TURCHI.
Sommario: Etnologia e storia (p. 519); Le lingue turche (p. 523); La lingua 'osmānlï (p. 526); Letterature (p. 527); Arte (p. 533); Musica (p. 533).
Etnologia e storia.
I popoli che oggi chiamiamo turchi presentano grande varietà di caratteri etnici e quindi dobbiamo accontentarci di definizioni generiche, segnalando le mescolanze e le modificazioni avvenute nei tempi storici. Comunemente si ammette che i Turchi e i Mongoli un tempo, parecchi secoli a. C., siano vissuti insieme nell'Asia nord-orientale e abbiano lontane origini comuni con i Tungusi e i Manciù; nelle trasmigrazioni ad occidente, avvenute quando erano già distinti, almeno per lingua, dai popoli mongoloidi, i Turchi si sovrapposero a popolazioni diverse iraniche (Asia centrale), indo-europee e caucasiche (Russia e Asia Minore), turchizzandole quasi completamente nel corso di un millennio. Non hanno fondamento scientifico le teorie circa comunanza di razza con i popoli ugro-finnici e con i popoli dell'Asia anteriore (Sumeri e Hittiti); il tipo turco più schietto sembra conservarsi tra i nomadi della Baschiria, del Kazakistan, del Kirghizistan e del Turkmenistan, mentre appare più mista la popolazione turca del Caucaso e dell'Asia Minore.
Il nome. - Il nome Türk, che in turco significa "forza", appare per la prima volta applicato a popolazioni a nord della Cina in fonti cinesi del sec. VI d. C. e precisamente nella forma T'u-küe; fonti bizantine quasi contemporanee ci dànno la forma più esattaΤοῦρκοι, dalla quale viene il nome "Turchi". Il nome Türk si trova nelle iscrizioni turche dell'Orkhon (Mongolia), che risalgono al sec. VIII d. C., come epiteto o sinonimo di Oghuz; era una confederazione di popoli, che comprendeva varî gruppi. Però non tutti i popoli che noi siamo avvezzi a chiamare Turchi attribuivano a sé stessi in generale la denominazione Türk. Forse Türk aveva allora un senso più ristretto e non si estendeva ad esempio agli Uiguri, ai Qarluq, ai Kirghisi (Qïrghïz).
La generalizzazione del nome fu opera dei musulmani d'Occidente (Persiani ed Arabi), i quali, essendo venuti in contatto nei secoli VII-X con gruppi etnici che si chiamavano türk, estesero poi l'appellativo a tutti i popoli di lingua affine (in arabo turkī, plur. turk e atrāk). Altrettanto fecero i popoli cristiani dell'Europa orientale, i Turchi stessi molto più tardi accolsero l'uso di questa denominazione.
Storia fino al sec. XI d.C. - Popolazioni turche esistevano nell'odierna Mongolia e a nord della Cina prima del sec. VI d. C. Non è del tutto sicuro che fossero turchi i Hiung-Nu, abitanti ai confini nord-ovest della Cina e identificati con gli Unni, i quali furono tanto molesti ai Cinesi (regno dei Ts'in) che contro di loro fu eretta la Grande Muraglia nel sec. III a. C. Contemporaneanente agli Unni le fonti cinesi citano i Kien-kun, che sono identificati con i Kirghisi. I Kirghisi in origine non erano forse turchi, ma furono turchizzati nei primi secoli dell'era volgare.
Il movimento degli Unni verso occidente fu accompagnato, pare, da emigrazioni di altri popoli, probabilmente i Bulgari e i Chazari, che si stabilirono nel bacino del Volga e a nord del Caspio e parlavano, si crede, una lingua turca molto antica, che sopravvive, nello stadio attuale, nella parlata dei Ciuvasci del Volga. Il nome di Etil del Volga (Idel dei Turchi odierni di Kazań) è di origine ciuvascia. Gli Unni procedettero sempre più ad ovest e nel IV-V d. C. invasero l'Europa.
Le notizie sui primi popoli turchi si fanno più sicure a cominciare dal sec. VI d. C. Nel 407 d. C. a nord e nord-ovest della Cina (Mongolia) prese il sopravvento una popolazione turca o mongola, che i Cinesi chiamavano Zou-jan o Juan-juan e che si vuole identificare con gli Avari; questi a loro volta nel 546-552 d. C. furono travolti da Türk (T'u-küe delle fonti cinesi, come si è detto qui sopra, e definiti come discendenti dei Hiung-Nu). Questi Turchi erano comandati da un capo Bumïn, Tu-men delle fonti cinesi, e aveva il titolo di El Qaghan "signore del popolo". Morto Bumïn nel 552, gli successero tre figli; il più celebre di questi, Mu-han e lo zio Ihtämi, capo dei Turchi occidentali, estesero il dominio a ovest. Ihtämi nel 568 mandò a Bisanzio un'ambasceria e ricevette la visita di legati bizantini. Alla morte di Ihtämi (576 d. C.) la separazione tra Turchi orientali e occidentali degenerò in lotte tra le due parti. I Cinesi avevano interesse ad acuire le loro discordie e aiutarono gli uni contro gli altri fino a che il regno dei Turchi orientali andò in sfacelo ed essi v'imposero il loro dominio. Ma nel 630 d. C. i Turchi orientali erano nuovamente riuniti sotto Elterish Qaghan Qutlugh (morto nel 691 d. C.). Il fratello di questo, Qapaghan Qaghan, tenne ancora unito il regno a prezzo di violente guerre; fu ucciso nel 716 e gli successe il nipote Bilgä Qaghan, figlio di Qutlugh. Egli fu coadiuvato dal fratello minore Kül-Teghin e, allorché questi morì (nel 731), fece elevare alla memoria di lui un monumento con iscrizioni che esiste ancora nella vallata dell'Orkhon (Mongolia). Bilgä Qaghan morì nel 734 e anche a lui fu elevato un monumento l'anno seguente, con iscrizione, vicino a quello di Kül-Teghin.
L'impero dei Turchi della Mongolia del sec. VI-VIII era una confederazione di nomadi tenuta insieme dal sovrano, detto Qaghan; la compagna del sovrano era detta khatun (parola d'origine sogdiana, poi qatïn e qadïn; i capi minori erano chiamati qān (poi khan); v'era un'aristocrazia di signori (bägh). La religione loro era la sciamanistica, tuttora professata dai Turchi Jacuti nell'Asia settentrionale, con una speciale cosmogonia e pratiche magiche, come è dato arguire, con approssimazione, dalle notizie posteriori.
I Turchi obbedienti al Qaghan nominato nelle iscrizioni dell'Orkhon sono chiamati Turk, Oghuz, Toghuz-Oghuz "nove Oghuz" e tra loro sono distinte alcune suddivisioni, come i Tolos, i Tardush e, a ovest, i Türghesh (nella valle dell'Ili). Questi Turchi Oghuz occidentali erano divisi in dieci gruppi detti "le dieci frecce" (on oq); nel sec. VI essi estesero il loro dominio, come si è accennato, anche più a occidente fino allo Iassarte (Syr-darya dei Persiani, Seiḥūn degli Arabi, Yenčü-Ügüz dei Turchi) e fino alla porta di ferro (Temir qapïgh), un passo montano (ora passo di Buzghala nel Turkestan russo), che divide la pianura del Zerafšan dal territorio dell'Alto Oxus. I Turchi erano quindi a contatto con la Cina a est, il Tibet (Tuput) a sud, la Persia e l'impero di Bisanzio a ovest. Con i Persiani e i Bizantini però non esistevano contatti diretti, poiché il territorio dell'attuale Turkestan e dell'Afghānistān settentrionale era allora occupato da popolazioni iraniche (Soghd) e indo-germaniche (Tokhar).
Le iscrizioni turche del sec. VIII fanno il nome di altri popoli turchi vicini agli Oghuz: gli Uiguri, stanziati nella Mongolia settentrionale, sul fiume Selenga, i Kirghisi, più a nord sul Ienissei, i Qarluq, a nord-ovest, tra l'Altai e l'Irtyš.
Il regno dei Turchi Oghuz in Mongolia non durò molto; verso il 745 esso fu distrutto dai Turchi Uiguri. Contemporaneamente gli Oghuz occidentali (Türghesh, On oq) perdevano la loro indipendenza politica nelle lotte contro i musulmani; il loro Qaghan, Su-lu, fu ucciso nel 738 dopo aver prestato aiuto ai principi della Sogdiana attaccati dagli Arabi e dai loro ausiliari musulmani della Persia e della Transoxiana; la confederazione dei Türghesh si sciolse allora o per lo meno non ebbe più importanza nell'Asia centrale. Con la vittoria conseguita l'anno 751 ad Athlakh, oltre lo Iassarte, contro un esercito di Cinesi e di Turchi Qarluq, il generale arabo Ziyād ibn Ṣāliḥ consolidò la conquista musulmana della Transoxiana.
Intanto nel territorio della moderna Mongolia s'era costituito il regno dei Turchi Uiguri, che durò circa un secolo (745-840); esso cadde per l'invasione dei Kirghisi. Alcuni gruppi di Uiguri si mantennero indipendenti nel Kan su, ove nel 1028 furono sottomessi dai Tangut, popolazione tibetana; altri Uiguri sotto la pressione dei Kirghisi emigrarono nella parte più orientale del Turkestan cinese (verso l'860), vi fondarono la città di Beshbalïq "le cinque città" e un nuovo regno uiguro, che si conservò fino all'occupazione dei Mongoli nel sec. XIII. Questi Uiguri occupano un posto importante nella storia dei popoli turchi; essi infatti per primi turchizzarono il Turkestan orientale e svolsero un'attività culturale che non è trascurabile, anche se non originale. Gli Uiguri si convertirono al manicheismo e furono così il primo popolo turco a convertirsi (metà sec. VIII) in massa dallo sciamanesimo a una religione fondata su principî etici. Altre religioni e civiltà, oltre la manichea confluirono nel Turkestan dal sec. VIII al X. Nelle scoperte avvenute nel Turkestan cinese (od orientale), specialmente a Qočo e a Turfan furono messi in luce templi buddhisti ed edifizî con pitture, statue d' ispirazione ellenistica e manoscritti in varie lingue, compresa la turca.
Un fatto importante nella storia dei Turchi è il loro ingresso nella religione e nella cultura islamica. I Turchi cominciarono a conoscere l'Islām nel sec. VIII d. C. e la loro conversione avvenne per opera di propagandisti musulmani, per lo più mercanti; talora la conversione di alcuni loro capi affrettò quella di grandi masse. I Turchi che si trovavano nella Transoxiana furono i primi ad abbracciare l'Islām; ciò avvenne specialmente al tempo della dinastia dei Samanidi (circa 820-1000) dipendente dai califfi 'abbāsidi di Baghdād. Verso il 1000 i Turchi viventi a ovest del Syr-darja erano già islamizzati; molte loro tribù erano già passate in Persia e nel 'Irāq e fornivano al califfo le migliori truppe. Più ad ovest l'Islām faceva progressi anche fra i Chazari (Caspio) e i Bulgari (Volga). Dopo essere entrati in contatto con l'Islām e averne accolto le credenze, i Turchi occidentali diventarono anche un elemento politico e militare predominante in seno ad esso e ben presto fondarono regni e imperi musulmani. La prima dinastia turca fu quella dei Ghaznevidi. Un turco di nome Alp Teghin verso il 960 conquistò Ghazna (Afghānistān); altri suoi compagni, Bilgä Teghin e Subuk Teghin, sulla fine del sec. X estesero il loro dominio fino all'India; alla morte di Subuk Teghin suo figlio Maḥmād (999-1030) consolidò il potere della dinastia, occupò l'India settentrionale e riconobbe l'autorità del califfo di Baghdād. Questa dinastia detta dei Ghaznevidi durò fino al 1060 ed è la "prima dinastia turca musulmana"; ma il regno da essa fondato non può chiamarsi turco, poiché la popolazione era e restò iranica e indiana e solo i capi e parte dei soldati erano turchi provenienti dalla Transoxiana (Oghuz occidentali). Lo stesso deve dirsi della dinastia dei Ghōridi, che regnò nell'Afghānistān e in parte dell'India tra il 1148 e il 1215. Invece la prima dinastia turca musulmana regnante su popolo in maggioranza turco in un regno che può dirsi turco fu quella dei Qarakhan o Ilek Khan. Un capo di popolazioni turche miste di Qarluq, Yaghma, Arghu viventi nella parte più occidentale del territorio ora detto Turkestan cinese, intorno e a nord di Kashghar, verso il 950 si fece musulmano; si chiamava Satuq Bughra Khan (o Qarakhan, donde il nome della dinastia); i suoi sudditi lo imitarono. Suo figlio Bughra Khan Hārūn ibn Mūsă spinse le conquiste più ad ovest; passò il Sīrdaryī, prese ai Samanidi parte della Transoxiana e tenne per qualche tempo anche Bukhārā (992 d. C.). Il regno dei Qarakhan si divise poi in due stati minori: l'orientale, con capoluogo a Balasaghun (non bene identificata, forse sul fiume Ču nella regione ora detta Semiredie) e poi dei Qara-Qïtay nel sec. XII; l'altro, con sede a Samarcanda fu tributario dei Selgiuchidi di Persia e poi dei Qara-Qïtay e infine del Khwarizmshah (sovrano della Choresmia, il territorio poi noto con il nome del capoluogo Khiva).
Distribuzione dei Turchi nel sec. X. - La distribuzione dei Turchi nel sec. X e inizio del sec. XI ci è illustrata in un'opera in arabo esclusivamente dedicata ai Turchi, soprattutto ai loro linguaggi, intitolata Dīwān lughāt at-Turk (Raccolta delle lingue dei Turchi) cominciata a comporre a Baghdād nel 1073 d. C. per incarico del califfo di allora, al-Muqtadī bi-amr Allāh, da Maḥmūd al-Kāshgharī. I Turchi, egli dice, erano divisi in 20 tribù, ognuna delle quali si suddivideva in sottogruppi innumerevoli. Le tribù erano (ricostruendo dall'arabo la forma turca dei nomi): Pecenegh, Qïpciaq, Oghuz, Yemek, Bashqïrt, Basmïl, Qay, Yabaqu, Tatar, Qïrghïz, Cikil, Tukhshï, Yaghma, Ighraq, Ciaruq, Ciamul, Uighur, Tangut, Khitai, Tabghač. Maḥmūd al-Kāshgharī spiega poi questo elenco precisando che i Basmïl, i Qay, i Yabaqu e i Tatar avevano lingua propria (erano mongoli), pur conoscendo anche il turco; così distingue come diversi dai Turchi i Tubut (Tibetani), i Tangut (altro popolo tibetano) e precisa che Khitai era il nome del Sīn (Cina settentrionale) e Tabghač designava il Māṣīn (Cina meridionale). Nella cartina annessa è mostrata la distribuzione dei Turchi nel sec. X, secondo le indicazioni date in varî punti da Mahmūd al-Kāshgharī e da altri autori persiani ed arabi. Maḥmūd al-Kāshgharī spiega inoltre che gli Oghuz s'identificano con i Türkmen e si suddividono in 22 sottogruppi.
Per completare il quadro della distribuzione dei Turchi nel sec. X aggiungiamo che i Pecenegh, della famiglia Oghuz, già dal sec. IX erano arrivati in occidente e avevano combattuto contro Russi e Bizantini; essi restarono staccati dagli altri Oghuz e si fusero con la popolazione delle coste occidentali del Mar Nero; verso il sec. XI si ha notizia di altri Oghuz (Uz dei Bizantini, Ghuzz degli Arabi, Tork dei Russi) venuti a contatto con la Russia e con Bisanzio. Contemporaneamente nella Russia meridionale si esaurisce lo stato turco dei Chazari e fiorisce sul Volga quello dei Turchi Bulghār (capoluoghi Bulghār e Suvar) in parte islamizzati. L'elemento più importante, destinato a dare ancora impulso all'espansione dei Turchi, era quello degli Oghuz o Türkmen.
I Turchi Selgiuchidi; loro espansione a occidente. - Maḥmüd al-Kāshgharī non include nell'elenco dei sottogruppi degli Oghuz i Selgiuchidi, che pure hanno avuto una storia tanto importante; però egli nomina, nel suo Dizionario (I, p. 397) Selciük ("Selgiūq" degli Arabi) come "antenato dei sultani" di questo nome. Questo Selciük (precisamente Selciük ibn Duqāq Tīmūryalïgh) era musulmano e viveva sul corso inferiore del Sīrdaryā; i suoi discendenti si intromisero nelle guerre tra i Qarakhān e i Samanidi a favore di questi ultimi, poi emigrarono a ovest, restarono sotto l'influenza dei Ghaznevidi, ma fondarono un primo stato indipendente nel Khorāsān e si estesero sempre più ad occidente verso il Caucaso e l'Asia Minore. I Selgiuchidi furono dei fondatori d'imperi; tra i loro capi primeggiarono Alp Arslān, che nel 1071 a Malazkirt (Manzicerta), nell'Anatolia orientale, fece prigioniero l'imperatore Romano, e Malikshāh (morto nel 1092), che conquistò parte della Siria e dell'Anatolia. Va considerato che in quel tempo s'iniziavano le crociate e che la conquista di Gerusalemme da parte dei crociati (1099) coincide con l'arrivo in Asia Minore di un nuovo elemento orientale musulmano e guerriero, che ebbe gran parte nelle successive lotte per il possesso della Terrasanta. L'impero dei Selgiuchidi si divise in varî regni o sultanati: 1. del 'Irāq, staccatosi nel 1118 e durato fino al 1194; 2. del Kirmān (Persia) durato dal 1041 al 1186; 3. della Siria (1078-1117); 4. dell'Asia Minore (1071-1302). I sovrani di questo ramo dei Selgiuchidi stabilirono la sede a Conia (Iconium), che diventò, come anche Sïvas e Cesarea (Kayseri), un centro culturale e artistico oltre che politico. I Turchi selgiuchidi assorbirono la religione e la cultura islamica e accolsero l'arabo e il persiano come lingue letterarie e ufficiali; d'altra parte si sa che in molte regioni dell'Anatolia (detta Rūm, cioè "paese dei Rūm", i Bizantini) si parlava ancora greco; i Turchi erano una minoranza militare accampata nel territorio e lentamente adattantesi a nuove condizioni di vita. A poco a poco le parlate turche si propagarono nell'Anatolia.
Invasioni mongoliche. - Intanto nell'Asia orientale, da dove aveva avuto inizio il movimento dei Turchi, che in sei secoli erano giunti al Mediterraneo e al Danubio, la situazione era molto cambiata. L'odierna Mongolia, che era stata nei primi tempi storici la vera sede dei Turchi, cominciò nel sec. X ad essere abitata dai Mongoli; i Kirghisi, che nell'840 ne avevano scacciato gli Uiguri, erano stati a loro volta spodestati da popolazioni mongole, forse dai Qïtay (Khitai) del nord della Cina e spinti nelle nuove sedi dello Jenissei. Più ad ovest il Turkestan orientale e occidentale abitato da Turchi e Iranici si andava turchizzando gradatamente quando i mongoli Qïtay e Qara-Qïtay come sono detti nelle fonti musulmane, cacciati dalla Cina settentrionale, dove avevano fondato un regno sotto la dinastia nota negli annali cinesi con il nome di "Liao", avanzarono fino all'Amū-daryā, sottomettendo il regno che fu già dei Qarakhān, da Kashghar a Buchara e a Balkh. Nel 1141, a nord di Samarcanda, i Qara-Qïtay sconfissero le truppe musulmane comandate dal selgiuchide Sangiar; forse questo avvenimento trapelato in Terrasanta e in Europa fece trasferire all'Asia la leggenda del Prete Gianni (v.), che s'applicò al conquistatore tataro movente da est contro il mondo musulmano. I sovrani dei Qara-Qïtay risiedevano a Balasaghun e avevano il titolo di Gurkhan; erano e restarono pagani; tuttavia durante il loro governo, che non soppiantò totalmente le signorie locali, continuarono a propagarsi la religione e la cultura musulmana. Nel Khuwārizm (Chiva) i sovrani locali si mantennero più indipendenti degli altri; il re Moḥammed, che si attribuiva il titolo di "Sulṭan al-Islām", nel 1207 e nel 1210, profittando delle sollevazioni delle popolazioni musulmane del Turkestan, attaccò il Gurkhan dei Qara-Qïtay ed estese il suo dominio fino al Syr-darja. Questa frontiera fu poco dopo assalita da nuova potente confederazione di Mongoli guidati da Genghiz-Khān (v.).
