TUMORE
(lat. tumor "intumescenza"; gr. ὄγκος; fr. tumeur; sp. tumor; ted. Geschwulst; ingl. tumor).
Sommario: 1. Natura dei tumori (p. 474); II. Nomenclatura (p. 475); III. Classificazione (p. 476); IV. Struttura (p. 476); V. Fisiologia delle cellule tumorali (p. 477); VI. Costituzione chimica delle cellule tumorali (p. 478); VII. Fattori causali (etiologia) del cancro (p. 478); VIII. Patogenesi del cancro (p. 478); IX. La malattia tumorale (p. 480); X. Cure contro il cancro (p. 481).
I. Natura dei tumori. - Per chiarire i concetti sono necessarie alcune premesse di patologia generale.
Tutte le malattie sono necessariamente caratterizzate da deviazioni delle funzioni normali, e alla base di queste deviazioni funzionali stanno, e molte volte sono chiaramente riconoscibili, alterazioni strutturali della materia vivente. Le moderne conoscenze sulle cause esterne dei morbi, in specie di quelle microbiche, e sul meccanismo con cui tali cause alterano la struttura e le funzioni degli organismi, creando le malattie, ci hanno permesso di comprendere in moltissimi casi il significato biologico dei fenomeni patologici. Così oggi possiamo distinguere:1. alterazioni funzionali e materiali che sono semplicemente l'espressione fedele del danno subito dall'organismo vivente per effetto della causa morbigena. Rappresentano, cioè, il "guasto" o danno nella sua forma genuina; traducono la minorazione o deviazione funzionale e la degradazione strutturale della materia vivente, perciò si chiamano fenomeni regressivi. Sono comprese in questa categoria, tanto conseguenze dirette e immediate della causa nociva - come, p. es., gli effetti immediati di un veleno, di un caustico, di una scottatura, di un trauma, di un soppresso afflusso sanguigno, di una tendenza degenerativa ereditaria: tutte cause che possono determinare profonde trasformazioni dei tessuti (cancrene, necrosi, degenerazioni, atrofie) - quanto conseguenze indirette o secondarie, cioè più o meno lontane, delle cause medesime, come quando un tessuto primitivamente danneggiato in un certo modo prosegue poi nella scala discendente, subendo tutta una serie di ulteriori trasformazioni che ne modificano variamente la struttura (atrofia, necrobiosi o degenerazioni), oppure come quando la funzione soppressa o alterata di un tessuto induce in altri organi o tessuti conseguenze dannose (p. es., la malattia di una ghiandola come l'ipofisi può portare a quell'ingrossamento o iperplasia di svariatissimi lontani tessuti che caratterizza una tipica malattia: l'acromegalia; e la soppressione delle ghiandole genitali nell'età giovanile porta al gigantismo degli eunuchi; l'arteriosclerosi cagiona numerosissime alterazioni viscerali, ecc.). Si potrebbero paragonare tutte queste alterazioni a quelle che s'osservano in un territorio dopo un incendio, o un terremoto, o un'inondazione o alla lenta e apparentemente spontanea degradazione di opere umane abbandonate. Materiali distrutti, disorganizzati, spostati, accatastati, alterati in varî modi, e corrispondenti gravi alterazioni secondarie della vita in quei luoghi: tutte conseguenze o primitive o secondarie, ma sempre passive, della causa nociva, e che in ogni caso rappresentano solo un deficit anatomico e funzionale. 2. Altre alterazioni osservabili nelle malattie hanno tutt'altro significato. Rappresentano: sia la difesa immediata dell'organismo contro la causa morbigena, sia la riparazione, più o meno completa ed efficace, dei danni subiti. In ogni caso si tratta di fenomeni reattivi, di natura difensiva; costituiscono quella "reazione" che è appunto caratteristica della materia vivente sottoposta a uno stimolo. Simili fenomeni morbosi potrebbero paragonarsi a quelli che si verificano in un territorio devastato, in secondo tempo, quando cioè si sono iniziati i lavori di difesa, quali arginamento delle acque, circoscrizione del fuoco, puntellamento delle costruzioni pericolanti; o quando, cessato il pericolo impellente, s'è incominciato a eliminare i residui inutili e ingombranti, a colmare i vuoti, a riedificare o riparare in qualche modo i guasti, a compensare le opere mancanti con altre nuove, o con l'ingrandimento o rafforzamento di quelle superstiti ad analogo funzionamento. Nell'organismo vivente quest'opera si svolge con forme o aspetti diversissimi a seconda della natura della causa morbigena, della sua estensione, dell'intensità e rapidità con cui ha agito, ecc.; ma pur essendo così diverse le forme che questa reazione vitale può assumere, essa in ogni caso appare, si potrebbe dire, come logicamente preordinata e proporzionata, ossia materialmente e funzionalmente idonea allo scopo di difesa e di riparazione che è utile raggiungere. In questa categoria rientrano tutti i processi infiammatorî (come ascessi, polmoniti, tubercolosi, sifilide, ecc.) e altri processi accompagnati da più evidente proliferazione di tessuto, come quelli rigenerativi (p. es., rimarginazione delle ferite, riparazione delle fratture ossee), o come le ipertrofie compensatorie (ingrossamento di un rene quando l'altro è malato o mancante) e altre forme di cui vediamo solo il lato funzionale, come la febbre o le reazioni immunitarie del sangue nel corso delle infezioni e vaccinazioni. - Fenomeni passivi e fenomeni reattivi si trovano quasi sempre associati nelle malattie. Talora gli uni prevalgono sugli altri a tal punto da sembrare unicamente esistenti nel quadro morboso. 3. Ma esiste in patologia un altro tipo o categoria di fenomeni morbosi che formano un gruppo assolutamente a sé. In queste malattie non vediamo alterarsi inizialmente e soffrire e reagire un organo o tessuto nella totalità o in parte dei suoi normali costituenti; ma s'inizia in un punto, che può essere assai circoscritto, di un tessuto normale, lo sviluppo di un nuovo tessuto, per lo più profondamente aberrante e patologico. Non è dunque un tessuto preesistente che s'ammala, ma un tessuto nuovo che si forma e che diviene causa di malattia per i tessuti preesistenti.
Si tratta in questo caso di fatti progressivi solo in quanto si ha moltiplicazione cellulare, ma ben diversi nel loro significato da quelli sopra descritti. Non sono, innanzi tutto, processi progressivi del genere delle infiammazioni, perché in queste l'eventuale proliferazione cellulare parte quasi esclusivamente dagli elementi dei tessuti di sostegno che sono deputati alla difesa dell'organismo (cellule cosiddette mesenchimali) e questi elementi mantengono sostanzialmente, attraverso a pur notevoli trasformazioni, i loro caratteri strutturali e funzionali originarî; mentre la proliferazione cui alludiamo può svolgersi dai più diversi tessuti e proprio nei casi più frequenti non deriva dai tessuti mesenchimali atti alle reazioni difensive, sibbene dai tessuti di rivestimento o ghiandolari (tumori epiteliali) che sono quasi del tutto incapaci di reazioni difensive contro i più comuni e svariati stimoli patogeni. Inoltre la proliferazione infiammatoria è sempre diretta a distruggere, neutralizzare o circoscrivere qualche causa irritante, mentre nelle proliferazioni di cui parliamo non si vede quale difesa né quale altra funzione venga esercitata. E non sono nemmeno paragonabili - gli accrescimenti in parola - ai processi rigenerativi o iperplastici sopra ricordati, i quali, o hanno uno scopo evidente da assolvere a vantaggio dell'organismo (rigenerazione di parti perdute, ipertrofie da lavoro o compensatorie di organi similari mancanti, ecc.), oppure dipendono da un'alterata funzione regolatrice dell'accrescimento (es., gigantismo eunucoide, ingrossamento delle estremità nell'acromegalia). Nulla di simile si riscontra nelle proliferazioni che abbiamo assegnate a quest'ultima categoria. Vediamo, con esse, sorgere in seno all'organismo un tessuto del tutto nuovo il quale mostra, sì, evidenti segni di parentela con il tessuto normale da cui deriva, ma è ormai una cosa sostanzialmente diversa da esso, possiede cioè caratteri strutturali e attitudini biologiche del tutto nuove, che non hanno riscontro in quelle di nessun altro tessuto preesistente normale. I caratteri strutturali consistono in un profondo, assoluto, invincibile disordine e irregolarità strutturale; disordine e irregolarità che sono immancabili nell'ordinamento dei complessi cellulari del tumore, mentre le singole cellule tumorali, considerate ciascuna a sé, possono anche essere di apparenza strutturale normale. Le attitudini biologiche consistono fondamentalmente nella capacità intrinseca (cioè indipendente da influenze provenienti da altre parti dell'organismo) di accrescersi in modo illimitato e d'invadere territorî contigui e lontani, danneggiando e distruggendo i tessuti normali. Ci troviamo evidentemente dinnanzi a una categoria di fatti patologici veramente diversi da tutti gli altri sin qui considerati. Essi perciò costituiscono un gruppo a parte, quello dei tumori o neoplasmi, o, come più modernamente si suol dire, blastomi. La parte della patologia che li studia si dice oncologia (dal gr. ὄγκος "tumore"). - Considerando l'evidente stranezza di queste manifestazioni patologiche, il primo quesito che si pone è questo: che cosa significano biologicamente i tumori. Noi comprendiamo bene come e perché la presenza nei tessuti di un microbo patogeno o di altro stimolo locale provochi quell'insieme di fenomeni regressivi e progressivi che caratterizzano l'infiammazione. Comprendiamo più o meno bene il significato, cioè il meccanismo genetico, dei processi iperplastici sopra ricordati. Nessuno di questi svariati fenomeni morbosi ci apparisce incongruo o misterioso. Infatti, ogni processo patologico con cui l'organismo manifesta la sua vitalità non è che l'esagerazione di un processo normale, e l'aspetto patologico del fenomeno è dato, o dall'intensità eccessiva di manifestazioni vitali normali, oppure dal loro effettuarsi in tempo o luogo insoliti. Ma il fondamento non è nuovo. Gli elementi cellulari che prendono parte al processo morboso sono sempre gli stessi elementi, più o meno modificati, dell'organismo normale, ed esplicano sostanzialmente, cioè qualitativamente, le stesse funzioni che in condizioni normali. Ma la neoformazione tumorale non si può paragonare, nella sua struttura e nelle sue manifestazioni, a nessun altro processo biologico normale.
