TUMORE (XXXIV, p. 474; App. II, 11, p. 1030)
Il problema dei t. dal punto di vista medico-sanitario è ulteriormente aumentato di complessità poiché sono emersi fondati motivi per sospettare che l'incidenza della malattia tumorale stia aumentando nel mondo. Per questa ragione si dedicano sforzi crescenti e fondi sempre più cospicui a questo problema e nei dieci anni scorsi si è accumulata una massa enorme di risultati, epidemiologici, clinici e sperimentali.
Qui è impossibile riferire lo stato della conoscenza attuale in ogni campo dell'oncologia; ci limiteremo a riportare soltanto alcuni tra i risultati più importanti e significativi conseguiti specialmente nel campo delle ricerche sperimentali sui t. e a descrivere gli indirizzi di studio che appaiono più promettenti per la futura soluzione di questo formidabile problema biologico e medico.
Importanza dei tumori come causa di morte.
In molti paesi, compresa l'Italia, i t. rappresentano attualmente la causa di morte più importante dopo le malattie del sistema circolatorio. Secondo i dati dell'Istituto centrale di Statistica nel 1959 in Italia i morti per tumori sono stati 72.659 ed 1 decesso circa su 6 risulta dovuto a questa forma morbosa. Queste semplici cifre, unitamente al fatto che la malattia tumorale ha, di norma, un decorso cronico, danno una misura dell'importanza odierna medica e sociale dei tumori.
Con il progredire dell'organizzazione sanitaria negli ultimi decennî i dati statistici si sono accumulati e stanno diventando sempre più attendibili, omogenei e confrontabili. Uno dei più autorevoli studî epidemiologici sull'argomento è stato compiuto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e da esso si riportano i dati contenuti nella tabella1.
I dati riportati nella tabella 1 sembrerebbero indicare che nell'ultimo cinquantennio c'è stato un aumento considerevole delle morti per t. maligni praticamente in tutti i paesi del mondo, ed un'indagine più recente relativa a 12 paesi le cui statistiche sanitarie sono notevolmente omogenee e confrontabili confermano questa impressione (tabella 2). Tuttavia, nel valutarli occorre tenere conto che in questo periodo i mezzi diagnostici e di rilevamento statistico sono molto migliorati e perfezionati e che molti decessi per neoplasie maligne un tempo venivano attribuiti ad altre cause. Inoltre, e questo è un fattore di grande importanza, la vita media dell'uomo in questo periodo si è molto allungata, specialmente nei paesi più progrediti, per l'efficace lotta contro le malattie infettive e le migliorate condizioni alimentari e di vita, e la malattia tumorale, che richiede un lungo periodo per instaurarsi, ha maggiori possibilità e probabilità di manifestarsi. I patologi e gli esperti di statistiche mediche sono divisi sul reale significato delle cifre riportate, taluni ritengono che esprimano un reale aumento della mortalità per t. maligni, cioè che oggi la malattia tumorale colpisca complessivamente più persone che nel passato; altri considerano che l'aumento sia solo apparente per le ragioni accennate sopra e per altri motivi. Gli studî su questo fondamentale aspetto epidemiologico dei t. si fanno sempre più numerosi ed è probabile che nei prossimi anni si avrà una risposta definitiva.
Rapporti tra fumo del tabacco e tumori del sistema respiratorio. - L'osservazione clinica e le indagini statistiche hanno rivelato un preoccupante aumento dei t. maligni dell'apparato respiratorio e specialmente del polmone. Il fenomeno, osservato in numerosi paesi, appare molto più accentuato negli uomini che nelle donne ed è diventato particolarmente evidente negli ultimi 30 anni.
In Italia nel 1931 decedettero per t. maligni 30.342 persone, 14.452 di sesso maschile e 15.890 di sesso femminile e le neoplasie maligne dell'apparato respiratorio riscontrate furono rispettivamente 599 e 287. Nel 1950 il numero totale di decessi per t. fu 49.607 ripartiti tra 24.774 uomini e 24.833 donne ed i casi fatali di t. del sistema respiratorio rispettivamente 3.029 e 878. Così, mentre il numero totale dei decessi per t. nel ventennio considerato aumentò di circa il 64%, quello dei t. dell'apparato respiratorio aumentò di oltre il 440%; inoltre negli uomini l'incremento fii del 505% mentre nelle donne del 307%. Nel decennio successivo il fenomeno è continuato e i morti per t. maligni della trachea, dei bronchi e dei polmoni sono stati 6030 nel 1958 e 6524 nel 1959 (dati dell'Istituto centrale di Statistica).