Genghiz-Khān morì nel 1227, mentre guidava una seconda spedizione in Cina; gli successe il terzogenito Ögödäi, con sede a Pechino e autorità nominale su tutto l'impero mongolo. Il territorio conquistato da Genghiz-Khān ed esteso ancora a occidente dopo la sua morte restò diviso in quattro grandi stati scarsamente legati tra loro;1. della Cina, con residenza (orda) a Pechino, governato da Ögödäi, poi da Güyük (1246-1248), Mängü (Möngkä, 1281-1257), Qubilai (1260-1298), ecc.; 2. dell'Asia centrale con sede a Almalïq presso l'odierna Kulgia, detto poi Čaghatāi dal nome di un figlio di Genghiz; 3. dei Qïpčaq o dell'Orda d'Oro, nella Russia meridionale e nelle steppe a nord del Turkestan, con sede nella vallata dell'Irtys; 4. della Persia fondato da Hūlāgū Khān, nipote di Genghīz e conquistatore di Baghdād (1258). Sebbene il mongolo fosse la lingua ufficiale di questi sovrani, la massa dei loro guerrieri era mista di Mongoli e di Turchi e la loro presenza non arrestò sensibilmente la turchizzazione del Turkestan e di una larga zona attorno al Caspio e al Mar Nero, come preparò l'unità della Russia e della Persia a ovest e della Cina a est.
Questa, che è considerata come l'ultima grande offensiva sferrata dai nomadi contro i sedentarî, ebbe ripercussioni importanti anche nelle relazioni e negli scambî tra i popoli, mettendo in comunicazione per mare e per terra l'Oriente e l'Occidente come non era più stato da secoli; la via di terra per Astrachan, Urgenč, Otrar, la Giungaria attraversava i paesi abitati dai Turchi che ci sono descritti appunto in quel tempo da Giov. di Pian del Carpine, Guglielmo da Rubruck e Marco Polo.
Lo stato Čaghatāi, nonostante le tradizioni militari mongole, diventò uno stato turco musulmano e tale era nel sec. XIV quando il turco Temür (Tīmūr) Khān detto Temür Lenk ("Temür lo zoppo"), il Tamerlano (v.) degli Europei, vi costituì un nuovo regno, che s'estese fino al Mediterraneo (presa di Smirne nel 1402). La sua costruzione politica cedette alla sua morte (1405); i suoi discendenti governarono per poco nel Turkestan e in Persia e gli epigoni fondarono un grande impero in India.
Nel Turkestan e in Persia i Tīmūridi furono soppiantati da capi turchi e turcomanni appoggiantisi a popolazioni turche (v. turkmeni, repubblica dei, uzbeki), in Persia il nuovo ordine politico si fondò anche su differenze religiose. Dall'Altai al Mar Nero il mondo turco si chiude ormai in piccoli reami e khanati di popolazioni quasi sedentarie; restano nomadi le tribù dei Kazak, dei Baschiri, dei Kirghisi e dei Turcomanni. La via terrestre aperta da Genghiz-Khān attraverso il Turkestan è chiusa dal sec. XV in poi agli scambî tra Oriente e Occidente, che seguono ormai le coste dei mari meridionali. Solo in Occidente i Turchi ottomani producono intanto un ultimo sforzo di espansione.
I Turchi ottomani. - Rimandiamo per la storia a ottomano, impero; qui basterà ricordare che i Turchi dai quali fu costituito l'aggregato politico che noi siamo usi chiamare Impero Ottomano e che da loro era detto "stato (o sultanato) ‛osmānï (‛osmānlï salṭanati) si fanno discendere dalla tribù dei Qayïgh, un ramo dei Turchi Oghuz o Turkmeni, da non confondersi con i Qay, ch'erano mongoli. Non conosciamo quanto sia sicura questa discendenza dai Qayïgh; quello che è certo è che un nucleo di Turchi, di quelli venuti in Anatolia al tempo dei Selgiuchidi o sopraggiunti dopo dalla Transoxiana o dal Khorāsān, passando a sud del Caucaso, si trovava nel sec. XIII a far fronte ai Bizantini in una delle marche di confine (üǵ in turco, uǵbeyi il loro capo) dell'impero selgiuchide. La sua sede era nel territorio di Eskīşehir, Qarāgiaḥiṣār, Söyüd e occupava parte della Bitinia. Dal nome di ‛Osmān (‛Uthmān), che si rese di fatto indipendente dai Selgiuchidi verso il 1299, la dinastia e lo stato via via ingranditosi presero il nome di ‛Osmānlï, che significa "appartenente a‛Osmān". Va notato dunque che "ottomano" è una denominazione politica e non etnica. La famiglia di ‛Osmān con varie vicende occupò (dal 1354 in poi) gran parte della Penisola Balcanica fino al Danubio, l'Anatolia, parte del Caucaso, la Siria e l'Arabia e l'Africa settentrionale, escluso il Marocco, progredendo nelle conquiste fino al sec. XVII e perdendo poi territorî e importanza politica fino alla caduta dell'impero (v. ottomano, impero) e alla costituzione della repubblica di Turchia (29 ottobre 1923).
Per la storia degli stati e staterelli turchi dell'Asia centrale negli ultimi secoli v. turkestan. Mentre la Russia avanzava a Oriente, sottomettendo il territorio dei Turchi fino al fiume Ili e al Pamir, la dinastia mancese della Cina riprendeva l'egemonia nell'Asia centrale, sconfiggendo i Mongoli Kalmuk e conquistando il Turkestan Orientale Cinese nel sec. XVIII. Ivi i musulmani si rivoltarono nel 1828 e poi ancora nel 1863 sotto Ya‛qūb Beg; la Cina domò i ribelli nel 1871-1878, riorganizzò nel 1882 quel territorio e lo chiamò Sin-Kiang "la nuova provincia". Nel 1930-33 un nuovo tentativo di formare una repubblica musulmana indipendente fallì per discordie tra musulmani turchi e musulmani cinesi (Tūngāni); ora (1937) si hanno indizî di un forte accrescimento dell'influenza dei Sovieti nel Turkestan Cinese.
Distribuzione attuale dei Turchi. - Repubblica di Turchia. - Proclamata il 29 ottobre 1923; il censimento del 28 ottobre 1927 diede per la Turchia una popolazione di 13.648.270 abitanti, così distinti per lingua:
Per la distinzione secondo le religioni, v. turchia: Culti.
Un nuovo censimento è stato fatto il 20 ottobre 1935 (v. avanti, p. 537); il calcolo sommario comunicato ai giornali turchi del 25 ottobre 1935 dà un totale di 16.188.767 abitanti, di cui 7.974.925 uomini e 8.213.842 donne. Etnicamente la maggioranza della popolazione turca è un incrocio di razze: Greci e Anatolici abitanti il paese prima della conquista turca, Armeni, Curdi, Turchi, Persiani, Circassi, Greci delle Isole dell'Egeo e della Penisola Balcanica immigrati posteriormente, Semiti provenienti dalla Siria, schiavi di tutto il bacino del Mediterraneo e del Mar Nero. Nella massa si distinguono ancora i nuclei a sé stanti dei Curdi, nell'Anatolia orientale e meridionale, dei Greci (100.000, ridotti alla sola Istanbul dopo lo scambio delle popolazioni del 1923-1927), degli Armeni, quasi tutti a Istanbul, pochissimi in alcune provincie dell'Anatolia orientale, degli Ebrei per lo più originarî della Spagna.
La Tracia orientale dal 1934 si va ripopolando con immigrati di lingua turca provenienti dalla Bulgaria e dalla Romania.
Nell'Anatolia occidentale esistono ancora tribù seminomadi dette Yürük, che si ritiene discendano dai nomadi Turcomanni (v. anche turchia).
Grecia. - I Musulmani turcofoni della Macedonia sono passati in Turchia con lo scambio delle popolazioni; restano circa 120.000 Turchi o almeno parlanti turco, di religione musulmana, nella Tracia occidentale.
Bulgaria. - Musulmani turcofoni si trovano nei distretti di Sciumla, Razgrad, Kărdžali, Rustciuk, Varna, Burgaz, Filippopoli, Haskovo, Vidin; sono circa 600.000, hanno scuole proprie e organizzazioni religiose e sono liberi di applicare il diritto musulmano in materia di statuto personale. I Turchi della regione di Deli-Orman, come pure i Gagausi, si stabilirono nel paese prima della conquista ottomana.
A questi elementi si aggiunsero poi nuclei di Turchi provenienti dall'Anatolia e nel sec. XVIII-XIX elementi tatari migrati dalla Crimea per sfuggire al dominio russo. Attualmente è in corso un leggiero movimento di emigrazione verso la Turchia. I Pomaki della Bulgaria, benché musulmani, parlano bulgaro.
Romania. - Erano calcolati nel 1930 nella cifra di 150.000 ed erano raccolti specialmente a Costanza, Dobrici (Bazargik) e Medgidia; sono in maggioranza Tatari venuti dalla Crimea nel secolo XIX; un gran numero di loro vanno ora emigrando in Turchia.
I Gagausi della Bulgaria di NE e della Romania (Bessarabia), più di 100.000, sono cristiani-ortodossi di lingua turca; pare discendano da Turchi Oghuz stanziatisi sulla costa del Mar Nero nei secoli XI-XII; altre tradizioni li fanno venire dall'Anatolia nel sec. XIII.
Iugoslavia. - Vi sono più di un milione di musulmani, in piccola parte Turchi d'origine, in maggioranza Slavi islamizzati; l'uso della lingua turca nel 1919 si estendeva al 2 per cento dei musulmani.
Polonia. - Vi sono circa 7000 Tatari musulmani di lingua russa e polacca, detti Lipka, discendenti dai Tatari dell'Orda d'Oro stanziativisi nel sec. XV per invito di un granduca di Lituania; sono distribuiti nelle provincie di Novogrodek, Vilna, Biliiystok, Varsavia, con un muftī che risiede a Vilna. In Polonia (a Troki, Vilna, Łuck, Halim) si trovano un migliaio di Turchi di religione ebraica detti Karaim, venutivi dalla Crimea contemporaneamente ai Tatari summenzionati. Un centinaio di Turchi karaim vive in Lituania (Panevežys). Alcune decine di Turchi musulmani della Russia sono riparati in questi ultimi anni in Finlandia.
U. R. S. S. - La popolazione di 147 milioni nel 1926 comprendeva minoranze turche o turcofone nelle seguenti proporzioni: Kazaki (Qazaq), 2,70%; Uzbeki (Ozbek), 2,66%; Tatari, 1,90%; Türk (Azeri e altri Turchi del Caucaso), 1,16%, Ciuvasci, o,76%; Kirghisi (Qïrghïz), 0,52%; Baschiri (Bashqïrd), o,49%; Turkmeni, 0,46%, Montanari del Daghestan, 0,34%; Jacuti (Yaqut), o,15%. La popolazione di lingua turca era notevole nelle seguenti suddivisioni politiche (da est a ovest): 1. Repubblica dei Jacuti, 278.000 ab., di cui 85,1% Jacuti, 11,1% Russi, 2% Tunguz, ecc.; 2. Kirghizistan, 993.000 ab., di cui 66,6% Qirghiz, 11,1% Uzbeki, Russi e Ucraini 180 ecc.; 3. Kazakistan, 6.503.000 ab., di cui 57,1% Qazaq, 19,7% Russi, 13,2% Ucraini, 3,3% Uzbeki, 1,8% Karakalpaki, ecc.; 4. Uzbekistan (Özbekistān), 4.447.000 ab., di cui circa 70% Uzbeki, 8% Tagiki, 6,5% Russi e Ucraini, 3% Kazaki, 1,8% Kirghisi, ecc.; 5. Provincia autonoma dei Karakalpaki, 304.600 ab., di cui 37,7% Karakalpaki, 38,9% Kazaki, 27,3% Uzbeki, 3% Türk, ecc.; 6. Turkmenistan, 992.000 ab. di cui 70,2% Turkmeni, 11,7% Uzbeki, 9,1% Russi, ecc.; 7. Baschiristan, 2.695.o00 ab. di cui 23,7% Baschiri, 17,2% Tatari, 39,7% Ruteni, 3% Ucraini, ecc.; 8. Tataristan, 2.594.000 ab., di cui 48,3% Tatari, 43,1% Russi, 4,9% Ciuvasci, ecc.; 9. Federazione Rep. della Transcaucasia (repubbliche della Georgia, dell'Armenia e dell'Azerbaigian caucasico e territorî autonomi), 5.851.000 ab., di cui 30,6% Georgiani, 28,2% Turchi Azeri, 22% Armeni; 10. Territorio autonomo Kabardino-Balkaro, 204.000 abitanti, di cui 60% Cabardini (Circassi di NE.), 16,3% Balkari, che si chiamano Taul (da tau monte) e parlano turco; 11. Territorio autonomo dei Caraciai, 64.623 ab., di cui 83% Caraciai, nel Caucaso; 12. Territorio autonomo del Daghestan, 788.100 ab. di cui 64% Ceceni e Lesghi, 11,2% Kümük (di lingua turca), 3,3% Nogai (di lingua turca), ecc.; 13. Repubblica dei Ciuvasci, 894.500 ab. di cui 74,6% Ciuvasci, 20% Russi, 25,1% Tatari di Crimea, 10% Ucraini, 5,6% Ebrei, 6,1% Tedeschi, ecc.
Se si eccettuano i Ciuvasci e i Jacuti, quasi tutti i Turchi o parlanti turco dell'U. R. S. S. sono nominalmente di religione musulmana; mancano attualmente statistiche per religione; in Crimea, nel Caucaso e nel Turkestan v'erano Ebrei parlanti turco.
Turkestan cinese e Cina. - Vi sono circa due milioni di parlanti turco.
Minoranze varie. - Minoranze turche vivono nell'Azerbaigian persiano e nell'Afghānistān settentrionale (provincia Türkistān, capoluogo Mazār-i Sherīf); qualche migliaio di Turchi del Volga e del Turkestan sono emigrati in Manciuria e nell'India; 7000 Turchi vivono ancora a Rodi e forse 50.000 a Cipro. I Turchi formano la maggioranza (relativa) della popolazione del livā di Alessandretta in Siria e si trovano in scarso numero anche nella provincia ‛irāqena di Mossul.
In totale i Turchi d'Asia e d'Europa raggiungono la cifra di 40 milioni circa.
Sguardo alla storia dei Turchi in relazione con la storia generale. - Esaminando la storia dei Turchi nelle fasi principali e in relazione con la storia generale, vediamo che essi dal sec. VI d. C. fino al sec. XVIII non hanno cessato di espandersi a occidente; il loro sforzo fu contenuto in un primo tempo da Persiani e Bizantini (sec. VI-XI), fu sconvolto e in un certo senso poi favorito da due successive invasioni mongoliche (sec. XIII-XV) e infine arrestato da Slavi, Tedeschi e Latini nel Mediterraneo e nella regione danubiana. Le vie d'invasione da oriente furono l'attuale Turkestan fino al Caspio e di lì una strada a nord per le steppe della Russia e una a sud per l'Afghānistān, il Khorāsān e la Persia. Venuti a contatto con diverse civiltà dalla cinese all'iranica, all'indiana, alla cristiana e all'arabo-persiana musulmana, ne subirono via via gli influssi; assorbirono la civiltà musulmana tra il sec. X e il sec. XV; ancor oggi sono in parte sotto l'impero di questa civiltà, ma non è dato conoscere quello che potrà nascere da un lungo esperimento di governo sovietico per i Turchi dell'U. R. S. S., mentre già si avverte nella repubblica di Turchia un deciso avviamento alla civiltà europea in contrasto con le tradizioni orientali e con la religione musulmana, che non è più religione di stato. V'è da segnalare anche una progressiva riduzione dell'area occupata dai Turchi in Europa in seguito allo scambio delle popolazioni e con l'emigrazione in Turchia, che è tuttora in corso, di musulmani parlanti turco della Bulgaria, della Romania e della Iugoslavia.
I Turchi hanno fondato stati e imperi e hanno assimilato, almeno linguisticamente, parecchi popoli. La grande massa dei Kirghisi, in origine parlante mongolo, fu turchizzata nei primi secoli della nostra era; i popoli samoiedi dell'Asia settentrionale furono lentamente sottoposti al turchizzamento; i Karagas sarebbero Samoiedi turchizzati in epoca moderna; i Kamassin della Siberia orientale sono stati turchizzati quasi completamente nell'età contemporanea; nel Turkestan pochissime frazioni dell'elemento iranico hanno resistito all'assimilazione linguistica: i Tagiki, che formano la maggioranza della repubblica sovietica del Tagikistan. Invece i Sarti sono Iranici turchizzati; i Turchi dell'Anatolia risultano dall'assimilazione ancora oggi in corso dei Turchi con gli elementi greci, armeni, curdi e semitici.
Oltre all'espansione dei Turchi in masse è da tener presente l'azione culturale e politica che esercitarono nel mondo musulmano nuclei turchi emigrati o trasportati anche lontano dalle loro sedi. Schiavi turchi della Transoxiana apparvero presto alla corte dei califfi di Baghdād; un liberto turco nel 754 d. C. aveva una posizione importante presso il califfo al-Manṣūr; schiavi (mamlūk) turchi formarono nel sec. IX la guardia del corpo dei califfi. Di origine turca, oltre i Gaznevidi e i Ghōridi dell'Afghānistān, furono le dinastie dei Tulunidi e degli Ikhshidi in Egitto; molti Turchi (Ghuzz da Oghuz) erano al seguito di Saladino nelle imprese in Egitto e contro i crociati in Palestina; uno schiavo affrancato di Saladino, di nome Qarāqūsh, nel sec. XII conquistò il Fezzān e Tripoli d'Africa e tenne agitata per 30 anni la regione tripolino-tunisina; in maggioranza turchi e circassi erano gli schiavi che nel sec. XIII-XIV erano importati dal Mar Nero in Egitto, dove erano arruolati al servizio della corte e nella milizia e diedero origine alla signoria dei mamelucchi durata fino al 1517. Nell'Africa settentrionale da Tripoli ad Algeri i Turchi ebbero predominio politico fino al sec. XIX e lo mantennero a Tripoli fino al 1911. Il peso dei Turchi nella storia medievale e modema dell'Oriente vicino e medio è stato considerevole tanto sotto l'aspetto militare e politico che sotto quello religioso e culturale. Essi non hanno dato origine ad alcun sistema religioso, hanno assimilato via via civiltà diverse dalla cinese all'arabo-persiana musulmana; ma in quest'ultima si può affermare che i Turchi sono entrati come elemento fattivo; di origine turca furono molti letterati e scienziati (il filosofo al-Fārābī nel sec. X, l'astronomo Ulūgh Beg nel sec. XV, l'enciclopedico Ḥāǵǵī Khalīfah detto Kātib Čelebī nel sec. XVII), che scrissero in arabo o in persiano.
Nell'ambito dell'Islām i sovrani dei diversi stati turchi furono campioni dell'ortodossia sunnita contro i pericoli esterni e le sette interne (sciismo); tuttavia nella massa della popolazione dominata si diffusero confraternite mistiche spesso eretiche (Bektāshi) d'ispirazione musulmana sciita o cristiana. L'importanza dei Turchi a un dato tempo, che si può fissare verso il sec. X, fu tale che si attriburono a Maometto ḥadīth di questo genere: "Dio grande e potente dice: io ho una milizia che ho chiamato Turk e ho messo d abitare in Oriente; quando mi adiro contro qualche popolo, gl'impongo il dominio di quelli", e: "imparate la lingua dei Turchi, giacché essi avranno un lungo regno".
Dal sec. XV al sec. XVIII in occidente il vocabolo "turco" fu quasi sinonimo di "musulmano".
