnalava la presenza nel palazzo carolingio di Aquisgrana di un affresco rappresentante le sette arti commissionato dallo stesso Carlo Magno.
Il Carmen di Teodulfo vescovo di Orléans e amico personale di Carlo Magno, De septem liberalibus artibus in quadam pictura depictis (Poetae latini aevi carolini, a c. di E. L. Dummler, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, Hannover 1877, 544-547) descriveva un " discus ", probabilmente un dipinto su tavola, che proponeva una struttura delle arti che, imperniata sulla Grammatica, si biforcava dicotomicamente nella direzione delle arti del numero (Aritmetica, Fisica, Musica-Astronomia - Geometria) e in quella delle arti della parola (Retorica, Dialettica, Logica) a cui seguiva conclusivamente l'Etica da cui derivavano le quattro virtù cardinali.
Databile intorno agli stessi decenni è un commento a Orazio (Scholia Vindobonensia ad Horatii artem poeticam, Vienna 1877) trascritto in area romanza e forse derivato dalla cultura monastica insulare nord-europea nel quale, nonostante il parere contrario di P. Rajna, è da vedere una struttura imperniata sull'Etica da cui si dipartono da un lato la Logica con subordinate le arti del T. e, dall'altro, la Fisica, con subordinate le arti del Quadrivio.
L'Etica appariva qui il perno di un doppio processo destinato a due momenti conoscitivi diversi, l'uno destinato a ‛ nutrire ' dal punto di vista del contenuto e l'altro a dare la padronanza dei mezzi formali necessari al discorso. Ove si confrontino questi due schemi pressoché coevi con il mero elenco di tipo cassiodorano con il quale Alcuino apriva il suo scritto grammaticale d'impianto didattico (cfr. Patrol. Lat. CI 853) si può avvalorare l'ipotesi di un rinnovato interesse per la classificazione generale del sapere. Questo recupero avveniva soprattutto in alcuni settori dell'iconologia dell'età carolingia e non riguardava i gradi dell'insegnamento. Nell'organizzazione scolastica l'apprendimento della Grammatica, della Musica come canto e dell'Aritmetica come calcolo costituivano i momenti essenziali dell'istruzione elementare-media, sin dai secoli VII e VIII (cfr. Riché, pp. 518 ss.). Al contrario non è da escludere che certe descrizioni complessive del sistema delle arti trovassero luogo anche in certi linguaggi ad alto grado di visualizzazione come alcuni linguaggi cifrati delle comunità conventuali (criptografia e ‛ predicazione muta ', ossia per immagini) ed è da valutare, rilevando i reperti iconografici delle arti, l'importanza e il ruolo conoscitivo delle arti non scritte in una cultura nella quale l'immagine rappresentava un momento importante dell'esperienza delle collettività - sia in senso intellettuale che in senso religioso o estetico in genere. Inoltre va considerato il fatto che il problema delle arti liberali è stato impostato dalla storiografia romantica accentuando appunto l'importanza delle arti nominate da D. e sottovalutando la presenza di altre arti che pure costituivano una parte non secondaria del sapere medievale e di cui è stata, in sede storiografica, ancora scarsamente seguita l'evoluzione. Per queste ragioni la questione delle arti liberali sembra per più versi soprattutto uno dei tanti prodotti della storiografia romantica dotata di fondamenta pressocché esclusivamente letterarie.
Se nella prima fase della teorizzazione delle arti e cioè nei secoli V-VI la struttura dell'educazione romana può essere considerata come ancora funzionante e in parte funzionale almeno nei più importanti centri della romanità (certe scuole grammatico-retoriche rimasero aperte in Gallia sino alla fine del sec. VI, in Italia sino all'inizio del VII e in Africa sino all'invasione araba), nei secoli IX-X questa struttura può essere considerata come praticamente distrutta e sostituita. La rifondazione totale del sistema delle discipline fu opera, in questa fase, di ristretti gruppi nelle scuole monastiche e in alcune corti che tesero da una parte al ricordato recupero delle classificazioni antiche e dall'altra al loro inserimento in un sapere, quello appunto della media medievalità, ad alto grado di simbolizzazione di tutte le sue strutture e quindi di tutti i suoi momenti conoscitivi. Il recupero di alcuni aspetti dell'organizzazione teorica del sapere antico finì per inserire con nuovo vigore, negli usuali schemi agostiniani o boeziani, con quelli di derivazione biblica, altri schemi come quello delle Muse o quello di derivazione astrologica del sistema planetario.
Questa struttura dovette rivelarsi assai per tempo come fonte d'innumerevoli combinazioni. L'esercizio di queste costituì un segnale dell'evoluzione della struttura della conoscenza in genere. Solo in questo senso le arti liberali svolsero una certa funzione conoscitiva. L'aumentata circolazione delle loro rappresentazioni dopo l'età carolingia fu dovuta in parte alla ricchezza di elementi visivi della loro tradizione, in parte all'inalterata importanza, al di là del frammentismo enciclopedico dell'alto Medioevo ed entro un sapere più unitariamente strutturato, dell'immagine agostiniana e boeziana, della ‛ scala ' e dell'‛ ascesa ' sistematicamente applicata a tutti i momenti della conoscenza. La scala delle arti conteneva tuttavia in germe due deviazioni e tentazioni continuamente esercitate, l'una in direzione delle arti meccaniche, l'altra in direzione della Filosofia, della Teologia o dell'Etica; di qui la diffidenza di s. Tommaso per le arti liberali già segnalata alla voce ‛ Quadrivio ' (v.). Infine la tarda adozione del dibattito teologico di questo schema (Ronca) ne ampliò l'area di diffusione e ne differenziò ulteriormente gli usi (Abbé Clerval, Dallari).
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