Allo scopo di identificare la causa o le cause di questo fatto si sono iniziate approfondite indagini, specialmente in Inghilterra ed in America, indirizzate soprattutto verso due possibili fattori esterni, l'inquinamento atmosferico ed il fumo del tabacco, con il risultato che è emersa un'associazione tra l'abitudine di fumare sigarette ed il cancro del polmone. L'incidenza della malattia appare in qualche modo proporzionale alla quantità di sigarette fumate: uno studio americano ha dimostrato che negli individui che avevano fumato l'equivalente di 20 sigarette al giorno per 55 o più anni l'incidenza del cancro polmonare era 10 volte maggiore che in quelli che avevano fumato la medesima quantità giornaliera di sigarette per 25 anni e 30 volte più alta che nei non fumatori.
Oggi la maggioranza degli studiosi che si sono occupati dell'argomento è concorde nel ritenere che il fumo sia un importante fattore causale in molti casi di t. polmonari umani. Finora è stato dimostrato che il fumo delle sigarette è molto più pericoloso di quello del sigaro e della pipa sia per la sua composizione (l'influenza della carta è trascurabile) sia perché viene di norma inspirato e penetra molto profondamente nelle vie respiratorie. Il fumo del tabacco, in cui sono stati identificati chimicamente oltre 150 costituenti, contiene non meno di 10 composti cancerogeni per gli animali di laboratorio; tuttavia rimane ancora da scoprire se qualcuno dei suoi costituenti sia l'agente cancerogeno determinante nell'uomo o se il fumo delle sigarette agisca indirettamente come causa accessoria. La parte svolta dall'inquinamento atmosferico nella genesi dei t. dell'apparato respiratorio rimane ancora da stabilire; negli studî finora compiuti è risultata trascurabile o molto piccola rispetto a quella dovuta al fumo delle sigarette.
Studi sperimentali sui tumori.
Nell'ultimo decennio gli studî sperimentali sui t. si sono ulteriormente sviluppati parallelamente a quelli delle altre discipline biologiche ed in particolare della virologia, della genetica, della biochimica, della citologia e della farmacologia. Il problema del cancro, per quanto si può giudicare, appare ancora lungi dall'essere risolto; anzi, a mano a mano che esso si precisa nei suoi varî aspetti si dimostra sempre più complesso e strettamente associato ai più intimi fenomeni della vita cellulare attualmente noti; tuttavia si sono compiuti importanti progressi, soprattutto nel campo dei tumori da virus e sul meccanismo d'azione degli agenti chimici cancerogeni. Anche le indagini di terapia chimica e biologica sono continuate con grande vigore e, anche se i risultati pratici finora ottenuti sono limitati in rapporto allo sforzo compiuto ed ai mezzi impiegati, esse hanno contribuito ad arricchire sensibilmente le nostre conoscenze di fisiologia cellulare, conoscenze indispensabili per la elaborazione di qualsiasi terapia razionale.
Tumori da virus. - Fino a dieci anni fa i t. da virus erano considerati come una curiosità biologica d'importanza limitata per il problema del cancro in quanto il loro numero era molto ristretto, le specie colpite poche e le forme tumorali assai scarse in confronto all'elevatissimo numero di t. naturali, all'ampia distribuzione di questi nel mondo animale ed alla grande varietà delle forme neoplastiche che non risparmiano praticamente alcun organo e tessuto.
Attualmente la situazione appare notevolmente cambiata ed il mutamento è avvenuto in seguito alla applicazione di nuovi, più raffinati e penetranti metodi di indagine allo studio dei t. da virus. Hanno particolarmente contribuito ai progressi in questo campo l'applicazione delle tecniche virologiche di coltivazione dei virus su cellule di tessuti animali in vitro ed in vivo, l'impiego del raffinatissimo metodo immunochimico degli anticorpi fluorescenti per localizzare gli antigeni virali nelle cellule parassitate, nonché l'esame con il microscopio elettronico di sezioni ultrasottili, di uno spessore dell'ordine di un ventimillesimo di millimetro, di tessuti tumorali, ed infine la scoperta che certi virus oncogeni attecchiscono nell'animale sano soltanto se questo viene inoculato poche ore dopo la nascita. Anche in questo campo dello studio dei t. si è dimostrato indispensabile l'impiego di linee pure di animali da esperimento (v. App. II, 11, p. 1030).