Bibl.: J. J. Hess, Die Bedeutung des Namens der Türken, in Der Islam, IX (1918), pp. 99-100; Maḥmūd al-Kashgharī, Dīwan Lughat at-Turk, ediz. Costantinopoli 1917-19 in 3 voll; ne è stato ricavato un dizionario da C. Brockelmann con il titolo Mitteltürkischer Wortschatz nach Maḥmūd al-Kašgarīs Dīwan Lughat at-Turk, Budapest-Lipsia 1928; A. Gibb, The Arab Conquest in Central Asia, Londra 1923; W. Radloff, Aus Sibirien, Lose Blätter aus dem Tagebuch eines reisenden Linguisten, Lipsia 1884; J. Deguignes, Histoire des Huns, des Turcs, des Mongols ecc., Parigi 1758-65; S. Julien, Documents historiques sur les Tou-Kioue (Turcs) extraits du "Pien-i tien" et traduits du chinois, in Journal Asiatique, 1864-65; H. Vámbéry, Das Türkenvolk, Lipsia 1885; L. Cahun, Introduction à l'histoire de l'Asie, Parigi 1896; E. Chavannes, Documents sur les Tou-Kiue (Turcs) occidentaux, Pietroburgo 1903; id., Le Nestorianisme et l'inscription de Kara-Balgassoun, in Journ. Asiatique, s. 9a, IX (1897), pp. 43-85; G. Oberhummer, Die Türken und das osmanische Reich, Lipsia 1917; A. von Le Coq, Auf Hellas Spuren in Ostturkistan, ivi 1926; id., Von Land und Leute in Ost-Turkestan, ivi 1928; id., Türkische Manichäica aus Chotscho, in Abhand. Kön. preuss. Akad. Wiss., Berlino 1909; W. Bang e A. von Gabain, Türkische Turfan Texte, in Sitzungsber. Kön. preuss. Akad. Wiss., ivi 1929-31; W. Radlov, Uigurische Sprachdenkmäler, Pietroburgo 1904 e 1928; Cl. Huart, Le conte budhique des deux frères en langue turque et en caractères ouigoures, in Journ. Asiat., 1914; A. Stein, Innermost Asia, Londra 1928; W. Thomsen, Inscriptions de l'Orkhon déchiffrées, Helsingfors 1896; id., Alttürkische Inschriften aus der Mongolei, in Zeit. Morg. gesellschaft, LXXVIII (1924) (ultima revisione della traduzione e considerazioni storiche); W. Radlov, Die alttürkische Inschriften der Mongolei, Paietroburgo 1895-97; J. Marquart, Die Chronologie der alttürkischen Inschriften, Lipsia 1898; id., Über das Volkstum und Sprache der Cumanen, Berlino 1914; E. Blochet, Introduction à l'histoire des Mongols de Fadl Allah Rashid ed-Din, Leida 1910; id., Le nom des Turks, in Revue de l'Orient Chrétien, XXVI (1927-28), pp. 190-207; W. Barthold, Turkestan down to the Mongol invasion,Londra 1928 (trad. inglese dell'opera in russo pubblicata nel 1900, ma senza l'appendice di testi orientali); id., Der heutige Stand und die nächsten Aufgaben der geschichtlichen Erforschung der Türkvölker, in Zeit. Morg. Gesellschaft, LXXXIII (1929), trad. dal russo a cura di P. Wittek; id., 12 Vorlesungen über die Geschichte der Türken, Mittelasiens, Berlino 1935 (trad. tedesca di Th. Menzel del testo pubblicato in turco a Istanbul nel 1927); F. Grenard, Gengis-Khan, Parigi 1935; P. Pelliot, La Haute Asie, ivi (1931); P. Wittek, Türkentum und Islam, in Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik, LVIII (1928), pp. 489-523; J. Németh, Die Inschriften des Schatzes von Nagy-Szent Miklós, Budapest-Lipsia 1932 (deciframento di iscrizioni pecenegh in caratteri runici); M. Hoppe, I Gagauzi, popolazione turco-cristiana della Bulgaria, in Oriente moderno, marzo 1934; T. Kowalski, Les Turks et la langue turque de la Bulgarie du Nord-Est, Cracovia 1933; Reshīd Ṣafwet (Resit Saffet), Türklük ve Türçülük Izleri, Angora 1930; Tarih, opera in 4 volumi di storia turca curata dalla Soc. per lo studio della storia turca, Istanbul 1932; J. Germanus, The Role of the Turks in Islam, in Islamic Culture, VII (1933), pp. 519-532; VIII (1934), pp. 1-14; M. Fuad Köprülü, Les origines de l'empire Ottoman, Parigi 1935.
V. anche bibl. alle voci: cumani; ottomano; impero; sarti; tatari; tūran, turkestan; uighuri; uzbeki.
Le lingue turche.
Generalmente quando si parla dí "turco" noi intendiamo il turco ‛osmànlï che è solo una varietà del gruppo meridionale della grande famiglia delle lingue turche, lingua che ha avuto però una speciale importanza letteraria e soprattutto politica per essere stata la lingua ufficiale dell'impero turco. Ma quando, invece, in linguistica, parliamo di lingue turche, intendiamo una famiglia di lingue genealogicamente affini, discendenti tutte da un'unica lingua, non esistente in nessun documento, ma sicuramente postulata: il prototurco. Questa famiglia viene chiamata anche, da alcuni studiosi, turco-tatara. La somiglianza fra le singole lingue turche è molto grande, talché non è stato difficile vedere la loro parentela genealogica. A causa peraltro della stessa grande somiglianza, specie nella struttura morfologica, e della scarsa conoscenza che abbiamo di molti dialetti, non possediamo ancora una perfetta classificazione delle lingue turche. La migliore classificazione proposta finora, e seguita anche per le singole voci riguardanti lingue turche nell'Enciclopedia Italiana, è quella di Giulio Németh, che divide le lingue turche in due sezioni secondo il trattamento di *j- iniziale prototurco. Avremmo così:
1. Lingue turche s- (e cioè quelle in cui il prototurco *j diviene s-); appartengono a questo gruppo due sole lingue moderne: il ciuvasso (v. ciuvasci, X, p. 509) e il jakuto (v. jakuti, XVIII, p. 648) e fra le lingue antiche il bulgaro-turco (v. bulgaria, VIII, p. 95), p. es., jak. sās "primavera", ciuv. śur, ma osm (e altri dialetti j) jaz;
2. Lingue turche j- (quelle in cui il prototurco *j- rimane inalterato). Questo gruppo contiene tutte le altre lingue turche.
Questa bipartizione è migliore della seguente di A. Samoilovič:
I. Lingue turche r (quelle in cui il prototurco *-z- diviene r); apparterrebbe a questo gruppo fra le lingue moderne il solo ciuvasso e fra le lingue antiche estinte il bulgaro-turco: per es., ciuv. têxêr "9", ma osm. doquz, ciuv. śara "anello" 〈 ant. bulg. turco *žürüy > ungherese gyürű), osm. jüzük. Parallelo al fenomeno del rotacismo bulgaro turco e ciuvasso è il lambdacismo per cui il prototurco*-š- dà, nel bulgaroturco e nel ciuvasso, l, mentre rimane in tutte le altre lingue turche, per es. ciuv. xêl "inverno", ma osm. qyš, bulg. turco *dül ÷ ungh. dél "sud", ma ciagh. tüš.
2. Lingue turche z che comprende tutte le altre, e anche il jakuto. Le lingue turche z, secondo il Samoilovičsi dividono in due sottogruppi: a) sottogruppo d, ḏ (p. es. adaq "piede") e b) sottogruppo j (p. es. ajaq). Il primo sottogruppo si divide poi in tre sezioni: α) sezione t (jacuto ataq), β) sezione d (sojonico, karagassico, ecc., adaq) e γ) sezione z (koibalico, kamassino, ecc. azaq). Il secondo sottogruppo, che è il più vasto e che comprende anche l'‛osmānlï, si dividerebbe in due sezioni: α) sezione qalγan e β) sezione qalan, dalla forma del participio qal(γ)an "restato". Alla sezione β apparterrebbe la lingua degli Oghuzi dell'XI sec. Ciascuna di queste sezioni si suddividerebbe poi in sottosezioni.
La classificazione del Samoilovič ha il difetto di separare il ciuvasso dal jakuto, lingue non certamente corrotte, come credeva il Radloff, ma di tipo arcaico e che hanno in comune non solo il caratteristico passaggio di *j- a s- (jakuto) o ś- (ciuvasso), ma anche molti altri importanti punti, come la riduzione a > ï (v. più oltre).
Sarà quindi preferibile seguire la bipartizione del Németh; bisognerà però addivenire a una classificazione delle numerose lingue turche j (per le lingue turche s ci basti rimandare alle voci ciuvasci, X, p. 509; jakuti, XVIII, p. 648).
Il Radloff (v. XXXVIII, 731-32) distingue, specialmente su basi geografiche, quattro grandi gruppi:
I. Dialetti orientali. - Le caratteristiche di questi dialetti sarebbero: una eccellente conservazione dell'armonia vocalica; la presenza di sole consonanti sorde in principio e in fine di parola e di sole consonanti sonore (ma questo secondo caso si limita di norma alle esplosive) in mezzo di parola. Il gruppo di dialetti orientali si divide in parecchi sottogruppi e varietà di cui nomineremo solo le principali: 1. il karagassico (qaraγas; v. karagassi, XX, p. 117) che è la varietà più orientale dei dialetti turchi della Siberia meridionale; il nome etnico significa "Kaśnero" e pare che i Karagassi siano il prodotto di una fusione dei Kacinzi con delle popolazioni samoiede. Lo Schiefner mise in evidenza alcuni rapporti fra karagassico e jakuto, ma rimane pur sempre una differenza considerevole nel trattamento di *j che qui è tj (con un elemento dentale fievolissimo), per es., tjête "7", jak. sättä, osm. jedi. 2. e 3. il koibalico (qoibal) e il kacinzio, assai vicini al karagassico (cfr. *j > tj, per es., tjas "primavera", cfr. jak. sās, ciuv. (śur, ma osm. jaz; 4. il sojonico o sojoto conosciuto anche col nome di urianχai o tannu-tuwin; 5. i dialetti küärük o čolym (čulymküerik) e infine 6. numerosi dialetti tatari; questi si dividono in: a) dialetti tatari dell'Altai propriamente detto (altaico, teleuto); b) dialetti dell'Altai settentrionale (dialetti lebed e šor); c) dialetti dei Tatari di Abakan (saγai e qysyl; cui il Radloff riunisce il koibalico e kacinzio, da noi avvicinati al karagassico per il trattamento di *j-) e dialetto baraba. Vanno forse qui anche i dialetti caraimici della Polonia, Lituania e Crimea. Probabilmente apparteneva a questo gruppo anche l'estinto uigurico che fu per molto tempo una lingua letteraria e per cui v. la voce uiehuri.
II. Dialetti occidentali. - In questi troviamo a formula iniziale generalmente le sorde, ma eccezionalmente anche le sonore b- e d-. Si notano poi le depalatalizzazioni š > s e č (tš) > ts. In questo gruppo possiamo distinguere; 1. i dialetti kirghisi, sulla cui divisione e sulle cui caratteristiche si è già scritto s. v. kirghisi: Lingua, XX, p. 211; 2. i dialetti dell'Irtyš con alcune varietà (turaly, kürdak, dialetto di Tobolsk e di Tümän); 3. i dialetti baškiri per cui v. baschiri, VI, p. 274; 4. i dialetti del Volga. Sotto questo nome si comprendono tutti i dialetti turchi parlati nella parte orientale della Russia; il loro carattere è molto affine a quello dei dialetti baskiri. Il Radloff distingue i dialetti di Mišä, della Kama, di Simbirsk, di Kazan′, di Kassimow e infine il dialetto Belebei.
III. Dialetti dell'Asia Centrale. - Questi dialetti hanno una grande ricchezza di suoni vocalici e un'armonia vocalica governata da leggi alquanto diverse da quelle di altri dialetti. L'area dove sono parlati è nota con la denominazione ampia di Turkestan ed è occupata dai Turchi da più di un millennio. I dialetti della regione più orientale, detta Turkestan Orientale o Cinese, sono stati studiati negli ultimi trent'anni specialmente dagli svedesi Raquette e Janning. Quest'ultimo li ha classificati in tre gruppi principali: dialetti meridionali (Kashgar, Jarkend, Khotan), settentrionali o dialetti taranči (Qulgia e Giarkend), nord-orientali (Turfan, Urumči, Qomul, Hami).
I dialetti più noti della regione occidentale, detta anche Turkestan russo, sono: l'özbeg (v. uzbeki), parlato da occidente di Kashgar fino a Khiva, con molte varietà (andigiani il più orientale, ai confini con il Turkestan Cinese) su una vasta zona che comprende anche il nord dell'Afghānistān; il sarto parlato dai Sarti (Iranici turchizzati, v.). In questo territorio nei secoli XIV-XVI si formò la lingua impropriamente detta ciagatai (v. oltre, p. 528).
IV. Dialetti meridionali. - Questo gruppo è importante specialmente perché vi appartiene l'‛osmānlï (v. appresso). Fra i varî dialetti ricorderemo: 1. il turcomanno o turkmeno, parlato nella Repubblica Sovietica Socialista dei Turkmeni; 2. i dialetti turchi parlati nel Caucaso (Cumucchi [v. XII, p. 118], Karačai, Balcari, ecc.); 3. il turco azeri o azerbaiǧani, parlato nell'Azerbaigian; v. V, 292; 4. i dialetti dell'Anatolia; 5. i dialetti della Crimea; 6. i dialetti dei Gagausi di Bessarabia; 7. l'‛osmānlï (v. appresso).
Salvo il bulgaro-turco di cui non ci resta nulla, ma che può essere conosciuto attraverso gli elementi passati nell'ungherese, e che apparteneva, come si è detto, al gruppo s-, anche tutte le altre lingue turche antiche, di cui abbiamo monumenti, appartengono al gruppo j-. E in primo luogo ricorderemo il turco delle iscrizioni; i più antichi documenti risalgono al sec. VIII e sono delle iscrizioni su stele erette in onore dei principi delle dinastie turche dei secoli VI-VIII, trovate in Mongolia nel bacino dell'Orkhon; altri monumenti sono stati trovati nella stessa Mongolia, in Siberia e nel Turkestan occidentale. Dei manoscritti negli stessi caratteri sono stati scoperti recentemente nel Turkestan cinese. La scrittura in cui sono redatti è esteriormente simile alle rune, ma non ha storicamente nulla da fare con le rune nordiche (v. rune, XXX, p. 241); il nome di caratteri runici fu dato a questa scrittura da V. Thomsen che nel 1893 riuscì a decifrarla (v. thomsen, v.), mentre il nome di "Kök-Türkisch" proposto da W. Bang, è stato respinto giustamente dal Thomsen, dal Radloff, ecc. La maggior parte delle rune turche proviene dall'alfabeto sogdiano (v.) che a sua volta è di origine aramea; ma alcuni segni hanno evidente origine ideografica (freccia, luna, casa). La lingua delle iscrizioni runiche si distingue per gli arcaismi nella fonetica e nella morfologia e nel lessico. Una derivazione di questa scrittura è probabilmente la scrittura a tacche (ung. rovásírás), usata fino a pochi secoli fa dai Siculi (Székelyek) di Transilvania. Le altre lingue letterarie estinte sono l'uigurico (per cui v. uighuri) e il cumano (per cui v. cumani, XII, p. 116).
La classificazione del Radloff, da noi riportata con alcune riduzioni e mutamenti, non è esente da gravi pecche; piü semplice e chiara è la ripartizione proposta dal Németh (Magyar Nyelv, XII [1916], p. 117) per cui le lingue turche j- si dividerebbero in: a) dialetti siberiani (parlati dai Tatari dell'Altai, Teleuti, Karagassi, Tatari dell'Abakan); b) dialetti dell'Asia centrale (dei Kirghisi, Uzbeki, Turcomanni, Sarti, ecc.; qui sta l'antica lingua letteraria čaγataica); c) dialetti delle regioni del Mar Nero (‛osmānlï, dell'Azerbaigian, di Crimea, dialetti tatari del Caucaso); d) dialetti delle regioni del Volga (dialetti dei Tatari di Kazan′, Baškiro, Mišer e altri dialetti tatari). Ma anche questa è una classificazione prevalentemente geografica.
Nella fonetica delle lingue turche si nota, prima di tutto, la grande estensione dell'armonia vocalica (IV, v. armonia, pp. 527-28). Gli affissi compaiono per lo meno in doppia forma e si dispongono generalmente in tre gruppi: 1. a - ä; 2. ï - i; 3. u - ü rappresentando in ogni gruppo la prima vocale quella della serie posteriore (velare) e la seconda quella della serie anteriore (palatale). Già nell'antico turco delle iscrizioni runiformi dell'Orkhon abbiamo esempî di questa armonia vocalica, p. es. jolta "sulla strada" bašda "nel capo", ma äbdä "nella casa", közdä "nell'occhio"; e così nella seconda serie: altï "egli prese", ma ölti "egli morì" e nella terza serie, nei participî in -duk: da bar- "andare" avremo barduk, ma da täg "raggiungere" tägdük. Nell'‛osmānlï, nel kirghiso e nel jakuto abbiamo una quadruplice corrispondenza: e precisamente a, ï-ï; ä (e), i-i; o, u-u ö, ü - ü, p. es. nell'osm. qač-tï "fuggì"; vär-di "dette"; ol-du "fu"; öl-dü "morì". Nei dialetti turchi dell'Altai vi sono casi più complessi.
Anche qui, come nell'uralico, dato che le vocali di una parola dipendono armonicamente dalla tonica, con cui debbono accordarsi, l'unica vocale che si potrà studiare storicamente sarà la tonica. Ma mentre nelle lingue uraliche regna ancora molta incertezza nel vocalismo (v. ugrofinniche, lingue), nelle lingue turche il vocalismo tonico è abbastanza stabile e dalla comparazione delle lingue turche si può ricostruire con sufficiente esattezza il vocalismo del prototurco. Le vocali brevi del prototurco non subiscono variazioni importanti altro che nel ciuvasso e, in parte, nel jakuto. La più importante è la riduzione di *a ad ï (y) e più frequentemente a ų ed ê (î,) nel ciuvasso; la riduzione di *a > ï non può esser certo dovuta a effetto metafonetico di un -u, come credeva V. Grönbech. Bisogna distinguere due riduzioni avvenute in epoche diverse; la più antica è quella di a > ï in determinati casi (p. es., turco comune bar- "andare" > ciuv. pïr).
L'antichità di questo passaggio è dimostrata dal fatto che esso doveva già esistere nel bulgaro-turco perché si trova in alcuni degli elementi bulgaro-turchi dell'ungherese come ungh. ír "scrive" - bulg. turco *ïr cfr. ‛osm. jaz-; tinó "manzo di 2-3 anni" 〈 bulg. turco *tïnaγ, cfr. ‛osm. dana. Invece il passaggio del turco a nel ciuv. ÿ, ə, in casi come pÿrńa "dito", cfr. tataro di Kazan′ barmak e simili, è recente perché gli elementi ciuvassi entrati nel ceremisso (v. ceremissi, IX, 803, e v. M. Räsänen, Die tschuwachischen Lehnwörter im Tscheremissischen, Helsinki 1920), mostrano ancora a (p. es., cerem. parńa dal cit. ciuv. pÿrńε) e perché in tali casi negli elementi bulgaro-turchi dell'ungherese troviamo solo a, á, p. es., sár "sterco" 〈 bulgaro-turco *šarï, cfr. ciuv. šÿrê, ‛osm. sarï. Secondo il Németh, Nyelvtudományi Közlemények, XLII, p. 75 segg. sarebbero esistiti nel prototurco-mongolico due a; un *a1 che avrebbe dato nel turco comune a, nel ciuvasso ï e nel mongolico a, e un *a2 che avrebbe dato nel turco comune a, nel ciuvasso a (e in un secondo tempo ÿ) e nel mongolico i, ü, e. Fra gli altri mutamenti vocalici ricorderemo solo che nei dialetti di Abakan *ä passa ad e come nel kirghiso; nei dialetti del Volga, di Tobolsk, nel Baschiro e Baraba passa ad i e nel ciuvasso ad a, p. es., är "uomo" (‛osm. ciag. azerb. alt., ecc.), ma kirgh. koib. kacinzio er; baschiro, tataro di Kazan′, dial. di Tobolsk ir, ciuv. ar. Accanto ad *ä nel prototurco probabilmente esisteva anche *e che si trova nelle iscrizioni del Jenissei (cfr. V. Thomsen, Une lettre méconnue des inscriptions de l'Iénissei, Helsinki 1915), ma che generalmente si è íuso con ä; i risultati però sono tenuti distinti dal jakuto che per il prototurco *ä risponde con ä o iä mentre per *e risponde con i. Alla citata voce är, il jakuto risponde con är, mentre p. es. all'‛osm. ciag. uig., äl - *el), kirg. el, dial. tataro di Kazan′, il, il jakuto risponde con il "buon accordo" (cfr. Németh, Nyelvtud. Közlemények, XLIII, pp. 298-99). L' *y (ï) del prototurco generalmente si conserva in tutte le lingue turche (ma in ciuvasso passa spesso a ə). Anche *i prototurco si conserva bene, ma nel tataro di Kazan′ passa a ə e nel ciuvasso a ê in molti casi, p. es., ‛osm. ič, jakuto is "interno" ma ciuv. eš. L'*o del prototurco si conserva generalmente, ma nel baschiro, nei dial. del Volga e di Tobolsk passa ad u e nel ciuvasso ad ÿ, in alcuni casi nel jakuto troviamo uo invece di o, p. es., ‛osm. ol "essere", jak. buol- tataro di Kazan bul-, ciuvasso pÿl-. Il prototurco *u si conserva quasi dappertutto, fuorché in ciuvasso dove abbiamo ê. Le vocali prototurche -*ö ed *ü rimangono anch'esse quasi sempre intatte; ma nei dialetti del Volga e nel baschiro *ö > ü, mentre *u > ö; nel ciuvasso *ü > ə ed *ö > ÿ. Interessanti sono i nessi di vocale breve seguita da g. Il g generalmente rimane nel turco antico delle iscrizioni runiformi dell'orkhon, nell'uigurico, nel taranci e nel koibalico; nell'‛ōsmānlï abbiamo γ e zero, altrove cade provocando un allungamento della vocale; avremo così:
a) prototurco *ag > ‛os. āγ (ā), kirgh. tat. di Kazan′ aw; dial. dell'Altai ū, jak. ïa, ecc., p. es., Iscr. dell'Orkhon e Koib. tag "monte"; taranči taγ; ‛osm. dāγ; kirgh. tau; alt. tū; jak. tïa; ciuv. tu (gen. təvən)i;
b) prototurco *og > ‛osm. oγ, ō; kirgh., tataro di Kazan′, dial. dell'Altai ū, jak. uo, Ciuv. əv., p. es., turco delle iscr. dell'Orkhon ogl-, "suo figlio"; ‛osm. oγul; kirgh. ūl; jak. uol.
