TROFEO (τρόπαιον, tropaeum)
La voce τρόπαιον fu dagli antichi etimologi (Serv., ad Aen., X, 775; Isid., XVIII, 2, 3) messa in relazione con τρέπω "volgo", e con τροπή "fuga, rotta", quasi a indicare il punto in cui il nemico era stato disfatto e messo in fuga. Sembra più probabile che la voce abbia avuto accezione religiosa, in contrasto con l'altra voce ἀποτρόπαιον, quasi servisse ad attirare e a concentrare il favore degli dei: spavento per il nemico, pegno e consacrazione della vittoria. Nei tempi più remoti, dopo una singolare tenzone ad esito letale, il vincitore disponeva l'armatura del soccombente su un albero dai rami mozzati o su un palo, nello stesso modo con cui i singoli pezzi erano portati sulla persona. Fu questa la primitiva forma di trofeo di carattere antropomorfo. Già nella mitologia si fa menzione di trofei; ricordiamo quelli che si dicono eretti da Eracle e da Polluce. In tempi storici il più antico trofeo di cui si ha menzione, risale circa all'anno 520 a. C., formato dagli speroni delle navi samie, in forma di teste di cinghiale, che gli Egineti dedicarono nel loro tempio di Afaia (Erod., III, 59). La gloria di un capitano si misurava dal numero dei trofei eretti; Pericle poteva vantarsi di averne eretti nove (Plut., Per., 38). Il trofeo si erigeva sullo stesso campo di battaglia o in un tempio o sacello vicino; esso era sacro e inviolabile.
Due erano le forme del trofeo, antropomorfo e a tumulo. Il primo veniva eretto o in caso di duello o se si poteva stabilire a chi aveva appartenuto l'armatura, e in particolare quando il duce nemico fosse caduto nel combattimento. Il trofeo tumuliforme veniva eretto in seguito a una mischia, e vi si racchiudevano in mucchio le armi dei caduti. Una rappresentazione del trofeo antropomorfo si ha nel rilievo della balaustrata del tempio di Atena Nike sull'Acropoli di Atene, quella del trofeo tumuliforme nel fregio della balaustrata detta dei trofei, a Pergamo.
I Romani presero il nome tropaeum dai Greci, ma l'idea esisteva già presso i popoli italici, che usavano appendere a una quercia o ad altro albero sacro le spoglie del nemico e consacrarle alla divinità. Il trofeo appare quale emblema nelle monete di Capua e di alcune città osche e dei Bruttii. A Roma se ne potrebbe riconoscere l'uso nella leggenda di Tarpea, schiacciata sotto gli scudi e nella pila Horatia formata dalle armi tolte dagli Orazî. È noto il rito della consacrazione delle spoglie opime a Giove Feretrio, il cui ricordo permaneva ancora al tempo di Augusto, offerte dai duci che avevano ucciso il capo dei nemici. Ricordiamo i trofei eretti da Enea con le armi di Mezenzio, da Romolo con quelle di Acrone, re dei Cenini da Manlio Torquato (anno 461 a. C.), da Valerio Cosso (anno 369) e da Marcello che uccise Viridomaro, re dei Galli Insubri nell'anno 222 (Plut., Marc., 7, 4).
Trofei furono eretti da L. Domizio Enobarbo e da Fabio Massimo nell'anno 121, alla confluenza dell'Isère e del Rodano, dopo la vittoria sugli Allobrogi; da Mario per le vittorie su Giugurta e sui Cimbri e Teutoni; da Silla, dopo la battaglia di Cheronea; da Lucullo dopo avere soggiogato l'Armenia; da Pompeo dopo le vittorie di Spagna. Il tropaeum Augusti, che ricorda la sottomissione dei popoli alpini, si eleva al limite della provincia delle Alpes maritimae, a La Turbie, sopra Monaco.
Il più antico dei trofei marittimi è quello che il senato decretò nell'anno 260 a. C. a C. Duilio.
Le monete romano-campane dette vittoriati recano nel rovescio la figura della Vittoria che corona un trofeo. Le rappresentazioni figurate di trofei, rare durante la repubblica, divengono numerosissime durante l'impero.
Il trofeo passa nell'architettura come elemento decorativo o addirittura come tipo monumentale. Le armi nemiche ammucchiate divengono un motivo per i fregi degli edifici pubblici, disposte sia alla rinfusa, sia con qualche ordine (parapetto della stoà di Attalo, a Pergamo). Nell'arte romana essi figurano come naturale ornamento nei monumenti commemorativi di vittorie, gli archi trionfali; ad es. nell'arco di Orange riempiono i riquadri ai lati del timpano e tutta la parte compresa tra i fornici laterali e la trabeazione. Ugualmente si trovano sul basamento e sul fusto di colonne trionfali (Colonna Traiana), nei frontoni o altre parti dei templi elevati a ricordo di vittorie o in onore di imperatori vittoriosi (basamento dell'Adrianeo, a Roma), e in generale sulle basi di statue, sulle tombe di militari e sugli elementi architettonici degli edifici aventi attinenza con le armi.