I t. spontanei di accertata origine virale attualmente noti sono non meno di 25; comprendono forme benigne e maligne di varî tessuti e colpiscono non meno di 12 specie animali. Essi sono elencati nella tabella 3. Una delle scoperte più importanti nel campo dei t. naturali è stata quella della natura virale della leucemia del topo.
La leucemia del topo. - Da molti anni taluni ricercatori sospettavano che la leucemia fosse di origine infettiva ed in Italia F. Magrassi fin dal 1950 ha inoculato materiale leucemico umano nella cavia con risultati interessanti, ma aperti a varie interpretazioni. Nel 1951 L.A. Gross negli S. U. A. è riuscito a dimostrare l'origine virale della leucemia spontanea del topo per inoculazione di filtrati acellulari preparati da organi di topi leucemici della linea AK in topi della linea pura C3H in cui praticamente non esiste la leucemia spontanea. Tuttavia la malattia si manifestava soltanto se si usavano topi appena nati iniettandoli non oltre 16 ore dalla nascita e compariva dopo1-2 anni in circa il 50% degli animali iniettati. A questa prima scoperta sono seguiti numerosi esperimenti ed osservazioni sulla natura del virus, le sue caratteristiche fisiche, la sua localizzazione nell'organismo e le sue varie proprietà biologiche ed i risultati conseguiti hanno arricchito sensibilmente le nostre conoscenze sui virus tumorigeni. Direttamente conseguente a queste indagini è la scoperta del cosiddetto virus polioma SE.
Il virus polioma SE. - Iniettando materiale leucemico murino nel topo neonato sia L.A. Gross sia Sarah E. Stewart nel 1953 osservarono la comparsa di t. maligni della parotide. Successivamente la stessa ricerca-trice e Berenice E. Eddy riuscirono ad isolare un virus da questo t. ed a coltivarlo in vitro. Esse scoprirono poi che il virus, dopo un certo numero di passaggi in vitro, aveva la capacità di produrre un'alta percentuale di t. di varia natura in diversi ceppi di topi, non solo, ma anche nel ratto, nel criceto e nel coniglio. Nel topo il virus causava cancri cutanei, della ghiandola mammaria, delle salivari, della tiroide, ecc.; sarcomi renali, ossei, sottocutanei e varî altri tipi di tumori. Nelle altre specie provocava altri tipi di neoplasie. È stato accertato che si tratta di un unico virus e non di un complesso di forme virali e che esso ha alcune proprietà in comune con i virus delle malattie infettive. Per la molteplicità delle forme neoplastiche che provoca; il virus è stato denominato polioma; le lettere SE sono le iniziali dei nomi delle due ricercatrici americane che lo hanno s tudiato.
Gli estratti acellulari dei t. indotti dal virus polioma non producono direttamente neoplasie se iniettati negli animali, mentre infettano le colture di tessuti in vitro; solo dopo il passaggio in vitro il virus produce t. negli animali. Probabilmente si tratta di un effetto di dose poiché nel t. spesso solo una cellula su cento contiene virus attivo mentre nelle colture di tessuto esso è enormemente più abbondante.
Il virus polioma SE ha forma sferica e diametro intorno a 30 mμ (fig. I); contiene prevalentemente acido deossiribonucleico (DNA); è fortemente antigene e induce negli animali infettati la formazione di anticorpi. La prole dei topi infetti è immunizzata passivamente dalla madre ed il virus in essa non attecchisce. Il virus si moltiplica nel nucleo delle cellule infette e nell'organismo può trovarsi sia allo stato attivo sia in forma latente (virus "mascherato"). La scoperta del virus polioma SE ha ampliato enormemente il campo delle indagini sui t. virali ed i virus oncogeni e al momento le ricerche sono in pieno sviluppo.
I virus tumorigeni. - Gli studî compiuti specialmente sul sarcoma di Rous del pollo, sulla leucemia del pollo e del topo e sui tumori da virus polioma SE hanno notevolmente arricchito le nostre conoscenze sui virus tumorigeni ed attualmente alcune loro proprietà sono ben definite. Conviene premettere che le opinioni sono ancora divise sul problema se i virus tumorigeni siano da considerarsi dei veri virus; secondo C.H. Adrewes e A. Lwoff lo sono, W.M. Stanley è invece del parere che occorrano ulteriori studî.
