ODAZI, Troiano
ODAZI, Troiano. – Nacque ad Atri, in Abruzzo, feudo degli Acquaviva, nel 1741, primogenito di Uranio, nobile civile della località, e di Angela Thaulero (o Tavolieri), figlia di un patrizio teramano, che morì forse l’anno dopo dando alla luce la seconda figlia Marianna.
Educato dallo zio Bernardo, arcidiacono nella chiesa locale, studiò poi giurisprudenza a Napoli, dove seguì le lezioni di economia di Antonio Genovesi. Insofferente verso i dettami del padre, che voleva indirizzarlo alla carriera forense o ecclesiastica o militare, nell’estate 1766 lasciò Napoli in cerca di impieghi più confacenti ai suoi studi. A Livorno lo accolse Giuseppe Aubert, l’editore del trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, al quale Odazi indirizzò il 24 luglio una lettera in cui minacciava il suicidio, se non l’avesse aiutato. Genovesi, in una lettera del 23 agosto a Giuseppe Bonechi, incaricato d’affari del governo toscano a Napoli – lettera trasmessa dal destinatario ad Aubert e da questi in copia a Beccaria – confermò che Odazi si era allontato perché la famiglia non voleva più mantenerlo a Napoli. Lo definì al contempo uno spirito generoso e di «virtuosa ambizione», con qualcosa di eroico nel temperamento (in Perna, 2005, p. 914).
Da Livorno, via Genova, verso metà settembre Odazi arrivò a Milano, dove fu ospitato dal marchese Bartolomeo Calderara, amico di Beccaria. Vi trascorse tre anni, tra casa Calderara e casa Beccaria, dove frequentò assiduamente la marchesina Teresa Blasco. Invano cercò un impiego di bibliotecario presso il conte Carlo di Firmian. Esito principale del soggiorno milanese fu l’edizione delle Lezioni di commercio di Genovesi presso l’editore Federico Agnelli, con dedica a Gianrinaldo Carli in data 30 maggio 1768. I dubbi di Franco Venturi (1960), ripresi da Gianmarco Gaspari (1980), sull’autenticità delle annotazioni inviategli a Milano da Genovesi sono stati fugati nell’edizione critica curata da Maria Luisa Perna (2005), che ha documentato come Carli intendesse proporre le Lezioni come manuale per la cattedra di economia in via di istituzione.
Da Milano nell’ottobre 1769 Odazi si trasferì a Pisa, dove rimase fino all’inizio del 1770. Tornato a Napoli, compì l’operazione inversa rispetto a quella milanese: l’edizione presso Giovanni Gravier delle opere di Beccaria. Ma la ricerca di impieghi rimase infruttuosa. Già prima di lasciare Milano, nell’aprile 1769, aveva inviato una supplica al re di Napoli Ferdinando IV per avere un posto di uditore in un tribunale provinciale. Cercò poi di ottenere la carica di governatore del collegio nobiliare della Nunziatella, ma il ministro Bernardo Tanucci, che lo malvedeva per i rapporti che aveva intrecciato nella Lombardia austriaca, respinse la sua candidatura con la motivazione che, essendo lui nato in un luogo feudale, la nobiltà non lo avrebbe accettato.
Le raccomandazioni del plenipotenziario austriaco Anton Wenzel conte di Kaunitz presso la regina Maria Carolina gli procurarono una pensione annua su una futura cattedra di etica nella Nunziatella. Grazie a questa – scrisse da Napoli a Beccaria il 20 novembre 1770 l’inglese Samuel Solly (Beccaria, 1996, p. 212) – poteva mantenersi «con molta proprietà, casa propria, servitori ecc.». Il 2 luglio 1771 Solly riferì che Odazi, «non godendo qua troppo buona salute» (ibid., p. 293), si era ritirato in Abruzzo. Secondo Ferdinando Galiani era stato «benissimo situato», con un soldo di 300 ducati annui (lettera a Paolo Antonio Menafoglio del 28 aprile 1772, in Opere..., 1975, p. 1081).
Si rimise in viaggio, con lettere di raccomandazione di Maria Carolina per i suoi fratelli. In Toscana si procurò una lettera del granduca Pietro Leopoldo per chiedere a Vienna l’impiego di prefetto della Biblioteca imperiale. Da Vienna, nei primi mesi del 1773, cercò di ottenere un posto a Milano, vivendo intanto presso il residente napoletano, Giuseppe Beccadelli Bologna, marchese della Sambuca, al quale era stato raccomandato dal cugino di questi, il palermitano monsignor Alfonso Airoldi. Fu in rapporto con gli ambienti massonici che in quegli anni si andavano riorganizzando dopo la condanna del 1751: nel 1773 fu costituita a Napoli una Gran loggia nazionale, appoggiata dalla regina. Massone era il suo protettore milanese, Bartolomeo Calderara. Forse anche per questo Odazi si tenne lontano da Napoli in quel periodo alquanto agitato: Tanucci fece di nuovo condannare la massoneria con un editto del 12 settembre 1775, ma fu poi costretto alle dimissioni, il 25 ottobre 1776, e sostituito da Beccadelli Bologna.
