GIORDANA, Tullio (Carlo Tullio)
Nacque a Crema il 5 luglio 1877, da Pietro, ufficiale dei carabinieri, e da Elvira Carniti. Rimasto assai presto orfano di entrambi i genitori, fu allevato da un parente della madre, Francesco Samarani. Nel 1897 scappò di casa per combattere, con Ricciotti Garibaldi, al fianco della Grecia nella guerra contro la Turchia. In questa occasione, grazie all'intervento di U. Ojetti, il G. riuscì anche a ottenere la nomina a corrispondente per La Tribuna, senza però espletare l'incarico.
Questa prima scelta non rimase certo un caso isolato nella vita del G.: intraprendente, attivo e fortemente partecipe degli avvenimenti della sua epoca, fu presente in una forma o nell'altra, ma più spesso come combattente, in tutti i conflitti nei quali l'Italia fu coinvolta durante il primo cinquantennio del Novecento.
Negli ultimissimi anni del XIX secolo, sotto l'influenza di G. D'Annunzio, si diede a un'intensa attività di scrittore.
Pubblicò alcuni romanzi - fra i quali ricordiamo Il patto (Cremona 1897), La fiamma e l'ombra (Torino 1898), L'occhio del lago (ibid. 1899) - e una raccolta di novelle, Le greche (ibid. 1899), ispirate in parte alle esperienze vissute durante il soggiorno in Grecia. Qualche anno più tardi (Torino-Roma 1902) apparve anche un suo studio di diritto costituzionale - La morte d'una costituzione (Finlandia, 1809-1899) - dove sottolineava l'illegalità dell'atto con cui la Russia aveva abrogato la carta fondamentale della Finlandia, e sosteneva il criterio di nazionalità quale principio fondante dell'ordine europeo.
Si laureò in giurisprudenza e conseguì il titolo di avvocato. Nei primissimi anni del nuovo secolo sposò la figlia di un ricco industriale genovese, Clelia Bertollo. All'indomani della grande guerra le cospicue risorse economiche della moglie gli consentirono di acquisire, almeno in parte, la proprietà sia dei quotidiani che diresse, sia del settimanale satirico Il Travaso delle idee.
Nel 1904, in qualità di segretario del Comitato italiano per l'Esposizione universale, si recò negli Stati Uniti, a Saint Louis, dove ebbe occasione di collaborare con periodici americani e di studiare i metodi e le forme del giornalismo d'Oltreoceano. In quello stesso anno fu chiamato da L. Roux, con il quale era già da qualche tempo in buoni rapporti, a lavorare stabilmente per il quotidiano romano La Tribuna.
Per La Tribuna, e a partire dal 1907 anche quale corrispondente del New York Herald, viaggiò molto in Italia, in Francia, e soprattutto nella penisola balcanica. Condusse nel frattempo attività di ricerca in campo giuridico, pubblicando un volume su La proprietà privata nelle guerre marittime secondo il diritto internazionale pubblico (Torino-Roma 1907).
Alla fine del 1908 partecipò, come infermiere volontario, a una spedizione di soccorso per le vittime del terremoto di Messina e Reggio Calabria. A partire dal 1° sett. 1910 - a quanto sembra grazie all'appoggio di V.E. Orlando - il G. divenne direttore del quotidiano L'Ora di Palermo.
Politicamente, in quegli anni il G. si collocava su posizioni democratiche ed era iscritto alla sezione romana del Partito radicale. Stando a una relazione della polizia politica fascista, dal 1903 sarebbe anche stato massone di rito simbolico. Gli elenchi degli iscritti conservati negli archivi del Grande Oriente - che non sono però completi - non confermano tale notizia.
