TRUCCATURA
. Truccatura teatrale. - La truccatura teatrale è l'arte per cui un attore modifica le proprie sembianze fisiche al fine di avvicinarle all'aspetto ideale del personaggio scenico che intende incarnare. Quest'arte, le cui origini si confondono con quelle stesse del teatro, ha conosciuto nell'Ottocento una particolare fioritura. Si può, generalizzando, affermare che, nei molti precedenti secoli di vita storica del teatro, la truccatura scenica era sempre stata idealizzatrice, volta cioè a dotare l'attore di parvenze fisiche surreali (p. es., le maschere del teatro antico, e quelle spregiudicatamente stilizzate dei Comici dell'Arte), cosicché la tecnica del trucco, la quale nel campo affine della cosmetica conosceva pure ogni perfezione, aveva sulla ribalta applicazioni felicissime ma limitate.
Nel sec. XIX, quando il dramma romantico prima, e quello naturalistico poi, introducono una concezione sempre più veristica della recitazione e della regia, anche l'arte del trucco rafforza e moltiplica le sue possibilità e, in nome della fedeltà alla vita quotidiana, si addestra a riprodurre tutta la gamma di sembianze tipiche del presente e del passato. Nel primo Novecento, questa tendenza si sviluppa verso estremi opposti: da un lato le truccature espressionistiche dalla consapevole violenza deformatrice; dall'altro l'estetica della semplicità spoglia e dimessa, del viso nudo "come nella vita": la quale persuade talvolta attori d'avanguardia a mostrarsi sulle ribalte assolutamente senza trucco, ottenendo però, in forza delle deformazioni che luci di scena e visione a distanza impongono ai lineamenti naturali, effetto esattamente contrario a quello desiderato. Infine, negli anni recenti, si va facendo strada un poco da per tutto, per il problema della truccatura, un'impostazione più equilibrata, eclettica se si vuole, ma più propriamente estetica (v. appresso).
La truccatura di un attore moderno (la quale esige un camerino bene illuminato e a temperatura costante, un tavolo più alto del normale e uno specchio triplo girevole), riguarda innanzi tutto il viso. Il volto va preventivamente "preparato", spalmato cioè (ad esclusione delle parti cui andassero applicati dei posticci) e poi deterso, d'una sostanza grassa (vaselina, olio d'oliva, cold-cream), che serve a rendere i pori della pelle impenetrabili ai colori del trucco; (lo stesso preparato grasso e fluido si usa di solito anche nella struccatura, per asportare dal viso i colori che vi avevano aderito). I colori normali da trucco sono in vendita sotto forma di pasta, di cannelli (ceroni) o di bastoncini esili da appuntire (matite dermografiche); le varietà di colore che si trovano usualmente sul mercato sono parecchie decine, ma le esigenze della truccatura cinematografica (v. appresso) ne hanno ancora arricchito la gamma. La truccatura del viso comincia con l'applicazione saggiamente differenziata d'un colore detto "tono fondamentale", che vuol essere per il volto della persona scenica ciò che la carnagione naturale è per il viso comune. In questo, come in altri casi, la scelta del colore è questione di esperienza e di gusto; ma non sarà male ricordare la convenzione più accettata, secondo cui le donne avranno il viso più chiaro degli uomini, i giovani più chiaro dei vecchi, le persone sane e gaie toni più caldi che non gli infermi e i malinconici. Si passa quindi a tracciare i lineamenti del volto, smorzando o rilevando i tratti naturali, con applicazioni di colore rispettivamente scuro e chiaro, operate con stecche, pennelli o "sfumini". Le rughe, tracciate di sopra in sotto e dal centro verso la periferia, vanno di regola sfumate con i polpastrelli delle dita, e schiarite agli orli applicandovi un po' di tono fondamentale.
Dove il giuoco di chiaroscuri pittorici sia insufficiente a raggiungere il rilievo desiderato, si ricorre ai mezzi plastici: imbottiture (di cotone, di paste apposite, di crespo colorato, ecc.) e posticci. Il naso va imbottito di preferenza con un'apposita sostanza modellabile ma solida, che è in commercio col nome di nasenkit; i nasi finti di cartone o cartapesta vanno di solito riservati ai casi in cui occorra mutare volto in pochi istanti. Il cotone serve anche per le imbottiture del mento, degli zigomi, delle palpebre e, più raramente, delle guance. Le parrucche sono cuffie di tulle, pelle o calicò, con attaccatevi centinaia di piccole ciocche di capelli. Si distinguono in parrucche con fronte e senza fronte, e in rigide o no, a seconda che deformano o meno il disegno normale del cranio. La maggiore difficoltà nel vestir parrucca consiste nel mascherarne i bordi con l'applicazione di tono fondamentale. I posticci sono invece strisce di parrucca che si aggiustano sul capo a mezzo di appositi uncini o di lacci e i cui capelli finti si ravviano insieme con quelli naturali dell'attore. Non diversamente sono confezionate le barbe e i baffi; per i quali si può anche, più rozzamente, ricorrere al cosiddetto "crespo", treccia di capelli di bassa qualità, che vanno sfittiti e sbrogliati, prima di farli con apposito mastice aderire alla pelle nella quantità necessaria. Infine, il colore dei capelli può essere modificato anche con l'aiuto dei comuni ceroni, o di speciali colori all'acqua detti "mascarò".