E parimenti per gli altri nessi prototurchi *yg, *äg, *ig, *ög, *üg. Simili semplificazioni si trovano anche nei nessi prototurchi ab, ob, ub, äb, ib, ūb, p. es., ab > tar. koib. ō, kas. u; kirgh. alt. ū ciuv. yw, əw, così all‛osm. avuǧ "hohle Hand" corrispondono tat. ōč, kas. ūč; kirgh. ūs, alt. ūš, koib. ōs, ciuv. ïwəś.
Nelle lingue turche le vocali lunghe sarebbero, secondo alcuni studiosi, in rapporto con le consonanti vicine; nel prototurco però non dovevano esistere delle vere vocali lunghe; il Grönbech ha cercato di spiegare le lunghe del jakuto con la presenza di una consonante sonora seguente etimologica, p. es., all'‛osm. at "cavallo" corrisponde il jak. at (〈 prototurco *at), ma all'‛osm. ad "nome" corrisponde il jakuto āt. (〈 prototurco *ad-). Il Németh, Keleti Szemle, XV, p. 150 segg. ha spiegato le vocali lunghe del jakuto come dovute specialmente alla posizione dell'accento.
Il consonantismo del prototurco doveva essere abbastanza semplice. Generalmente a formula iniziale si ammettono solo le sorde *k, *t e la sonora *b, ma sembra ragionato ritenere che siano esistite anche le sonore, *g- *d-. Nella serie velare abbiamo solo *k- e se anche esisteva un *ag- questo, già in epoca prototurca, si è fuso col *k-. Probabilmente accanto al *k velare ne esisteva uno palatale (*k′; la ricostruzione di questo *k′ si può fare però solo attraverso il ciuvasso che in questo caso presenta j, mentre per k presenta χ, e attraverso la comparazione col mongolico e il tunguso. Nella serie dentale abbiamo *t- e, secondo il Németh, anche *d-. Nella serie labiale il prototurco possedeva la sonora *b che ben presto, in parte del dominio, passò a p (ciuvasso). Il prototurco poi possedeva un *j- sul cui trattamento (> jak. s-, ciuv. š-, altre lingue j) abbiamo appunto basata la bipartizione delle lingue turche (v. sopra anehe gli esempî). Lo *s- a formula iniziale si conserva generalmente bene, ma cade in jakuto, cfr. ‛osm. sal, ciuv. sÿ, ma jak. āl. Infine a formula iniziale il prototurco possedeva un'affricata č che generalmente rimane nella maggior parte dei dialetti, ma si muta in s in baschiro, in š in kirghiso e ś in ciuvasso (ma quest'ultimo mutamento non è così antico perché solo una parte degli elementi bulgaro-turchi dell'ungherese presenta cs = č, mentre un'altra parte presenta s = š). In mezzo di parola il prototurco possedeva solo tre esplosive sonore *d, *b e *g; in posizione intervocalica queste debbono esser passate già molto presto nelle spiranti corrispondenti δ, β e γ, mentre in posizione postconsonantica si debbono essere mantenute più a lungo. Secondo il Németh invece il prototurco avrebbe avuto anche *-k- e ben due *-t-. Ricorderemo qui solo il trattamento del prototurco -d- (δ) che rimane d nell'antico turco delle iscrizioni dell'Orkhon, nell'uigurico, nel sojonico; dà t nel jakuto, z nel tataro di Abakan, koibalico, kamassino, r nel ciuvasso e j in tutte le altre lingue, p. es. turco delle iscr. dello Orkhon adak "piede"; jakuto ataχ; sag. koib. kacinz. azak; ciuv. ÿra; ‛osm. alt. kirgh. ecc. ajak. Sul trattamento di -d- prototurco, ritenuto caratteristico, si basa una parte della divisione delle lingue turche del Samoilovič, già riportata in principio di questo articolo. Il prototurco č-z- rimane in tutte le lingue turche, a eccezione del ciuvasso che presenta il rotacismo (quindi -z- > r). Parallelamente il prototurco *-š- rimane in tutte le lingue turche, ma per il fenomeno del lambdacismo passa in l nel ciuvasso.
Gli esempî del rotacismo e del lambdacismo sono già stati addotti a proposito della classificazione dei dialetti turchi al principio di questo articolo; per maggiori particolari cfr. Gombocz, Nyelvt. Közlemények, XXXV, p. 241 segg.
Passiamo ora ad alcune osservazioni sulla morfologia e la sintassi delle lingue turche. Come prima caratteristica, per quanto non esclusiva e di scarso valore storico (cfr. XXI, 202-203) noteremo l'agglutinazione (v. I, 864). Ogni voce turca si può comporre di tre elementi: 1. radice; 2. uno o più suffissi di derivazione; 3. uno o più suffissi desinenziali. Si distinguono nettamente nelle lingue turche le radici nominali da quelle verbali. La differenza fra nome e verbo è, in queste lingue, molto maggiore che nelle indoeuropee. Ognuna di queste due categorie ha delle serie di suffissi che sono sue speciali e vere eccezioni formano i suffissi comuni ad ambedue le classi (p. es., il suff. del pl. -lar, -ler: ev-ler "le case"; sešer-ler "essi amano"); così, data una radice nominale, p. es. iš "lavoro" avremo nell'‛osmānlï: iš-či "lavoratore" iš-či-den "dal lavoratore", e data una radice verbale, p. es., ver "da !(dare)" avremo ver-dir "fa dare!" ver-dir-dim "io ho fatto dare". Il numero dei suffissi è teoricamente illimitato, ma forme chilometriche e complicate come, p. es., l'‛osmānlï il-iš-dir-il-eme-miš-mi-idi ("n'avait-il pu être rattaché?") sono ben rare nella pratica e formano piuttosto la delizia dei grammatici. La differenza essenziale fra i suffissi delle lingue turche (e in genere delle uralo-altaiche) e quelli delle indoeuropee o delle semitiche, non sta tanto nel fatto che l'origine dei suffissi sia sempre perspicua, che si tratti cioè di un tema nominale passato a fungere da posposizione e poi divenuto semplice suffisso. Per quanto tali casi siano abbastanza frequenti (p. es., il -säm, -sam suffisso del plurale del ciuvasso), l'origine di molti suffissi non è ancora abbastanza chiara (p. es. quella del turco -lar, -ler). La massima differenza sta invece, come si vedrà meglio s. v. uralo-altaiche, lingue, nel fatto che ogni suffisso ha un'unica funzione; mentre l'-i di domin-i latino indica tanto il genitivo (caso), quanto il singolare (numero), nel turco e in tutte le altre lingue uralo-altaiche il suffisso indicante il caso è indipendente da quello indicante il numero e così avremo: ev "casa", ev-de "nella casa", ev-ler "le case", ev-ler-de "nelle case".
Nelle lingue turche non esiste la categoria del genere (come del resto in tutto l'uralo-altaico); esistono invece due numeri, singolare e plurale. Ma anche nella concezione del plurale le lingue turche (come gran parte delle uralo-altaiche) hanno un'idea diversa dalla nostra; nell'antico turco le forme di plurale sono molto più rare che nelle lingue turche moderne e anche oggi troviamo casi in cui il turco usa il singolare per indicare una pluralità, p. es. in unione con i numerali; così il turco osmanli dice on kitab "10 libri (lett. 10 libro)"; ma la stessa particolarità si trova nelle altre lingue altaiche (p. es., in Manciu) e perfino nelle uraliche, cfr. ungh. tíz könyv "10 libri (lett. 10 libro)". La declinazione comprende generalmente cinque casi; il nominativo non è di regola distinto da nessun suffisso, p. es., ‛osm. at qoš-ar "il cavallo corre". Il genitivo (caratterizzato in tutte le lingue turche da una nasale, p. es. nelle iscr. dell'Orkhon -yṅ, uigur. -nyñ, ecc.) precede il nominativo (ordine B-A) il quale è quasi sempre rafforzato da un suffisso possessivo, p. es. ?‛osm. čoban-yñ ev-i "del pastore la sua casa - la casa del pastore"; questo costrutto si trova anche nelle lingue uraliche, p. es. ungh. a pásztor[-nak a] ház-a.
La principale regola della sintassi delle lingue turche è che tutto ciò che è accessorio deve precedere quanto è principale; quindi i complementi (o le proposizioni dipendenti) debbono precedere il soggetto o il predicato cui si riferiscono; e così l'attributo precede il sostantivo cui si riferisce, p. es., ‛osm. kïrmïzï ev "rossa casa" (cfr. ungh. vörös ház), l'oggetto precede il predicato, p. es., ‛osm. bir eji peder evlādyny dā'imā sever "un buon padre i suoi figli sempre ama".
Quando un gruppo di parole riceve un suffisso, questo si pone solo alla fine del gruppo, senza che sia necessario ripeterlo dopo ogni parola nell'interno del gruppo; ma siccome l'ultima voce è la principale, ne consegue che solo la principale riceve il suffisso. Questa regola sintattica è completamente contraria a quella che vige, p. es., nell'italiano, ma si trova anche nelle altre lingue altaiche, p. es., in Manciu, dove abbiamo costrutti come: Toumen irgen-i oukheri ama inou be getouken-i sambi "omnium populorum communem patrem esse manifeste scimus". Le principali caratteristiche morlologiche e sintattiche comuni alle lingue turche, mongoliche, manciu e tunguse e sovente anche alle lingue uraliche si troveranno, alla voce uralo-altaiche, lingue.
Bibl.: Una grammatica comparata delle lingue turche non esiste; per la fonetica si cfr. W. Radloff, Phonetik der nördlichen Türksprachen, Lipsia 1882; Vilh. Grönbech, Forstudier til tyrkisk lydhistorie, Copenaghen 1902 (e ampio riassunto in ted. in Keleti Szemle, IV (1903), 114 segg., 229 segg.); Z. Gombocz, Az altaji nylvek hangtörténetéhez in Nyelvt. Közlemények, XXXV (1905), 241 segg.; Die bulgarisch-türkischen Lehnwörter in der ungarischen Sprache, Helsinki 1912; V. Thomsen, Sur le système des consonnes dans la langue ouigoure, in Keleti Szemle, II (1901), 241 segg.; Gy. Németh, Az ösjakut hangtan alapjai, in Nyelvt. Közl., XLIII (1914), 276 segg., 448 segg. - Per la classificazione dei dialetti turchi, oltre alla citata Phonetik del Radloff, cfr. A. Samoilovič, Nekotorye dopolnenija k klassifikacii turechik jazykov, Pietrogrado 1922 e K voprosu o klassifikacii tureckih jazykov, in Bull. Org. Komissii po sozyvu I Turkolog. S'iezda, 1926, n. 2, nonché l'articolo dello stesso autore Langues turkes nell'Enc. de l'Islam, IV, 956 segg. - Per la morfologia e la sintassi cfr. K. Grönbech, Der türkische Sprachbau, Copenaghen 1936. Quanto al lessico esiste un dizionario comparativo di H. Vambéry, Etymologisches Wörterbuch der Turko-tatarischen Sprachen, Lipsia 1878 (antiquato). Basato sui materiali di tale dizionario è anche il volume dello stesso Vambéry, Die primitive Kultur der turko-tatarischen Volkes, Lipsia 1879. Il migliore dizionario comparativo di gran parte dei dialetti turchi è: W. Radloff, Opyt slovarja tjurkskih narecij-Versuch eines Wörterbuchs der Türk-Dialecte, Pietroburgo 1888-1901 in 4 voll. (v. radloff, XXVIII, p. 732).
Bibliografia delle singole varietà. Per il ciuvasso si veda la bibl. a ciuvassi, X, 509 e si aggiunga N. I. Ašmarin, Thesaurus linguae Tschvaschorum, Kazan′ (e poi Čeboksary), 1928-30, 5 voll. Per il jakuto v. la bibl. data XVIII, 648. Per i varî dialetti turchi j si vedano in primo luogo i materiali raccolti da W. Radloff, Proben der Volkslitteratur der türkischen Stämme, Pietroburgo 1866-1907, in 10 voll. un elenco dettagliato dei quali si trova al vol. XXVIII, 762. Per i dialetti orientali v. la bibl. data s. v. karagassi, XX, p. 117 e cfr. Castrén's Koibalisch-deutsches Wörterverzeichnis und Sprachproben neu transcribiert, in Mélanges Asiatiques, IX, 97 segg.; N. F. Katanov, Opšt izledovanija urjanchajskago jazyka s ukazaniem glavnejyih rodstevennyh otnošenji ego k drugim azykam tjurskago kornja, Kazan′ 1903. Per i dialetti del Turkestan Cinese e Orientale esistono lavori di Raquette, von Le Coq, M. Hartmann, G. Jarring. Per i dialetti occidentali cfr. la bibl. alla voce kirghisi, XX, p. 211 e baschiri, VI, p. 274. Per i dialetti tatari del Volga e regioni finitime cfr. l'antiquata grammatica di M. A. Kasem-Beg, Allgem. Grammatik der türkisch-tatarischen Sprache, trad. del russo di J. T. Zenker, Lipsia 1848; G. Bálint, Kazáni-tatár nyelvtanulmányok, Budapest 1875-77; M. Kurbangaliev i R. Gazivov, Sistematičeskaja grammatika tatarskogo jazyka, Kazan′ 1932; N. Ostroumov, Tatarsko-russkij slovar, Kazan′ 1892. Per i dialetti meridionali: A. P. Potselujevskij, Tyrkmen dilini evrenmäge ullanma, Ašxabad 1929; A. Alijiv ve B. Bøørijif, Oryscaturkmence søzlik, Ašxabad 1929. Per il cumucco v. XII, 118; W. Pröhle, Balkarische studien, in Keleti Szemle, XV (1915), 165 segg.; N. K. Dmitrijev, Morfol. d. lingua turca dei Cumucchi, in Riv. studi or., Roma, XV (1933-34); Szapszal, Próby liter. ludowej turków z Azerbajdzanu perskiego, Cracovia 1935; M. Räsänen, Türk. Sprachproben aus Mittelanatolien, Helsinki 1933. Per l'‛smānlï, v. appresso; per i dialetti dell'‛osmānlï v. le sintesi di T. Kowalski, nell'Enc. de l'Islam, IV, pp. 968-988.
Per le iscrizioni in caratteri runiformi: V. Thomsen, Inscriptions de l'Orkhon déchiffrées, Helsinki 1896; Turcica. Études concernant l'intérpretation des inscriptions turques de la Mongolie et de la Sibérie, Helsinki 1916; W. Radloff, Die alttürkische Inschriften der Mongolei, Pietroburgo 1894-99; Alttürkische Studien, Pietroburgo 1909-1911; W. Bang, Vom Köktürkischen zum Osmaniscnen, Berlino (Sitz. d. pruss. Akad. d. Wiss.), 1917-1920; W. Bang e A. v. Gabain, Türkische Turfan-Texte, Berlino 1929-30. Per l'uigurico v. uighuri.
La lingua ‛osmānlï.
La lingua turca detta ‛osmānlï appartiene al gruppo meridionale delle lingue turche (v. sopra). Questo gruppo comprende anche il turcomanno, l'‛āzerī dell'Azerbaigian caucasico, il turco di Crimea, il turco dei Gagausi della Bulgaria e della Romania. L'area linguistica del ‛osmānlï abbraccia tutto il ‛osmānlï , la quale si estende anche alle minoranze turche di Rodi e di Cipro. Nuclei di parlanti turco esistono in Albania e in Jugoslavia.
Il termine ‛osmānlï è ripudiato ufficialmente dal nuovo stato turco (la Repubblica di Turchia) e anche dagli scrittori della Turchia, i quali, parlando della loro lingua, dicono semplicemente "lingua turca" türkçe. Il termine "turco di Anatolia", proposto in Europa e in Turchia, non ha avuto fortuna.
La lingua ‛osmānlï , così come è designata nell'uso comune europeo, è il prodotto dell'evoluzione propria avuta dalle parlate dei Turchi detti Oghuz (o Ghuzz, per molti riguardi confondibili con i Turkmeni) che passarono dal Khorāsān in Persia e in Anatolia e in tutta l'Asia minore dal secolo XI d. C. in poi, fondandovi gl'imperi dei Selgiuchidi e minori principati. I più antichi documenti linguistici turchi accostabili al ‛osmānlï odierno risalgono al sec. XIII; come primo scrittore ‛osmānlï in questo senso si potrebbe considerare Sulṭān Veled (morto nel 1312), figlio del grande poeta mistico Gelāl ud-Dīn Rūmī. C. Brockelmann in uno studio sul poemetto Qiṣṣah-i Yūsuf di un certo ‛Alī, composto nel 1233, tende a riconoscere in lui il più antico precursore della letteratura ‛osmānlï e ritiene che il suo poemetto sia stato composto in Asia Minore. Tra i secoli XIV e XVI si colloca un periodo di transizione dalla vecchia alla moderna lingua ‛osmānlï, che all'inizio del sec. XVII ci si presenta nei documenti scritti con forme non molto diverse da quelle odierne. Parlando di ‛osmānlï, intendiamo trattare della lingua letteraria, della lingua di cultura dei Turchi dell'Impero ottomano, senza tener conto delle varietà dialettali della Turchia europea e dell'Anatolia, le quali sono molto numerose e verranno brevemente ricordate.
Il dialetto che più si accosta a questa lingua di cultura è quello di Costantinopoli.
Le caratteristiche essenziali del "vecchio‛osmānlï" rispetto al moderno sono: uno sviluppo meno conseguente, a quanto pare, dell'armonia vocalica; mantenimento del suono velare ng (ñ) poi diventato n; maggiore aderenza all'origine pronominale delle desinenze personali dei verbi (seversiz per moderno seversiniz); mancanza del presente 1° in (i)-yor sviluppatosi dalla composizione di un gerundio con l'aoristo di un ausiliario yürümek o yorïmaq; l'aoristo durur "sta, è" di durmak non ancora fissatosi nella forma moderna della copula dir "è"; mantenimento di forme gerundive in -meýin, -igek, ecc., che appaiono già arcaiche nel sec. XVII; comparativo in -rek scomparso dal sec. XVII; minor uso di congiunzioni arabe e persiane, di iẓāfet persiana e di vocaboli arabi e persiani, che diventano predominanti dal sec. XVI in poi.
L'‛osmānlï moderno ha le seguenti vocali:
Questo è il quadro comunemente dato delle vocali, tenendo conto che la e è quasi sempre aperta; ma sì dovrebbe distinguere anche una e chiusa e una e (ä) aperta.
L'armonia vocalica, comune alle lingue turche, e particolarmente osservata nel ‛osmānlï‛osmānlï, vuole che in un vocabolo non si seguano che vocali prepalatali o pospalatali; le eccezioni alla regola si riscontrano solo in parole straniere. La successione delle vocali nei suffissi, per mezzo dei quali si effettuano le mutazioni di significato delle basi verbali e nominali (non esistono prefissi), è regolata da leggi di armonia vocalica in relazione con la vocale dell'ultima sillaba; esse si riassumono nei seguenti schemi:
1. suffissi a semplice alternanza
(ev "casa" fa il plurale a evler; at "cavallo", fa il plurale atlar);
2. suffissi a doppia alternanza
(non ricorrono nei suffissi le vocali ö, o); praticamente si può dire che a e, i dell'ultima sillaba della base nominale o verbale seguirà i; ad a, ï seguirà ï; a ö, ü seguirà ü; a o, u seguirà u. Es.: ev fa al genitivo evin; at fa atïn; göz "occhio" fa göün; yzü "viso" fa yüzün; ciogiuq "bambino" fa ciogiuġun.
Le consonanti del ‛osmānlï, prescindendo da quelle che ricorrono più o meno bene conservate in parole straniere, sono rappresentate dal seguente schema (nel quale sono indicati tra parentesi i segni in uso dal 1928 nel nuovo alfabeto turco-latino):
Le sonore occlusive non possono stare in fine di parola o sono per lo meno notevolmente assordite; le gutturali prepalatali e pospalatali si accompagnano con vocali prepalatali e pospalatali; lo stesso si dica di l e ł.