Sotto la sua direzione L'Ora, pur non legandosi ad alcun partito, seguì una linea genericamente progressista, sostenendo la necessità che la vita politica italiana, soprattutto nel Mezzogiorno, fosse rinnovata e moralizzata. Caldeggiò con forza l'allargamento del suffragio, tanto che - dopo un iniziale momento di scetticismo nei confronti dell'uomo che aveva "passato tutta la vita a contrastare la volontà del paese" - si schierò a favore del quarto ministero Giolitti, formatosi nel marzo del 1911. Subito, e senza alcuna riserva, il quotidiano e il suo direttore approvarono il conflitto coloniale, ritenendo che, con la conquista della Libia, l'Italia affermasse un proprio diritto, soddisfacesse un'imprescindibile necessità strategica e si dotasse infine di uno sbocco "domestico" per l'immigrazione.
Dalla fine di settembre all'inizio di novembre del 1911, approfittando anche della sua posizione quale corrispondente del New York Herald, il G. si spostò in Libia per seguire da vicino l'andamento della guerra. Alla fine di aprile del 1912 lasciò la direzione de L'Ora, adducendo come motivo delle sue dimissioni la necessità di trascorrere gran parte del proprio tempo a Roma, e tornò a lavorare per La Tribuna.
La grande guerra vide il G. partire volontario come ufficiale degli alpini. Ferito due volte, ottenne due medaglie d'argento. Almeno a partire dall'estate del 1917 cominciò a lavorare alla costituzione di un nuovo quotidiano. Il primo numero de L'Epoca uscì a Roma il 20 dicembre di quell'anno; il G. ne era il direttore, ed era anche l'amministratore e il direttore generale della Società editrice Urbs, che lo possedeva. Presidente del consiglio di amministrazione della società era il principe A. Giovanelli, ricchissimo proprietario terriero veneto e deputato radicale.
Molto vicina a Orlando - che nelle settimane successive a Caporetto il G. incontrava quotidianamente -, negli ultimi mesi della guerra L'Epoca si collocò su posizioni accesamente patriottiche. Terminato il conflitto, il quotidiano fiancheggiò il gruppo politico di ex combattenti del Rinnovamento, e soprattutto il partito radicale. Come molti altri liberali di sinistra, anche il G. sperava che la guerra fosse per l'Italia un'occasione di profonda rigenerazione politica, e però che preservasse, e anzi rafforzasse, la sostanza nazionale della cultura e delle istituzioni del periodo prebellico, tale, insomma, da non avvantaggiare né i cattolici, né tanto meno il rivoluzionarismo socialista. Fino al consolidamento del regime fascista, questa sarebbe rimasta la sua posizione.
All'inizio di settembre del 1921 la proprietà de L'Epoca venne rilevata da un nuovo gruppo, e il G. abbandonò quindi la direzione.
Accanto a quella giornalistica, in questi anni il G. svolse anche attività politica. Alle elezioni generali del novembre 1919 fu candidato radicale nel collegio di Cremona all'interno del Blocco democratico, una lista che comprendeva pure i socialriformisti. Nel maggio 1921, sempre a Cremona e sempre come radicale, fu candidato nel Blocco nazionale, insieme con socialriformisti, agrari, liberali, democratici giolittiani, combattenti e fascisti. In nessuno dei due casi riuscì però a essere eletto. Nell'aprile 1922 partecipò alla fondazione del Partito democratico sociale. In questa fase il G. non guardava il fascismo di cattivo occhio.
Pur deplorandone gli eccessi e le violenze, riteneva che il movimento fascista potesse fornire un valido contributo al rinnovamento morale della nazione. Salutò, quindi, l'avvento al potere di B. Mussolini come possibile soluzione ai problemi di un paese ormai esausto, e bisognoso di veder realizzate, almeno in parte, le speranze di rinascita suscitate dalla guerra.
Fallito nell'autunno del 1923 - per volontà di A. Bergamini e A. Salandra, e anche per l'intervento diretto di Mussolini - un loro tentativo di acquisire la proprietà del Giornale d'Italia, alla fine di quell'anno Giovanelli e il G. rilevarono La Tribuna, della quale il G. prese la direzione all'inizio di dicembre.