Fra il 1777 e il 1779 Odazi fu a Pisa, dove prese la laurea dottorale e si mantenne come precettore. Solo nel nuovo corso politico segnato dalla caduta di Tanucci ebbe infine riconoscimenti a Napoli. Con dispaccio dell’8 ottobre 1779 fu nominato ‘maestro degli officii’ nel Real Convitto della Nunziatella. Nel 1781 propose al magistrato di commercio di istituire una carica di ‘ispettore delle arti e manifatture’, alla quale avanzò la sua candidatura, allegando una memoria contenente un ampio piano di sviluppo delle manifatture nel Regno. Il magistrato di commercio, al quale la richiesta fu trasmessa il 12 luglio, il 27 luglio la passò alla Camera della Sommaria, competente in materia finanziaria. Questa il 22 settembre 1781 espresse parere negativo ma, riconoscendo ‘i talenti’ di Odazi, propose che gli venisse assegnata la cattedra di commercio, rimasta vacante dal 1769, dalla morte di Genovesi. Così, pur di evitare che potesse avere voce negli ambienti amministrativi, fu collocato sulla prestigiosa cattedra universitaria che era stata del suo antico maestro.
Il 6 gennaio 1782 recitò la prolusione, pubblicata lo stesso anno a Napoli con il titolo Discorso pronunziato nella riapertura della cattedra di economia politica e commercio nella Regia Università degli studi di Napoli. Vi esaltò il ruolo del sapere economico per lo sviluppo delle arti, delle manifatture, del commercio, nel solco dell’insegnamento «della politica economia e del commercio» del suo «illustre antecessore Abate Genovesi, che… fu dal tanto celebre autore De delitti, e delle pene in occasione pari alla mia chiamato il fondatore di questa Scienza in Italia» (p. 3). Con queste parole Odazi celebrava insieme i suoi due numi tutelari e, come Genovesi, rivolgeva alla gioventù napoletana l’appello a entusiasmarsi per le conoscenze economiche, che sole potevano realizzare la felicità del paese.
Dello stesso 1782 sono le brevi Riflessioni su i contratti alla voce, diventate poi, nel 1783, il più ampio trattato Della libertà de’ prezzi ossia della necessità di abolire i contratti alla voce per tutte le derrate di questo Regno, edito a Napoli.
Si tratta un durissimo atto di accusa contro il sistema dei contratti alla voce, diffuso da tempo immemorabile nelle campagne del Regno, in base al quale i contadini vendevano il loro prodotto anticipatamente, al prezzo (o ‘voce’) stabilito al momento del raccolto, quando il ciclo dei prezzi agricoli era più basso. In polemica con Ferdinando Galiani, che li aveva giustificati perché permettevano di ovviare alla carenza di capitali, Odazi ne denuncia non solo l’iniquità per i produttori, ma anche gli effetti negativi sull’agricoltura e sulle relazioni commerciali con l’estero. Difende energicamente la piena libertà nelle vendite e nelle contrattazioni, citando a sostegno delle sue argomentazioni Genovesi, Beccaria, Jacques Necker.
In una supplica trasmessa in data 31 maggio 1783 al cappellano maggiore (competente sulle questioni universitarie) Odazi, definendosi «regio professore di economia pubblica e commercio», chiese che venisse unita alla sua cattedra quella di agricoltura, tenuta da Nicola Andria, dotata di uno stipendio di 150 ducati, da aggiungere al suo, di 300 ducati: questo, sia perché l’agricoltura rientrava nell’economia, sia perché i suoi 300 ducati erano insufficienti. Con parere datato 21 giugno, il cappellano respinse la richiesta, ricordandogli peraltro che non aveva ottenuto la cattedra per concorso bensì «per grazia speciale» e che mentre all’inizio le sue lezioni erano state seguite da molti studenti, il loro numero era poi rapidamente diminuito fino a non più di tre o quattro (Archivio di Stato di Napoli, Cappellano maggiore, Registri, 773, c. 124 r-v).
Nel 1785 pubblicò a Napoli le Riflessioni umiliate a sua maestà sull’affitto progettato della lotteria de’ 90 numeri, Napoli, contro la richiesta di un gruppo di speculatori esteri di prendere in appalto il gioco del lotto.
