tropo
Termine di origine greca (τρόπος), che designa, nella retorica classica, il mutamento del significato di una parola o di una locuzione, assunte in un senso non proprio (cfr. Quint. Instit. orat. VIII 6, IX 1, il quale distingue il vero e proprio t. dalla ‛ figura ', lo " schema ", di parola e di pensiero, dove non ha luogo la ‛ mutatio ').
Indicato da s. Agostino (Doctr. Christ. III 29) come un modo inevitabile dell'espressione (" modus locutionis "), la cui ricerca diviene fondamentale per l'interpretazione di gran parte della Sacra Scrittura (v. SCRITTURA: Sensi della Scrittura), esso viene poi variamente distinto nelle sue specie, che includono principalmente la metafora, la metonimia, la sineddoche, l'ironia (v. le voci relative), secondo la classificazione di Donato (cfr. Isid. I XXXVII). La classica distinzione fra t. e schema compare nelle poetiche tardomedievali (cfr. Matteo di Vendôme Ars versif. III), ma si cristallizza nella distinzione fra " ornatus difficilis ", caratterizzato fondamentalmente dalla ‛ transumptio ' (v.) nella sua accezione più ampia, e l'" ornatus facilis ", caratterizzato dai " colores rhetorici ", le artificiose disposizioni delle parole (cfr. Goffredo di Vinsauf Poetria nova, 765 ss.).
A questa terminologia sembra aderire D., il quale non usa il termine t., pur risentendo largamente della dottrina del senso tropologico, e facendo del t. un punto essenziale della sua poetica. Egli indica il t. con il termine di ‛ figura ' (contrapposto ai colori retorici in Vn XXV 7; v. FIGURA) e di transumptio, e pone la ‛ similitudine ' a giustificazione della mutatio inerente al t., quando riflette sul sistema di figure che regge la canz. I del Convivio.
Più problematico è valutare la possibilità che nelle parole di D., quando parla delle origini della lirica volgare (Vn XXV), sia contenuta un'allusione all'altro significato di t., quale si afferma in area medievale, ossia la formula melodica che è alla base della composizione letteraria dei ‛ trovatori '.
Le ‛ ragioni ' di certe sue liriche (ad es. Vn XIX 3) sottolineano infatti il procedimento tecnico del comporre, inserendo le nuove parole conformi alla nuova materia in uno schema musicale prestabilito. Ma proprio in Vn XXV, se D. dice che quel modo di parlare fu trovato per dire d'amore, si riferisce soprattutto alla licenza concessa ai poeti, ossia al t. nel senso di " parlar figurato ", che per lui caratterizza essenzialmente il poeta lirico.