Coerentemente con quanto aveva sostenuto in precedenza, il nuovo direttore diede al quotidiano un'impostazione politica favorevole al governo; continuava però ad apprezzare il fascismo soprattutto in quanto esempio della rinascita patriottica d'Italia, elemento di perpetuazione e rinnovamento della tradizione nazionale liberale, e a criticarne invece gli aspetti più faziosi, violenti e integralisti. Già nei mesi successivi al delitto Matteotti, quindi, La Tribuna, pur sostenendo ancora Mussolini, cominciò a mostrare segni sempre più evidenti di dissenso nei confronti del fascismo; per arrivare infine, dopo il 3 genn. 1925, e prima di rifugiarsi nell'apoliticismo, a criticarne apertamente le scelte.
Il G. conservò la direzione del giornale fino alla fine del 1925, ma gli spazi all'interno dei quali si muoveva si stavano facendo sempre più stretti. Nel settembre di quell'anno fu anche vittima di un'aggressione fisica da parte del direttore del quotidiano Il Tevere, T. Interlandi - caso che finì in tribunale -, e in seguito di un più serio attacco fascista alla sua abitazione.
Lasciata La Tribuna, il G. si ritirò a Collemontano, presso Spoleto, e si dedicò intensamente all'amministrazione di una vasta tenuta che possedeva in quella località. Nel 1929 pubblicò un opuscolo sulla coltivazione del grano, Oro in chicchi. Culture attuali del frumento (Firenze). Il regime lo teneva sotto controllo, ma in maniera a quanto sembra assai blanda, anche perché alla fine del 1927 lo stesso Mussolini aveva dato ordine esplicito che egli non fosse disturbato. La forzata inattività politica e giornalistica pesava comunque molto al G. e da alcune informative anonime della polizia politica, datate 1934, emerge la sua volontà di rappacificarsi con il fascismo. La guerra d'Etiopia gli fornì un'opportunità in questo senso: favorevole da sempre all'espansione coloniale, all'inizio di ottobre del 1935, a cinquantotto anni, partì volontario per l'Africa Orientale. Fratturatosi due costole in un incidente automobilistico, nell'aprile del 1936 dovette ritornare in Italia.
Il G. considerò l'ipotesi di scrivere un volume sulla guerra e sembra prendesse anche contatto con alcuni editori, sondando allo stesso tempo le autorità politiche per evitare problemi con la censura. Il libro non fu mai pubblicato, ma nel 1937 uscì un nuovo romanzo (Settimo piano dell'obelisco, Milano), ambientato in parte in Etiopia, nel quale il G. difendeva le ragioni della guerra e identificava in Mussolini il simbolo della ritrovata unità nazionale.
La partecipazione al conflitto gli fruttò la promozione a tenente colonnello per meriti eccezionali, ma non la tessera del partito fascista, che, secondo numerose informative della polizia politica, stava invece chiedendo con una certa insistenza. La ottenne infine nel 1939, ad honorem perché decorato, quando ritornò fra gli alpini.
Nel 1946, portando come prova le testimonianze scritte di due suoi superiori, avrebbe dichiarato di essersi fatto richiamare alle armi per poter svolgere nell'esercito propaganda antifascista, e di essere stato contrario all'intervento italiano in guerra.
Congedato per ragioni d'età dopo che ebbe partecipato all'azione sul fronte francese, fu nominato cavaliere dell'Ordine militare di Savoia, promosso colonnello e soprattutto gli fu consentito di tornare a lavorare, benché non in qualità di direttore di testata. Dalla prima metà del 1941 lo troviamo quindi a Torino, impiegato nell'amministrazione della Società editrice torinese, proprietaria della Gazzetta del popolo. Di quel giornale il G. divenne direttore subito dopo il 25 luglio 1943 e per la durata dei quarantacinque giorni badogliani.
Il quotidiano si attestò su una posizione antifascista di ispirazione liberale tradizionale, sostenendo, con motivazioni patriottiche, la necessità di proseguire la guerra e di resistere all'invasione angloamericana. Dopo l'8 settembre difese tuttavia la scelta dell'armistizio, suggerendo nuovamente l'ipotesi di un'eventuale resistenza nazionale, in questo caso, però, contro i Tedeschi.