I virus oncogeni agenti delle diverse forme tumorali hanno un diametro compreso tra 30 e 260 mμ; la forma è generalmente sferica con poche eccezioni. Essi presentano di norma una struttura centrale densa di 30-40 mμ di diametro, detta nucleoide, rivestita da uno o più strati lipoproteici. In taluni virus le membrane esterne mancano o sono ridotte al minimo (fig.1). Il nucleoide è costituito di nucleoproteine a base di acido deossiribonucleico (DNA) o ribonucleico (RNA) e contiene il materiale infettivo del virus; le membrane esterne sono particolarmente importanti per le proprietà immunologiche che conferiscono al virus. I virus si localizzano nell'interno delle cellule e producono in esse diversi tipi di alterazioni variamente distribuite. Alcuni si localizzano nel nucleo (virus del papilloma di Shope, virus polioma SE); altri nel citoplasma (virus dei tumori dei polli) e persino nell'interno dei mitocondri (virus dell'eritoblastosi aviaria, E.L. Benedetti e altri), altri ancora si trovano sia nel nucleo sia nel citoplasma (virus del cancro renale della rana). Queste iriformazioni si sono ottenute in gran parte con il microscopio elettronico e sono dovute in notevole misura a W. Bernhard e collaboratori.
In qualche caso si è riusciti a coltivare i virus tumorigeni in vitro in colture di tessuti di vario tipo. Generalmente in vitro i virus oncogeni si moltiplicano molto più attivamente che non in vivo; infatti dai t. si ottengono quantità di virus assai più scarse che dalle colture di tessuti infettate. L'azione patogena è associata sia al virus "completo", sia al virus "nudo", cioè alla parte nucleoide priva delle membrane di rivestimento, sia anche agli acidi nucleici che si estraggono dalle preparazioni virali. Gli specialisti del campo ritengono che i virus oncogeni agiscano in qualche modo sul materiale nucleico delle cellule normali cui è associata la trasmissione dei caratteri ereditarî, trasformandole in cellule tumorali.
I risultati ottenuti in questi ultimi anni nel campo dei t. da virus hanno riproposto l'interrogativo se i t. maligni umani non siano, almeno in parte, di origine virale. Indagini sistematiche sono in corso, ma occorrerà molto tempo per ottenere una risposta attendibile poiché il problema è straordinariamente complesso, molto di più di quanto non sia stato dimostrare la natura parassitaria di qualsiasi malattia infettiva. Infatti il t. virale non è la semplice risultante dell'incontro tra il virus oncogeno e le cellule dell'organismo infettato, ma l'epilogo di una lunga e complicata sequenza di eventi, solo in parte noti, a cui concorrono molteplici fattori, come la costituzione ereditaria individuale, la situazione ormonica, lo stato di nutrizione dell'organismo infettato, l'influenza di agenti esterni, ecc., i quali condizionano l'attività del virus.
Tumori da agenti chimici esogeni. - Le indagini recenti hanno portato alla scoperta di numerosi nuovi composti attivi, alcuni appartenenti a categorie di composti non prima sospettate di attività oncogena. I più importanti di questi composti appaiono gli agenti alchilanti e certi composti organici del ferro.
Agenti alchilanti. - Sono un gruppo di composti tossici molto attivi, studiati ed in parte usati nel passato come aggressivi chimici e come inibenti il rigonfiamento di fibre naturali ed artificiali, noti da tempo come sostanze radiomimetiche perché producono nelle cellule delle alterazioni delle strutture nucleari simili a quelle causate dai raggi X. Taluni di essi e varî loro derivati sono impiegati per la cura di certe forme neoplastiche poiché, pur danneggiando tutte le cellule, sono molto più attivi sugli elementi tumorali che su quelli sani.
Gli agenti alchilanti, come i raggi X, determinano mutazioni e in dosi opportune producono anche t. e attualmente vengono estensivamente impiegati per lo studio delle modificazioni biochimiche dell'acido deossiribonucleico associate alla cancerogenesi. I più importanti sono l'iprite, le azotoipriti, i diepossidi, le etilenimine e certi dimetansolfonossialcani. Nello schema della fig. 2 si riportano le formule di questi composti.