Cosicché, in ultima analisi, possiamo dire dei tumori soltanto questo: sono neoformazioni cellulari a sviluppo illimitato, a struttura profondamente aberrante; non assimilabili (per quanto ci è dato conoscere) dal lato funzionale a nessuno dei processi biologici normali noti; che si producono per meccanismi sconosciuti, in seguito a cause note e banali, oppure senza cause apparenti, e che riescono quasi sempre sommamente dannose all'organismo che le ospita. Volendo ricorrere a esempî materiali, come s'è fatto per l'innanzi, si potrebbero paragonare i tumori, rispetto agli altri tessuti dell'organismo, come a opere o costruzioni assurde, che fossero elevate da una popolazione di pazzi. Chi le osservasse, e conoscesse d'altronde gli usi e i costumi degli altri mortali, non ne comprenderebbe il significato, o anzi, per meglio dire, ne comprenderebbe senza più il carattere preminente, quello dell'assurdità sociale, in tutto equivalente all'assurdità biologica dei tumori. E se un paragone deve farsi dei tumori con altre forme patologiche, si può dire che l'unico fenomeno biologico abnorme cui si possono in qualche maniera avvicinare è quello delle mostruosità. Il tumore sarebbe cioè un prodotto mostruoso costruito con lo stesso materiale dell'organismo che lo ha generato, e ad esso intimamente congiunto, e che, essendo dotato di straordinaria attività riproduttiva, esercita una vera e propria concorrenza vitale contro l'organismo medesimo da cui proviene, vivendo in esso a guisa di parassita e danneggiandolo. - Tutto quanto è stato detto sin qui concerne propriamente i cosiddetti tumori maligni. Accanto ai quali esistono neoformazioni che, pur dovendosi ascrivere per i loro evidenti caratteri alla classe dei tumori in senso lato, non ne possiedono alcune delle proprietà più importanti, come quella dell'accrescimento illimitato e della diffusione, della profonda irregolarità strutturale, della tendenza alle recidive dopo asportazione e, come conseguenza di tutto ciò, della gravità contrassegnata dall'alta mortalità. Sono quindi neoplasie in genere benigne. Sono dannose quando la sede in cui sorgono è particolarmente delicata (p. es., cervello, midollo spinale, ecc.). E non bisogna dimenticare che abbastanza spesso un tumore benigno può a un certo momento dare origine a un tumore maligno. La struttura microscopica dei tumori rende conto, entro certi limiti, della loro malignità o benignità (v. sotto).
II. Nomenclatura. - a) Tumori maligni. - I tumori maligni che derivano da tessuti epiteliali (sia dei rivestimenti della cute o delle mucose, sia ghiandolari) si dicono epiteliomi, cancri o carcinoni. I tumori maligni che derivano da tessuti connettivi si dicono sarcomi (dal gr. σάρξ "carne", essendo spesso il loro aspetto rosso e carnoso, in contrasto con quello biancastro dei cancri). Alcuni autori (i Francesi) comprendono tutti i tumori maligni sotto l'unica denominazione di "cancri". I tumori tanto maligni quanto benigni dei centri nervosi (in pratica, data la sede, riescono quasi sempre maligni) si dicono gliomi perché derivano dal tessuto di sostegno dei centri nervosi o glia.
b) Tumori benigni. - Quelli degli epitelî di rivestimento sono i papillomi (es., verruche cutanee); quelli delle ghiandole sono gli adenomi. Talora, impropriamente, si parla di "adenoma maligno", ma si tratta di cancri ghiandolari (adenocarcinomi). I tumori benigni dei tessuti connettivi si designano con il nome del tessuto speciale da cui derivano e con il suffisso -oma. Per es.: fibroma, lipoma, mixoma, angioma, cioè tumori benigni di tessuto connettivo fibroso, grassoso, mucoso, vascolare.
III. Classificazione. - I tumori possono prendere origine da qualsiasi tessuto normale del corpo e questa origine è quasi sempre riconoscibile all'esame microscopico, cosicché si può adottare come criterio distintivo, cioè di classificazione, dei tumori, quello della loro provenienza dai diversi tessuti normali adulti (criterio istologico). Ma siccome tutti i tessuti adulti possono essere distinti in varie categorie secondo la loro origine embrionale, così si può adottare come criterio di classificazione generale dei tumori anche quello della loro varia derivazione embriologica.
Classificazione dei tumori su base embriologica. - Nell'embrione si possono distinguere varî strati cellulari compatti sotto forma di lamine o foglietti a tipo epiteliale: ectoderma o foglietto di rivestimento esterno, da cui derivano direttamente l'epidermide e le ghiandole cutanee e mammarie, e indirettamente il sistema nervoso; entoderma o foglietto di rivestimento interno da cui derivano l'epitelio delle mucose digerente, respiratoria, vescicale, e l'epitelio delle ghiandole annesse (fegato, pancreas) nonché del timo e della tiroide; mesoderma da cui derivano gli epitelî ghiandolari dell'apparato genito-urinario, i rivestimenti a epitelio piatto (endotelî o mesotelî) delle principali sierose, e il sistema muscolare scheletrico. Infine il mesenchima rappresenta il tessuto interstiziale o di riempimento dell'embrione: è costituito, anziché da elementi aggregati a formare tessuti compatti a tipo epiteliale, da cellule distaccate e immerse in un liquido interstiziale mucoso. Da esso derivano tutti i tessuti di sostegno, nonché i muscoli lisci, i tessuti emo- e linfopoietici.
1. Tumori ectodermici derivanti:
a) Dall'ectoderma propriamente detto: α) tumori dell'epitelio epidermico o congiuntivale: benigni come i papillomi o verruche cutanee, o maligni come gli epiteliomi o cancri della pelle; β) tumori dell'epitelio delle ghiandole cutanee o di derivazione cutanea: benigni come gli adenomi della mammella, delle ghiandole lacrimali, o cutanee, maligni come i corrispondenti epiteliomi o cancri; γ) tumori da elementi epiteliali ectodermici embrionalmente ectopici: tumori nevici della pelle (maligni), tumori da residui dentarî dell'organo dello smalto o adamantinomi (spesso maligni).
b) Dal neuroectoderma: tumori del sistema nervoso: essenzialmente gliomi (tumori maligni).
c) Dall'ectoderma extraembrionale del feto: corionepitelioma maligno.
2. Tumori mesodermici derivanti: a) Dagli epitelî del rene, della corteccia surrenale, del testicolo, ovario, utero, prostata; benigni come gli adenomi, maligni come gli epiteliomi o cancri.
b) Da endotelî delle sierose: mesoteliomi (maligni).
c) Dalle fibre muscolari striate: rabdomiomi (maligni).