Non possiamo qui esporre lo schema delle formazioni; basterà dire che i suffissi si succedono nei nomi in questo ordine: base nominale + suffissi del plurale + suffissi del possessivo + suffissi della declinazione. Nei verbi l'ordine di successione è: base verbale + suffisso modificante della base con significato causativo o riflessivo o reciproco, significato passivo, negazione o impossibilità + suffisso temporale + desinenza personale. Es.: in bildirilemiyor "non può essere fatto sapere" si succedono bil (base verbale) + dir (causativo) + l (passivo) + eme (impossibilità) + yor (presente). Queste sono peraltro caratteristiche comuni delle lingue turche, come la mancanza dell'articolo (del quale può solo ravvisarsi un antico uso nel dimostrativo), la mancanza di distinzione del genere, la mancanza di prefissì e di preposizioni. Il rapporto di annessione in ‛osmānlï, come in tutte le lingue turche, ha il seguente ordine: nome retto al genitivo + nome reggente con suffisso possessivo di 3a persona: es. "la porta della casa" in turco è evin qapïsï "della casa la sua porta". Questa costruzione inversa rispetto al nostro uso si esplica in tutta la sintassi; l'ordine comune della frase turca è: complementi del soggetto (aggettivo, nome retto, frasi relative ecc.) + soggetto + complementi dell'oggetto diretto o indiretto + complementi del verbo + verbo o predicato. Es.: "Il mio amico, che sta a Costantinopoli, ha scritto che il tempo colà è molto bello" in turco si traduce Istanbulda bulunan dostum havanïn orada pek eyi olduġunu yazdï (letteralmente "a Costantinopoli trovantesi il mio amico del tempo colà molto buono il suo essere ha scritto").
L'‛osmānlï, come le altre lingue turche, manca, si può dire, di pronome relativo e supplisce ad esso con participî e forme aggettivali; ha poche congiunzioni e vi supplisce con i molti gerundî (una decina, nell'uso comune).
Più precisamente va osservato che sono caratteristiche della lingua ‛osmānlï rispetto alle altre lingue turche la prevalenza delle sonore d, g iniziali (dil "lingua" lingue turche settentrionali til; göz "occhio", lingue turche settentrionali köz), la mutazione v 〈 b, la caduta delle gutturali k e q intervocaliche (quindi participio in
invece del participio in
dei linguaggi turchi orientali, dativo in
invece del dativo in
ecc).
Va rilevato, d'altra parte, che le differenze fonetiche e morfologiche tra le lingue turche sonno lievi, fatta eccezione per le lingue dei Jakutì e dei Ciuvasci.
Alfabeto. - Fino al 1928 il turco ‛osmānlï è stato scritto con l'alfabeto arabo (anche in caratteri armeni tra gli Armeni di Costantinopoli e dell'Anatolia orientale e in caratteri greci tra i Greci ortodossi della Caramania). L'alfabeto arabo in realtà male si adattava, per la mancanza di segni vocalici alla trascrizione del turco e varî accorgimenti erano stati usati col tempo per rendere possibile una migliore riproduzione dei suoni. Per le consonanti p, č e j si erano usati tre segni modificati dell'alfabeto arabo già introdotti nella scrittura del persiano.
Una legge del 3 novembre 1928 stabilì la quasi immediata applicazione di un nuovo alfabeto (detto yeni türk alfabesi o yeni harfler), che diremo turco-latino, costituito dai 29 segni seguenti (8 vocalici e 21 consonanti): a, b, c, ç, d, e, f, g, ǧ, h, i, ı (i senza punto), j, k, l, m, n, o, ö, p, r, s, Ş, t, u, ü, v, y, z. Per la pronunzia si noti che c ha il suono italiano di g avanti i ed e; ç ha il suono italiano di c davanti i ed e; ǧ ha un duplice suono di gutturale continua sonora prepalatale (ẏ) o pospalatale (ġ), secondo che si trova eon vocali prepalatali o pospalatali; ı (i senza punto) è il suono (ï) pospalatale della i; j suona come in francese, Ş equivale a sc italiano, y è semivocale (j tedesco). Confrontando i 21 segni consonantici con lo schema sopra riferito delle consonanti turche, si vede che il nuovo alfabeto turco-latino, non tiene conto della distinzione tra k e q, k′ e k, g′ e g, ẏ e ġ, l e ł, distinzione che peraltro riesce agevole a chi abbia acquistato una certa familiarità con la pronunzia turca e con l'armonia vocalica.
Un'altra riforma, che si è cominciato a propugnare col sorgere del nazionalismo turco, è la purificazione del lessico da tutti o quasi i vocaboli stranieri. Si tratta specialmente di sostituire con vocaboli turchi ancor viventi nell'uso del popolo o riesumati da antichi libri i vocaboli arabi e persiani che nei secoli passati sono entrati nel turco scritto e parlato. Però sul finire dell'anno 1936 la campagna per il purismo lessicale s'allentò alquanto e rispuntarono anche nei giornali vocaboli già eliminati. Questo cambiamento di indirizzo è in relazione con una teoria ufficialmente sostenuta in Turchia e nota con il nome di GüneŞ-Dil "Lingua-Sole", secondo la quale la lingua turca sarebbe alla base di tutte o quasi tutte le lingue del mondo; quindi, se ne deduce, non v'è più la necessità di eliminare vocaboli ritenuti stranieri, che per lo più sono in fondo d'origine turca.
Dialetti. - Non esiste ancora uno studio sistematico completo dei dialetti della Turchia europea e dell'Anatolia; vi sono però notevoli saggi (v. la bibliografia). Si può affermare in generale che i dialetti dell'Anatolia nord-orientale si accostano molto all'azerī, quelli dell'Anatolia sud-orientale risentono della vicinanza del curdo e dell'arabo. Alcuni fatti constatati sono: tendenza alla labializzazione della vocale dei suffissi nell'Anatolia orientale; mutamento di q in kh nell'Anatolia orientale; assenza del suono ng nella Turchia europea e nell'Anatolia occidentale e sua conservazione nell'Anatolia orientale; desinenza -k della prima persona plurale di alcune forme verbali nell'Anatolia orientale (invece di -iz che si ha nell'Anatolia occidentale e a Costantinopoli). Sono state rilevate le caratteristiche dei dialetti turchi di Trebisonda, Erzerum, Conia, Aydïn, MaraŞ in Anatolia, dei Gagausi della Bessarabia.
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Grammatiche nel nuovo alf. turco-latino: A. Mowle, The new Turkish: an elementary Grammar, Nicosia (Cipro) 1930.
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Per i dialetti: F. Giese, Materialen zur Kenntnis des anatolischen Türkisch. Erzählungen und Lieder aus dem vilayet Qonjah, Halle 1917; I. Kunos, Oszmántörök Népköltési Gyüjtemény, Budapest 1887-80; id., Mundarten der Osmanen, Pietroburgo 1899; id., Türkische Volksmärchen aus Adakale, Lipsia 1907; W. Moskov, Mundarten der bessarabischen Gagausen, Pietroburgo 1904; Thiry, A. Kasztamuni-i török nyelvjárás, Budapest 1885; L. Bonelli, Voci del dialetto turco di Trebisonda, in Keleti Szemle, 1902; T. Kowalski, Osmanisch-türkische Volkslieder aus Mazedonien, in Wiener Zeit. f. die Kunde des Morgenlandes, 1926; M. Räsänen, Eine Sammlung von Mani-Liedern aus Anatolien, in Journ. Soc. Finno-Ougrienne, 1926; id., Türkische Sprachproben aus Mitthel-Anatolien, Helsingfors 1933-1936; M. Michailov, Matériaux sur l'argot et les locutions populaires turc-cottom., Lipsia 1930.
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Nuovo alfabeto turco-latino: E. Rossi, La riforma linguistica in Turchia, in Oriente moderno, XV (1935), pp. 45-47; J. Deny, La réforme actuelle de la langue turque, in En terre d'Islam, agosto 1935, pp. 222-47.
Sulla teoria "Lingua-Sole", v. Or. Mod., XVI, 1936, passim.
Letterature.
Limiti di tempo e di spazio della letteratura dei Turchi. - Comunemente, parlandosi di letteratura dei Turchi, si pensa a quella dei Turchi dell'ex Impero Ottomano, con una limitazione, quindi, di tempo dal sec. XIV in poi, e di spazio (Asia Minore e Turchia europea). In realtà non è possibile circoscrivere in questi limiti lo studio dell'attività letteraria di un popolo o di un insieme di popoli che hanno occupato in passato o occupano tuttora un'area assai più ampia, dalla Mongolia al Mediterraneo, e la cui letteratura scritta incomincia intorno al sec. VIII d. C. D'altra parte, dicendo "letteratura dei Turchi" nel senso più ampio in cui è usato qui, non si vuole sostenere l'unità storica e geografica della loro letteratura; vi sono ragioni per distinguere, come facciamo in questo studio, una letteratura turca preislamica, una letteratura turca islamica dell'Asia Centrale e del Turkestan, una letteratura turca islamica ottomana e, per i tempi più moderni, tanti campi letterarî turchi quante sono le zone politiche etniche e linguistiche in cui è distribuito oggi il mondo turco (Turchi d'Anatolia, Turchi āzerī, Turchi del Volga o Tatari, Uzbeki, Turkmeni, ecc.). Va però ricordato che le lingue turche dal sec. VIII in poi hanno subito modificazioni lievi e le parlate attuali sono molto simili e vicine tra di loro. S'aggiunga che dopo la rivoluzione portata nella cultura dei Turchi dall'accoglimento dell'Islām (sec. VIII-XI d. C.) nessun grande mutamento radicale è intervenuto nella loro vita culturale fino ai giorni nostri, che hanno veduto la rivoluzione sovietica in Russia e la non meno profonda rivoluzione kemalista in Turchia. Lo storico di domani potrà segnare tra i Turchi del passato e i nuovi quel distacco che lo studioso di oggi avverte senza poterne valutare tutte le conseguenze e le manifestazioni future.
La letteratura dei Turchi prima che abbracciassero l'Islām. - Il primo monumento linguistico scritto dei Turchi è rappresentato dalle iscrizioni del sec. VIII trovate in Mongolia nella valle dell'Orkhon. Esse furono scolpite a cura di sovrani di popolazioni turche chiamate dai Cinesi T'u-küe, ma definite nelle iscrizioni con i nomi dei Toquz Oghuz o Oghuz o Turk o Kök Türk (da cui l'espressione di lingua e alfabeto Kök Türk alla quale si attengono specialmente i filologi tedeschi); sono in alfabeto che richiama il "runico" dei paesi nordici e suole chiamarsi "runico turco" (o kök türk) o turco dell'Orkhon. Questo alfabeto deriva da un tipo antico di alfabeto sogdiano, dei Ṣoghd iranici allora distribuiti nel paese ora detto Turkestan, e per questo tramite dipende da un alfabeto aramaico. Questo alfabeto fu usato qualche secolo dai Turchi e tralasciato poi quando venne in uso l'alfabeto uigurico (v. più avanti); tuttavia alcuni documenti, anche su carta, nell'alfabeto dell'Orkhon sono stati trovati anche tra i documenti in uigurico, a Turfan. Il Németh ha recentemente decifrato un alfabeto runico turco speciale dei Peceneghi. A questo alfabeto si collega anche la cosiddetta scrittura "runica" dei Siculi ungheresi di Transilvania. Il contenuto delle iscrizioni presenta un grande interesse linguistico e storico, ma non è privo di valore letterario.
Le esplorazioni compiute nel Turkestan cinese alla fine del secolo scorso e agl'inizî del presente, specialmente nei dintorni di Turfan, hanno messo in luce, insieme con documenti scritti in cinese e in lingue iraniche e indoeuropee, molti manoscritti turchi nella lingua usata dai Turchi dei secoli IX-XII d. C., che si suole chiamare in senso ampio uigurica, con riferimento ai Turchi Uiguri che la storia ci attesta essere vissuti ivi in quel tempo e avere fondato un regno durato fino all'invasione mongolica. I manoscritti turchi sono di contenuto per lo più religioso (buddhisti, ebraici, nestoriani, manichei); ve ne sono anche di contenuto commerciale (fatture, contratti); si trovano redatti in alfabeti diversi: runico turco, uigurico, manicheo, siriaco, sogdiano, brahmi indiano. L'alfabeto cosiddetto uigurico è una derivazione del sogdiano più recente e origina quindi anch'esso dall'aramaico; fu probabilmente introdotto tra i Turchi da missionarî manichei verso il sec. VIII d. C. Esso restò in uso tra i Turchi dell'Asia Centrale e del Turkestan e anche un poco più ad ovest fino al sec. XIII-XIV, quando fu sostituito completamente dall'arabo in seguito all'islamizzazione dei Turchi. Però i Turchi della Cina che non abbracciarono l'Islam continuarono a farne uso fino al sec. XVIII; ancora nel sec. XVI si hanno rari scritti in alfabeto uigurico tra i Turchi musulmani. Da esso sono derivati gli alfabeti mongolo e mancese.
I manoscritti in turco uigurico (la cui lingua è un poco differente da quella delle iscrizioni dell'Orkhon) hanno importanza soprattutto linguistica e sono notevoli per la storia delle religioni; il loro valore letterario è invece minimo, trattandosi per lo più di traduzioni.
Letteratura turca d'ispirazione musulmana nei sec. XI-XIV. - I Turchi cominciarono nel sec. VIII d. C. ad aver contatto con la cultura araba e persiana musulmana. La conversione di notevoli masse della loro popolazione avvenne soltanto nei secoli IX e X sotto i Samanidi nella Transoxiana. Dopo il Mille la maggioranza dei Turchi erano islamizzati; essi accolsero con la religione anche le nozioni culturali e i gusti artistici dei Persiani e degli Arabi e con le idee anche i vocaboli, prima in numero ristretto, poi in misura sempre più ampia, a mano a mano che si estero ad occidente e fondarono regni musulmani.
La letteratura turca musulmana cominciò alla corte dei sovrani turchi Qarakhānidi della Transoxiana e del Turkestān (990-1213). La prima opera di questo genere è un trattato dal titolo Qutadghu Bilik "La scienza che dà felicità", oppure "La scienza che si conviene ai re"), composta nel 462 eg. (1069-1070 d. C.) da un Yŭsuf, hāgib "ministro" di Bughra Khān, sovrano turco di Kashgar. È un trattato in versi, 6500 circa, in metrica quantitativa arabo-persiana e precisamente in metro mutaqārib come lo Shāhnāmeh di Firdūsī (donde la designazione, peraltro inesatta, di Shāhnāmeh turco), in forma di dialogo. È un trattato didattico sull'arte del regnare e del ben vivere, simile ai sivāsetnāmeh persiani, con la differenza che non contiene racconti morali, ma solo massime e sentenze espresse in forma spesso immaginosa. La lingua è quella di Kashgar, del sec. XI, che lo scrittore contemporaneo Maḥmūd, di Kashgar, chiamava khāqāniyyah e giudicava essere la più pura lingua dei Turchi di allora. Appunto nel Dīwān lughāt at-Turk di Maḥmūd al-Kāshgharī si trovano ampie notizie sui Turchi di quel tempo e sono riferiti proverbî, modi di dire, anche brevi strofe in turco, di carattere popolare. Ma non ci è stato tramandato alcun altro lavoro turco dotato d'importanza letteraria, che risalga al sec. XI.
Lo scrittore persiano Fakhreddīn Mubārekshāh, vissuto durante il regno dei Ghōridi nell'Afghānistān, morto nel 1206 a Lahore, in varî punti della sua Ta'rīkh "Storia" (ediz. Denison Ross, Londra 1927), fornisce informazioni sui Turchi, sull'importanza politica dei Turchi, sul crescente interesse dei Musulmani per la lingua turca e sull'esistenza di qaŞīdeh e rubā‛ī in lingua turca. Egli cita appunto un ruobā‛ī "quartina" di soggetto mistico amoroso, dandone anche la traduzione in persiano.
Un altro trattato morale didattico in versi (edito a Costantinopoli) s'intitola Hibat ul-ḥaqā'iq "Il dono delle verità", o, come altri legge, ‛Aibat ul-Ḥaqā'iq "Il ripostiglio delle verità" opera di Aḥmad ibn Maḥmūd Yūghnekī; fu composto nella seconda metà del secolo XII per un emiro del Turkestān, in una lingua molto vicina a quella del Qutadghu Bilik, ma più penetrata da vocaboli stranieri, soprattutto arabi. È una sequela di massime in versi sull'utilità del sapere e della moderazione della lingua, sulla mutabilità delle cose di questo mondo e i pregi della generosità. Si tratta di un genere letterario molto diffuso fra tutti i popoli, specialmente in Oriente, e noto fra i Persiani con il termine di pend-nāmeh. Il pensiero religioso musulmano si diffondeva nell'Asia Centrale soprattutto per la predicazione di ṣūfi "mistici" e la poesia mistica diventò veicolo popolare di propaganda musulmana. Nel tempo di cui discorriamo un poeta turco, di nome Ahmed, morto nel 562 (1166-1167) a Yesī (ora chiamata Turkistan), e perciò noto come Ahmed Yesevī, compose brani poetici raccolti in un canzoniere con il titolo Dīwān-i Ḥikmet "Il canzoniere della Sapienza (mistica)" sono brevi poesie contenenti ammaestramenti e preghiere. Il dīwān fu molto letto dai musulmani turchi anche in tempi posteriori. La lingua può dirsi vicina a quella di Kashgar del sec. XII, la metrica è la sillabica popolare dei Turchi, con rime a distico o a quartina; è notevole l'intensità del sentimento religioso.
La situazione culturale del sec. XIII fu influenzata dagli avvenimenti politici: l'invasione mongola favorì in definitiva il consolidamento della cultura musulmana nell'Asia Centrale e nell'Asia anteriore, ma non aiutò lo sviluppo della letteratura turca, almeno in un primo tempo, mentre favorì un'espansione culturale persiana in Persia e nei paesi vicini.
Svolgimento della letteratura dei Turchi nell'Asia centrale, nel Turkestan e nella Persia meridionale fino ai tempi moderni. - La terminologia, invalsa da tempo, chiama ciaghatāi la letteratura turca del Turkestan dal sec. XIV in poi. Il termine si può accogliere, ma con limitazioni di tempo e di significato, considerando con il Samojlovič che la letteratura (e la lingua) turca dell'Asia Centrale seguì questo processo di evoluzione: turco preislamico dell'Orkhon e uigurico, turco qarakhānide, turco ciaghatāi (sec. XIV-XVI), özbek (dal sec. XVII in poi). Per il tempo presente sono da aggiungere all'özbek altre lingue e altri movimenti letterari turchi della Russia asiatica, come diremo. Invece del termine Ciaghatāi, che è il nome del secondogenito figlio di Genghīz Khn, applicato per convenzione alla lingua e alla letteratura turca del Turkestan nei secoli XIV-XVI, altri preferisce il termine "turco orientale", il quale ha un più preciso significato geografico, ma non si presta a definire un fatto che è anche storico. Questa lingua letteraria si formò specialmente nel Khwārizm durante il dominio dei Mongoli. Nel 1311 un Qāḍī Nāsir, detto Rubghūzī, terminò e presentò a un principe mongolo la sua opera Qiṣaṣ-i Enbiyā, scritta nel turco che stava allora diventando generale per gli usi culturali e ufficiali nell'Asia. E in prosa con brani poetici in metro quantitativo ramal; contiene racconti della vita del Profeta e di Ḥasan e Ḥusein, leggende come quelle dei Sette Dormienti, ecc. Enumeriamo di seguito altre opere attribuibili al sec. XIV e alla cosiddetta letteratura ciaghatā, nella quale denominazione comprendiamo anche la letteratura del Khwārizm e dell'Orda d'Oro fino alla Russia meridionale: Mu‛īn al-murīd dello sheikh Sharaf o Islām (ms. a Brussa), di soggetto mistico; Nahǵ al-Farādīs "La via dei paradisi" di Maḥmud Khwārizmī, composto nel 1360, traduzione e spiegazione in turco di quaranta ḥadīth; Khusrev ve Shīrīn di Quṭub (ms. Parigi), iraduzione dell'omonimo poema del persiano Niẓāmī; Maḥaobetnāmeh di un Khwārizmī (ms. British Museum; in data 1353); Giümgiümenāmeh di Ḥasan Kātib, composto nel 1368-1369, imitazione di un racconto poetico del persiano Ferīd ud-Dīn ‛Aṭṭār; Bakhtiyār nāmeh, versione turca dal persiano delle novelle indiane dette di Sindābād o dei sette visir accolte anche nelle Mille e una Notte (ms. in caratteri uigurici, datato 838 ègira, 1434-35); Mi‛rāǵnāmeh (in caratteri uigurici, ediz. e traduz. Pavet de Courteille, Parigi 1882); Tezkere-i Evliyā, traduzione turca dell'opera Tadhkirat ul-Awliyā' di Ferīd-ud-Dīn ‛Aṭṭār (in caratteri uigurici, ms. dell'840 eg., ediz. e traduz. Pavet de Courteille, Parigi 1889-1890).