Il trofeo antropomorfo aveva gli stessi impieghi decorativi. Inoltre, riprodotto in sculture a tutto tondo e sorretto talvolta da Vittorie, era situato a coronamento di edifici, e particolarmente degli archi trionfali; donde il nome di ἁψὶς τροπαιοϕόρος che Dione Cassio (LIV,8) dà a questo tipo di monumento. A Roma, sul Campidoglio, vi sono i cosiddetti "trofei di Mario", che sembrano provenire da una costruzione commemorativa delle imprese germaniche di Domiziano.
Vi erano poi dei monumenti che prendevano il nome dai trofei ed erano destinati a portare questi alla loro sommità. Ne rimangono due esempî grandiosi: il trofeo di Augusto a La Turbie (Alpi Marittime), costituito da una zona basamentale quadrata, su cui si eleva una rotonda circondata da colonne e terminante a cono; e il trofeo di Traiano ad Adamclissi, tra il Danubio e Tomis (Costanza), cono piuttosto basso, impostato su una base rotonda di venti metri di diametro e coronato da un alto plinto esagonale, che sorreggeva il trofeo propriamente detto, di cui rimangono i frammenti.
Costituivano dei trofei nautici le colonne e le tribune rostrate, ornate cioè con i rostri delle navi nemiche catturate. Così la columna rostrata elevata dal senato a Duilio, vincitore della flotta cartaginese a Mile, e i Rostra Iulia che formavano la fronte del tempio di Cesare, nel Foro, e recavano gli speroni delle navi egiziane prese nella battaglia d'Azio. (V. tavv. LXV e LXVI).
Bibl.: Gr. G. Tocilesco, Das Tropaion von Adamklissi, Vienna 1895; id., Neues über Adamklissi, in Jahreshefte des öst. arch. Inst., VI (1903), p. 247; K. Woelcke, Beiträge zur Geschichte des Tropaion, in Bonner Jahrbücher, 1911, n. 110, p. 5; A. Reinach, Trophées Macédoniens, in Revue des Études grecques, 1913, n. 3; id., Les dieux des trophées, in Revue de l'histoire des religions, 1914, n. 2; id., in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, V, Parigi 1919, p. 497 segg.; J. Durm, Die Baukunst der Römer, Stoccarda 1905, p. 733 segg.; F. Noak, Die Baukunst des Altertums, Berlino s. a., p. 116 segg.
Etnologia.
I trofei presso i primitivi consistono nelle spoglie degli animali o dei nemici uccisi e fanno parte generalmente dei riti che seguono alla caccia e alla guerra. Alla prima si riferiscono le particolari insegne che i cacciatori estraggono dalle fiere abbattute e appendono alle armi o alle vesti, come emblemi del valore o dell'abilità personale. In primo luogo i denti, la coda, la pelle, la testa, alcune ossa. Siffatti trofei dànno origine a speciali distintivi onorifici e gerarchici, fra cui la "cappa di pelle di leone" e i "diademi di pelle di elefante" riservati agli uccisori di tali belve nell'Etiopia e altrove nell'Africa.
Alla guerra appartengono i trofei umani, tra cui principali il capo, la chioma, la pelle, i denti, il cranio e le mascelle del nemico. Presso alcune popolazioni le teste dei nemici sono dai vincitori appese alla sella dei loro cavalli (Abiponi), o infilate sulle lance o sopra pertiche e portate in giro per i villaggi, o poste ad ornamento delle rozze capanne (cacciatori di teste della Nuova Zelanda, varie tribù dell'America Settentrionale).
Talvolta in luogo dell'intero capo o del cranio (Congo, Guinea, ecc.), fa da trofeo la capigliatura, la quale viene strappata con la pelle da un orecchio all'altro, di sotto al naso. Questo costume si chiama scotennare il nemico, e lo scalp, che ha grande importanza nella vita dei primitivi che lo praticano (Shoshoni dell'America, Naga dell'India, ecc.), è non di rado esposto nelle cerimonie solenni e festeggiato con danze.
Fanno anche da trofei le mani, il naso, gli occhi, i piedi, il fallo, i denti. Questi ultimi vengono infilati a collane (Caraibi, Tupi, Moxo, ecc.); e il fallo talora viene attaccato allo scudo o alla lancia del guerriero, oppure alla bardatura del cavallo (Dancalia, ecc.). Tra gli antichi Messicani era trofeo la pelle sanguinolente del nemico ucciso e il vincitore l'indossava per danzare in onore del dio della battaglia.
Il trofeo prima di divenire insegna o distintivo di valore, è mezzo magico-religioso inteso a soggiogare o incatenare lo spirito dell'ucciso, uomo o animale, e propiziarselo per la nuova guerra o la nuova caccia.
Bibl.: W. Schmidt-Koppers, Gesellschaft u. Wirtschaft der Völker, Regensburg s. a.; E. Spencer, Principi di sociologia, trad. it., I, Torino 1881; A. Haddon, Head-hunters black, white and brown, Londra 1901; G. Friederici, Skalpierung und ähnliche Kriegsgebräuche in Amerika, Brunswick 1906.