3. Tumori entodermici. - Tumori degli epitelî tegumentali e ghiandolari dell'apparato digerente e respiratorio, tumori del timo e tiroide, della vescica urinaria: benigni (adenomi e papillomi) o maligni (epiteliomi o cancri).
4. Tumori mesenchimali. Sono compresi tutti i tumori di natura connettivale, tanto benigni quanto maligni o sarcomatosi, derivanti:
a) Dai connettivi di sostegno: ricordiamo i fibromi, lipomi, mixomi, condromi, osteomi, derivanti dai corrispondenti tessuti adulti, e costituiti da elementi a tipo adulto, e che sono di regola benigni; nonché i corrispondenti tumori a elementi cellulari non evoluti, o parzialmente evoluti, tumori maligni o sarcomi, quali, per es., il sarcoma fibromatode, mixomatode, ecc.
b) Dai tessuti vascolosanguigni. Comprendono: gli angiomi e gli angioendoteliomi derivanti dalle pareti vasali e che si comportano in modo variabile, essendo ora benigni e ora maligni; i reticolomi con numerose varietà, derivanti dalla trama reticolare dei tessuti emo- e linfopoietici, e i linfomi e mielomi, pure con numerose varietà, derivanti dagli elementi specifici dei tessuti emo- e linfopoietici: tutti tumori a comportamento ora benigno e ora maligno.
c) Dal tessuto muscolare liscio: miomi, tumori benigni.
d) Da residui mesenchimali indifferenziati. In questo gruppo si comprendono tumori a elementi immaturi di cui non si può stabilire l'origine da un determinato tessuto adulto e di cui perciò si suppone l'origine da residui mesenchimali indifferenziati: sarcomi, tumori sempre maligni.
5. Tumori da residui embrionali complessi. Tumori da residui cutanei rimasti nelle linee di sutura embrionali: es., cisti ateromatose congenite del collo, dell'orbita, ecc. Tumori da residui embrionali più complessi rimasti in corrispondenza della chiusura delle fessure branchiali: branchiomi, es. i tumori misti delle ghiandole salivari, ecc. Tumori da elementi embrionali pluripotenti, come cellule germinali: teratomi dell'ovario, del testicolo, ecc. I tumori dei due primi gruppi sono di solito benigni, quelli dell'ultimo sono spesso maligni.
IV. Struttura. - Diamo alcuni esempî.
Epitelioma (cancro) di un epitelio di rivestimento. - Prendiamo un esempio di cancro inizialissimo dell'epitelio cutaneo (fig.1). L'epidermide, lamina epiteliale che riveste la cute, nella zona tumorale comincia a proliferare in profondità mandando nel connettivo fibroso sottostante (derma, che è la parte sostanziale della pelle) delle propaggini epiteliali filamentose, rettilinee o serpeggianti. Gli estremi di queste propaggini s'ingrossano e finiscono con rendersi indipendenti, formando nel connettivo dermico delle masse o cordoni di tessuto epiteliale (zaffi cancerigni) che assumono strutture atipiche (p. es., le cosiddette "perle cancerigne" dei cancri cutanei dovute alla degenerazione cornea), si moltiplicano attivamente e infiltrano progressivamente il connettivo dermico e poi i tessuti più profondi (p. es., i muscoli; fig. 2). Per lo più, a un dato momento, il cancro, qualunque ne sia l'origine, si fa strada nei vasi linfatici della parte, procede nel loro lume e giunge alle linfoghiandole delle stazioni più vicine, dove prolifera ingrossandole e sostituendone il tessuto proprio (adenopatia metastatica neoplastica, importante per la diagnosi; fig. 3). Sempre per via linfatica le cellule cancerigne possono poi pervenire nel torrente sanguigno per andare a fermarsi nei capillari di parti anche lontanissime dal luogo d'origine (fegato, polmone, meningi, ossa, sierose, ecc.) e quivi proliferare formando ulteriori metastasi sotto forma di noduli di varia grandezza (fig. 4), oppure infiltrando i tessuti; in ogni caso riproducendo sempre i caratteri del tumore originale. Non di rado il cancro invade i vasi linfatici dei nervi, i cui fasci vengono circondati e strozzati, con gravi conseguenze anatomiche e funzionali (paralisi, nevralgie).
Epitelioma (cancro) di un epitelio ghiandolare (fig. 5). - Nella figura si vedono alcuni lobuli normali di ghiandola mammaria disposti attorno a un dotto escretore. Un altro lobulo ha cambiato struttura. Non si vedono più cavità rotondeggianti o acini delimitate da uno strato regolare di epitelio ghiandolare, ma masse irregolari e solide di epitelio; s'è già dinnanzi a una trasformazione in epitelio atipico cancerigno che ben presto si diffonderà a distanza.
Adenoma o tumore benigno di epitelio ghiandolare. - L'epitelio della ghiandola mammaria (fig. 5) ha proliferato eccessivamente formando numerosi nuovi acini di abnormi dimensioni. Ma l'epitelio rimane a rivestire con un solo strato, come di norma, delle cavità ghiandolari, mantiene cioè caratteri strutturali normali e soprattutto non acquista l'indipendenza dal luogo di origine che caratterizza il cancro, ma prolifera in situ. Per questo si tratta di tumore benigno o adenoma mammario.
Sarcoma o tumore maligno di tessuti connettivi. - La struttura dei tumori benigni dei tessuti connettivi corrisponde a quella del rispettivo connettivo adulto. Quando, invece, gli elementi del tumore non evolvono sino alla forma adulta, ma rimangono allo stato embrionale, si hanno allora i tumori connettivi maligni o sarcomi. I sarcomi, a differenza degli epiteliomi o cancri, prediligono l'età giovanile. Inoltre, mentre i cancri seguono nel diffondersi la via dei vasi linfatici, i sarcomi, invece, dato il loro maggior potere distruttivo e invasivo, penetrano facilmente anche nei vasi sanguiferi attraverso le sottili pareti venose. Cosicché le più comuni metastasi dei sarcomi, anziché linfoghiandolari, sono nei polmoni, ai cui capillari giunge il sangue venoso refluo di tutto il corpo.
Le cellule sarcomatose, in genere, a differenza di quelle epiteliali del cancro, non formano zaffi, cioè ammassi di cellule neoplastiche, isolati e distintì dal connettivo normale circostante. Le cellule sarcomatose infiltrano invece diffusamente i connettivi senz'alcuna delimitazione fra elementi tumorali ed elementi normali. Esse invadono con incredibile rapidità qualsiasi tessuto normale, comprimendo, atrofizzando e sostituendone gli elementi costitutivi (ghiandole, ossa, muscoli, ecc.). Nella fig.6 è rappresentato un sarcoma muscolare; le fibre muscolari sono dissociate e in via di atrofia, mentre le piccole cellule del sarcoma invadono e sostituiscono tutto.
V. Fisiologia delle cellule tumorali. - Le proprietà delle cellule tumorali sono oggi bene conosciute per merito soprattutto degli studî sulle colture di tessuti separati dall'organismo. Tutte le proprietà della cellula tumorale che sino a oggi sono state messe in luce da questi studî, rappresentano differenze quantitative, ma non qualitative fra cellule neoplastiche e cellule normali. Poiché in realtà non si è riusciti a mettere in evidenza un solo carattere veramente specifico delle cellule neoplastiche (A. Fischer). Cosicché, in ultima analisi, una cellula cancerigna e una cellula di tessuto normale, a parte la differenza sostanziale che una dà il cancro e l'altra no, si distinguono per talune qualità o attitudini diversamente sviluppate nell'una e nell'altra; ma proprietà qualitativamente diverse, che cioè l'una specie possiede e l'altra no, e tali da spiegare il così diverso comportamento biologico delle due sorta di cellule, non si conoscono. Di tutte le proprietà funzionali note, quella che meglio può servire a caratterizzare la cellula neoplastica è il modo con cui essa utilizza gli alimenti. La cellula tumorale, come altri viventi, trae l'energia necessaria per vivere e moltiplicarsi da processi chimici di trasformazione di alimenti. Di questi processi il più redditizio per tutti i viventi è quello della combustione o ossidazione completa dell'alimento. Ma, per quanto meno redditizî, possono bastare, e sono anzi talora i soli utilizzati, anche semplici processi di scomposizione - senza intervento di ossigeno - per i quali da un composto complesso come, p. es., il glicogeno, si giunge a composti più semplici, come l'acido lattico. Così il muscolo per contrarsi anziché bruciare il glucosio lo scinde semplicemente in acido lattico (O. Meyerhof). Tali processi di scissione fanno a meno dell'ossigeno esterno e la vita in queste condizioni si dice "anaerobia". Una gran parte delle cellule capaci di vita anaerobia diventano aerobie in presenza di ossigeno. Così i fermenti del vino, che in assenza d'aria scindono lo zucchero in alcool, se abbonda l'aria bruciano completamente lo zucchero senza dare alcool. Certi microbi anaerobî, invece, sospendono la loro attività in presenza di ossigeno, o muoiono. Ora s'è visto che le cellule dei tumori hanno una spiccata attitudine a vivere anaerobicamente scindendo il glicogeno in acido lattico (glicolisi) e ciò anche se si trovano in presenza di ossigeno (glicolisi aerobia, O. Warburg). Invece, le cellule dei tessuti animali normali, se possono vivere anaerobicamente in assenza di ossigeno, cambiano metodo in presenza di ossigeno e riprendono a bruciare i loro alimenti.