Cura massima, in vista della particolare espressività di quest'organo, richiede la truccatura degli occhi: sia che si voglia rilevarne la forma naturale, ombreggiandola quindi accortamente per le esigenze sceniche, sia che ad essa occorra far subire una deformazione occasionale (occhio ebete, ubriaco, cieco, estatico, e simili), o razziale (per es., occhio mongolo); speciale attenzione in ogni caso va rivolta al trattamento dell'arco sopracciliare e alla dislocazione delle sopracciglia, dalla quale ultima l'espressione generale del viso è sensibilmente influenzata. Rimane da citare la truccatura delle labbra, i cui accorgimenti sono ormai di dominio comune, e dei denti (qualunque dei quali risulterà mancante se spalmato a dovere di un apposito color nero), per giungere agli ultimi ritocchi di cipria e rossetto, che serviranno a dare impasto a tutti i colori del trucco, ammorbidendoli secondo i dettami comuni della cosmetica. In tema di truccature malamente dette "secondarie", quelle cioè che non riguardano il viso, ricordiamo che tutte le parti scoperte del corpo (mani, collo ed eventualmente il torso o gli arti), vanno truccate, e con estrema cura. Infine, la statura di un attore può essere modificata con accorgimenti di calzatura, ma più spesso e meglio, di costume e di regia.
I cenni precedenti, che riassumono la tecnica tradizionale della truccatura, da un attore moderno e dal regista che gli è guida non possono essere accettati che come punto di partenza. La truccatura, infatti, e i suoi problemi, non acquistano senso vero se non nel loro stretto rapporto con la mimica, la luministica, la costumistica, la scenografia e la fisiognomica. Il buon trucco non solo deve lasciare ai muscoli dell'attore pienamente libera ogni facoltà di movimento, ma deve essere addirittura ideato ed eseguito in vista degli atteggiamenti mimici. L'indispensabile unità espressiva di scenografia e truccatura, e poi del costume e delle sembianze, sono troppo ovvie perché occorra insistervi. Piuttosto ricorderemo che non si darà mai importanza bastante ai rapporti tra l'aspetto fisico dell'attore e l'illuminazione scenica, per i quali pittori e scultori forniranno ottimi suggerimenti. Intendendo infine per fisiognomica lo studio dei rapporti fra i caratteri spirituali di un individuo e le sue sembianze fisiche, e qualunque siano le obiezioni che un simile tentativo legittima da un punto di vista scientifico, è chiaro che a un attore correrà l'obbligo di un'indagine empirica e storica sulle rispondenze fra tratti e carattere più accettate dalla coscienza comune di una data epoca; e delle correlazioni di tal genere familiari al suo pubblico, egli farà tesoro nell'atto di truccarsi.
Si vede dunque che la truccatura, se appena la si inquadri nel mezzo suo naturale: la vita scenica, depone le sue parvenze di abilità artigiana, di tecnica, e si rivela per quello che è, cioè arte. Non già un'arte particolare: l'unità estetica dell'espressione teatrale, d'ogni rappresentazione scenica, è una conquista del secolo XX, difficilmente alienabile; e nel seno, appunto, di questa unità trovano posto e acquistano valore anche quelle concrete espressioni di poesia scenica, che si chiamano trucco, truccatura.
Truccatura cinematografica. - Se gli spunti di estetica accennati in tema di truccatura teatrale, valgono in gran parte anche per la truccatura cinematografica, non così può dirsi dei dettami pratici che li accompagnano. La tecnica, gli strumenti e gli scopi di una ripresa cinematografica sono così nettamente diversi da quelli di una rappresentazione teatrale, che anche la tecnica della truccatura ne risulta modificata in maniera radicale.
I dati tecnici del problema si differenziano nei punti seguenti:
1. A teatro il pubblico percepisce direttamente i colori del trucco; nel cinema i colori originarî appaiono sullo schermo tradotti o in bianco e nero o in una di quelle gamme di colori, più o meno limitate, ottenute con i varî sistemi di cromocinematografia. Quel che conta, non è dunque l'aspetto della truccatura in sé, ma il suo effetto sullo schermo, effetto cui contribuiscono l'illuminazione, le caratteristiche di assorbimento del filtro posto dinnanzi all'obiettivo e la sensibilità cromatica della pellicola.
