BOTTUNIS (Boctunis, Bostunis), Troiano de
Apparteneva a una ricca famiglia di mercanti assai attiva nel commercio di esportazione del grano pugliese. Nacque a Trani nella prima metà del sec. XV e diversamente dagli altri membri della numerosa famiglia, si addottorò in legge e abbracciò la carriera degli uffici, entrando al servizio della corte aragonese di Napoli. Nel 1466 figura come consigliere regio e auditore del figlio di Ferrante d'Aragona, il marchese di Gerace Enrico, e suc-, cessivamente dell'altro figlio del re, Alfonso duca di Calabria. Nel 1469 è giudice e assessore e in tale qualità fu inviato l'anno seguente in Calabria. Nello stesso 1470 entrò come consigliere nel Sacro regio consiglio di S. Chiara; auditore del re nel 1477 e nel 1478, nel 1479 divenne presidente della Regia Camera della Sommaria, carica che tenne ancora nel 1480. Nel luglio del 1479 era stato inviato dal re in Abruzzo assieme al duca di Amalfi Antonio Piccolomini per comporre certi contrasti insorti tra i due Comuni dell'Aquila e di Amatrice. Successivamente svolse varie missioni di natura politica e diplomatica, pur conservando le sue alte cariche nell'amministrazione del Regno. Nel 1482 fu mandato come ambasciatore a Ercole I d'Este, sicuramente in relazione alla guerra veneto-ferrarese allora in corso. Nel dicembre del 1484 il re accennò all'intenzione di inviarlo in Lombardia, ma non è noto se anche questa missione diplomatica ebbe luogo. Ritornò invece in Abruzzo nell'estate del 1486, quando la rivolta dei baroni appoggiati dal papa Innocenzo VIII era in pieno svolgimento. Una prima istruzione in data dell'8 agosto gli dava ordine di recarsi da Paolo Orsini, capitano al servizio aragonese impegnato in Abruzzo nelle operazioni militari per la riconquista del contado d'Albi, e di invitarlo a trasferirsi nella zona di Monteoderisio ribellata dal marchese del Vasto e giudicata dal re di preminente interesse strategico.
Il B. doveva inoltre controllare l'esecuzione della promessa di consegnare i numerosi castelli occupati da un altro potente feudatario abruzzese, il conte di Celano Ruggerone Accrocciamuro, che desiderava ritornare nella grazia del re. Una seconda istruzione con la stessa data gli dava mandato di procedere, assieme al tesoriere Gaspare de Canibus, all'esazione immediata di tutte le entrate fiscali della provincia, come richiedeva la grave crisi politica, la guerra civile e la lotta contro il papa.
Assolto questo incarico, nel marzo del 1487 risulta presente di nuovo a corte. Due mesi dopo fu mandato in missione diplomatica a Roma, Milano e Firenze. L'istruzione in data del 1 maggio tracciava le direttive di un difficile negoziato che doveva agitare lo spauracchio della minaccia turca, sempre ricorrente sul Regno, per distogliere le potenze italiane e la Santa Sede in primo luogo dalle gravi preoccupazioni suscitate dalla feroce repressione condotta da Ferrante nei confronti dei baroni ribelli. Di questa missione, una delle più importanti di tutta la sua carriera, non è possibile, per la mancanza dei documenti, conoscere i risultati. È noto solo che, probabilmente nel corso dell'anno 1488, egli cadde in disgrazia e conobbe anche la prigione, come si ricava da un documento del 1489 con il quale il re ordinava al precettore di Terra di Bari e al capitano di Trani di permettere ai fratelli del B. di commerciare liberamente senza la malleveria che avevano dovuto prestare "quando messer Troiano fu detenuto".
Dovette rientrare nella grazia della corte solo dopo la morte di re Ferrante, avvenuta il 25 genn. 1494: il suo nome ricorre infatti di nuovo nei documenti solo nel 1494, quando egli tornò a ricoprire la vecchia carica di auditore regio, nella quale è ricordato ancora nel 1497, nel 1498 e nel 1501 sempre con un salario di quattrocento ducati annui. Con gli ultimi Aragonesi la sua carriera riprese il suo corso normale: nel 1495 fu nominato di nuovo presidente della Regia Camera della Sommaria, carica che ricoprì ancora nel 1500. Nel 1494 fu mandato da Alfonso II in missione diplomatica a Roma insieme a Marco Antonio Legnano, ma di essa non si hanno altre notizie. Nel 1497 seguì il nuovo re Federico d'Aragona all'assedio di Diano. Nel novembre del 1498 andò ambasciatore in Francia insieme con Antonio Frixon, ma neanche di questa ambasceria si hanno notizie precise. Nel gennaio del 1501 l'ambasciatore veneziano di ritorno da Napoli riferì in Senato che il B. era fra i più stretti collaboratori del re Federico e che era ritornato in Francia con una importante missione diplomatica.
