Pinelli, Tullio
Autore teatrale e sceneggiatore, nato a Torino il 24 giugno 1908. Attivo nel cinema dai primi anni Quaranta, fra le collaborazioni più importanti e di lunga durata si annoverano quelle con i registi Alberto Lattuada e Pietro Germi. Fondamentale si rivelò l'incontro con Ennio Flaiano con il quale scrisse alcuni dei capolavori di Federico Fellini: proprio la caratura mistico-sperimentale di P., unita all'ironia di Flaiano, divenne una delle connotazioni più importanti del mondo autobiografico del regista. Autore che seppe confrontarsi con i più svariati generi, adattando opere letterarie o elaborando sceneggiature originali, nel 1986 ha vinto, con Suso Cecchi d'Amico, Piero De Bernardi e Leonardo Benvenuti, il David di Donatello per Speriamo che sia femmina (1986) di Mario Monicelli.
Dopo gli studi di giurisprudenza e la pratica della professione di avvocato, negli anni Trenta raggiunse la notorietà come drammaturgo: alcuni lavori, tra cui La pulce d'oro (1935) e Lo stilita (1937), lo misero in luce come autore di testi a carattere religioso. Dal 1942 lavorò a Roma presso la Lux Film, dove fu assunto come sceneggiatore, esordendo con In cerca di felicità (1944) di Giacomo Gentilomo. Nel primo dopoguerra, mentre andava intensificando la ricerca teatrale con testi sperimentali come Lotta con l'angelo (1942), dedicandosi peraltro alla scrittura di drammi radiofonici, diede inizio a una collaborazione con il regista Lattuada in film quali Il bandito (1946) e Senza pietà (1948), di carattere affine per tematiche e stile al cinema neorealista, sperimentando per altro verso il genere melodrammatico con Duilio Coletti, per il quale scrisse Adultera (1946), tratto da un suo lavoro teatrale, e Il grido della terra (1949). Tra le collaborazioni di maggior rigore espressivo, vi fu quella con il regista e attore Germi, per il quale realizzò le sceneggiature di In nome della legge (1949), Il cammino della speranza (1950) e Il brigante di Tacca del Lupo (1952). Successivamente si dedicò ad alcuni film sul filone della prosa operistica: Traviata '53 (1953) diretto da Vittorio Cottafavi, e Gli amori di Manon Lescaut (1954), per la regia di Mario Costa. L'incontro con lo sceneggiatore Flaiano avvenne in quegli stessi anni: assieme a lui, P. scrisse gran parte dei film di Fellini, compresi i suoi capolavori: da Luci del varietà (1950, codireto con Lattuada) fino a Giulietta degli spiriti (1965), passando attraverso I vitelloni (1953), La strada (1954), La dolce vita (1960) e 8 1/2 (1963), con i quali P. ottenne le sue quattro nominations all'Oscar. Autore di trasposizioni cinematografiche da grandi classici della letteratura come La steppa (1963) di Lattuada, tratto da A.P. Čechov, e Senilità (1962), riduzione del romanzo di I. Svevo diretta da Mauro Bolognini, fu tra i pochi sceneggiatori a non essere coinvolto nell'estetica della nascente 'commedia all'italiana'. A partire da L'immorale (1967), P. sperimentò una nuova collaborazione con Germi nel periodo più commerciale del regista: dell'anno successivo è infatti Serafino, idillio agreste interpretato dal divo della canzone Adriano Celentano, seguito da Le castagne sono buone (1970), interpretato da un altro cantante, Gianni Morandi. Un incontro rispondente al gusto e allo stile di P. era stato quello con la giovane Liliana Cavani, per la quale scrisse due biografie, Francesco di Assisi (1966), e Galileo (1968). In leggero e graduale declino, P. dedicò nel decennio successivo buona parte delle sue energie allo sceneggiato televisivo, non tralasciando la sua attività cinematografica nel campo della commedia: da Alfredo, Alfredo (1972) diretto da Germi e interpretato da Dustin Hoffman, ad Amici miei (1975), Il Marchese del Grillo (1981) e Speriamo che sia femmina, tutti diretti da Monicelli. Tornato a collaborare ancora una volta con Fellini nel 1986 per il melanconico Ginger e Fred, ha scritto anche l'ultimo film del regista, La voce della luna (1990), tratto da un lavoro di E. Cavazzoni.