2. A teatro le sembianze fisiche dell'attore sono percepite dall'occhio dello spettatore a una distanza sempre considerevole e immutata, mentre il cinema ravvicina l'immagine fino a ingrandimenti ("primi piani") che permettono la distinzione dei minimi particolari. Così, p. es., certi occhi "cinesi" artificiali che soddisfano ogni pubblico di teatro fanno un effetto ridicolo sullo schermo. Per la stessa ragione la cosiddetta truccatura modellante che finora si servì, secondo l'uso teatrale, di ombre e riflessi "dipinti" sul viso per aumentarne la plasticità, negli ultimi tempi si allontana sempre più da questo metodo, insufficiente per il cinema attuale - che non è neanche stereoscopico - per procedere invece alla modifica reale dei lineamenti.
3. La plasticità è uno dei fattori della truccatura che, grazie anche all'illuminazione violenta e vicinissima del teatro di posa, volendo, accentua fortemente anche il minimo rilievo.
4. Il trucco deve soddisfare a certe condizioni specifiche dello "studio" come, p. es. il calore delle lampade e la lunga durata del lavoro (dalla mattina alla sera); deve inoltre nascondere, nella sua fedele uniformità, le alterazioni quotidiane cui, per ragioni fisiologiche o climatiche, può andare soggetto l'aspetto naturale dell'attore.
5. Il carattere spiccatamente veristico dell'immagine cinematografica richiede il massimo realismo della maschera ed esclude ogni tendenza verso forme "stilizzate" (tranne determinati generi di film ben circoscritti, come p. es. la burletta americana).
Riguardo allo scopo, si possono distinguere due tipi di truccatura cinematografica: truccatura correttiva e truccatura creativa. La truccatura correttiva deve semplicemente eliminare - utilizzando tutti gli accorgimenti della cosmetica e all'occorrenza della chirurgia estetica - i difetti casuali che rendono antiestetico l'aspetto dell'attore. Ma la truccatura cinematografica non si limita quasi mai alla semplice correzione; essa diventa creativa non appena modifica in un modo o nell'altro il tipo reale dell'attore:
a) quando ravvicina le proporzioni e le linee del viso alle armonie di una bellezza classica, troppo spesso a danno dell'espressione e quindi dell'arte;
b) quando tende a far assumere all'aspetto dell'attore un tipo costante che serve a imprimere meglio nella memoria del pubblico i tratti di un determinato individuo e a rendere più semplici ed ovvie le sue caratteristiche fisiognomiche;
c) quando muta le sembianze dell'attore in quelle del personaggio cinematografico da incarnare: mutamenti che vanno dalle semplici trasformazioni del "caratterista" fino ai più bizzarri personaggi di fantasia creati da virtuosi specializzati nell'inventare e nel "supportare" truccature ingegnose che corrispondono all'elemento fiabesco del cinema e soddisfano la curiosità ottica del pubblico (Lon Chaney, Boris Karloff).
Certi metodi di presa servono continuamente a completare l'opera del truccatore. Oltre all'illuminazione, bisogna anche ricordare in prima linea l'angolo di presa il quale, producendo spostamenti prospettici del viso (come anche del corpo), ne determina e modifica l'espressione. Certi trucchi, come la "dissolvenza", permettono infine di mutare le sembianze dell'attore sotto gli occhi dello spettatore stesso (Il dottor Jekill).
Il materiale da trucco per uso cinematografico è alquanto più ricco e raffinato di quello tradizionale da teatro; l'industria chimica dei colori è stata spinta dalle esigenze del cinema a ideare e smerciare tutta una serie di preparati sempre più assortiti e convenienti (per lo più unguenti morbidi contenenti una sostanza colorata). A differenza della teatrale, la truccatura cinematografica è raro che possa essere ottimamente eseguita dall'attore stesso; l'esperienza tecnica che a ciò si richiede, delicata e varia, costringe di solito a ricorrere all'opera di uno specialista, detto appunto truccatore. Infine non sono da ignorarsi i tentativi fatti per eliminare del tutto la truccatura cinematografica. I cosiddetti film "documentarî" e semidocumentarî (Robert Flaherty: Nanuk, Moana, Man of Aran) come anche certe pellicole sovietiche a soggetto, dimostrano che l'assenza del trucco dà all'immagine un senso di verità, di freschezza, di bellezza naturale. Ma non da questa argomentazione si vorrà trarre argomento per condannare le capacità creative della truccatura la quale, nelle mani dell'artista, serve a precisare e ad arricchire gli elementi offerti dalla natura e potrebbe assurgere a funzioni ancora più complesse e importanti quando giungessero a perfezione tecnica il film stereoscopico e quello a colori.
Bibl.: F. Zimmermann, Das Schminken für Bühne u. Film, Berlino 1924; L. A. La Rosa, Espressione e mimica, Milano 1929; V. Molcianowsky, Come si truccano... (La truccatura teatrale e cinematografica moderna), ivi 1930; Cavendish Morton, The Art of the Theatrical Make-up, Londra s. a.; Catalogue of Max Factor's Theatrical Make-Up, Hollywood, Cal.