Composti organici del ferro. - Nel 1959 H.C. Richmond casualmente scoprì che un complesso del ferro con un destrano di basso peso molecolare, usato come farmaco per la cura dell'anemia da carenza di ferro, se iniettato sotto la cute del ratto induceva la comparsa di sarcomi nel punto d'iniezione in un'alta percentuale di animali dopo un periodo di latenza di 9-14 mesi. Il polisaccaride destrano da solo non sembra attivo. Successivamente A. Haddow ha trovato che questo complesso può causare t. anche nel topo sia nel punto d'iniezione sia in altri organi. Inoltre i t. primitivi sono trapiantabili. Questa scoperta ha stimolato ricerche sulla possibile parte svolta dai metalli, ed in particolare dal ferro, nelle genesi dei t. dato che sono noti dei casi di t. maligni umani associati ad abnormi accumuli intracellulari di ferro, nonché varie modificazioni del metabolismo del ferro in concomitanza di alcune forme tumorali.
Meccanismo d'azione dei cancerogeni chimici. - In quest'ultimo decennio si sono fatti sforzi notevoli per scoprire il meccanismo d'azione di alcuni dei più importanti cancerogeni chimici con l'intento ultimo di descrivere il processo della cancerogenesi in termini chimici. Per fare questo occorre seguire il destino del composto nell'organismo, isolare gli eventuali prodotti di trasformazione, saggiarne l'attività tumorigena, ricostruire la sequenza delle trasformazioni chimiche che il composto subisce nei tessuti e valutarne la significatività in relazione alla cancerogenesi. In quest studi si fa largo impiego di composti contrassegnati con atomi isotopici radioattivi e stabili.
I risultati più notevoli in questo campo sono stati raggiunti dai coniugi americani J. A. ed Elizabeth C. Miller e dai loro collaboratori (1960) con il 2-acetilaminofluorene (v. App. II, 11, p. 1031). Questo composto nell'organismo del ratto viene trasformato almeno in quattro ossiderivati, tre dei quali sono inattivi mentre uno, l'N-ossi-2-acetilaminofluorene, è molto più cancerogeno del composto iniziale da cui deriva per ossidazione. Questa scoperta è significativa perché dimostra la possibilità - da molto tempo considerata, ma mai prima d'ora provata - che il vero agente cancerogeno può non essere il composto che si somministra, ma un suo derivato che si origina nell'organismo per effetto di trasformazioni metaboliche.
Gli studî sui cocancerogeni (v. App. II, 11, p. 1031) hanno dimostrato che il processo dell'induzione tumorale si compie in due stadî: il primo consiste nella trasformazione di cellule normali in cellule tumorali latenti, il secondo nella trasformazione di queste in cellule tumorali definitive. Si conoscono alcuni agenti detti iniziatori, capaci di produrre solo la prima trasformazione, altri, detti promotori o cocancerogeni, capaci di operare solo la seconda; pertanto per ottenere il t. occorre il successivo trattamento con l'iniziatore ed il promotore. Per esempio, l'uretano (iniziatore) iniettato nel topo ne sensibilizza la cute, ma i t. si sviluppano soltanto nei punti in cui successivamente s'inietta olio di crotontiglio (promotore). In generale gli agenti iniziatori hanno attività mutagena, mentre i promotori sembrano piuttosto degli agenti irritanti che stimolano indirettamerite la moltiplicazione cellulare. Gli agenti iniziatori più noti sono il 9,10-dimetil-1,2-benzantracene (in piccolissime dosi), l'uretano, il β-propiolattone, le radiazioni β, l'arsenico; gli agenti promotori comprendono, oltre l'olio di crotontiglio, il fenolo, l'n-dodecano, l'oleato di sodio, il catrame del tabacco e diversi detergenti.
Ricerche di terapia chimica dei tumori. - Solo circa il 35% dei pazienti affetti da t. maligni ha giovamento duraturo dai procedimenti terapeutici attualmente disponibili. Tra questi i più efficaci rimangono ancora il trattamento chirurgico e quello radiante, variamente integrati con la somministrazione di ormoni e di particolari farmaci in alcune determinate forme neoplastiche.