Altre proprietà delle cellule tumorali messe in luce dalle colture in vitro sono le seguenti. Le cellule tumorali crescono bene in un ambiente composto di solo plasma o siero di sangue; le cellule normali abbisognano, invece, dell'aggiunta di altre sostanze (succo di embrioni). Le cellule tumorali sono in genere meno esigenti, ma meno resistenti e la durata della loro vita è minore.
VI. Costituzione chimica delle cellule tumorali. - Non possiedono nessun costituente particolare; il potassio è aumentato rispetto al calcio. V'è un alto contenuto in glicogeno e acido lattico. Abbondano i fermenti proteolitici. L'azoto non coagulabile è aumentato rispetto a quello coagulabile.
VII. Fattori causali (etiologia) del cancro. - I tumori presentano un minimo di frequenza nell'infanzia e nella pubertà; divengono più frequenti con gli anni e raggiungono un massimo dopo i cinquant'anni. Va pure rilevato il rapporto dei tumori con certe epoche della vita ossia con certe fasi dell'attività di alcuni organi: così si sviluppano tumori nella mammella, nell'utero, nelle ovaie all'epoca della loro più attiva funzionalità, o, all'opposto, la neoplasia coincide con l'atrofia o involuzione fisiologica degli organi.
Come non rispettano alcuna classe di Vertebrati, sia selvatici sia domestici, così i tumori non rispettano alcuna classe o categoria di uomini. La grande frequenza nelle donne dei cancri dell'utero, delle mammelle e delle ovaie è quasi compensata dalla maggiore frequenza negli uomini del cancro dello stomaco e degli intestini; ma attualmente l'aumento progressivo di mortalità, almeno secondo statistiche italiane, pare maggiore per gli uomini che per le donne. Ma su questi risultati statistici influiscono molti fattori. Nessun manifesto rapporto è dimostrabile fra l'insorgere di tumori spontanei e genere d'alimentazione, qualità del suolo abitato (fa eccezione il frequentissimo cancro polmonare dei lavoratori nelle miniere dello Schneeberg in Sassonia); nessun fatto sicuro depone per la contagiosità del cancro nelle condizioni ordinarie di vita. Quasi nessuno crede alle cosiddette "case da cancro" paragonabili alle case da tubercolosi, delle quali nessuno dubita. Salvo casi specialissimi, come quello del glioma della retina che può comparire in varî membri della stessa famiglia, o di neurofibromi multipli (tumori questi ben diversi dal cancro), dubbia è in generale l'influenza dell'ereditarietà. Certa è l'influenza favorente di alcune professioni o abitudini speciali, che implicano il ripetersi di determinate irritazioni sulle medesime parti del corpo, e di malattie croniche accompagnate da particolari alterazioni cutanee e mucose (sifilide).
Così è indubitato il rapporto fra ingestione abituale di riso caldo e frequenza del cancro delle prime vie digerenti nei Giapponesi; tra l'abitudine di masticare il cosiddetto betel indiano e il carcinoma boccale in quelle popolazioni; tra l'uso di un certo braciere che gl'Indiani del Kashmir usano tenere sul ventre e l'epitelioma della corrispondente regione addominale. Ma, senza uscire dai nostri paesi, le statistiche che prendono in considerazione i rapporti fra mestieri e tumori, hanno da tempo rilevato altri fatti notevoli; così gli spazzacamini presentano un'altissima mortalità per cancro dello scroto. La fuliggine e in genere i prodotti di combustione incompleta del carbone ne sono responsabili, come è stato confermato per via sperimentale (v. sotto). Anche gli scaricatori di carbone e i fochisti possono presentare cancri cutanei, mentre sono rari nei minatori, che osservano meglio regole d'igiene.
Analoghi a questi sono i cancri dei lavoratori del catrame e della paraffina e anche dell'arsenico, le quali sostanze provocano negli operai la comparsa di verruche cutanee o di altre dermatosi, che facilmente si trasformano in tumori maligni. La grande frequenza del cancro del polmone nei lavoratori delle miniere di Schneeberg è attribuita all'azione del cobalto. Similmente nei lavoratori dell'anilina è frequente il papilloma della vescica che si trasforma in cancro. Lo stesso accade in seguito all'irritazione cronica determinata da alcuni parassiti, come la Bilharzia che è un verme che si localizza in alcuni distretti venosi viscerali. Ricordiamo altresì i notissimi cancri da radiodermiti, cioè da lesioni prodotte dai raggi X o dal radio, e quelli sulla pelle della faccia nella gente di mare esposta alle intemperie, nonché i tumori chiaramente provocati da traumatismi lievi e ripetuti (cancri dei fumatori, da denti scheggiati, ecc.). I traumatismi unici ricorrono spesso nella storia dei sarcomi.
Alla stessa categoria dei tumori da irritazioni ripetute per lungo tempo appartengono quei cancri che insorgono sulla base di processi infiammatorî o irritativi cronici, come suppurazioni croniche, ulceri varicose, ulceri croniche di vario genere (l'importanza dell'ulcera di stomaco nella produzione del cancro è oggi controversa), vecchie fistole, antiche cicatrici specialmente da scottature, metriti e mastiti croniche che favoriscono i così frequenti cancri dell'utero e della mammella, la calcolosi biliare e vescicale, le irritazioni ripetute, di qualunque genere, su nei cutanei, sulle verruche (porri), su qualunque altro tumore benigno che a lungo andare può trasformarsi in maligno; gli eczemi ribelli, psoriasi, ragadi, cisti sebacee e in genere quasi tutte le malattie croniche della pelle, specie se si accompagnano a proliferazione irregolare dell'epidermide (discheratosi).
Molte di queste forme di irritazioni croniche costituiscono la base dei cosiddetti stati precancerosi, ai quali si dà oggi tanta importanza nella lotta contro il cancro. Infatti curando e sopprimendn questi stimoli o malattie irritanti si evita il pericolo della trasformazione neoplastica. Bisogna dunque conoscerle.
Ricordiamo per ultimo che alcuni tumori insorgono sulla base di alterazioni congenite di sviluppo. Taluni sono addirittura congeniti, altri cominciano a svilupparsi più tardi nella vita extrauterina, p. es. il cancro cutaneo infantile che sorge sulla malattia cutanea costituzionale denominata xeroderma pigmentoso. Più spesso sono tumori congeniti benigni che poi si trasformano in maligni. Cause talora trascurabili, come lievi traumi, subiti anche una sola volta, possono determinare la trasformazione del tumore congenito benigno in maligno. Alcuni autori hanno dato grande importanza alle alterazioni di sviluppo come causa generale dei tumori.