La letteratura turca orientale continuò a svilupparsi sotto gli ultimi discendenti di Tamerlano (i Timuridi) con i poeti Sakkākī e Luṭfī (inizio sec. XV). Lo scrittore più importante di questo periodo, quello che riassume in sintesi la cultura letteraria dei Turchi dell'Asia centrale è Mīr ‛Alī Shīr Nevā'ī, di Herāt, dove morì nel 1501; fu ministro dell'emiro di quella città e amico del poeta persiano Giāmī. Egli ha lasciato molti scritti in turco orientale e in persiano. Le sue opere in turco sono per lo più traduzioni di scr: tti di Niẓāmī, Ferīd ud-Dīn ‛Aṭṭār e Giāmī. In un trattato in prosa (Muḥākamat al-lughatain "Processo o confronto delle due lingue"), egli cercò di mostrare la superiorità di espressione del turco rispetto al persiano, ma non pose la questione se i Turchi potessero cercare fonti d'ispirazione all'infuori dei modelli persiani. Alla storia letteraria di questo periodo appartiene il sovrano turco-mongolo Bābur, fondatore dell'impero detto dei Moghul in India, morto nel 957 eg. (1530-1531). Egli scrisse in turco orientale un'autobiografia nota con il titolo di Bāburnāmeh, importante anche per le notizie sui letterati turchi e persiani del suo tempo.
Nei secoli XVI-XVIII la lingua turca continuò a prevalere in Persia nel territorio attorno a Tabrīz (Azerbāigiān persiano), e sui confini con il Caucaso e con l'Anatolia; la corte safawide e l'esercito persiano ancora al tempo dello scià ‛Abbās il Grande (1587-1629) a Iṣfahān parlavano turco. Seguirono secoli di decadenza sia per la letteratura persiana sia per la turca. Nel Turkestān uno Shaibānī (più correttamente Shībānī), di razza turca uzbeka, nipote di Abü'l-Khair, che aveva sconvolto il regno dei Timuridi, fondò una nuova dinastia uzbeca del Turkestān. Egli fu sconfitto e ucciso nel 1510 nel Khorāsān da Ismā‛īl Scià il ṣafawide; i suoi discendenti regnarono nel Turkestān e nel Khwārizm fino al sec. XVIII. Uno di questi sovrani, Abū'l-Ghāzī Behādur Khān (1605-63), scrisse una storia dei Turchi (Shaǵarat at- Turk, edizione Desmaison). Da allora fino ai nostri giorni i Turchi del Caspio ai confini della Cina non hanno avuto che una scarsa attività letteraria. Un certo risveglio culturale si ebbe fra i Turchi di Kazan′ qualche secolo dopo la conquista russa (1552); questo risveglio, che fu anche religioso e politico, cominciò agl'inizî del secolo XIX e fu promosso anche dall'istruzione appresa dai Russi. Ricordiamo qui lo storico Shihāb ad-Dīn Mergiānī (morto nel 1889) e il poligrafo ‛Abd ul-Qayyūm Nāṣir (1824-1902).
Inizio della letteratura turca in Anatolia. - Sotto i Turchi Selgiuchidi d'Anatolia (la cui dinastia finì nel 1302 con lo stabilimento della famiglia turcomanna dei Qaramān a Conia) l'arabo e il persiano furono di preferenza usati negli scritti letterarî in genere, ma il popolo parlava turco o greco. La lingua turca serviva per gli scopi pratici e per l'insegnamento religioso, che aveva una tendenza spiccatamente ascetico-mistica anche per effetto del turbamento arrecato dalle incursioni dei Mongoli nella prima metà del sec. XIII. I propagandisti religiosi, detti baba, molti dei quali provenivano dal Khorāsān e dalla Persia, diffondevano la poesia religiosa mistica delle tekke (specie di conventi musulmani), non priva di sentimento e di efficacia sugli animi dei fedeli. Al sec. XIII appartiene Ḥāggī Bektāsh Velī, turco, originario del Khorāsān, dal quale prese nome la confraternita dei Bektāshī (v.).
Alcuni versi in turco sono attribuiti anche al grande poeta Gelāl ud-Dīn Rum, nato a Balkh nel 1207, morto a Conia nel 1273, detto dai seguaci Meilānā "signor nostro" e iniziatore della confraternita dei Mevlevī, che è stata abolita in Turchia nel 1925 e vive ancora stentatamente in Egitto. Egli compose in persiano il grande poema mistico in distici detto Mathnawī (methnevī; in un'altra sua opera, il Dīwān "Canzoniere", si trovano una breve poesia (ghazel) in turco e alcuni versi inseriti qua e là in turco e in greco. Trascurando questi scarsi saggi, della cui autenticità non siamo sicuri, dobbiamo riconoscere un antesignano della letteratura turca d'Anatolia nel figlio di Gelāl ud-Dīn Rūmī, di nome Sultān Veled, nato a Laranda, in Caramania, nel 1226 e morto a Conia nel 1312. Anch'egli compose in persiano un dīwān e tre poemetti mistici methnevī; nei dīwān si trovano, in manoscritti abbastanza antichi, 200 versi in turco; nel methnevī intitolato Ibtidānāmeh ne ricorrono 76 e in quello chimmato Rabābnāmeh 164. Sono versi di soggetto mistico, in lingua turca anatolica del sec. XIII.
Contemporaneo di Sulṭān Veled fu Aḥmed Faqīh, di Conia, autore di un Ciarkhnāmeh, poemetto mistico di 200 versi. Shayyād Ḥamzah attorno allo stesso tempo compose poesie mistiche in lingua popolare e con metro sillabico (shayyād è sinonimo di qalender, dervīsh e bābā).
Nella seconda metà del sec. XIII visse in Anatolia Khōgiah Dehhānī, al quale s'attribuiscono un Selgiuqnāmeh in persiano, e poesie in turco d'argomento profano, il più antico esempio di tal genere per l'Anatolia. Tra il XIII e il XIV sec. si colloca la vita di Yūnus Emreh (emreh significa "fratello maggiore" e pare fosse un titolo in uso tra i mistici). Non si conosce con esattezza dove e quando sia nato; la sua attività si svolse nell'Anatolia occidentale e più probabilmente nella valle del Sakarya; forse fu sepolto alla confluenza del Porsuk con questo fiume; era ancor vivo nel 707 eg. (1307-1308). Il dīvān, che va sotto il suo nome e fu molto diffuso fra i Turchi dell'Anatolia, contiene un methnevī di 600 distici, alcune centinaia di brevi odi (ghazel) e inni religiosi (ilāhī) che si distinguono per intensità e freschezza di sentimento; la metrica è spesso sillabica, la lingua e lo stile sono semplici e quasi popolari.
Appartengono al sec. XIV altri poeti turchi: Gülshehrī, che tradusse in turco liberamente con aggiunte il Manṭiq uṭ-Ṭair di Ferīd ud-Dīn ‛Attār, scrisse un methnevī notevole per purezza di lingua, regolarità di metro e gusto artistico (studiato dal Täschner); ‛Āshiq Pascià, che compose un methnevī intitolato Gharībnāmeh, imitazione dei modelli di Gelāl ud-Dīn Rūmī e di Sultān Veled. All'inizio del sec. XV ci conducono Sulaimān Čelebī (morto a Brussa nell'825, 1421-1431), autore di un Mevlid, breve componimento poetico sulla nascita di Maometto, ancor oggi letto dai Turchi; Yazïgï Oǧlu Meḥmed, morto a Gallipoli nel 1451, il cui poema Moḥammediyyeh, sull'universo e la missione di Maometto, ha un più vasto disegno. Altri poeti tradussero con adattamenti i romanzi poetici persiani (un ‛Izz ed-Dīn tradusse Suheil ve Nevbahār; Aḥmedī, morto nel 1413, tradusse l'Iskendernāmeh di Niẓāmī, aggiungendo capitoli sulle prime gesta degli Ottomani) e i lirici persiani (il Bustān di Sa‛dī fu tradotto da Khōgiah Mes‛ūd).
Sviluppo della letteratura turca (ottomana) fino al sec. XIX. - La letteratura turca ottomana, della quale abbiamo visto gl'inizî, continua per cinque secoli sotto lo stesso segno del persianismo, aggravando i difetti del modello e producendo una quantità considerevole di opere, in buona parte ancora inedite, tra le quali emergono pochi valori artistici e rare espressioni originali. Il convenzionalismo e l'artificio prendono il posto del sentimento e dell'ispirazione; la letteratura è dotta nel senso più arido della parola, disgiunta dal popolo, che ha i suoi canti e al più intende la poesia religiosa delle confraternite e la lirica popolareggiante dei continuatori di Yūnus Emreh. I letterati sono qāḍī e muftī, mudarris delle scuole islamiche (le medreseh, famosa quella annessa alla moschea del Fātiḥ a Costantinopoli), segretarî e scrivani degli uffici della Porta, legati ai ministri e intenti a procacciarsi i favori loro e la protezione del sultano. La lingua scritta dal sec. XV in poi accoglie migliaia di vocaboli, persino frasi e costruzioni sintattiche dell'arabo e del persiano; anche la metrica è presa dall'arabo attraverso il persiano; è la metrica quantitativa, che non s'adatta alla lingua turca, priva di una vera distinzione di vocali brevi e lunghe, ed è contraria all'uso popolare turco della metrica sillabica. I generi letterarî persiani sono trasportati direttamente in traduzioni o imitazioni, nella letteratura turca; tra i lirici Sa‛dī e Ḥāfiẓ, tra gli autori di romanzi poetici Niẓāmī e Giāmī sono i più imitati; e quasi tutti i poeti turchi, sul tipo persiano, hanno un loro dīvān "canzoniere" in cui alle lodi a Dio e al Profeta (na‛t) e alla qaṣīdah (ode monorimica di varia lunghezza) segue la raccolta alfabetica (in ordine di rima) dei ghazel (piccola ode monorimica da 4 a 15 versi, con il makhlạs, pseudonimo poetico, nell'ultimo verso), delle quartine (ruba‛i), dei frammenti (qiṭ‛ah), da un distico (bait) o più fino a mezzo distico (miṣrā‛). Alcuni eccellono per cronogrammi (ta'rīkn), ingegnosi componimenti fondati sul valore numerico delle lettere arabe, che servirono a datare avvenimenti diversi. Altri prediligono la forma dei tergī‛-bend (serie di strofe indipendenti con ritornello ripetuto) o dei terk?īb-bend (serie di strofe indipendenti con ritornello variato). Tra i componimenti in voga erano quelli consistenti nell'amplificazione di versi di poeti precedenti (con procedimenti detti takhmīs e tasdīs); si usava anche redigere componimenti con lo stesso metro e la stessa rima di poesie di altri poeti (detti naẓīreh). Molti scrivono poemi più o meno lunghi, da qualche centinaio a migliaia di versi, in serie di distici, detti perciò methnevī, di soggetto vario, mistico per lo più, sotto forma di racconto (romanzo poetico persiano). Nonostante queste varietà si può conglobare tuth la poesia turca sotto la denominazione di poesia lirica; l'epica manca totalmente, non potendosi considerare tali i racconti poetici di fatti storici, dei quali è detto più avanti; traduzioni dello Shāhnāmeh di Firdūsī furono fatte, ma imitazioni mancano; né è da parlare di poesia drammatica. Questa lirica ha il difetto di essere troppo manierata e legata dal suo artificio. La primavera, soggetto di alta ispirazione che a qualche poeta persiano e turco suggerì descrizioni vivide e splendide, diventa monotona e fredda nella sua ripetizione, all'inizio di quasi tutte le qasṣīdeh e di molti ghazel e nei varî capitoli dei methnevī. Le lodi dei sultani riescono troppo spesso insignificanti. V'è poi un procedimento del tutto convenzionale nel ghazel, che è impostato sulle lodi dell'amato (anche in senso mistico) o dell'amata e sullo struggimento d'amore. Nella maggioranza dei casi si tratta di poesia erotico-bacchica (may ve maḥbūb edebiyyātï) convenzionale; e in ciò stanno il suo difetto e la difficoltà d'interpretazione. Il Rypka, il quale ha meglio studiato negli ultimi tempi questa materia, osserva che "prima di essere accolta dai Turchi, questa arte poetica aveva già perduto in mani persiane il contatto con la vita. I Turchi continuarono fedelmente le stesse astrazioni in cui si moveva la poesia, soprattutto la lirica; per di più cercavano di darle un'impronta in qualche modo diversa dalla persiana mediante sottigliezze, minutezze, giuochi di parole, idiomatismi, frasi e proverbî. Le sottigliezze (nükte) diventano veri indovinelli, soprattutto nei ghazel e nelle forme poetiche affini. Il sentimento non c'entra affatto". Ecco alcuni motivi del procedimento tecnico della lirica dei ghazel. La persona amata è paragonata a un cipresso (seri) e il suo incedere ondeggiante (khïrāmān) è assomigliato al dondolare dell'albero; talora è detta simile alla luna (māh) o al sole (mihr); essa è Leilà e l'innamorato è Meǵnūn "il pazzo" oppure è Shīrīn e lo spasimante è Ferhād; essa è il re (shāh) o un idolo (ṣanem, but) e il poeta è il mendicante (ghedā) o l'adoratore. Gli occhi della persona amata lanciano frecce, le ciglia sono pugnali (khančer), le sovracciglia sono arco (qavs o kemān); altre volte gli occhi sono paragonati al narciso maliardo (fettān) o ebbro (mest). L' amante è candela (mūm, shem‛) che si arde e consuma, è la farfalla (pervāneh) che attratta dalla luce si brucia e muore; le sue lagrime sono "di sangue". Il viso dell'oggetto della passione è simile alla rosa (gül) e l'innamorato è l'usignolo (bulbul o ‛andalīb); i riccioli (zulf) sono sempre sparsi (perishān) e l'amante per essi è perduto (perīshān); le chiome nere richiamano l'immagine del serpente (yïlan); le labbra sono rubini (la‛l), che spargono perle (durr). La crudeltà (gefā) della persona amata è ragione dei più forti lamenti e delle più gravi accuse dello spasimante che la chiama kāfir "infedele, non musulmana", zālim "tiranna" e la paragona ai più feroci guerrieri, come il mongolo Hulāgī, saccheggiatore di Baghdād. Altro materiale poetico per i ghazel, le qaṣīdeh e i methnevī sono le leggende, la storia, la cosmogonia orientale, echi coranici e credenze religiose islamiche, la mistica nelle sue espressioni più diverse.
Ne consegue che non si può giudicare questa poesia turca con i criterî occidentali. Il giudizio che abbiamo espresso non vuole essere del resto troppo generalizzato; in molti poeti, come in Fuẓīlī e più raramente in Bāqī, Yaḥyà, Sābit (Thābit), sheikh Ghālib, ecc., si rilevano anche accenti umani e il sentimento vince talora la concettosità della dizione.
Il periodo persianeggiante o classico (o "letteratura dei canzonieri" dīvān edebiyyātï, come dicono oggi i Turchi con non celato disprezzo) si può fare arrivare al sec. XIX; esso tocca l'auge nel sec. XVI al tempo della massima potenza dell'impero, sotto Solimano il Magnifico (1520-1566), sovrano fortunato in guerra, splendido in pace, gran protettore dei letterati e degli artisti e poeta egli stesso (pseudonimo Muḥibbī) come altri sultani e principi che lo precedettero (principe Gem, sultano Selīm) e lo seguirono. Nell'elenco dei poeti vengono tra i primi, in ordine di tempo, Sheikhī (morto dopo l'832 = 1428-1429), autore di un adattamento turco del methnevī intitolato Khusrev u Snīrīn di Niẓām, di un dīvān e del Kharnāmeh "Il libro dell'asino", primo esempio di poesia satirica in turco; Aḥmed Pascià (morto nel 902 = 1496-1497), ritenuto il migliore del suo tempo; Negiātī, rivale di Aḥmed Pascià; Mesīḥī (morto nel 1512), celebrato per le sue liriche, per una famosa canzone in quartine (murabba‛) sulla primavera e per un poemetto dal titolo Shehrenghīz "Quel che turba la città", descrizione dei "bei giovani" di Adrianopoli, che è più faceto che realistico; Lami‛ī (morto verso il 1530), che volse in turco racconti poetici persiani di Giāmī, e d'altri; Khayālī, nativo di Rumelia, morto ad Adrianopoli nel 964 eg. (1556-1557), poeta di notevole originalità, fortemente imbevuto di spirito religioso. Accanto a lui ricordiamo Fuẓūlī, benché nato e vissuto nel ‛Irāq e morto a Kerbelī nel 963 ègira (1555-1556) e appartenente alla letteratura turca azerī per la lingua lievemente diversa da quella ‛osmānlï. Quando, nel 1534, Baghdād fu presa da Solimano il Magnifico, Fuẓūlī dedicò al conquistatore ottomano una qaṣīdah, come già prima ne aveva dedicate ai governanti di Persia, verso i quali, come sciita, doveva essere più sinceramente incline. Fuẓūlī è, secondo alcuni, per forza di sentimento e bellezza di forma, il più grande poeta turco classico; la sua popolarità si estese fino alla Crimea e al Turkestan. Ha lasciato tre dīvān, in turco, in persiano e in arabo; un racconto poetico mistico-amoroso: Lailà ve Meǵnūn; il trattato Ḥadīqat us-su‛adā, in prosa, sui martiri sciiti.
A Costantinopoli fiorì allora Yaḥyà Bey, albanese d'origine, anzi della famiglia principesca dei Dukagjin, autore di una raccolta di cinque racconti poetici (khamseh), tra i quali Shāh we Ghedā "Il re e il mendico" e Yūsuf ve Zelīkhā, argomenti allora in voga, e di un dīvān. Ma il più famoso dei poeti del tempo, quello che compete con Fuẓūlī, è Bāqā (v.). Egli nacque a Costantinopoli nel 933 (1526-1527), godé il favore di Solimano, di Selīm II e Murād III, fu madarris e qāḍī in varie città, anche a Mecca e Medina; morì nel 1600. Non ebbe il vigore di sentimento di Fuẓūlī, ma lo superò nella padronanza della lingua, del metro e dell'arte poetica del suo tempo; cantò in molte qaṣīdeh le lodi dei sovrani e dei loro ministri e fu maestro insuperato nei ghazel, che trattano il solito repertorio dell'amore, del vino, della bellezza, con il comune rimpianto sulla fragilità della vita. Bāqī aveva coscienza del suo valore e se ne vantava.
Veramente i Turchi inclinano a dare la palma poetica nella qaṣīdeh a un altro poeta, di poco posteriore, Nef‛ī, nativo della provincia di Erzerum. Le sue odi sono famose per eloquenza e felicità d'immagini, che però hanno troppo ridondanza e portano già i segni della decadenza. Egli esaltò Murād IV (1623-1640) e lo esortò a combattere lo scià dei Qïzïlbāsh (lo scià di Persia) e a ricongiungere all'impero la città di Baghdād, che era stata presa dai Persiani. Murād IV riconquistò Baghdād nel 1639, ma il poeta era già stato da lui mandato a morte quattro anni prima. Per intendere gli usi del tempo, giova ricordare che Murād stesso era poeta e Nef‛ī lo celebrava come "l'unico sovrano che conoscesse ugualmente il persiano (fārsī), il turco e l'arabo (tāzī)".
L'indirizzo letterario che abbiamo esaminato, continua, con qualche innovazione linguistica e modificazione di gusti e di tendenze, nei secoli XVII-XVIIII. Questo periodo di transizione è rappresentato da Nābī, nativo di Urfa (morto nel 1712), noto specialmente per il poema didattico Khairiyyeh, dedicato al figlio Abū'l-Khair (fatto conoscere in Europa dal Pavet de Courteille sotto il titolo Conseils de Nabi Effendi à son fils Aboul Khair, Parigi 1856). Egli ebbe rivale Thābit (pron. Sābit), originario della Bosnia (Uziče), morto nel 1712, autore di un dīvān, di un methnevī romantico Edhem ü Humā, d'un altro poemetto Ẓafernāmeh in onore di Selīm Ghirāy khān di Crimea, e di due componimenti umoristici, pure in versi: Khōgiah-i Fesād e Berbernāmeh. Nelle sue poesie s'incontrano espressioni e proverbi popolari; la lingua è molto ricca. I gusti di quel tempo si riassumono in un altro grande poeta, Nedīm, di Costantinopoli, protetto dal gran vizir Ibrāhīm Pascià sotto Aḥmed III. Erano allora in voga le feste della corte in campagna, come a Sa‛dābād, in fondo al Corno d'Oro; Nedīm s'ingegnava a portare la nota del suo canto in quelle feste e nell'atmosfera di quell'età che, per la predilezione dei tulipani (lāle), fu detta lāle devri e che troviamo descritta nelle lettere di lady Montagu; morì nel 1730 durante una sommossa. I critici apprezzano la sua chiarezza, il linguaggio più semplice di quello dei predecessori, la scioltezza del verso popolareggiante, specialmente nei canti detti sharqī che erano anche musicati.