Nel campo delle ricerche di laboratorio sono in corso tentativi di terapia chimica dei t. di una vastità senza precedenti e le indagini si svolgono contemporaneamente in modo empirico e seguendo indirizzi razionali, con lo scopo, in ogni caso, di trovare un farmaco che selettivamente distrugga o porti all'eliminazione delle cellule tumorali senza ledere quelle normali. Si tratta di un problema di una difficoltà eccezionale perché l'azione selettiva presuppone delle differenze chimiche o di costituzione, o di struttura, o di funzione e finora, per quante ricerche siano state fatte, non si sono trovate diversità biochimiche qualitative sostanziali tra le cellule tumorali e quelle dei tessuti da cui derivano.
I tentativi empirici consistono nel provare ogni sorta di farmaci e di sostanze chimiche sui t. animali spontanei, provocati e da trapianto, e sono giustificati dall'entità del problema e dal fatto che alcuni importanti farmaci attivi verso varie malattie furono trovati accidentalmente. Le prove vengono condotte sistematicamente con metodi rigorosi e si sono già saggiate diverse migliaia di sostanze; finora non si è avuto alcun esito pratico positivo, tuttavia anche queste ricerche hanno contribuito ad accrescere le nostre conoscenze sulla natura dei tumori.
Sempre nel campo dei tentativi empirici, recentemente si è scoperto che alcuni antibiotici isolati da varî Streptomyces hanno una azione distruente verso le cellule cancerigne; perciò sono stati denominati antibiotici oncolitici. Tra i più studiati oggi vi sono la mitomicina C, l'attinomicina D, la streptovitacina A e la carcinofilina; essi non sono utilizzati nell'uomo perché sono molto tossici e si sta cercando di ridurne la velenosità. Tentativi di terapia dei t. vengono fatti anche con i virus infettivi in base all'osservazione che alcuni di essi hanno la capacità d'invadere e distruggere alcuni tipi di cellule tumorali coltivate in vitro. Questo studio è ancora nella fase iniziale sperimentale.
Il metodo razionale si basa sulle nozioni già acquisite di chemioterapia di altre malattie e di biologia e biochimica della cellula tumorale ed ha portato all'elaborazione di alcune categorie di farmaci antineoplastici variamente attivi, taluni dei quali vengono anche usati, con limitato successo, in certe forme tumorali umane. Due gruppi di composti vanno ricordati, a cui appartengono alcuni farmaci antitumorali usati nell'uomo e che hanno già fornito importanti informazioni biochimiche sui t.: gli antagonisti metabolici e gli agenti alchilanti.
Antagonisti metabolici o antimetaboliti antitumorali. - Sono composti artificiali elaborati in modo da assomigliare strettamente come configurazione chimica a corpi naturali e che nell'organismo vanno incontro alle medesime trasformazioni di questi ultimi, dando anche origine a composti più complessi abnormi che possono inceppare il normale funzionamento delle cellule e rallentarne o impedirne la moltiplicazione. Dato che le cellule tumorali si moltiplicano più attivamente di quelle normali, si sono elaborati antimetaboliti che interferiscono soprattutto con i processi di sintesi degli acidi nucleici e delle proteine, poiché essi sono particolarmente intensi nelle cellule neoplastiche.
Gli antagonisti metabolici più importanti sono la 8-azaguanina, la 6-mercaptopurina e la 6-tioguanina, analoghi della purina, ed il 6-azauracile ed il 5-fluorouracile, analoghi della pirimidina. Questi antimetaboliti interferiscono in vario modo e misura con il metabolismo degli acidi nucleici. L'azaserina, un analogo dell'amminoacido glutamina, isolato dal liquido di coltura di Streptomyces, ha un'azione carcinostatica verso varî t. animali e agisce bloccando delle reazioni sintetiche essenziali. L'aminopterina e l'ametopterina sono analoghi dell'acido folico ed interferiscono con alcune reazioni enzimatiche a cui partecipa questa vitamina.
Agenti alchilanti. - A questo gruppo di composti si è già accennato trattando degli agenti cancerogeni. Essi vennero studiati farmacologicamente dopo la scoperta dell'attività biologica delle azotoipriti (v. App. II, 11, p. 1033) e chiamati agenti alchilanti, sebbene per uno solo di essi si sia finora dimostrata questa proprietà in vivo. Essi interferiscono con il metabolismo degli acidi nucleici, ma il loro meccanismo d'azione dettagliato non è stato ancora chiarito. Alcuni agenti alchilanti sono abbastanza attivi in certe forme neoplastiche umane, specialmente dei tessuti emolinfopoietici, e vengono usati in associazione alla terapia radiante.