Si trattava di ottenere garanzie per l'indipendenza del Regno di Napoli e della dinastia aragonese negli accordi di tregua negoziati in quel momento tra il re di Francia Luigi XII e il re dei Romani Massimiliano d'Asburgo. Ai primi di gennaio scrisse a Napoli che gli accordi conclusi comprendevano una clausola in favore del re Federico. Presto però si accorse di avere commesso un grossolano errore, dato che le cose stavano in ben altri termini e l'accordo concluso lasciava ai Francesi mano libera sul Regno di Napoli. Ora egli tentò disperatamente di intavolare trattative con il re di Francia nella speranza di indurlo a desistere dalla nuova spedizione napoletana già in preparazione. Ma il re cristianissimo rifiutò persino di riceverlo. La colpa del presunto voltafaccia fu addossata alle mene di Alessandro VI che avrebbe ottenuto l'intervento antiaragonese del cardinale di Rohan con la promessa di una rendita di centomila ducati. Nel marzo si seppe a Venezia che il B. e il suo collega di ambasceria Bernardo Federico non sapevano più che fare, né come giustificare alla corte napoletana la loro condotta. Intrapreso il viaggio di ritorno, il 23 marzo si fermarono a Milano e tentarono di ottenere udienza da quelle autorità francesi, ma non furono ricevuti neanche questa volta. Il 29 marzo si trasferirono a Ferrara, dove furono accolti del duca Alfonso d'Este al quale chiesero di indagare sulle ragioni dell'atteggiamento francese. Da Ferrara passarono a Venezia dove ebbero buone accoglienze. Il 6 aprile ne partirono per Napoli via mare, ad evitare di cadere nelle grinfie del Valentino che imperversava in Romagna.
Il B. non sopravvisse molto all'esito disastroso di questa ambasceria in Francia: nel novembre del 1502 il governatore veneziano di Trani, Giuliano Gradenigo, annunciò la sua morte al governo della Repubblica.
Nel corso della sua lunga e fortunata carriera al servizio della corte napoletana il B. non mancò di incrementare con acquisti e donazioni il già cospicuo patrimonio della sua famiglia. Il 22 apr. 1480 re Ferrante infeudò a lui e al fratello Francesco, dietro pagamento della somma di milleduecento ducati di carlini, l'ufficio di archivario presso il maestro portulano e i secreti di Puglia con il privilegio annesso di esigere un tarì per ogni permesso di esportazione rilasciato nei porti pugliesi e la facoltà di esportare con esenzione da ogni dazio quaranta carri di grano all'anno. Nel 1481 comprò assieme all'altro fratello Leucio per cinquecento ducati le gabelle della terziaria del ferro e dell'acciaio nella città di Trani e la casa del funzionario Galiano Campitello devoluta alla curia regia. Questo acquisto fu confermato da Ferrante II il 25 nov. 1495 e da re Federico nell'anno successivo. Nel 1495 acquistò, ma questa volta da solo, le terre di Briatico, San Calogero e Calimera e nel 1498 ottenne da re Federico la bagliva e la capitania di Calvanico e la piazza di Montorio, già appartenute al principe di Salerno, delle quali gli fu contestato a lungo il possesso. Nel 1501 comprò ancora la bagliva di Caramanico.
Nel 1497 gli fu venduta da re Federico per un prezzo simbolico una casa a Napoli "più presto in dono per rimunerarlo in parte dei servizi suoi e per accomodarlo che non stia a casa a pigione, che in vendita". Nel corso della sua ambasceria in Francia, Federico d'Aragona, che lo teneva in particolare considerazione, raccomandò per due volte, il 28 febbraio e il 3 marzo, i suoi interessi economici in Trani, occupata in quel momento dai Veneziani, all'ambasciatore della Repubblica. Dopo la sua morte il governatore veneziano di Trani "subito bollò li magazzeni" della dogana in riferimento ai diritti di percezione che il B. riscuoteva sulle merci in uscita. Del B. si ricorda un solo figlio, Andrea, che nel 1533 ottenne il perdono dal delitto di fellonia nel quale era incorso, in virtù delle antiche benemerenze del padre al servizio degli Aragonesi.
Fonti eBibl.: M. Sanuto, Diarii, II, Venezia 1879, coll. 67, 117; III, ibid. 1880, ad Indicem,sub voce Bitonto; IV, ibid. 1880, ad Indicem,sub voce Bitonto; Regis Ferdinandi primi instructionum liber, a cura di L. Volpicella, Napoli 1916, pp. 24-26, 34, 94, 112-116, 287; N.Toppi, De origine tribunalium urbis Neapoli, Neapoli 1666, I, pp. 146, 210; II, p. 219; III, p. 92; L. Volpicella, Federico d'Aragona e la fine del regno di Napoli nel MDI, Napoli 1908, p. 26; V. Vitale, Trani dagli Angioini agli Spagnoli, Bari 1912, ad Indicem.