TUNGUSI (Tungus)
Popolazione indigena dell'Asia settentrionale, diffusa dalla valle dello Jenissei all'Oceano Artico e al Mare di Ochotsk. Verso sud e sud-est i Tungusi arrivano alle sponde settentrionali del lago Bajkal e occupano largamente il bacino dell'Amur e il gruppo del Sichota Alin. La Manciuria infine, nella quale è avvenuta in tempi recenti un'intensa immigrazione cinese, prende tale nome dai Manciù, che sono un ramo della famiglia tungusa. Nell'immenso spazio indicato sono intervenute anche l'immigrazione iakuta e quella moderna dei Russi, che hanno tolto ai Tungusi il possesso delle vallate più fertili. Ma non sembra che il numero totale dei Tungusi sia diminuito, ed esso è singolarmente esiguo rispetto allo spazio occupato perché non supera gli 80.000 individui (senza i Manciù). L'immigrazione russa ha avuto per effetto di spingere i Tungusi verso il NE. e di esercitare una pressione sui popoli paleoasiatici fra i quali sono appunto ora stabiliti varî gruppi tungusi, fin nell'interno della Penisola di Camciatca.
Il nome è di origine jakuta: essi si chiamano Evenki, e si dividono in un certo numero di gruppi territoriali o clan con nomi particolari. In alcuni di essi ricorre il radicale orón, che significa renna e allude all'allevamento di quest'animale che è, o era, caratteristico di varî gruppi tungusi. Sono fra questi gli Oroccioni dell'alto bacino della Lena, gli Orocci dei Sichota Alin, gli Oroki di Sachalin. Altri gruppi con appellativi speciali sono nel bacino dell'Amur: Managhiri (Manegri), Soloni, Dauri, Goldi, Olcia, ecc. I Tungusi della regione dell'Ochotsk sono chiamati Lamuti dai Russi, ma tale nome (che deriva dal termine tunguso per "mare") sembra ignoto sul posto.
Le condizioni culturali sono molto varie, come è naturale data l'estensione della regione occupata e i contatti diversi avuti con varie civiltà. I contatti con la cultura russa hanno condotto a una larga adozione del cristianesimo ortodosso: l'82% di essi professa infatti tale fede, ma è certo che si tratta di un cristianesimo puramente nominale e sebbene i Tungusi amino le cerimonie e i riti della Chiesa, la loro vita nomade li rimette sempre in contatto con le misteriose forze della natura e del mondo degli spiriti, che possono essere soggiogati soltanti dai loro sciamani. Molto diffusa è anche la lingua russa, tanto che il tunguso è parlato ormai soltanto da 28.000 individui circa. Fra i Tungusi meridionali ha molti seguaci la chiesa lamaica ed è diffusa la lingua buriata.
Le forme propriamente indigene della cultura tungusa la fanno classificare fra le culture subartiche dell'Asia. Il grosso della popolazione vive infatti dell'allevamento della renna, con un certo sviluppo della caccia agli animali da pelliccia nell'inverno e della pesca e della raccolta delle bacche e di frutti selvatici della grande foresta siberiana nell'estate. La renna è animale da tiro e da carne nelle provincie settentrionali, mentre nel sud è piuttosto animale da latte, da basto e da sella. Però, diversi gruppi marginali del sud-est, dalla Transbaicalia al mare, hanno perduto le renne e si sono trasformati in gruppi vaganti di cacciatori (come gli Oroči o Udechen stanziati nella regione boscosa e montuosa posta fra l'Ussuri e la costa del Pacifico), o in tribù più o meno sedentarie specializzate nella pesca, come i Goldi e gli Olcia della bassa valle dell'Amur e gli Oroki, una frazione dei secondi emigrata nell'Isola di Sachalin. D'altra parte varî gruppi meridionali a sud dell'Amur hanno subito l'influsso della civiltà cinese, adottando in qualche luogo un po' di agricoltura o l'allevamento bovino; il gruppo dei Manciù fu il primo, forse, ad assorbire elementi di una cultura superiore, conservando tuttavia quelle attitudini belliche che dovevano nel 1644 condurli alla conquista di Pechino e alla fondazione dell'ultima dinastia imperiale cinese. I Manciù poi si possono dire in gran parte scomparsi assorbiti dalla colonizzazione cinese della Manciuria.