Bibl.: E. Ciaranfi, Il cancro come problema biologico, Bologna 1949; J. P. Greenstein, Biochemistry of cancer, 2ª ed., New York 1954; G. Vernoni, Trattato di patologia generale, 2 voll., Firenze 1954-1958; Causation of cancer, in British Medical Bulletin, XIV (1958); R. W. Begg (direttore), Canadian cancer Conference, 3 voll., New York 1959; F. Homburger (direttore), The physiopathology of cancer, 2ª ed., ivi 1959; H. G. Mandel, The physiological disposition of some anticancer agents, in Pharmacological Reviews, XI (1959), p. 743; G. E. W. Wolstenholme e Maeve O'Connor (direttori), Carcinogenesis. Mechanism of action, Londra 1959; F. Homburger (direttore), Progress in experimental tumor research, Basilea 1960; The possible role of viruses in cancer. Simposio in Cancer research, XX (1960), p. 669; Advances in cancer research (opera a vol. annuali dir. da J. P. Greenstein e A. Haddow), New York.
Terapia chirurgica dei tumori.
Ancora oggi il mezzo di cura che con una discreta percentuale può dare una guarigione definitiva nei casi di cancro è l'intervento chirurgico, purché naturalmente esso possa venire applicato in un periodo della malattia in cui il cancro sia limitato al territorio che sarà oggetto dell'asportazione chirurgica. Ciò significa che l'intervento chirurgico deve essere applicato all'inizio della malattia perché ben presto nel cancro si ha una diffusione regionale e a distanza, che va al di là dei limiti delle possibilità di asportazione chirurgica. Ecco perché solo una parte degli operati guarisce in modo definitivo. Se noi potessimo avere mezzi per giudicare la reale estensione dell'invasione tumorale, limiteremmo le operazioni a questi casi raggiungendo con ciò statistiche ottime, mentre quelle di oggi sono soddisfacenti solo relativamente.
Vi sono tumori che vengono facilmente all'osservazione fin dall'inizio; per questi, in rapporto alla diagnosi precoce, i risultati sono ottimi. La chirurgia, con l'ampliamento delle nostre moderne conoscenze e grazie all'impiego dei più perfezionati metodi nella cura dello shock operatorio e nell'anestesia, ha cercato costantemente di allargare sempre di più e al massimo il territorio della demolizione chirurgica; per tale ragione i risultati percentuali di guarigione sono andati lentamente aumentando. La tendenza è quindi quella di fare delle operazioni sempre più estese e sempre più larghe, ed in casi iniziali.
Si sono create per questa ragione delle dizioni particolari: col termine di interventi palliativi, si designano quelli che si limitano a risolvere le conseguenze create dallo sviluppo del t., per esempio, in un caso di cancro dello stomaco che chiude il piloro, operazione palliativa è una gastroenterostomia, cioè la creazione di una nuova via fra stomaco e intestino, così da permettere lo svuotamento dello stomaco; operazione radicale è invece quella che rimuove, nello stesso esempio, una parte dello stomaco con il t. e le stazioni linfoghiandolari perigastriche; con la dizione di resezione allargata viene designata invece un'operazione, la quale rimuove tutto lo stomaco assieme a tutte le linfoghiandole perigastriche e anche assieme a quelle delle stazioni vicine, per esempio del legamento epatoduodenale e quelle pancreatiche; viene invece definita operazione ultraradicale quella in cui oltre all'intervento precedente si asporta anche il corpo e la coda del pancreas, la milza ed eventualmente il colon trasverso.
È evidente che vi sono indicazioni ben precise per la scelta di queste tecniche. Le differenti indicazioni da un lato dipendono dalla diffusione del t. e dall'altro dalla presumibile possibilità per il paziente di sopportare tale intervento. È evidente che quanto più largo ed esteso è un intervento demolitore tanto più alta diventa la mortalità operatoria.
