TRIVULZIO
. Celebre famiglia milanese. Molto probabilmente originaria del luogo di Trivulzio, non si sa se vi appartenga il consortile che ci svelano carte del sec. XI: nel sec. XII troviamo un Giovanni, nel 1170-1184, e un Enrico, console di giustizia nel 1187. La famiglia fu riconosciuta fra le nobili milanesi nella revisione operata dall'arcivescovo Ottone Visconti (1277) e da allora è possibile seguirne con sicurezza il vario diramarsi. Famiglia, pare, di parte ghibellina, quattro suoi rappresentanti, Ambrogio, Gabriele, Riccardo e Accomio, presero parte alla congiura contro Gian Maria Visconti, assassinato nel 1412, e furono esclusi da ogni amnistia con la discendenza fino al quarto grado. Questa posizione antiviscontea (e questa volta guelfa) assunse pure Ambrogio, uno dei capi della repubblica ambrosiana, relegato in villa da Francesco Sforza. Il ramo che da lui si diparte, estinto col 1689, presenta qualche figura di magistrato, che non raggiunse mai, però, i primi seggi.
Il fratello Erasmo, invece, seguì fedelmente la fortuna dei Visconti: fu condottiero agli ordini di Niccolò Piccinino fra il 1420 e il 1435, quindi fu maresciallo generale, commissario ducale a Parma. Parteggiò in un primo tempo per la repubblica ambrosiana, poi s'accostò allo Sforza, da cui fu beneficato. Morì nel 1459; la sua discendenza si estinse nel 1717.
Ramo Trivulzio di Casteltidone (estinto nel 1549). - Giacomello ebbe anch'egli parte nell'organizzazione della repubblica ambrosiana, ma si accostò poi allo Sforza. Giureconsulto, fu uno dei negoziatori della pace di Lodi (1454) e sostenne parecchie legazioni. Il figlio Erasmo fu pure adoperato in numerose ambascerie per Lodovico il Moro, che lo ricompensò col feudo di Casteltidone, ma al sopraggiungere dei Francesi fece atto di sottomissione a Lodovico XII, acquistando il feudo di Brembo e Secugnago, e venendo nominato senatore. Fu esiliato da Massimiliano Sforza, insieme con i figli. Di questi, Giacomo riacquistò una posizione preminente dopo la battaglia di Marignano, ma, ritornati gli Sforza (1521), fu spogliato di tutti i suoi feudi, che furono attribuiti ad Antonio de Leyva. Con lui la famiglia si riaccosta agli Sforza, tanto che nel 1531 poté riacquistare i feudi del Lodigiano.
Ramo Trivulzio di Borgomanero. - Pietro fu luogotenente ducale di Alessandria e dell'Oltrepò, investito del feudo di Trivulzio (1469) e nel 1455 di quello di Codogno. Il figlio Luigi, fedele e familiare di Ludovico il Moro, ambasciatore e comandante degli eserciti ducali, fu investito del feudo di Borgomanero, con i fratelli; Antonio (1449-1509) fu vescovo di Como, e dal 1500 cardinale; Teodoro (1474-1551) militò dapprima con gli Aragonesi di Napoli, rimanendo a loro fedele anche nell'esilio, poi (1499) con i Francesi fu luogotenente del re di Francia presso l'esercito veneziano, e nel 1515 ne divenne capitano generale fino al passaggio di Venezia al partito imperiale (1523). Dopo la battaglia di Pavia raccolse e ricondusse in salvo le reliquie dell'esercito francese, onde fu nominato maresciallo di Francia. Nel 1527 divenne governatore di Genova per Francesco I, e, caduta la città, ritornò in Francia, dove ebbe il governo di Lione. Pietro (morto nel 1522) fu arcivescovo di Reggio di Calabria, e gli successe il fratello Filippo (morto nel 1543) rinunciatario. Un altro fratello, Agostino (morto nel 1548), eletto cardinale nel 1517, legato a latere per la Francia, ebbe nel 1520 l'arcivescovado di Reggio di Calabria cui rinunciò a favore del fratello Pietro. Trasferito in seguito ad altri vescovadi, fu ostaggio agl'imperiali per la liberazione di Clemente VII (1527).