I gruppi che nomadizzano con le loro renne attraverso la tajga e si spingono d'estate anche nella tundra artica o sui monti delle provincie orientali, conducono un'esistenza molto primitiva e del tutto simile a quella dei gruppi ostiaco-samoiedi: sono quindi oggetti caratteristici della loro esistenza la capanna conica coperta di scorza, le piroghe di scorza, le slitte su pattini, gli sci, l'arco composto, le vesti di pelle, ecc. Le slitte tunguse sono più leggiere delle samoiede e, dovendo affrontare il suolo ineguale della zona forestale, hanno tutti i pezzi legati insieme in un sistema solido ma elastico. Dove poi le renne mancano, si fa l'allevamento del cane da tiro, come presso i Lamuti. Quivi, come del resto nei gruppi del basso Amur, compaiono molti elementi caratteristici delle culture dell'estremo nord-est: fra le armi, la lancia per la caccia all'orso, l'arpone per la pesca, e una clava leggiera; inoltre, le vesti di pelle di salmone (Goldi, Oroki; v.), una capanna emisferica molto simile a quelle dell'area forestale nord-americana (Goldi, Orocci: v.), l'anello nasale (Orocci), la raganella come strumento musicale (Oroccioni), la capanna sepolcrale (Oroki). Fra gli Orocci, forse per contatti con i Ghiliaki, si è notata anche la pratica del matrimonio collettivo: ma i Tungusi, in contrapposto alle tendenze dei più vecchi gruppi indigeni del nord, hanno mantenuto quasi dappertutto il loro rigido sistema patriarcale e la grande famiglia agnatizia.
Nei Tungusi del sud-est è palese infine l'influenza cinese nella ornamentazione delle vesti e anche in certi elementi del vestiario, come il cappello conico (di scorza d'albero) e la veste chiusa a lunghe maniche (Goldi, Orocci): l'abbigliamento dei gruppi meridionali, che hanno meno necessità di difendersi dal freddo, accentua l'elemento decorativo, ottenuto con pelli colorate e rapportate, pelliccia, perle, metallo, ecc. Nei gruppi del nord prende invece valore il forte squilibrio stagionale della temperatura e le pellicce invernali cedono, d'estate, a vesti di pelle piuttosto semplici: caratteristico dei Tungusi è il pettorale portato a complemento della veste aperta sul davanti. Gli stivali con la pelliccia interna sono sostituiti da calzature più leggiere imbottite di erba secca nella stagione calda: durante la quale, tuttavia, come anche d'inverno nelle capanne, sebbene riscaldate unicamente dal focolare, i Siberiani stanno spesso quasi nudi.
L'indole di queste genti, come in generale di tutti gl'indigeni siberiani, è bonaria e gaia. Il temperamento è calmo e flemmatico, sebbene soggetto a improvvisi squilibrî e facile preda di crisi isteriche (isterismo artico). Comune alle altre genti siberiane è la povertà delle manifestazioni artistiche: musica, pittura, scultura sono inesistenti, la stessa decorazione della persona è limitata ai pendagli metallici applicati al petto o ai fiocchi di pelliccia appesi alla coda che prolunga la veste di dietro. La danza è, per contro, assai attivamente praticata.
Ai costumi dei Tungusi nomadi, si contrappongono ormai quelli assai diversi dei gruppi che, sotto l'influenza dei Russi, sono passati all'agricoltura e occupano, in numero di circa 4000, la Transbaikalia. Altri sono divenuti allevatori di bestiame bovino. Con questi i Russi avevano formato speciali gruppi di Cosacchi per la guardia della frontiera meridionale siberiana, che nel 1750 furono organizzati in speciali reggimenti. I Cosacchi indigeni erano esenti da tasse e ricevevano un piccolo salario: dai loro ranghi fu pure formata una piccola nobiltà ereditaria locale, che nel 1897 contava 371 persone.
Bibl.: M. Czaplicka, Aboriginal Siberia, Oxford 1914; W. Arseniew, In der Wildnis Ostsibiriens, Berlino 1924; W. Jochelcon, People of Asiatic Russia, edito dall'American Museum of Natural History, New York 1928.