L'ultimo grande poeta turco classico (nel senso detto sopra) fu lo sheikh Ghālib, nato a Costantinopoli nel 1171 eg. (1757-1758); affiliatosi alla confraternita dei Mevlevī, andò a Conia a vivere qualche tempo vicino alla tomba del santo Mevlānā Gelāl ud-Dīn Rūmī; tornato a Costantinopoli, diventò sheikh della tekke dei Mevlevī a Galata; morì nel 1799. La letteratura turca ottomana, che annovera tra i primi poeti il figlio del Mevlānā, Sulṭān Veled (v. sopra), vissuto nel tempo in cui si formava l'impero, si può dire chiusa con il canto di un Mevlevī a Costantinopoli quando le guerre napoleoniche scuotevano l'Oriente e davano inizio a un nuovo ordine di cose politico e anche culturale, e mentre l'impero cominciava a sfasciarsi. Oltre il dīvān, sheikh Ghālib ha lasciato un bel racconto amoroso-mistico nella forma del methnevī; si chiama Husn ve‛Ashq "Bellezza e Amore" e narra le vicende fantastiche di Ḥusn "la Bellezza (mistica)" e di ‛Ashq "l'amore (mistico)", che si conoscono da bambini e s'innamorano, ma sono contrariati e separati e finalmente si ritrovano dopo che l'Amore è passato tra prove tremende, varcando mari di fuoco su navi di cera, vincendo demoni e orchi.
Le donne in Turchia in quel tempo raramente ricevevano istruzione e si accostavano alle lettere; però questa loro esclusione non doveva essere tanto generale come si crede, dato che il sec. XV annovera una poetessa Mihrī Khānïm, di Amāsia, e altre poetesse minori sono ricordate nel periodo successivo fino a Fitnet Khānïm, che visse a Costantinopoli e morì nel 1780 ed è considerata la migliore, Laylà e Sheref Khānïm, che appartengono già al sec. XIX.
La prosa, della quale abbiamo tralasciato fin qui di far cenno, segue la poesia di qualche tempo e appare nel sec. XV come mezzo di espressione anche letteraria. Non è possibile in questo riassunto trattare del valore letterario dei molti libri di religione, di scienza ed erudizione, in cui la lingua turca si sostituì lentamente all'araba. La storia cominciò ad essere raccontata in poesia da Aḥmedī nel sec. XIV, da Enverī nel XV, da Ḥadīdī nel sec. XVI; in prosa si scrisse dalla fine del sec. XV. Anche le opere di storia, se si eccettuano quelle limitate all'enumerazione delle date e dei fatii, sono composizioni letterarie, redatte in una lingua astrusa, piena di reminiscenze arabe e persiane, inframmezzate di citazioni di versi altrui e più spesso di versi dello storico, talora colorite da riflessioni morali e filosofiche. Appartengono a questo genere le storie di Āshiq Pascià-Zādeh, di Muṣṭafà detto Nīshāngī (Ṭabaqāt ül-memālik ve deregiāt ül-mesālik), di Khōgiah Sa‛d ud-Dīn (Tāǵ üt- Tevārīkh), di ‛Ālī (morto nel 1559), autore di Künh ül-Akhbār, di Na‛īmā (morto nel 1716), ecc., fino a Ahmed Gevdet (morto nel 1895). Valore letterario o ausiliare hanno anche molte tedhkereh o "elenchi" di poeti, le biografie (quelle di A. Tāshköprü-Zādeh sono in arabo), le bibliografie, da quelle di Ḥāǵǵi Khalīfah (Keshf uẓ-ẓunūn in arabo) al moderno repertorio bio-bibliografico di Būrsalï Meḥmed Ṭāhir (‛Osmānlï Mu'ellifleri), i Viaggi (Seyāḥet-nāmeh) di Evliyā Celebī, del sec. XVII, i numerosi trattati sull'ordinamento politico e finanziario dell'impero, dall'fĀsafnāmeh di Luṭfī Pascià (sec. XVI) a Naṣā'iḥ ül-vüzerā ve ‛l-ümerā di Ṣarï Meḥmed Pascià (sec. XVIII), a Netā'iǵ ül-Vuqū‛āt di Muṣṭafà Nūrī Pascià (morto nel 1890). Dalla fine del secolo XVIIin poi molti uomini politici andati in missione all'estero diedero conto dei loro viaggi in relazioni (sefāretnāmeh).
La novellistica in prosa imita o traduce modelli arabi e persiani (nel sec. XV Sheikh-Zādeh Aḥmed voltò dall'arabo in turco le storie dei Quaranta Visir, Qïrq Vezīr ḥikāyesi; verso il 1530 ‛Alī Celebi tradusse le favole di Bidpai con il titolo Humāyūn-nāmeh), ma tratta pure temi popolari e originali (v. sotto: Letteratura popolare). Va notató inoltre che, mentre il servizio delle armi e gl'incarichi militari e politici fino alla carica di gran visir erano esercitati per lo più da non turchi, cioè da prigionieri di guerra convertiti o da gente proveniente dalle speciali leve (devshirme) fatte periodicamente nelle provincie cristiane dell'impero, gli uffici amministrativi, giudiziarî e religiosi erano riservati ai musulmani di nascita; da questa categoria uscivano, come s'è visto, i letterati, fatte poche eccezioni: un Murād Bey, d'origine ungherese, adattò in turco per Solimano il Magnifico il De Senectute di Cicerone dietro commissione del bailo Marino di Cavalli; albanese, cristiano d'origine, era il poeta Yaḥya Bey; lo storico e gran visir Rustem Pascià era cristiano bosniaco.
Pochi o quasi nulli furono gl'influssi della cultura europea sui Turchi fino a tutto il sec. XVIII; qualche traduzione dal latino o da lingue europee non ebbe alcuna eco nella letteratura propriamente detta e sfiorò appena la cultura storica e geografica o servì all'apprendimento delle scienze moderne, specialmente per usi militari. Scarsa fu anche l'influenza letteraria turca sui paesi dominati, appena avvertibile nei territorî orientali di lingua araba, minore nei paesi balcanici e nell'Europa orientale.
La letteratura turca moderna e contemporanea in Turchia. - ll passaggio dalla letteratura antica alla nuova in Turchia si compì lentamente e per gradi nel corso del secolo XIX; gli elementi e gli stimoli del rinnovamento furono parecchi: l'introduzione della stampa, avvenuta nel 1729, sospesa per qualche decennio e ripresa nel 1785; fondazione di scuole specialmente per militari con istruttori europei e scuole medie di tipo europeo (Ghalata Serāy nel 1868); fondazione di giornali (il primo, ufficiale, detto Taqvīm-i Veqā'i‛, nel 1831); invio di studenti all'estero, specialmente in Francia; diffusione della lingua francese; traduzione di centinaia di opere europee; avvenimenti politici sotto Selīm III e Maḥmād II (annientamento dei giannizzeri nel 1826, Khaṭṭ-i sherīf di Gülkhāneh del 1839 iniziante le Tanẓīmāt "Riforme"); rivolta greca del 1821; guerra di Crimea del 1854-1855; formazione di associazioni politiche liberali (Yeñi ‛Osmānlïlar nel 1865); firmano delle riforme del 1856 e ingresso dell'impero ottomano nel concerto degli stati europei, dai quali era stato fino allora appartato come voleva la sua particolare fondazione giuridica musulmana; prima costituzione del 1876. Tra il 1826 e il 1876 cessa il Medioevo turco e contemporaneamente ha inizio la letteratura turca moderna. La quale si distingue dall'antica per alcuni caratteri essenziali: l'ispirazione artistica europea si sostituisce a quella orientale, sono accolti nuovi generi letterarî (novella, romanzo, teatro), la prosa si semplifica con un'evoluzione che si è compiuta ai nostri giorni; la letteratura si nazionalizza, da ‛osmānlï diventa turca ed esce dall'angusto ambiente dei dotti per muovere verso il popolo.
Gli storici moderni turchi distinguono varie fasi, che designano con diversi nomi e suddividono in molte correnti. Nonostante la loro imprecisione, queste classificazioni dànno un'idea sintetica del rinnovamento letterario turco.
Letteratura del periodo delle Riforme, detta dai Turchi Tanẓīmāt Edebiyyātï. - Sono additati come principali rappresentanti di questo indirizzo, che giunge oltre il 1900, ‛Ākif Pascià (morto nel 1848), Shināsī, traduttore di poeti francesi, poeta lui stesso, fondatore dei primi giornali non ufficiali (Terǵümān-i Aḥvāl nel 1860, Taṣvīṛ-i Efkār nel 1862), Ẓiyā Pascià, e Nāmïq Kemāl, profughi per qualche tempo a Parigi e a Londra, imbevuti di idee liberali, scrittori ambedue in prosa e in poesia, maestri della lingua e conoscitori dell'antica poesia turca, persiana e araba (Ẓiyā Pascià ne raccolse un'ampia antologia in tre volumi intitolati Kharābāt), ma animati da uno spirito di rinnovamento ed echeggianti sui vecLhi metri accenti nuovi e umani. Questo vale soprattutto per Nāmïq Kemāl, che fu perseguitato dalle autorità reazionarie; nel 1873 a Costantinopoli egli fece rappresentare il dramma Vaṭan yakhūt Silistre "La Patria ovvero Silistria", rievocante un episodio di guerra fra Turchi e Russi; fu il primo dramma nazionale turco, sollevò entusiasmo, ma valse all'autore l'esilio a Cipro. Da alloia in poi la letteratura turca ripete spesso il motivo della rivolta contro i tiranni della patria e della libertà. Poco posteriore a questi è Rigiā'ī-Zādeh Ekrem (1847-1913), scrittore di drammi e poeta, soprattutto critico letterario e autore di un libro di retorica, Ta'lım-i Edebivyāt, che riassume i gusti del tempo. Con lui va ricordato onorevolmente Ebū'ẓ-Ziyā Tevfīq, letterato e tipografo di talento, la cui fama è legata alla bella antologia Nümēneh-i edebiyyāt-i ‛osmāniyyeh più volte stampata, corredata di dati biografici e giudizî critici ancor oggi apprezzati. Molto scrissero in prosa Aḥmed Midḥat (1844-1913), romanziere e traduttore, e l'albanese Shems ud-Dīn Sāmī Frāsherī, filologo, autore del Qāmūs-i türkī in due volumi e dell'unica enciclopedia in turco (Qāmūs al-A‛lām). Nella schiera dei letterati delle Tanẓīmāt ha un posto eminente ‛Abd ul-Ḥaqq Hāmid (nato a Bebek sul Bosforo nel 1852, morto a Costantinopoli il 12 aprile 1937), noto specialmente per alcuni poemetti (Maqber, Ölü, Ḥagleh) e drammi (Ṭāriq, Eshber) composti tra il 1778 e il 1886. Con lui s'affermò nella letteratura turca il romanticismo d'ispirazione europea.
Letteratura della "Servet-i Fünūn" (Servet-i Fünūn Edebiyyātï). - È così chiamata la scuola letteraria raccolta attorno al poeta Tevfīq Fikret (1867-1915) e alla rivista Servet-i Fünūn "Ricchezza delle arti" o comunque adererte a quell'indirizzo, il quale continua sulla via del modernizzamento e dell'imitazione dei gusti occidentali nella lotta contro la tirannia dispotica di ‛Abd ul-Ḥamīd, distinguendosi per il programma estetizzante. È detta anche "nuova letteratura" (edebiyyāt-i gedīdeh).
Appartengono ad essa i romanzieri Khālid Ẓiyā, Aḥmed Ḥikmet, Meḥmed Re'ūf (1875-1931) e il poeta Genāb Shihābud-Dīn.
Stanno a sé alcuni scrittori molto personali come i poeti Aḥmed Hāshim, nativo di Baghdād (1885-1933), seguace del simbolismo francese e rappresentante di un periodo intermedio che è detto del Feǵr-i ätī "L'Alba veniente " e Yaḥyà Kemāl (nato a Üsküb [Skoplje] nel 1885).
Letteratura nazionale, detta millī edebiyyāt. - È la letteratura turca dell'ultimo trentennio; il suo inizio data da poco prima della rivoluzione del 1908 e le caratteristiche sono: una maggior vigoria di sentimento nazionale, che devia verso il panturchismo e il panturanismo (v. tūrān e turanismo), migliore aderenza alla vita del popolo, ulteriore semplificazione della sintassi e turchizzamento del ritmo e del lessico. Gli scrittori sono ora nella maggior parte giornalisti o insegnanti di scuole medie e superiori; si affermano anche valenti scrittrici. Aumentano le traduzioni dal francese, dall'inglese, dal tedesco, dall'italiano (De Amicis, D'Annunzio) e dal russo, si diffonde la conoscenza di tutte queste lingue; la letteratura turca conserva solo poche reminiscenze islamiche e orientali, si europeizza, ma cerca ispirazione nel popolo. La metrica sillabica sostituisce la quantitativa; il romanzo, la novella, gli scritti politici sono i generi che prevalgono; il teatro si ferma alle traduzioni e agli adattamenti del teatro europeo. Gli scrittori sono molti e non facilmente accostabili. La loro serie va da ‛Ömer Seif ud-Dīn (1882-1920), novelliere e antesignano della riforma linguistica, a Ẓiyā Gök Alp (1875-1924), teorico del nazionalismo turco, filosofo e poeta, Meḥmed Emīn (nato nel 1869, già superato, ma indubbiamente da ricordare come precursore della poesia nazionalista e popolare), Mehmed ‛Akif (nato nel 1873, morto il 27 dicembre 1936, fedele, nonostante i tempi mutati, alle tradizioni islamiche, autore dell'Inno dell'indipendenza turca dichiarato "inno nazionale" dall'assemblea di Ankara nel 1921), Ya‛qūb Qadrī, romanziere di grande fantasia e potenza espressiva, Khālideh Edīb (nata nel 1883, educata nel collegio femminile americano di Scutari, autrice di romanzi panturchisti e nazionalisti), Aqa Gündüz, Ḥamdullāh Ṣubhī, Fāliḥ Rifqī, Rūshen Eshref, scrittori politici, Reshād Nūrī, romanziere, Fu'ād Köprülü, letterato e valente storico della letteratura turca, Khālid Fakhrī, Fārūq Nāfiẓ e Behǵet Kemāl, poeti. Lo studioso degli avvenimenti politici e del rinnovamento culturale turco degli ultimi anni dovrà tener conto del lungo discorso (Nuṭuq) del Ghāzī Muṣṭafà Kemāl (ora Kamal Atatürk), che forma un grosso volume; esso è un documento storico di grande importanza e anche un notevole saggio di eloquenza politica.
Scrittori turchi nella Russia sovietica. - Gli scrittori turchi della Russia europea ed asiatica avevano continuato nel sec. XIX la vecchia tradizione orientale e musulmana. In alcuni centri, dom l'istruzione russa s'era maggiormente diffusa, come a Kazan,, si andava però formando una scuola modernizzante. In Crimea, data la vicinanza con l'impero ottomano, la lingua letteraria si accostava già a quella di Costantinopoli e anche le tendenze panislamiche e panturchiste ricevevano alimento da quella fonte; su questa via si distinse Gaspïralï Ismā‛īl Bey o Ismā‛īl Bey Gasprinski (1841-1914), che diffuse le sue idee con il giornale Terǵümān fondato nel 1883. Nello stesso tempo nel Caucaso, intorno a Baku e fino a Tabrīz in Persia, i Turchi avevano un risveglio letterario; si pubblicavano giornali e s' istituivano scuole; Mīrzā Fetḥ-‛Alī Ākhond-Zādeh scrisse commedie in turco azerī, imitando i classici francesi e aggiungendo umorismo popolare. Dopo il 1905 la maggior libertà concessa in Russia favorì anche il progresso culturale, di modo che nel 1917, sopravvenuta la rivoluzione bolscevica, i Turchi musulmani della Russia avevano già coscienza di una solidarietà culturale e religiosa, se non nazionale, e costituivano entità regionali che tentarono di reggersi autonome; ma tra il 1918 e il 1924 le loro deboli formazioni politiche cedettero sotto l'invadenza sovietica che le ha riassorbite (v. Storia). Ora i Turchi della Russia sono sottoposti all'esperimento sovietico, areligioso e irreligioso, rivoluzionario negli usi come nelle credenze e nei gusti culturali. Gli scrittori compromessi politicamente o insofferenti del nuovo regime si sono in parte rifugiati all'estero (dalla Crimea in Romania, da Kazan′ in Polonia, in Germania e in Turchia, dal Turkestan nell'Afghānistān, in Persia, in India e nell'Estremo Oriente) e si affaticano a mantenere la fiamma della tradizione su piccole riviste mensili, in parte tacciono o si adattano ai nuovi tempi. Dalle relazioni presentate nel 1934 a Mosca nel congresso letterario pansovietico risulta che a Taškent si pubblica una rivista bimestrale sulla letteratura sovietica dei popoli dell'Asia centrale (Sovetskaja literatura narodov srednej Azii); nel Turkestan gli scrittori uzbechi, che si ispiravano prima al panturchismo e alla letteratura ciaghatai (così Fiṭret, ammiratore di Aḥmed Yesevī), sono stati superati negli ultimissimi anni dall'indirizzo comunista guidato da poeti come Ghairatī, Shamsī, Aydïn, Ṭāshpulāt. A Samarcanda dal 1926 esiste il circolo letterario Qïzïl Qalam "La penna rossa". Anche conservatori, come ‛Abdullāh Qādirī, sono stati conquistati dal movimento innovatore. Nell'Uzbekistan vi sono 32 teatri di stato, in cui si rappresentano lavori tradotti e originali. Nel Turkmenistan la letteratura non ha tradizioni classiche, ma vanta poeti popolari, come Makhdūm Qulï del sec. XIII. Nel Tataristan si è dovuto combattere contro la resistenza della tradizione religiosa; ‛Alimgiān Ibrāhīmov e Ghafūrī, già noti prima della rivoluzione e perseguitati dal governo zarista per le idee liberali, hanno capeggiato il rinnovamento; fra gli scrittori tatari di teatro è lodato Karīm Tanciurin. Nel Baschiristan si lavora a far sorgere una nuova letteratura e si fanno molte traduzioni; nell'Azerbaigian caucasico la letteratura turca sovietica fa progressi; si citano i nomi di Abū ‛l-Ḥasan per il romanzo Il mondo crolla, Mehdī Ḥusein per il romanzo La piena, Gia‛far Giabarli e Ḥusein Giāvīd, drammaturghi. Quali siano i soggetti prediletti appare dai titoli sopra riferiti e dai seguenti: Minligali e Akhmi del tataro Tlumbai (storia di due fanciulli musulmani che stracciano il Corano e vanno a iscriversi al Komsomol, la Gioventù comunista); Coppia novella del basciro Bulat (amore di Ṣāliḥ, giovane rivoluzionario, e Sonia, studentessa dell'accademia rivoluzionaria). Ma vi sono ancora persone attaccate alla tradizione prebolscevica.
Letteratura popolare. - Nell'opera Dīwān lughāt at-Turk di Maḥmūd al-Kāshgharí (sec. XI) sono riferiti alcuni proverbî e canti popolari dei Turchi di quel tempo (nel Turkestan orientale); altri pochi cenni si possono raccogliere da varie fonti. L'antico patrimonio di leggende popolari turche ci è tramandato nelle successive elaborazioni e in determinati soggetti: l'Oghuznāmeh, il Kitāb-i Dede Qorqut, dei quali esistono redazioni anche manoscritte abbastanza antiche. I musici e cantori popolari turchi erano chiamati ozan, parola che poi presso alcuni popoli turchi designò invece lo strumento a corda, detto più generalmente qopuz; dal sec. XIV circa i cantori popolari in Anatolia sono chiamati ‛ashïq.
Gli studiosi europei e negli ultimi anni anche i Turchi hanno fatto raccolte di letteratura popolare (khalq edebiyyātï) o folklore dei Turchi della Russia e della Turchia. Sono canti variamente chiamati secondo la forma (quartine māni, qoshma, türkü e sharqï) e il soggetto: ninne-nanne dette ninni, elegie chiamate aghït, inni religiosi detti ilāhī, per lo più in quartine, con metro sillabico, in prevalenza ottonarî e endecasillabi, con cesure, rime e assonanze. Si raccolgono anche racconti (detti masal e destan), indovinelli (bilmege) e proverbî (darb-i mesel o atalar sözü).