Nello scritto Odazzi denuncia la profonda ingiustizia della «lotteria dei 90 numeri», che rovinava soprattutto il «più minuto popolo», sedotto da ingannevoli promesse fatte proprio da quello Stato che avrebbe dovuto provvedere al suo benessere. Di nuovo ricorre alla autorità di Necker in tema di finanze, oltre che alle Meditazioni di economia politica di Pietro Verri, al Tableau de Paris di Louis-Sébastien Mercier, all’aritmetica di Buffon, ai calcoli del matematico napoletano Vito Caravelli (riportati in appendice al libro). A nulla valeva obiettare che il gioco esisteva anche altrove, in Olanda, in Francia, in Inghilterra. In questi paesi, replica, il lotto non presentava le stesse sproporzioni tra puntate e vincite esistenti a Napoli, e le diverse condizioni sociali e culturali lo rendevano molto meno pericoloso: queste lotterie «sole possono essere ammesse nelle Nazioni, che hanno un costume, una morale, e la vera conoscenza del pubblico interesse» (p. 27). A Napoli bisognava ricreare quel rapporto di fiducia tra popolo e governo che si era infranto da quando «si perdè la razza de’ concittadini sovrani», cioè con la perdita dell’indipendenza (p. 83). Non nel lotto, ma nella libertà del commercio lo Stato doveva riporre le sue basi finanziarie. Abolire del tutto il lotto poteva anche essere difficile e prematuro, ma sicuramente non bisognava darlo in affitto, per giunta a speculatori esteri.
Alle Riflessioni seguì una Memoria sul gioco del lotto (Arch. di Stato di Napoli, Biblioteca, Mss., 199, di sei carte), diretta al sovrano e da sottoporre al Supremo Consiglio delle finanze, perché i suoi avversari diffondevano segretamente argomenti contrari ai suoi. Vi è difeso il principio della pubblicità dei dibattiti finanziari, proprio come aveva fatto in Francia Necker; alla condanna del lotto si uniscono le repliche all’accusa di avere mancato di rispetto al sovrano con i suoi argomenti contro un sistema finanziario vecchio e iniquo e un’amministrazione corrotta, rivendicando il diritto alla verità, utile allo stesso sovrano.
Nonostante i suoi sforzi, non solo non ottenne incarichi amministrativi, ma perse anche la cattedra di economia, nella quale ai primi del 1793 risulta sostituito da Antonio Jerocades. Entrambi erano ormai implicati nella trasformazione delle logge massoniche in club giacobini. Quel che di eroico Genovesi aveva visto nel suo temperamento lo spinse a partecipare alla congiura scoperta e repressa nel 1794. Arrestato, il 20 aprile 1794 fu trovato morto in carcere a Napoli, forse suicida, forse avvelenato.
Lettere di Odazi sono in C. Beccaria, Carteggio, a cura di C. Capra et al., Parte I (1758-1768),Milano 1994; Parte II (1769-1794), ibid. 1996, ad indices.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Regia Camera della Sommaria, Patrimonio, Catasti onciari, vol. 1703 (Atri, 1748), cc. 536v-538v; Ministero Finanze, f. 949; Cappellano maggiore, Registri, 773, c. 124 r-v; G. Cherubini, Un abruzzese successore di A.Genovesi nella cattedra di economia pubblica nella Università di Napoli, in La rivista abruzzese di scienze e lettere, V (1890), pp. 1-5; Id., Di un’altra opera di T. Odazzi, ibid., pp. 323 s.; Id., Discorso di d. T. O. nella riapertura della cattedra di economia politica e commercio, ibid., V (1890), pp. 485-500; G. Beltrani, Don T. O., la prima vittima del processo politico del 1794 in Napoli, in Archivio storico per le provincie napoletane, XXI (1896), pp. 853-867; Id., Contributo alla storia della Università degli studi in Napoli durante la seconda metà del secolo XVIII, in Atti dell’Accademia Pontaniana, XXXI (1902), pp. 17 s., 41-76; A. Simioni, Le origini del risorgimento politico dell’Italia meridionale, Messina 1925, ad ind.; F. Venturi, Le «Lezioni di commercio» di Antonio Genovesi: manoscritti, edizioni e traduzioni, in Rivista storica italiana, LXXII (1960), pp. 511-529; A. Lay, Un editore illuminista: Giuseppe Aubert nel carteggio con Beccaria e Verri, in Memorie dell’Accademia delle scienze di Torino, Classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 4, XXVII (1973), ad ind.; Opere di Ferdinando Galiani, a cura di F. Diaz - L. Guerci, Milano-Napoli 1975, pp. 1081, 1106-1108; Viaggio a Parigi e Londra (1766‑1767). Carteggio di Pietro e Alessandro Verri, a cura di G. Gaspari, Milano 1980, pp. 754-758; L. Firpo, Le edizioni italiane del «Dei delitti e delle pene», in C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di G. Francioni, Milano 1984 , pp. 507 s.; A.M. Rao, «Delle virtù e de’ premi»: la fortuna di Beccaria nel Regno di Napoli, in Cesare Beccaria tra Milano e l’Europa, Convegno di studi per il 250° della nascita, Milano-Roma-Bari 1990, pp. 547-549; F. Di Battista, Per la storia della prima cattedra universitaria d’economia. Napoli 1754-1866, inLe cattedre di economia politica in Italia. La diffusione di una disciplina «sospetta» (1750-1900), a cura di M.M. Augello et al., Milano 1992, pp. 40 s.; M.L. Perna, Nota critica, in A. Genovesi, Delle Lezioni di commercio o sia di Economia civile con Elementi del commercio, Napoli 2005, pp. 913-916.