Lingue. - Il nome di lingue tunguse viene usato dai glottologi in due diverse accezioni; in un senso più largo indica un gruppo di lingue, appartenenti alla famiglia altaica (v. uralo-altaiche, lingue) e che comprende anche il Manciù; questo gruppo linguistico però si chiama con maggiore proprietà: Manciù-tunguso. In un senso più ristretto indica invece una serie di dialetti appartenenti a un ramo del gruppo Manciùtunguso e cioè al ramo tunguso propriamente detto. Intendendo lingue tunguse nella più larga accezione, la divisione del gruppo potrebbe essere la seguente: I. Lingue manciù: 1. Manciù propriamente detto (v. manciuria, XXII, p. 92); 2. Gold (di Amur, Usur, Sungar; dialetti Olči, Orok, Samagir, Kilen o Kili); 3. Oroč (Oroč, Kjakar, Udehe). II. Lingue tunguse:1. Tunguso propriamente detto (Tunguso, Oročon, Manegir, Birar e Solon); 2. Lamut (Lamut e Oročon presso il Mare di Ochotsk); 3. Negidal (Negidal-amgun).
Prendendo invece il concetto di "lingue tunguse" in senso stretto, intenderemo solo quelle lingue comprese nel § II della classificazione qui riportata. La divisione dei dialetti tungusi (la classificazione da noi riportata è quella di L. Ligeti in Magyar Nyelv, XXX, 1934) è approssimativa perché si tratta di dialetti in via di estinzione e per molti dei quali mancano ancora raccolte sistematiche. Una delle principali fonti di confusione è dovuta all'elasticità dei nomi etnici; i Manciù chiamano tutti i Tungusi Oročn (cioè "cacciatori di renne"; cfr. anche in tung. orón "renna"); i Tungusi stessi chiamano parecchie tribù col nome di Lamuta cioè "abitanti del mare" (dal tung. lam "mare") perché abitano o abitavano vicino al mare; gli Orocŏni (Oroccioni) poi sono spesso confusi con i Ghiliaki che etnicamente sono paleoasiatici (v. ghiliaki). I Tungusi sono poi quasi tutti bilingui o trilingui e accanto al loro dialetto parlano anche, a seconda delle regioni, jakuto, ghiliaco, ciukcio, manciù e generalmente anche il russo. Si noti poi che il Dahur, ritenuto da taluno come tunguso, dai più come manciù, è invece mongolico, con infiltrazioni manciù e tunguse (v. mongoliche, lingue, XXIII, p. 675). Per le poche caratteristiche del tunguso prendiamo per base le raccolte fatte a Nerčinsk da M.A. Castrén.
I dialetti tungusi hanno un'armonia vocalica (v. armonia, IV, pp. 527-28), ma imperfetta in quanto le vocali medie e, i possono concordare tanto con le anteriori (o palatali ä, ö) quanto con le posteriori (velari a, o, u): per es., okto "strada", dat. oktodu, acc. oktowa; äkä "padre", dat. äkädö, acc. äkäwä. Il nominativo non è contraddistinto da nessun suffisso speciale; il genitivo esce in -ñ e la collocazione del genitivo è inversa (BA), per es., mini akini oror "di mio fratello (le) renne". L'oggetto, a differenza di quanto avviene nel Manciù e in quasi tutte le lingue altaiche, può seguire il predicato, per es., bi bakûc‛an xögdyñowo orommo "io possiedo una grande renna", ma lo può anche precedere. Nella fonetica il tunguso presenta qualche tratto caratteristico conservativo di fronte alle altre lingue altaiche; così, per es., alcune varietà tunguse conserverebbero, secondo Ramstedt (Journ. Soc. Finno-Ougrienne, XXXII) e Sauvageot (Recherches sur le vocabulaire des langues ouralo-altaïques, Budapest 1925), il *p protoaltaico che in Manciù passa ad f e in mongolico e turco scompare: per es., tung. para "slitta", Manciù fara, Mong. aral "timone".
Bibl.: M. A. Castrén, Grundzüge einer tungusischen Sprachlehre nebst kurzem Wörterverzeichniss, ed. a cura di A. Schiefner, Petroburgo 1856; L. Adam, Grammaire de la langue tongouse, Parigi 1874; G. v. Maydell, Tungusische Sprachproben, ed. a cura di A. Schiefner, in Mélanges Asiatiques, VII (1874), p. 323 segg.; A. Czekanowski, Tungusisches Wörterverzeichniss, a cura di A. Schiefner, ibid., VIII (1877), p. 335 segg.; E. Büge, Über die Stellung des Tungusischen zum Mongolish-Türkischen, Halle 1887; S. Patkanow, Versuch einer Geographie und Statistik der Tungusenstämme Sibiriens, Budapest 1905 (estr. da Keleti Szemle, IV-VI); H. Winkler, Tungusisch und Finnisch-Ugrisch, Helsinki 1918-23 (Journ. Soc. Finno-Ougr., XXX-XXXIX); S. M. Shirokogoroff, Study in the Tungus languages, Shanghai 1924.