TRUFFA
. La truffa è il delitto che è commesso da chiunque con artifizî o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno (art. 640 cod. pen.). Se difettano gli artifizî o i raggiri, o se difetta l'ingiusto profitto con altrui danno, non è ipotizzahile il delitto di truffa, ma ricorre una comune controversia civile o altra ipotesi delittuosa. Il codice vigente conserva l'esplicita distinzione degli artifizî dai raggiri: artifizio esprime l'invenzione abilmente architettata; raggiro, la creazione o lo sfruttamento di parole o fatti falsi. Assai si discute sulla ammissibilità della menzogna nel novero dei raggiri punibili. Molti ritengono che non possa considerarsi tale perché nessuno è obbligato a dire la verità nella vita privata; altri affermano che la menzogna può costituire raggiro quando sia vestita, ossia quando sia presentata in modo da indurre altri in errore; altri, infine, affermano che, quando l'errore sia stato prodotto, si debba riconoscere che la menzogna costituì un raggiro idoneo. Il codice vigente non indica espressamente che il raggiro e l'artifizio debbono essere idonei perché l'idoneità del mezzo, se si tratta di tentativo, è espressamente preveduta nell'art. 56; se si tratta di truffa consumata, si riconnette al principio generale del nesso di causalità, che è principio fondamentale di qualsiasi reato. L'indagine, per ciò, sulla idoneità del raggiro o dell'artifizio è questione che riguarda sia la truffa tentata sia la truffa consumata ed errava la giurisprudenza, formatasi sotto l'impero del cessato codice, la quale affermava essere quella indagine inutile per la truffa consumata. Deve ritenersi che la idoneità debba valutarsi in senso relativo, vale a dire, tenendo conto delle condizioni psichiche, della cultura, della intelligenza e della educazione della persona ingannata. Dalla nozione della truffa risulta che il soggetto attivo del delitto è quello che determina l'errore, ma non è necessario che questa determinazione significhi una vera e propria creazione ex-novo dell'errore, potendo l'autore anche limitarsi ad accrescere un errore già esistente. Occorre che esista il nesso di causalità tra l'attività del colpevole e il conseguimento illecito della prestazione. Il profitto, che l'autore deve conseguire, dev'essere illegittimo oggettivamente e tale ritenuto dall'autore perché, se è obbiettivamente legittimo, mancherebbe un elemento obbiettivo del reato, e se fosse ritenuto legittimo dall'autore, difetterebbe l'elemento subbiettivo del reato stesso. Al profitto del colpevole deve corrispondere il danno altrui, ossia la perdita di una qualsiasi utilità economica. È possibile la truffa anche in rapporti illeciti o immorali, perché la legge qui tutela l'interesse superiore della buona fede delle trattazioni. L'elemento soggettivo del delitto consiste nella comune nozione del dolo, cioè nella coscienza e nella volontà di procurare con artifizî o raggiri a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno inducendo alcuno in errore. La pena è della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa da lire cinquecento a diecimila; è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da lire tremila a quindicimila, se il fatto è commesso a danno dello stato o di un altro ente pubblico o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare, e se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dover eseguire un ordine dell'autorità. V. anche frode (XVI, p. 101).