Il cancro sperimentale degli animali. - Possiamo produrre cancro in animali da esperimento: a) con mezzi fisici, essenzialmente con i raggi X o con il radio. L'animale preferito è il ratto bianco; provocando ripetute infiammazioni cutanee (radiodermiti) si formano ulcerazioni seguite da cicatrici e dopo un certo tempo può nascere un tumore maligno, tale e quale come succede nell'uomo. Recentemente fu dimostrato che anche l'irritazione prodotta da: b) parassiti animali può produrre tumori. Un verme, la Spiroptera neoformans, parassita di una blatta, può giungere nello stomaco di ratti selvatici e ivi stimolare una neoformazione neoplastica caratteristica. Azioni analoghe possono esercitare altri parassiti animali. Parassiti vegetali possono produrre tumori nelle piante. c) Tra gli agenti chimici il catrame e l'arsenico, se applicati ripetutamente sulla cute di animali adatti (coniglio, topo) finiscono a lungo andare (dopo varî mesi) col produrre cancri tipicissimi. È interessante rilevare che per giungere alla metamorfosi cancerigna non è necessario mantenere l'irritazione sino all'ultimo, poiché ogni irritazione può essere cessata e la pelle apparire perfettamente normale, e tuttavia, dopo un periodo di "incubazione" o "latenza", da cellule che sembravano tornate normali può svilupparsi il cancro. Gli studî sul cancro degli animali si sono molto sviluppati, soprattutto in seguito alla constatazione della frequenza di tumori spontanei negli animali, specie nel topolino bianco, tumori strettamente paragonabili a quelli dell'uomo. Una posizione del tutto speciale tra i tumori animali occupa il cosiddetto sarcoma infettivo dei polli, che può essere riprodotto in altri polli iniettando loro semplicemente un po' di tumore seccato e polverizzato, o anche disciolto e filtrato per candela. Dinnanzi a questo comportamento veramente eccezionale si possono formulare differenti ipotesi:1. il sarcoma infettivo dei polli, nonostante molte apparenze, è sostanzialmente diverso da tutti gli altri tumori; 2. il sarcoma dei polli appartiene veramente, come indicano molti suoi caratteri clinici e anatomopatologici, al gruppo patologico dei tumori in senso stretto. Se esso è riproducibile con un filtrato amorfo e gli altri tumori no, ciò dipende da cause accessorie che ignoriamo. Se questa seconda ipotesi è vera (alcuni risultati sperimentali tenderebbero ad avvalorarla), a nessuno può sfuggire l'importanza delle constatazioni fatte in quelle particolari forme neoplastiche degli uccelli.
I risultati sperimentali ottenuti rappresentano certo una notevole acquisizione nello studio dei tumori, ma non hanno fatto progredire, nella misura che si poteva sperare, le nostre conoscenze sulla natura e sulle cause dirette e immediate della metamorfosi neoplastica.
Dall'insieme delle osservazioni cliniche e sperimentali raccolte sui fattori che sogliono precedere o accompagnare la comparsa dei neoplasmi - e che perciò debbono considerarsi come fattori causali in senso lato - o che possono in altro modo influire sul decorso dei tumori medesimi - e se ne comprende ugualmente il valore - dobbiamo concludere che per importanza emergono fra tutti le irritazioni croniche locali da un lato, e dall'altro l'influenza dell'età come espressione di condizioni generali dell'organismo. Abbiamo dunque fattori locali e fattori generali.
Qualunque sia il relativo valore, probabilmente variabile da caso a caso, di questi fattori causali, sorge naturale il desiderio di indagare sul loro modo di agire, vale a dire, in fondo, di conoscere l'origine o patogenesi dei tumori.
VIII. Patogenesi del cancro. - Vogliamo sapere, cioè, in quale modo un ripetuto stimolo locale possa trasformare una cellula normale in cellula cancerigna; o in quale altro modo l'insieme dell'organismo, sia in rapporto all'età, sia in rapporto ad altre condizioni individuali, possa influire sulla comparsa o sul decorso di un tumore; oppure, in mancanza di qualsiasi fattore dimostrabile, come si possa diversamente immaginare la genesi del tumore. Non è possibile dare a tali domande risposte fondate su fatti sicuramente dimostrati. Perciò è aperto il campo alle ipotesi, le quali costituiscono le cosiddette teorie sulla genesi dei tumori.
Alcune di queste teorie, che dànno preponderante o esclusivo valore alle cause locali, hanno cercato di spiegare come un tessuto, in seguito a una prolungata irritazione, possa subire la degenerazione neoplastica. Si sono avanzate le più diverse ipotesi, concretate, per es., nella celebre teoria irritativa di R. Virchow, modificata poi da successivi autori, secondo la quale gli stimoli locali provocano una proliferazione cellulare reattiva che, a sua volta, dà luogo alla neoformazione tumorale.
In altro ordine d'idee s'è supposto che i traumi o le irritazioni croniche provochino un dislocamento di alcune parti di tessuto, le quali, venendo a perdere i normali rapporti con gli altri tessuti, acquisterebbero nuove proprietà biologiche diventando cellule tumorali; oppure che queste medesime azioni locali favoriscano l'impianto o attecchimento di un determinato virus infettante capace di provocare la metamorfosi cancerigna del tessuto; alcuni hanno creduto di identificare questo virus dei tumori in parassiti visibili (blastomiceti, batterî, ecc.), altri pensano che il virus sia invisibile e possa essere trasmesso da insetti o da altri esseri. Queste teorie parassitarie sono sembrate di recente avvantaggiarsi grandemente per glì studî sui cosiddetti cancri delle piante, tumori provocati da un batterio (B. tumefaciens) facilmente isolabile e coltivabile e capace di riprodurre la malattia in nuove piante. Sembra però che il germe rappresenti solo una causa indiretta del tumore, cioè una delle tante forme d'irritazione locale.
Secondo le teorie che cercano dimostrare l'importanza dei fattori costituzionali o generali, quale condizione predisponente ai tumori, il fondamento di tale predisposizione sarebbe da ricercarsi nelle proprietà degli umori che sono regolate dal complesso funzionale delle ghiandole a secrezione interna. Esisterebbe dunque quasi una costituzione cancerigna che favorirebbe la comparsa dei tumori. In tali soggetti il sangue e gli elementi di alcuni organi avrebbero perduta o diminuita l'attitudine a frenare le proliferazioni cellulari (teoria dello squilibrio oncogeno enunciata da G. Fichera). Secondo questa concezione, l'importanza dei fattori locali sarebbe del tutto secondaria.
Altri autori ritengono che l'origine dei tumori debba cercarsi nella persistenza di residui cellulari embrionali, dislocati a preferenza in alcune parti dell'organismo (sedi di predilezione dei tumori), e che a un certo momento della vita, quando cioè le condizioni generali vi oppongono minore resistenza, oppure in seguito a traumi, acquisterebbero attitudini nuove prendendo a crescere come tumori (teoria dei residui embrionali, F. Durante, J. Cohnheim, H. Ribbert).
S'è anche supposto che la cellula tumorale prenda origine da uno strano processo di fecondazione tra cellule dei tessuti e leucociti, oppure tra due cellule della medesima famiglia tra loro (incesto), oppure semplicemente per lo stabilirsi di processi di moltiplicazione cellulare anormali (mitosi atipiche) con conseguente regressione nella differenziazione cellulare. Altri poi hanno invocato nuove forme di stimoli da energia radiante, ciò in accordo con la tendenza a chiamare in causa, nel campo biologico, fenomeni d'ordine fisico-chimico.
Il numero e la varietà delle teorie proposte testimonia della nostra sostanziale ignoranza sull'argomento della patogenesi dei tumori; tuttavia gli studî sul ricambio delle cellule tumorali e quelli sulla natura delle sostanze capaci di produrre sperimentalmente i tumori, ripresi con grande alacrità in questi ultimi anni, hanno portato a importanti constatazioni che rischiarano di nuova luce il problema della genesi dei tumori.
Sostanze eccitanti l'accrescimento tumorale. - Estratti di tumori esercitano un'azione stimolante sull'accrescimento tumorale, sia negli animali, cioè in vivo, sia nelle colture di cellule, cioè in vitro. Queste sostanze, sconosciute nella loro natura, e che agirebbero, secondo alcuni, a guisa di vitamine, sarebbero prodotte in vita e si libererebbero dopo morte dalle cellule tumorali stesse, le quali così creerebbero lo stimolo all'ulteriore moltiplicazione di cellule simili in modo indefinito. Agirebbero come gli autocatalizzatori dei chimici. Per spiegare l'inizio del fenomeno, cioè l'insorgenza del tumore, bisogna considerare che a questi stimoli chimici (blastici) sono particolarmente sensibili le cellule che si trovano in attiva moltiplicazione, come sono quelle embrionali. Ora è facile avere cellule in attiva moltiplicazione nei più svariati tessuti in seguito a irritazioni locali della più diversa natura. L'insorgenza iniziale della sostanza blastica sarebbe dovuta a un'influenza dello stimolo esogeno (catrame, arsenico, raggi X) sulle cellule normali in via di proliferazione. Secondo tale concezione lo stimolo oncogeno esterno (catrame, ecc.) agirebbe solo in un primo tempo, alterando il metabolismo delle cellule normali, in modo da far loro produrre le sostanze eccitanti della moltiplicazione cellulare; queste sostanze costituirebbero poi il vero stimolo neoplastico specifico, continuerebbero indefinitamente a riformarsi parallelamente al moltiplicarsi delle cellule neoplastiche stesse. Tali sostanze eccitatrici della moltiplicazione cellulare tumorale furono chiamate olastine (E. Centanni); o necro-ormoni (W. Caspari) significando così che si liberano da cellule morte, e corrispondono in certo senso ai cosiddetti trefoni di A. Carrel che sono le sostanze alimentari necessarie alla crescita delle colture dei tessuti.