Ramo Trivulzio marchesi di Vigevano e conti di Mesocco. - Si stacca dal tronco principale con Antonio (morto nel 1454) dapprima condottiero di Filippo Maria Visconti, poi uno dei capi della repubblica ambrosiana. Si rivolse allo Sforza quando s'accorse dell'impossibilità di difendere la repubblica. Figli di Antonio furono: Gian Giacomo, detto il Magno (v.); Gianfermo e Ranieri Renato, che diedero a loro volta origine ad altri rami dei conti di Melzo e dei signori di Formigara. Ambrogio (morto nel 1546), figlio di Gian Giacomo, dopo aver militato col padre e col cugino, fu nel 1524 eletto vescovo di Bobbio. L'altro figlio Gian Nicolò (1489-1512) seguì il padre nelle sue campagne, dimostrandosene degno discendente. Camillo (morto nel 1522), figlio naturale del Magno, morì mentre cercava di portare aiuto a Milano, assediata dagli Spagnoli. Gian Francesco (1504-1573) nipote ed erede del Magno, generale di cavalleria di Francesco I, si vide confiscati tutti i beni per il ritorno degli Sforza, e li riebbe solo nel 1526. Nel 1533, in seguito all'accusa di tentato veneficio di Francesco II Sforza, fu condannato a morte e subì nuova confisca: la sentenza fu cassata nel 1543 da Carlo V. Nel 1550 subì, per tentato assassinio, una nuova condanna a morte cui scampò con la fuga. Nel 1573 era ad Avignone, generale della cavalleria pontificia. Nel 1526 si vide diroccare i castelli di Mesolcina per ordine delle Leghe Retiche. Date le continue preoccupazioni che il lontano feudo gli dava, forse anche a causa delle lunghe assenze del feudatario, e la continua intromissione delle leghe, nel 1549 cedeva, dietro forte compenso, ogni diritto ai valligiani stessi. Donde un seguito di interminabili processi e rivendiche. Il figlio Niccolò (morto nel 1599) vantò pretese su Mesocco, ma senza fortuna; ma oltre ad essere creato conte di Vespolate, acquistò dal nipote Francesco le signorie di Rheinewald e Safiental, che il figlio perdette per sentenza confederata nel 1616.
Ramo dei signori di Formigara. - Ranieri Renato (1430-1498) agli stipendî di casa Riario, fu comandante delle truppe pontificie nel 1482 contro i duchi di Ferrara. Nel 1484 fu plenipotenziario di Lodovico il Moro al congresso di Vercelli: due anni dopo era commissario in Cremona, poi di Valtellina, ove nel 1487 sconfiggeva le Leghe Retiche: fra il 1495 e il 1498 fu commissario di Pavia. Il nipote Renato (morto nel 1543) dapprima riottenne da Massimiliano Sforza i feudi confiscati al padre, poi passò al partito francese, dopo Marignano, ritornando al partito imperiale, dopo la pace di Bologna. Fu letterato di qualche merito.
Ramo dei conti di Melzo. - Antonio (morto nel 1522) fu vescovo di Asti, poi di Piacenza. Scaramuzza (morto nel 1527), giureconsulto e lettore all'università di Pavia, fu eletto vescovo di Como (1508) e cardinale (1517); nel 1522 succedette al fratello nel vescovado di Piacenza. Alessandro, altro fratello, sempre parteggiando per la Francia, divenne senatore di Milano e comandante di truppe. Morì in combattimento sotto Reggio Emilia (1521). Cesare (morto nel 1548) fu eletto vescovo coadiutore dello zio cardinale di Como, carica che ottenne a fatica nel 1528, per l'opposizione del duca di Milano e della Spagna. Nel 1536 fu violentemente espulso dal suo vescovado.
Ramo dei conti di Melzo principi dell'Impero. - Catalano (1508-1559) per rinunzia dello zio Scaramuzza divenne vescovo di Piacenza a 15 anni; visse sempre a Roma, trascurando la diocesi. Anche il fratello Antonio (morto nel 1559) seguì la carriera ecclesiastica, divenendo amministratore del vescovado di Tolone, poi vicelegato di Avignone: da Paolo V fu eletto cardinale (1557). Giorgio (morto nel 1689), vissuto lungo tempo a Vienna, fu vescovo di Scardona. Alessandro Teodoro (1694-1763), viaggiatore e scrittore di letteratura e di politica, fu il fondatore della biblioteca e delle altre raccolte trivulziane. Il fratello Carlo (v. Seregni, Don Carlo Trivulzio, Milano 1927) collaborò con Alessandro all'arricchimento della biblioteca, postillando pure e studiando codici, documenti e monete (1715-1789). Il nipote di Alessandro, pure di nome Alessandro (1773-1805), devoto alla Francia repubblicana e napoleonica, divenne generale di divisione, ministro della Guerra della repubblica italiana, comandante delle truppe italiane in Francia. A un ramo collaterale, ma portante lo stesso predicato, appartiene Gian Giacomo Teodoro (1596-1656), che seguì dapprima la carriera politica, coprendo ambascerie per il re di Spagna e per l'imperatore, poi passò all'ecclesiastica, venendo nominato cardinale nel 1629. Questa dignità ecclesiastica non lo distolse peraltro dal riprendere quella militare: raggiunto il grado di governatore generale delle milizie di Milano, fu poi viceré d'Aragona. Nel 1647 fu inviato in Sicilia per reprimere la rivolta propagatasi da Napoli, poi nel 1649 fu fatto viceré di Sardegna, finché nel 1655 fu nominato governatore di Milano.
Bibl.: Litta, Famiglie celebri d'Italia, III.