Nell'estate del 1944, a sessantasette anni, con il nome di battaglia di Colonnello Delfino, il G. partecipò attivamente alla Resistenza nelle formazioni autonome della Val Chisone - composte per lo più di alpini ed ex alpini, molti dei quali erano stati ai suoi ordini. Nella prima metà di agosto di quell'anno i partigiani della Val Chisone dovettero rifugiarsi Oltralpe per sfuggire all'accerchiamento tedesco. Il G. trascorse così gli ultimi mesi del 1944 in Francia, cercando, con l'aiuto degli Inglesi, di raccogliere e riorganizzare i partigiani che si erano rifugiati al di là del confine e scontrandosi però con i seri ostacoli frapposti dai Francesi. Alla fine di quell'anno, approfittando di un'opportunità offerta dagli Americani, raggiunse Roma. All'inizio del 1945, dopo aver tentato con una lunga lettera di sensibilizzarlo alle difficoltà che incontravano in Francia i partigiani italiani, scrisse più volte al presidente del Consiglio I. Bonomi - ma senza successo - perché lo aiutasse a ritornare nelle zone di guerra.
Alla Liberazione, il G. cercò invano di riprendere la direzione della Gazzetta del popolo e, ancora all'inizio del 1947, sollecitò Orlando perché lo aiutasse in quel senso. Nel frattempo collaborava con La Nuova Stampa di Torino e con il Corriere del popolo di Genova; dal 17 marzo del 1946 divenne direttore del Giornale dell'Emilia.
Iscrittosi, nell'ultimo periodo della guerra, alla Democrazia del lavoro, il G. diede al quotidiano un'impostazione progressista, ma moderata e patriottica: certamente avverso al comunismo, tenne nei confronti della Democrazia cristiana un atteggiamento tutt'altro che ostile. Allo stesso tempo, si augurava che le forze politiche di origine prefascista si unificassero e rafforzassero, e che i socialisti abbandonassero le tentazioni rivoluzionarie, sottraendosi all'abbraccio del partito comunista. Commentò favorevolmente i risultati del referendum istituzionale.
Contrasti politici con la proprietà del giornale, che sembra lo considerasse troppo di sinistra, lo portarono a dimettersi dal Giornale dell'Emilia il 1° ott. 1947.
Il G. morì a Milano il 27 genn. 1950.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Carte Orlando, b. 12, f. 571 (Tullio Giardina); Ministero degli Interni, Direzione generale di Pubblica Sicurezza, Divisione Affari generali e riservati, cat. A1, Informazioni politiche personali, 1926, b. 10, f. Giardina; 1927, b. 13, f. Giardina, T.; 1936, b. 25, f. Giardina, Carlo Tullio; Ibid., Divisione polizia politica, fascicoli personali, b. 43/A (Tullio Giardina); N. Sofia, L'Ora, in Annuario della stampa italiana, Bologna 1932, pp. 204-206; Noi alpini della Val Chisone, Torino 1945, passim; A. Codignola, L'Italia e gli Italiani, Genova 1947, pp. 370 s.; A. Trabucco, Partigiani in Val Chisone (1943-45), Torre Pellice 1959, passim; 1919-1925. Dopoguerra e fascismo. Politica e stampa in Italia, a cura di B. Vigezzi, Bari 1965, ad ind.; G. Bocca, Storia dell'Italia partigiana, Bari 1966, ad ind.; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dal 1900 al 1926, Roma 1977, ad ind.; D. Biondi, Il Resto del carlino, 1885-1985. Un giornale nella storia d'Italia, Bologna 1985, ad ind.; M. Grandinetti, I quotidiani di Torino dalla caduta del fascismo al 1948, Torino 1986, ad ind.; L. D'Angelo, La democrazia radicale tra la prima guerra mondiale e il fascismo, Roma 1990, ad ind.; M. Grandinetti, I quotidiani in Italia, 1943-1991, Milano 1992, ad ind.; G. Orsina, Senza Chiesa né classe. Il partito radicale nell'età giolittiana, Roma 1998, ad ind.; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei. Diz. bio-bibliografico, p. 197; Chi è? 1931, sub voce; Chi è? 1940, sub voce.