Questa maggiore pericolosità dell'intervento viene accettata, tenendo conto che solo per questa via si può ottenere la guarigione del malato. Naturalmente, il chirurgo si deve anche proporre di creare successivamente alla demolizione delle condizioni che rendano possibile la vita sociale dell'individuo: per es., negli interventi ultra-radicali per cancro dell'utero, o per cancro della vescica, un problema importante da risolvere è quello di provvedere ad una plastica delle vie urinarie e delle vie intestinali. Accanto quindi al problema della demolizione si presenta per il chirurgo un problema, non meno complesso, che è quello della ricostruzione. Si ricorre perciò alle cosiddette plastiche, cioè, per es., alla creazione di pseudovesciche per mezzo di anse intestinali o dell'ampolla rettale. A seconda della sede, altre volte si faranno plastiche cutanee, o si potranno usare, in alcuni determinati casi, protesi con materiale sintetico o altro.
Il problema dell'associazione di cure complementari a quelle chirurgiche, come per es. la roentgenterapia, la cobaltoterapia, la isotopoterapia, ecc., è un problema che va posto di volta in volta e variamente risolto.
Generalmente, se l'esame macroscopico e microscopico del pezzo asportato fa presumere che l'intervento sia stato radicale, cioè che non vi siano altri focolai neoplastici, le cure complementari non vengono consigliate o vengono applicate nelle stazioni linfoghiandolari vicine al territorio della exeresi chirurgica.
È piuttosto recente l'associazione all'intervento radicale d'interventi sulle ghiandole a secrezione interna. Si è visto, per es., che nell'operazione radicale per cancro della mammella, l'asportazione contemporanea delle ovaie dà, nelle donne giovani, risultati lontani più favorevoli.
Tali interventi sulle ghiandole endocrine hanno trovato una particolare applicazione nel trattamento del cancro quando vi sia una disseminazione che renda impossibile un'operazione radicale. Sotto questo punto di vista deve essere considerata la surrenalectomia bilaterale nelle pazienti che presentano metastasi da cancro della mammella e anche l'ipofisectomia. Quest'ultimo intervento, che chirurgicamente è molto impegnativo e di prognosi grave per sé stesso, può essere sostituito con la distruzione dell'ipofisi provocata dall'introduzione attraverso un ago per via nasale nella sella turcica di oro o iridio radioattivo.
Il progresso recente nella chirurgia, e specialmente nella chirurgia toracica, ha permesso di eseguire interventi radicali allargati e ultraradicali in alcuni cancri una volta non operabili; a prescindere dai t. del sistema nervoso, è da ricordare per es. il cancro del polmone e il cancro dell'esofago (v. esofago, in questa App.), t. questi che una volta non erano operabili.
L'introduzione recente degli isotopi ha permesso di creare un nuovo tipo d'intervento per i cancri che si rivelino per il loro sviluppo in uno stadio che sta al di là delle possibilità degli interventi radicali. Si tratta ancora di tentativi e di un trattamento in fase sperimentale. Esso consiste nell'apertura della cavità toracica o addominale e nell'infissione nella compagine del t. e nelle metastasi locali e regionali di minuti cilindretti metallici contenenti dei sali radioattivi capaci di eliminare raggi β, ad azione distruttiva vicina, e raggi γ ad azione distruttiva lontana, per la maggiore capacità di penetrazione dei raggi stessi. Le sostanze radioattive vengono scelte anche a seconda della loro durata così da assicurare un'erogazione massima della dose possibile.
L'associazione di tale terapia radiante agli interventi radicali è raramente possibile perché l'azione radiante blocca il processo di cicatrizzazione dei tessuti sottoposti all'azione dell'isotopo e compromette per tale ragione l'esito immediato dell'intervento. Per questa ragione, e in rapporto ai risultati statistici, la tendenza della terapia chirurgica dei t. resta quella del progressivo allargamento dell'exeresi operatoria. Nel cancro della mammella, per es., per alcune localizzazioni, all'intervento radicale si aggiunge l'asportazione della catena linfoghiandolare intratoracica che decorre lungo la mammaria interna. È in discussione l'eventuale allargamento dell'exeresi alle linfoghiandole della fossa sopraclavicolare, per cui molti ritengono che un trattamento complementare radiante possa avere un'azione più completa di quella che possa dare una dissezione operatoria della regione stessa.
In definitiva, i cardini della terapia chirurgica sono da un lato la precocità della diagnosi e quindi dell'intervento, e dall'altro l'asportazione radicale del t. e delle sue vie vicine di diffusione, in limiti compatibili con un rischio ragionevole e con la possibilità di una vita sociale non compromessa da mutilazioni troppo importanti.