Delle sostanze cancerogene il catrame è la più attiva. Questa proprietà fu scoperta nel 1915 dai giapponesi K. Yamagiwa e K. Itchikawa. Successivamente s'è veduto che la parte attiva del catrame è quella che distilla ad alte temperature, tra 250° e 500°. Questa è la ragione per cui i lavoratori della nafta (che distilla a basse temperature) non vanno soggetti a cancro professionale, mentre lo sono quelli che lavorano con olio di antracene che distilla a 320°.
I chimici inglesi E. L. Kennaway, J. Hieger e J. W. Cook e altri, tra il 1930 e il 1935 sono riusciti a identificare in quel complicatissimo miscuglio di composti del carbonio che è il catrame, alcune sostanze ad alta azione cancerogena. La più importante è un idrocarburo policiclico a 5 anelli benzenici, che sono anche riusciti a sintetizzare, e può definirsi chimicamente come 3:3-4-benzopirene. Questa sostanza applicata sulla pelle del topo induce in breve tempo la comparsa di cancri. Ora l'identificazione della precisa struttura chimica di questa sostanza a potente azione cancerogena ha rivelato un altro fatto di grande significato, cioè che una struttura molto affine a questo idrocarburo cancerogeno è posseduta da una quantità di composti normali dell'organismo, quali, p. es., la colesterina, gli acidi biliari, la vitamina D, l'ormone follicolare dell'ovaio nonché quello testicolare, e altri ancora. Per ultimo si è anche riusciti, partendo da sostanze chimiche normalmente presenti nell'organismo, a ottenere, mediante successive trasformazioni, alcuni composti nettamente cancerogeni. Oggi dunque sappiamo che nel nostro organismo esistono sostanze numerose e abbondantissime che possono essere trasformate in composti cancerogeni.
Con queste constatazioni il problema della genesi del cancro non è risoluto, ma ha fatto un sensibile passo innanzi. Tra l'altro appare, con queste ricerche, meglio comprensibile il fatto che così numerosi stimoli della più diversa natura possano tutti ugualmente condurre all'insorgenza di un cancro.
Premesse queste constatazioni, esponiamo uno dei possibili modi con cui, senza allontanarsi dai dati di osservazione, anzi fondandosi su essi, è possibile concepire la genesi dei tumori.
È un fatto accertato che le cause che producono il cancro determinano la trasformazione di un gruppo, piccolo o grande, di cellule normali dell'organismo in cellule di altro genere, in cellule cancerigne, che, una volta costituitesi, rimangono definitivamente tali attraverso innumerevoli successive generazioni senza bisogno che persista lo stimolo che le ha inizialmente prodotte. Come può verificarsi tale trasformazione? Come ha dimostrato l'osservazione, perché un epitelio normale divenga cancerigno è praticamente quasi necessario che detto epitelio sia intimamente connesso con un connettivo che gli fornisce nutrimento e sostegno. Difatti non tutti gli epitelî sono equiparabili dal punto di vista del loro trofismo. Vi sono epitelî che assumono il nutrimento quasi direttamente dagli umori circolanti (sangue, linfa), p. es. le cellule epatiche, e vi sono epitelî che sono troficamente dipendenti da un tessuto connettivo di sostegno al quale sono uniti, p. es. gli epitelî della pelle e delle mucose. Ora questi ultimi epitelî dànno facilmente cancri, gli altri raramente. In che modo questo collegamento trofico fra epitelî e connettivo può favorire l'insorgenza di un cancro? L'osservazione insegna che nei luoghi dove si prepara l'insorgenza di un cancro il connettivo di sostegno dell'epitelio presenta dei processi regressivi sui generis, che sono facilmente documentabili nella pelle, che è la sola parte dove si può studiare microscopicamente il vero inizio di un cancro. Questa regressione del connettivo trofico come può favorire l'insorgenza del cancro? Si può pensare alla diminuzione di una ipotetica resistenza che opporrebbe il connettivo a lasciarsi compenetrare dagli epitelî adiacenti (H. Ribbert), ma un'interpretazione più consona ai fatti sarebbe la seguente.
L'osservazione istologica dà chiaramente l'impressione che l'epitelio s'accresce essendo come attratto nel derma (fig.1).
Gli accrescimenti non tumorali da stimoli proliferativi della più diversa natura, che agiscono primitivamente sull'epidermide, conducono sempre a una proliferazione verso la superficie esterna, cioè nel senso fisiologico e non in direzione opposta, cioè verso il connettivo dermico, come succede nel cancro iniziale e nelle affezioni precancerose. In questo secondo caso si deve ammettere che il connettivo esercita un'attrazione sull'epitelio.
In secondo luogo, l'aspetto istologico delle lunghe, sottili e tortuose propaggini che partono dagli strati profondi dell'epidermide e s'affondano e camminano nel corion, è tale che s' intende e si spiega nel miglior modo ammettendo che esista un'attrazione nel corion stesso. Quest'interpretazione è altresì confortata dalla constatazione della sostanziale integrità di quelle parti di epidermide da cui partono le prime propaggini cancerigne; se lo stimolo tumorale avesse agito primitivamente sull'epidermide, trasformandola a tal punto da renderla capace di crescere in modo così eccezionale e abnorme, si dovrebbe pur constatare in essa un qualche segno di modificazione strutturale che giustificasse così profondo mutamento di attitudini.
Quanto alla natura dello stimolo che attrae nel derma la proliferazione epiteliale si può ammettere che per effetto delle modificazioni regressive che si svolgono nel connettivo subepiteliale - modificazioni istologicamente ben documentabili - si liberino sostanze trofiche particolarmente idonee a favorire lo sviluppo e la moltiplicazione delle cellule germinali dell'epidermide (necroormoni di Caspari, trefoni di Carrel). Questi trefoni vengono a disposizione di un epitelio che è, già in condizioni normali, in attività moltiplicativa. Così si stabilisce uno squilibrio fra i due tessuti con una prevalenza vitale dell'epitelio sul connettivo in quanto l'epitelio s'avvantaggia, per svilupparsi, di alimenti specificamente necessarî per l'accrescimento, derivantigli appunto dalla regressione del connettivo. In tal modo il ricambio epiteliale devia a poco a poco da quello normale, e le singole cellule s'abituano a utilizzare i trefoni a loro disposizione e si moltiplicano attivamente dirigendosi nel loro sviluppo verso la parte di maggiore concentrazione nutritiva, cioè verso il connettivo, nel quale conseguentemente s'affondano compenetrandolo. Questa tendenza, di elementi cellulari in via di moltiplicazione, a dirigersi verso zone di massima concentrazione nutritizia, è un fenomeno di ordine generale in biologia. In una prima fase d'adattamento alle nuove condizioni ambientali e trofiche in cui vengono a trovarsi, le cellule epiteliali, dopo essersi nutrite e moltiplicate per varie generazioni a spese dei trefoni derivanti dal derma in via di regressione, finiscono con acquistare la nuova e importante proprietà di poter provocare esse medesime processi regressivi (paragonabili a veri processi digestivi) dei connettivi sani in cui pervengono, tali da liberare i trefoni necessarî al loro accrescimento. Gran parte dei processi regressivi constatati istologicamente nei tumori vanno interpretati come espressione di quest'influenza digestiva esercitata dalle cellule neoplastiche sui-tessuti sani circostanti. Ciò è in accordo, sia con le peculiarità degli aspetti istologici di questi processi regressivi, sia con il fatto certamente singolare che in un tumore si possano vedere proliferare attivamente gli elementi specifici epiteliali, e regredire, invece, e distruggersi la parte di sostegno. In una fase ulteriore di adattamento - che può anche non verificarsi mai nell'evoluzione di un cancro - le cellule neoplastiche acquistano la nuova importante proprietà di poter vivere e accrescersi illimitatamente a spese dei liquidi organici (linfa, plasma sanguigno), ciò che non possono fare le cellule normali.
