troppo
Aggettivo (e pronome) indefinito non molto frequente nell'opera dantesca, con una ventina di occorrenze complessive, delle quali circa la metà nella Commedia.
Si presenta in rima, in Pg XXIV 92, e, con forte enjambement, in IX 124, mentre è in posizione ‛ forte ' iniziale di verso (qui coincidente, a maggiore sottolineatura, con l'inizio di un periodo) in Pg XIII 136 (e in Fiore CLXXVI13).
L'aggettivo trova il suo impiego, in generale, a indicare alcunché di " eccessivo ", sia quantitativamente che qualitativamente, rispetto a una norma (la ‛ misura ' di Pg XXII 35) che può porsi tanto come assoluta quanto, il più delle volte, relativa al fatto contingente.
Così, in Vn X 1 in poco tempo la feci mia difesa tanto, che troppa gente ne ragionava oltre li termini de la cortesia, la presenza dell'aggettivo si giustifica in quanto, come acutamente spiega il Barbi, " qui Dante vuol dire d'aver messo tanto impegno nella sua finzione che riuscì in poco tempo (si noti) a far troppo parlare della cosa, per modo che si oltrepassava anche quei limiti che la cortesia impone in simili casi verso le gentil donne "; e, analogamente, un impiego semanticamente ‛ forte ' si ha in Cv IV XVII 5 Mansuetudine... modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li nostri mali esteriori (per cui cfr. il commento di Busnelli-Vandelli, ad l.); nella trasformazione di quel che tu, Gaville, piagni (probabilmente Francesco de' Cavalcanti) di serpe in uomo, quel ch'era dritto, il trasse ver' le tempie, / e di troppa matera ch' in là venne / uscir li orecchi (If XXV 125); Pg XXXI 17 balestro frange, quando scocca / da troppa tesa, la sua corda e l'arco (" la balestra si spezza... quando la sua corda e l'arco scoccano da un punto di tensione... eccessiva ", Sapegno); sempre nello stesso impiego, ma più generici, i casi di Rime XC 53 (t. gravezza, in traslato; cfr. Cv III X 1 e, in contesti alquanto diversi, Pg XXIV 153 e Pd III 36); Cv IV IV 14 sanza troppa lunghezza ciò trattare non si potrebbe; If VII 99 (con un infinito sostantivato, come in Pg XVIII 6), XXVIII 72, Pg II 9 le bianche e le vermiglie guance / ... de la bella Aurora / per troppa etate divenivan rance (" quia nimis steterant ante conspectum solis ", Benvenuto); XXII 20, Pd V 134, XXV 39 (in cui il troppo pondo è, per traslato, l'eccesso della luce che aveva piegato la vista di D., v. 27).
Talora l'aggettivo può indicare una misura o una quantità che, senza essere eccessiva, è pur sempre estremamente grande, fuori dell'usuale (secondo un uso diffuso nell'italiano antico): tale è il caso di If VII 25 Qui vid'i' gente più ch'altrove troppa (va notata, oltre all'impiego in rima, la posposizione di t. al sostantivo cui si riferisce, con un'inversione, rispetto all'ordine consueto aggettivo + sostantivo, di notevole rilevanza stilistica e semantica), come anche di Pg XIII 136 Troppa è più la paura ond'è sospesa / l'anima mia del tormento di sotto (" vult dicere quod multo plus timet poenam superborum ", Benvenuto).
L'aggettivo sostantivato (con valore ‛ neutro ') si ritrova in Cv IV VI 13 Socrate e poi Platone... veggendo che ne le nostre operazioni... peccavasi nel troppo e nel poco, dissero che la nostra operazione sanza soperchio e sanza difetto... è virtù (v. XVII 7, sempre con la stessa dittologia di t. e di ‛ poco '; e cfr. anche Pg XVII 96), in Pd VI 12 Cesare fui e son Iustinïano / che... / d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano (per cui cfr. la voce DIRITTO ROMANO), e in XXII 27; qui anche Pg VIII 36 ne la faccia l'occhio si smarria, / come virtù ch'a troppo si confonda.
A questo valore si ricollega l'impiego di t. seguito dal ‛ di ' partitivo: Pg XIII 12 io temo forse / che troppo avrà d'indugio nostra eletta; XVII 96 lo naturale è sempre sanza errore, / ma l'altro puote errar per malo obietto / o per troppo o per poco di vigore, e Detto 444 (‛ via t. '); qui pure Fiore CLXXVI 13 tropp'ho del su' quand'i' l'ho tra le braccia.
Assai interessante il caso di Pg IX 124: delle due chiavi dell'angelo alla porta del Purgatorio più cara è l'una [quella d'oro, sul cui simbolismo cfr. CHIAVE]; ma l'altra vuol troppa / d'arte e d'ingegno avanti che diserri, in cui, come rileva giustamente il Rohlfs (Grammatica § 955), si verifica un incrocio del tipo aggettivale con il partitivo (anche qui t. sta a indicare, sul versante del significato, una misura estremamente grande, ma non eccessiva).
Sostanzialmente diverso dai precedenti, tanto formalmente (per l'assenza dell'articolo determinativo) quanto semanticamente, è invece l'impiego di t. come pronome indefinito: Pg XXIV 92 io perdo troppo / venendo teco sì a paro a paro.
Al plurale, il pronome indica un " numero eccessivo d'individui, persone ": Vn XIX 22 io temo d'avere a troppi comunicato lo... intendimento (di Donne ch'avete, dandone una spiegazione eccessivamente minuziosa).
Infine, sull'interpretazione di If XXXII 90 Or tu chi se' che vai per l'Antenora, / percotendo... altrui le gote, / sì che, se fossi vivo, troppo fora?, i pareri dei commentatori non concordano: per alcuni (dal Venturi allo Scartazzini, al Porena e al Mattalia) va sottinteso l'aggettivo ‛ forte ', riferito alla ‛ percossa ', mentre il Sapegno preferisce intendere " se io fossi vivo, non sopporterei quest'ingiuria, mi sarei già vendicato " (attribuendo quindi a troppo valore ‛ neutro '), in quanto " la prima interpretazione suona ovvia, ma altrettanto scialba: la seconda comporta un più intenso rilievo drammatico, ed è quindi da preferirsi ".