Il processo di cancerizzazione così concepito e considerato dal punto di vista della biologia generale non è sostanzialmente diverso da quello ben più comune del passaggio o adattamento di un germe dalla vita saprofitaria a quella parassitaria. L'idea che un tessuto normale di un organismo possa divenire parassita dell'organismo stesso, può sembrare paradossale; ma considerando la grande autonomia biologica di cui godono i costituenti elementari (cellule) di un organismo, per cui si possono mantenere in vita per decennî, attraverso migliaia di trapianti, cellule prelevate da un determinato organo, la cosa non deve parere assurda.
Per quello che riguarda l'insorgenza dei tumori sarcomatosi, più frequenti nell'età giovanile e di regola non provocati da irritazioni croniche, trattandosi o di forme apparentemente spontanee o precedute da stimolazioni (traumi) uniche, si può ritenere che l'essenza del processo non sia diversa da quella del cancro. Solo si deve ammettere che invece di trovarsi di fronte due tessuti adulti diversi, come epitelio e connettivo, uno dei quali provoca la trasformazione biologica dell'altro che diviene parassita, si trovino di fronte un nucleo di tessuto embrionale rimasto immerso per errore di sviluppo in un tessuto della stessa natura, ma adulto. Così si spiega perché l'epitelio di un cancro può avere - come ha per lo più - l'aspetto di un epitelio completamente evoluto, secondo il tipo normale, mentre non esiste sarcoma i cui elementi non rivestano - più o meno - il tipo embrionale. Ammessa la genesi del sarcoma da nuclei cellulari erratici di tessuto embrionale, se ne comprende più facilmente l'insorgenza precoce e l'apparente spontaneità, due caratteri importanti di questa categoria di tumori maligni.
L'interpretazione ora esposta, necessariamente anch'essa ipotetica, del meccanismo genetico dei tumori, è, sia pure indirettamente, confortata dalle constatazioni sopra riferite sulla derivazione di sostanze cancerogene da componenti normali dei tessuti.
IX. La malattia tumorale. - Le conseguenze di un tumore sono assai diverse secondo la sua natura di tumore maligno o benigno, ma non bisogna dimenticare che tumori della maggiore benignità possono, anche dopo moltissimi anni, trasformarsi in tumori maligni. I quali, lasciati a sé, conducono quasi costantemente a morte. Perché? Il modo con cui un tumore può danneggiare l'organismo è vario.
L'accrescimento illimitato, e recidivante dopo asportazione, del tessuto neoplastico, con formazione di noduli primitivi o metastatici, che possono anche essere cospicui, con infiltrazione nei più diversi tessuti, con compressioni di nervi, di vasi, di canali come i dotti escretori delle ghiandole o il tubo digerente, di zone importanti di centri nervosi, ecc., e i conseguenti disturbi funzionali e le alterazioni regressive da compressione (atrofie, necrosi, ulcerazioni) e il facile impianto di infezioni, sono altrettanti fattori che spiegano la multiforme e grave sintomatologia dei tumori.
A tutto questo si deve aggiungere che lo sviluppo del tessuto neoplastico, indipendentemente dalla sede e dalla diffusione, è di per sé dannoso all'organismo, che viene come intossicato. Si ha così dimagramento, indebolimento, anemia; tendenza alla coagulazione del sangue nei vasi; atrofie di varî organi importanti; diminuita resistenza organica alle infezioni. Questo stato di grave e progressivo deperimento si dice cachessia neoplastica o cancerigna perché quasi esclusiva dei cancri. Non s'è identificato nessun particolare veleno prodotto dalle cellule neoplastiche, ma è fuori dubbio che si tratti di una vera e propria autointossicazione da prodotti intermedî di scissione della sostanza tumorale.
La sintomatologia tumorale è naturalmente collegata alla sede e natura del tumore. È di particolare importanza conoscere le manifestazioni iniziali dei più frequenti tumori in modo da poterli sottoporre al più presto alle cure.
Manifestazioni iniziali del cancro. - Labbro. - I tumori di tale sede all'inizio non presentano spesso caratteristiche morfologiche sospette e possono essere scambiati con innocenti papillomi o verruche, o abrasioni da denti scheggiati o da pipa. Per la diagnosi precoce, c'è da dire che ogni formazione produttiva e ogni soluzione di continuo della mucosa del labbro, poco sanguinante e poco dolente, resistente ai consueti trattamenti, che insorga in uomini anziani, fumatori specie nella pipa, debbono far sorgere il dubbio di un epitelioma. Si stia specialmente in sospetto quando da anni la mucosa delle labbra e delle guance si sia fatta bianca (leucoplachia) e vi siano precedenti d'infezione sifilitica.
Gengive. - Rara sede di epitelioma, di frequente invase secondariamente da epiteliomi della guancia. Questi tumori sono riconosciuti tardivamente perché erroneamente si ritiene l'ulcerazione dovuta a decubito (compressione) da un dente rotto, ad abrasione da parte del cibo, o da traumi nel mangiare, ecc. Si aggiunga poi che la lesione sfugge all'esame nei suoi primi stadî e dà pochi disturbi (senso di pizzicore e di bruciore nel mangiare cibi piccanti o molto salati, nel fumare, nel bere bevande molto calde o molto fredde). Emorragie rare e scarse. Anche qui per la diagnosi precoce si può ripetere quello che si è detto per le labbra: tenere sempre presente la leucoplachia e la sifilide. Riguardo alle gengive, ricordare le forme sarcomatose speciali di origine periostea (cosiddette "epulidi" o sarcomi a cellule giganti) che in buon numero sono benigne, ma non infrequentemente, anche se per anni si sono accresciute lentissimamente e sono rimaste stazionarie, possono a un dato momento, senza causa apparente, evolvere verso la malignità (epulide maligna).
Lingua. - Di regola sono diagnosticati un po' più precocemente perché la lesione è molesta nel parlare e nel mangiare, essendo il più delle volte situata sui margini linguali, ciò che la fa urtare contro i denti. Tuttavia, certi individui portano per mesi e mesi il tumore prima di ricorrere al medico. La lesione iniziale sanguina poco; le molestie si esacerbano per l'assunzione di certi cibi irritanti. La gravità notevole di questo tumore dipende in gran parte dalla precocità con cui si diffonde alle ghiandole linfatiche regionali (adenopatia cervicale, sottomascellare, carotidea). L'adenopatia può essere cospicua quando l'ulcerazione linguale è tuttora piccolissima (irregolare, con bordi discretamente rilevati e duri, fondo roseo grigiastro con punticini giallastri). Per la diagnosi precoce: ogni lesione ulcerativa della lingua, poco dolente, dura, poco sanguinante, sorta anche in uomini relativamente giovani (35-40 anni), specie se fumatori e luetici (con lingua con chiazze di leucoplachia: "lingua a carta geografica") deve considerarsi sospetta. A volte i caratteri della lesione possono essere molto modificati da cure a base di caustici, così da rendere necessaria una biopsia per stabilire la diagnosi.
Fosse nasali e rinofaringe. - Questi tumori maligni, prima ritenuti rari, oggi appaiono piuttosto frequenti. Si può sospettare un tumore maligno di una fossa nasale quando nel corso di alcuni mesi compaiono e s'accentuano in essa sintomi di stenosi respiratoria, specie se s'accompagnano a fuoruscita di tanto in tanto di sangue scarso o qualche volta abbondante. Nei tumori del rinofaringe si ha con frequenza comparsa di strie di sangue nell'espettorato che si tira fuori raschiando dall'alto in basso. Se poi a questo sintema s'associa stenosi o occlusione di una o entrambe le fosse nasali, o anche diminuzione di udito, il sospetto sarà maggiore.
Faringe buccale, ipofaringe. - In questi tumori spesso s'avverte difficoltà duratura nel passaggio dei cibi solidi, a volte anche voce gutturale e dolori alla deglutizione.
Laringe. - Giungono di solito tardi al chirurgo, ma, all'opposto di quelli della lingua, rimangono per lungo tempo circoscritti alla laringe e solo negli stadî avanzati si propagano alle linfoghiandole circostanti. Nei primi tempi possono essere scambiati per tumori benigni (papillomi), o per lesioni tubercolari o sifilitiche, e curati in conseguenza. Provocano, a lungo andare, gravi disturbi funzionali (voce e respiro), e allora giungono finalmente al chirurgo, spesso, tuttavia, ancora in tempo per un'operazione radicale. Per la diagnosi precoce bisogna tenere conto degli abbassamenti di voce persistenti e difficoltà nella respirazione e rivolgersi allo specialista. I dolori sono nulli. Manca l'ingorgo ghiandolare.
Stomaco. - È il cancro più frequente, tuttavia non giunge precocemente al chirurgo perché non è per lo più diagnosticato agl'inizî. Da principio infatti provoca disturbi della digestione che non hanno nulla di speciale né caratteristico e che migliorano con qualsiasi trattamento generico (dieta leggiera, riposo, ecc.). I disturbi parlano nettamente per il cancro quando lo sviluppo ne è già molto avanzato. Per la diagnosi precoce bisogna pensare al cancro in tutti i casi in cui una persona sulla cinquantina e oltre (ma vanno diventando meno rari i cancri gastrici anche in individui dai 30 ai 40) che fino allora era stata benissimo di stomaco, comincia a soffrirne. La storia dei disturbi digestivi del cancro di stomaco, è breve (mentre è lunghissima nell'ulcera). Il sospetto può essere convalidato molto precocemente dall'esame radiologico e dalla comparsa di tracce di sangue nelle deiezioni (ricerca del sangue occulto).
Intestino tenue. - Cancro assai raro, più frequente il sarcoma stenosante solo assai tardi.
Intestino crasso. - Il cancro di questa porzione d'intestino predilige il cieco e il sigma. La sintomatologia è generica, di affezione cronica intestinale con segni più o meno netti di stenosi. La diagnosi è evidente a tumore addominale palpabile, ciò che può avvenire molto tardivamente eventualmente con occlusione intestinale, emorragie (melena). Per la diagnosi precoce s'impongono la ricerca del sangue occulto e l'esame radiologico.
Retto. - Quantunque il cancro prenda prevalentemente la porzione ampollare del retto, di accesso abbastanza facile al dito esploratore, pure queste forme non sono diagnosticate presto, anche perché il medico - e il malato - rifuggono quanto è possibile dalla esplorazione rettale. Il malato ricorre al medico accusando un po' di tenesmo (stimolo molesto alla defecazione non seguito da effetto), qualche dolore, talvolta lievi perdite di sangue rutilante nella defecazione; e il medico - specie se l'ammalato è, o è stato, sofferente di emorroidi - pensa a questa affezione come causa di tutti i disturbi. Per la diagnosi precoce è da tener presente: in individui sulla cinquantina - siano o non siano mai stati emorroidarî - che accusano dolori nella defecazione con irradiazioni al sacro, stimolo frequente ad andar di corpo con emissione di materiale scarso, mucosanguinolento, fetido, e scarse feci (false defecazioni), tenesmo rettale, è da sospettarsi senz'altro il cancro. L'accertamento ne è generalmente facile e pronto (esplorazione digitale, rettoscopia).
Mammella. - La tumefazione iniziale del tumore sfugge facilmente all'osservazione della malata. Nel sesso maschile è di più facile rilievo precoce. Le molestie sono assenti o lievissime (brevi fitte dolorose riferite talvolta all'aver portato pesi, all'aver lavorato troppo, a un colpo ricevuto, ecc.). Anche se la presenza di un nodulo di nuova formazione è avvertita, molte donne non si fanno egualmente visitare dal medico se non quando lo sviluppo diviene allarmante. Allora v'è già diffusione del processo alle linfoghiandole ascellari, dolori irradiati, talora retrazione del capezzolo e gemizio sanguigno. Per la diagnosi precoce: ogni tumefazione, ogni durezza, anche se incerta e piccola, che sorga sulla mammella, deve far nascere il sospetto di tumore. Non fidarsi, né rimandare la visita perché non si hanno disturbi o perché l'accrescimento è lento, così da sembrare quasi stazionario. Anche l'ingorgo subdolo delle ghiandole ascellari deve mettere in guardia, perché può costituire il primo segno di cancro, quando questo non è quasi avvertibile nella mammella. Il cancro può svilupparsi durante l'allattamento: allora è facilmente confuso con infiammazioni delle mammelle (mastite puerperale comune). Anche molte affezioni cutanee nella regione mammaria di apparenza banale (eczemi) possono nascondere in realtà forme speciali di cancro diffuso e superficiale (morbo di Paget).
Utero. - La propaganda per la diagnosi precoce di questo cancro data da molti anni ed è attivissima in alcuni paesi. Tutti sanno che qualsiasi perdita vaginale di liquido sanguigno, anche in tenuissima quantità, in donne che hanno superato la menopausa, deve far sospettare il cancro uterino, la cui diagnosi può essere in ogni caso facilmente accertata.
Diagnosi microscopica. - La diagnosi precoce dei tumori è molto agevolata dalla pratica, notevolmente diffusasi in questi ultimi anni, delle biopsie, ossia del prelevamento chirurgico, fatto in anestesia locale, di un frammento di tessuto nella parte sospetta. L'esame microscopico di tale frammento consente il più delle volte una diagnosi pronta e sicura della vera natura del male.
X. Cure contro il cancro. - Ancor oggi il più importante ed efficace mezzo di cura dei tumori maligni consiste nell'intervento chirurgico precoce. Il maggior numero di successi definitivi spetta ai mezzi basati sull'asportazione meccanica completa del tumore primitivo e delle sue propaggini in tutto il sistema linfoghiandolare dipendente. Anche nei casi, purtroppo numerosi, nei quali non si può ottenere la guarigione permanente, l'operazione è spesso indicata per sopprimere i focolai più molesti e dolorosi o per ovviare ai disturbi meccanici (stenosi, compressioni prodotte dallo sviluppo del tumore): sono i cosiddetti interventi palliativi. Alla cura chirurgica molti fanno seguire un'irradiazione röntgen o radium a scopo profilattico sopra tutto il territorio operato. Si discute sull'opportunità e sulle modalità di questo trattamento postchirurgico: pare preferibile un'azione blanda e prolungata. V'è anche discussione se convenga fare un'irradiazione prima dell'atto operativo. Alcuni cancri ben delimitati sulla pelle o sulle mucose degli orifici naturali (labbra, naso, retto, vulva, ecc.) invece di essere operati possono essere guariti anche con la cura röntgen (eventualmente preceduta dalla ionoforesi metallica secondo F. Ghilarducci), o col radium (con più semplicità con la radiumpuntura). Sul sistema linfoghiandolare corrispondente, anche se macroscopicamente non ingorgato, occorre l'asportazione chirurgica seguita dall'irradiazione profilattica. Alcuni piccolissimi tumori della pelle o delle cavità accessibili (bocca, naso, faringe, retto, ecc.) possono essere curati con la diatermia. Azioni distruttive locali s'ottengono con l'elettrolisi, la folgorazione, l'elettrocoagulazione termica, oltreché con sostanze chimiche ad azione caustica, come l'acido arsenioso, o certi fermenti vegetali.
Nel cancro inoperabile la röntgen-radiumterapia, associata o no alle cure palliative chirurgiche, ha la sua lotta più movimentata. Una regola fissa, un metodo tipico non sono ancora dati. Sono tuttora allo studio i varî metodi radiologici basati sulla qualità, quantità e distribuzione nel tempo delle radiazioni; e ciò in vario rapporto con la radiosensibilità del tumore e con la costituzione dell'organismo. Tutti i metodi sono da incoraggiare (v. radioterapia).
I tentativi di azioni curative generali sui tumori non hanno dato per ora risultati sicuri. La chemioterapia ha ottenuto effetti anche soddisfacenti nel campo sperimentale, ma non nell'uomo. Così le iniezioni di preparati colloidali di svariati metalli, e anche di piombo che pure è assai tossico, sono state sperimentate, ma sinora con risultati poco incoraggianti.
Come cure biologiche dei tumori sono state introdotte in terapia, specie in Italia da parte di serî ricercatori, le iniezioni, da un canto dei prodotti di autodigestione (cosiddetti autolisati) di tessuti normali, specie embrionali, o anche neoplastici, dall'altro di estratti di tumori maligni freschi (vaccini).
S'è anche cercato di stimolare coi raggi X la milza, il midollo osseo, il timo, il fegato a segregare sostanze antiblastiche, però con risultati poco soddisfacenti. È inutile elencare altre numerose forme di tentativi terapeutici, ché molte volte costituiscono oggetto di speculazione più che di studio.
Bibl.: Patologia generale dei tumori: A. Lustig, P. Rondoni, G. Galeotti, Trattato di patologia generale, Milano 1932. Struttura microscopica: O. Barbacci, I tumori, ivi 1922. Clinica: G. Vernoni e altri: Tumori maligni, ivi 1933. Cfr. inoltre la pubblicazione nel periodico Tumori di G. Fichera, ivi.