La novellistica popolare turca trae argomento dai temi comuni dell'amore, del valore, della generosità, ecc., e attinge al patrimonio orientale delle Millp e una notte e alle tradizioni religiose musulmane del ciclo di ‛Alī e di Ḥamzah. Tra i numerosi racconti in prosa e in versi stampati fino a poco fa in caratteristiche litografie figurate e ora pubblicati anche nel nuovo alfabeto, ricordiamo (limitandoci alla repubblica di Turchia) il Ḥamzah-nāmeh, le Ghazawāt-i Sayyid Baṭṭāl, di soggetto epico-religioso musulmano; Leylà ile Meǵnūn, Ferhād ile Shīrīn, Yūsuf ile Zuleikhā, Ḥātem Ṭā'ī, ecc., d'ispirazione araba e persiana; Köroghlu, ‛Āshïq Gharīb, ‛Āshïq ‛Ömer, ‛Āshiq Kerem, ecc., d'impronta più schiettamente turca vi sono anche raccolte di novelle popolari, quali il Billur Köshk. L'esperienza e la saggezza popolare si esprimono con i molti proverbî, dei quali esistono raccolte (classica quella di Ebū'ẓ-Ẓiyā e Shināsī, Ḍurūb-i emsāl-i ‛osmāniyyeh, 3a ristampa, Costantinopoli, 1302 eg.). L'umorismo turco si manifesta nelle facezie (laṭā'if) di Naṣr ed-Dīn Khōgiah. Negli ultimi tempi i motivi popolari hanno avuto eco negli scrittori nazionalisti come ‛Ömer Seif ud-Dīn e Ẓiyā Gök Alp.
Tra la letteratura dotta e la popolare si collocano la poesia delle confraternite religiose (Bektashī, Mevlevī, Melāmī) e quella di autori che hanno composto per il popolo fuori dai canoni dell'arte dominante; il Mevlid "Natale" di Maometto) di Suleimān Čelebi, composto nel 1409, fu letto, recitato e cantato per secoli fino ad oggi dai fedeli; poeti popolari non ignari dell'arte poetica classica, detti sāz shā‛irleri, mantennero negli scorsi secoli una tradizione poetica nazionale; anche poeti dotti composero talora canti con intonazione popolare (türkü, poi detti sharqï). La naturale tendenza alla parodia e all'umorismo si esplicò nelle forme popolari di rappresentazione: orta ot nu e qaragöz e meddāḥ, le quali non giunsero tuttavia a dare origine a un vero teatro.
Bibl.: Sui Turchi prima dell'Islām: W. Thomsen, Alttürkische Inschriften aus der Mongolei, in Zeit. der morg. Gesellschaft, LXXVIII (1924), pp. 121-175 (trad. dal danese di H. Schaeder); W. Barthold, 12 Vorlesungen über die Geschichte der Türken Mittelasiens (trad. di Th. Menzel), Berlino 1935.
Secoli XI-XIV: H. Vámbéry, Uigurische Sprachmonumente und das Kudatku Bilik, Innsbruck 1870; W. Radlov, Das Kudatku Bilik, Pietroburgo 1890; L. Bonelli, Del Kudatku Bilik, poema turco del sec. XI, in Annali R. Istit. Orientale, Napoli VI (1933); H. Vámbéry, Cagataische Sprachstudien, Lipsia 1867; Negib ‛Āṣim, Hibat ul-Ḥaqā'iq, Costantinopoli 1334 eg.; Köprülü-Zādeh Meḥmed Fu'ād, Türk Edebiyyātïnda ilk müteṣavvifler, ivi 1918; id., Türk Edebiyyātī Ta'rīkhi (1° volume, il solo uscito), ivi 1926; Th. Menzel, Die ältesten Mystiker, in Zeit. der morgenl. Gesellschaft, LXXIX (1925), pp. 268-289.
Letteratura turca ottomana: Opere europee: G. B. Donado, Della letteratura dei Turchi, Venezia 1688; G. B. Toderini, Letteratura turchesca, Venezia 1787, voll. 3; J. von Hammer-Purgstall, Geschichte der osmanischen Dichtkunst bis auf unsere Zeit, voll. 4, Pesth 1836-38; E. J. W. Gibb, A History of Ottoman Poetry, voll. 6, Londra 1900-1909; K. J. Basmadjan, Essai sur l'histoire de la littérature ottomane, Parigi 1910; Dora d'Istria, La poésie des Ottomans, ivi 1877; F. Babinger, Die Geschichtsschreiber der Osmanen und ihre Werke, Lipsia 1927, Smirnov, Turetskaja Literatura, in Korš, Vseobṣc̣aja Ist. Literatury, IV, Pietroburgo 1891; P. Hörn, Die türkische Literatur, in Kultur der gegenwart, I-VII; id., Geschichte der türkischen Moderne, Lipsia 1902; 2a ed., 1909; O. Hachtmann, Europäische Kultureinflüsse in der Türkei, Berlino 1918; id., Die türkische Literatur des zwanzigsten Jahrhunderts, Lipsia 1916; Herbert Duda, Yunus Emre, Istanbul 1929; id., Ahmed Haschim, ein türkischer Dichter der Gegenwart, Berlino 1929 (in Die Welt des Islams, XI, 1928); E. Rossi, Uno scrittore turco contemporaneo: Ẓiyā Gök Alp, in Oriente moderno, IV (1924), pp. 574-595; id., Odierne tendenze letterarie e politiche in Turchia, ibid., IX (1929), pp. 580-590; id., Cultura e letteratura italiana in Turchia, ibid., IV (1924) e XIV (1934); id., In morte del poeta turco 'Abd ul-Ḥaqq Ḥāmid, ibid., XVII (1937); J. Rypka, Beiträge zur Biographie, Charakteristik und Interpretation des türkischen Dichters Sábit, Praga 1924; id., Báqí als Ghazeldichter, Praga 1926; id., Über Sábit's romantisches Epos "Edhem ü Hümá", in Archiv Orientálny, I (1929), pp. 147-190; M. Hartmann, Unpolitische Briefe aus der Türkei, Lipsia 1910; id., Aus der neueren osmanischen Dichtung, in Mitt. sem. orient. Sprachen, Berlino 1916-18, XIX-XXI; id., Dichter der neuen Türkei, ivi 1919; Ahmed Muhiddin, Die Kulturbewegung in modernen Türkentum, Lipsia 1921; Fr. Giese, Der Entwiklungsgang der modernen osmanischen Literatur, Halle 1906; id., Neues von Mehmed Emin, in Zeit. der morg. Gesellschaft, LVIII (1904); id., Neue Gedichte von Mehmed Emin Bey, in Mitteil. f. sem. orient. Sprachen, 1910; L. Bonelli, Della lingua e della letteratura turca contemporanea, in Atti R. Ist. veneto, 1891, pp. 1455-1471; id., Del poeta nazionalista turco Mehmed Emin, in Ann. R. Ist. Orientale, Napoli 1920; id., Credenze dei Bektashi in un romanzo di Ya‛qūb Qadrī, in Oriente Moderno, 1928, pp. 243-358; J. Deny, Ziya Goek Alp, in Revue du Monde Musulman, LXI (1925), pp. 1-41; R. Hartmann, Zija Gök Alp's Grundlagen des türkischen Nationalismus, in Orient. Literaturzeitung, 1925, coll. 578-610; A. Fischer, Aus der religiösen Reformbewegung im modernen Türkentum, Lipsia 1921; J. Germanus, The awakening of Turkish Literature, in Islamic Culture, VII (1927), pp. 177-194, 353-378; S. Saussey, Prosateurs turcs contemporains. Extraits choisis, présentés et traduits, Parigi 1935.
Traduzioni, edizioni, antologie pubblicate in Europa: J. von Hammer-Purgstall, Baki's, des grössten türkischen Lyrikers, Diwan, zum ersten Mahle ganz verdeutscht, Vienna 1825; E. J. W. Gibb, vol. IV dell'op. cit.; id., The History of the Forty Vezirs, Londra 1886; M. Wickerhauser, Wegweiser zum verständniss der türkischen Sprache. Eine deutschtürkische Chrestomathie, Vienna 1853; M. Tsakyroghlu, Divan-i Baki, Venezia 1907; R. Dvořak, Bâkî's Dîván Ghazalijját... herausgegeben, Leida 1908; Türkische Bibliothek, voll. 26 editi a Lipsia tra il 1904 e il 1929; A. Fischer e A. Muhieddin, Anthologie aus der neuzeitlichen türkischen Litteratur, Lipsia 1919; G. Jacob, Hilfsbuch für Vorlesungen über das Osmanisch-Türkisch, Berlino 1917.
Opere turche: Tedhkereh (biografie di poeti) di Laṭifī Riẓa Salim e Faṭin, edite (altre sono inedite); Ḥāǵǵī Khalīfah, Kashf aẓ-ẓunūn, ecc. (bibliografia), ediz. Flügel; Bursalï Meḥmed Ṭāhir, ‛Osmānli Mü'ellifleri (biobibliografia), voll. 3, Istanbul 1334-1343 eg.; Fā'iq Reshād, Ta'rikh-i edebiyyāt-ï osmāniyyeh, ivi 1311 segg.; Shihāb ad-Din Suleimān, Ta'rikh-i Edebiyyāt-ï' ‛osmāniyyeh, ivi 1328 eg.; Köprülü-Zādeh Meḥmed Fu'ād e Shihāb ed-Dīn Suleimān, ‛Osmānlï ta'rikh-i edebiyyātï, ivi 1332 eg.; Ibrāhīm Neǵmī, Ta'rikh-i edebiyyāt dersleri, ivi 1338 eg.; Ismā'il Ḥabib, Türk Tededdüd Edebiyyātï, ivi 1340 eg. (ristampato con modifiche e in alf. turco-latino, con il titolo Edebî Yeniliǧimiz, ivi 1931-32, voll. 2); Sa‛d ed-Dīn Nüzhet, Türk Edebiyatï Tarihi ve Nümeneleri, ivi 1931, voll. 2; Muṣṭafà Nihād, Metinlerle muasir Türk Edebiyatï, ivi 1930; Ḥikmet Feridūn, Bugün de dyorlar ki..., ivi 1932; Köprülü-Zādeh Meḥmed Fu'ād, Bugünkü Edebiyyāt, ivi 1923; id., Türk Dili ve Edebiyatï, ivi 1934.
Antologie edite in Turchia: Ebū ẓ-Ẓiyā Tevfīq, Nümūneh-i edebiyyāt-i ‛osmāniyyeh, 4a rist., Istanbul 1304 eg.; Köprülü-Zāde Meḥmed Fu'ād, Eski Şairlerimiz. Divan edibyatï antolojisi (Antologia della poesia classica dei Turchi), 11 fascicoli usciti a Istanbul tra il 1931 e il 1934; Suleimān Shevket, Güzel Yazïlar, ivi 1928; Khālid Fakhrï, Edebî Kiraat Nümuneleri, ivi 1929; ‛Alī Giānib, Türk Edebiyatï antolojisi, ivi 1931.
Scrittori turchi nella Russia sovietica: V. O. K. S. (Organe de la Société pour les relations culturelles entre l'U.R.S.S. et l'étranger), II (1931), pp. 147-195, diversi articoli, tra uci uno di I. Borozdine, La littérature des peuples turcs de l'U.R.S.S.; B. Nikitine, La littérature des Musulmans en U.R.S.S., in Revue des Études Islamiques, 1934, fasc. III, pp. 307-381; Ṭahir Shākir, Türkistan millī edebiyyāti ve ediblerī fāgi‛asïna dā'ir (La tragedia della letteratura nazionale e dei letterati del Turkestān), nella rivista Yash Türkistān, di Berlino, nn. 68-69, e in estratto, Berlino 1935; nega ogni valore e originalità all'attuale letteratura turca d'imposizione sovietica e afferma che la letteratura turca nel Turkestan non potrà sorgere se non con il conseguimento della libertà politica e nazionale.
Riviste: Darülfünun Edebiyat Fakültesi Mecmuasï (Univ. d'Istambul); Türkiyat Mecmuasï (Univ. d'Istanbul); Turk Yurdu (dal 1912 al 1931); Novyj Vostok, 1922-1930: Oriente moderno (dal 1921).
Vedasi anche alle voci aḥmed ḥikmet; bāqī; nedīm; shināsī; tūrān e turanismo; turchia; turkestan; ẓiyā pascià; ẓiyā gök alp.
Letteratura popolare. - Notizie sulle antiche leggende dei Turchi si trovano nelle introduzioni a Türkiya Ta'rīkhi (Storia della Turchia) di Köprülü-Zādeh Meḥmed Fu'ād, Istambul 1923, e alla Türk Edebiyyāti Ta'rīkhi (Storia della letteratura turca) dello stesso autore, ivi 1928 (solo il vol. I è uscito); queste leggende sono state esaminate da Ẓiyā Gök Alp sotto l'aspetto sociologico in varie opere, specialmente in Türk Türesi, Istambul 1339 eg., e Türk medeniyyeti Ta'rīkhi, ivi 1341 eg. Il libro di L. Cahun, Introduction à l'histoire de l'Asie, Turcs et Mongols, Parigi 1896, va usato con cautela.
Studî sulla letteratura popolare: W. Radlov, Proben der Volksliteratur der türkischen Stämme, voll. 11, Pietroburgo 1885 segg. (varî autori); C. Brockelmann, Volkstümlisches aus Altturkestan, in Asia Major, II (1925), pp. 110-124; Köprülü-Zadeh Meḥmed Fu'ād, Türk Dili ve Edebiyatï, Istanbul 1934; A. v. Le Coq, Sprichwörter und Lieder aus der gegend von Turfan, in Baessler Archiv, I (1911); G. Jacob, Das türkische Schattentheater, Berlino, 3a ediz. 1915; H. Ethé, Die Fahrten des Sajjd Batthâl, Lipsia 1871; A. Wesselski, Narren, Gaukler und Volkslieblinge, Weimar 1911 (voll. III-IV, Der Hodscha Nasreddin); S. Rehm, Nasreddin der Schelm, Berlino 1916; H. D. Barnham, Tales of Nasr ed-Din Khoja, Londra 1923; Kemāl ed-Dīn Shükrī, Nasrettin Hoca, Istanbul 1930; I. Kúnos, Das türkische Volksschauspiel Orta Ojnu, Lipsia 1908; G. Jacob, Vorträge turkischer Meddâh's, ivi 1923: Th. Menzel, Mehmed Tevfiq. Ein Jahr in Konstantinopel, ivi 1905-1909; F. Giese, Der übereifrige Xodscha Nedim; eine Meddâh-Burleske, ivi 1907; Th. Menzel, Billur Köschk, Hannover 1924; H. Ritter, Karagöz, ivi 1924; Riza Nour, Oughouz-Namé. Epopée turque, Alessandria 1928; P. Pelliot, Sur la légende d'Uguz-Khan en écriture ouïgoure, in T'oung-Pao, 1930; Riza Nour, Réponse à un article de M. Paul Pelliot sur l'Oughour-namé, Alessandria 1931; Kitab-i Dede Qorqud'alà lisān-i tā'ifeh-i Oghuzān, Istanbul 1332 eg.; Pertev Naili, Köroǧlu Destanï, ivi 1931; I. Kunos, Oszmán-törok népköltési gyujtemény, Budapest 1887-1889; id., Türkische Volksmärchen aus Stanbul, Leida s. a.; id., Türk ninniler, Istanbul 1925; id., Türk Khalq Edebiyyātï, ivi 1925; Tadeusz Kowalski, Ze studjów nad forma poezij ludów tureckich, Cracovia 1922; N. M. Martinovitch, The Turkish Theatre, New York 1933; Maḥmud Rāghib, Sharqī Anadoluda türkü ve oyunlarï, Istanbul 1928; Sa'd ud-Dīn Nüzhet e Meḥmed Ferïd, Qonia vilāyet khalqiyyāt ve harthiyyātï, Conia 1926; A. Ṭal‛at, Khalq shi‛irlerinin shekli ve nev‛i, Istanbul 1928; Kilisli Rif‛at, Maniler, ivi 1928; Selīm Nüzhet, Türk TemaŞasï, ivi 1930; E. Saussey, Littérature populaire turque, Parigi 1936.
Collezione turca in continuazione: Halk Bilgisi haberleri (Notizie folkloristiche; dal 1931 all'aprile 1937 erano usciti 66 numeri).
Vedi anche mānī; meddāḥ; qaragöz.
Arte.
I prodotti più antichi dell'arte turca sono le oreficerie e le guarnizioni di oro che, già alcuni secoli prima dell'era cristiana, erano in uso presso le popolazioni, parte stabilite parte nomadi, nella regione vicina ai monti dell'Altai. Caratteristiche per questi lavori sono, da un lato, la singolare tecnica a sbalzo che probabilmente per accentuare lo splendore dell'oro prediligeva superficie oblique, raggiungendo in tal modo a volte anche effetti "cubistici", dall'altro la trasformazione di motivi animali in forme stilizzate, di carattere astratto e ritmico, con risentiti effetti decorativi. In questi lavori generalmente definiti "sciti" si constatano influssi estremo-orientali, iranici, ellenistici e altri ancora, rielaborati però in un linguaggio formale affatto indipendente, che testimonia di una sicura osservazione del vero e di una fantasia sfrenata. Per il tramite delle migrazioni dei popoli, questo stile decorativo turco si diffuse lontano, nel Nord e nell'Occidente, e venne raccolto soprattutto da alcune tribù germaniche. Presso altri popoli nomadi, affini di razza, dovettero essere per tempo giunte a un livello notevole anche la lavorazione di tele adoperate per la decorazione delle pareti delle tende e la fabbricazione dei tappeti, come si può arguire dai ritrovamenti fatti nel Turkestan orientale. Quest'antica tradizione plurisecolare d'un'arte popolare pregevole fu il contributo più importante dato dai Turchi al mondo islamico, nel quale già sin dal sec. IX acquistarono importanza decisiva. La loro ornamentazione astratta appariva particolarmente adatta ad essere assimilata dall'arte islamica neutralizzando in parte il pericolo sempre più crescente d'un'invasione di forme iraniche. Lo stile turco a incavi obliqui lo ritroviamo nella decorazione di stucco a Sāmarrā; esso si diffuse grazie a Ibn Ṭūlūn dovunque in Egitto (v. tūlūnidi) e cercò di affermarsi in Persia di fronte alla ancor vigorosa tradizione sassanide. Quando poi nel sec. XI, con la potenza accresciuta dei Selgiuchidi, l'elemento turco finì con dominare del tutto, anche l'attività artistica, pur venendo esercitata per lo più da Persi, Arabi, Armeni e Greci, seguì la nuova tendenza favorita da principi e governatori (v. selgiuchidi). A iniziative turche erano allora dovute principalmente le frequenti costruzioni di mausolei; e conseguentemente da un lato si allargarono i compiti decorativi, dall'altro si fece più intenso il travaglio intorno al problema della cupola che già nell'epoca mongola giunse a soluzioni grandiose. In Asia Minore la cultura selgiuchide ebbe sufficiente consistenza per resistere con successo all'invasione di forme dell'Estremo Oriente nel sec. XIII; similmente in Egitto i Mamelucchi turchi opposero ai Mongoli una vigorosa resistenza. Una funzione dominante acquistò infine l'elemento turco per via degli Osmani che, dopo la conquista di Costantinopoli, seppero dare un largo respiro anche alla loro attività artistica. Il tipo della moschea a cupola, perfezionatosi, si diffuse ovunque; e anche nella decorazione degli edifici civili l'esempio di Istanbul soppiantò tradizioni plurisecolari. In quest'ultimo periodo dello sviluppo delle tendenze decorative e costruttive turche (v. ottomana, arte) si avverte un accostarsi sempre più accentuato all'arte europea che si consolidò definitivamente nel sec. XIX, operando, dopo il rinnovamento dello stato nazionale turco, un deciso distacco dal passato islamico.
Bibl.: J. Strzygowski, Altai-Iran, Lipsia 1917; H. Glück, Türkische Dekorationskunst, in Kunst und Kunsthandwerk, 1920; v. anche ottomana; arte; selgiuchidi.
Musica.
Per musica turca s'intende qui ogni sorta di musica che nei paesi apparienuti durante i secoli all'impero ottomano sia stata creata o comunque praticata, con il concorso delle varie stirpi e delle varie classi. Particolarmente importante a tal proposito è stato il contributo dei grandi dignitarî religiosi e civili, dei nobili, e - quanto all'opera di singoli - quella dei sultani Maometto, Selim II, Bajazet. Accanto all'attività delle genti di razza turca si mostrò poi notevole quella delle genti greche, armene ed ebraiche.
Poiché i Turchi erano sprovvisti d'una notazione, le loro musiche - quando non ebbero occasione d'esser raccolte da artisti greci sulla notazione bizantina - vennero tramandate per tradizione orale. L'influenza greca era del resto sì grande, che a fondatori della teoria musicale turca si facevano i nomi di Esculapio, Pitagora e Platone. Così anche la terminologia musicale era senz'altro tratta dalla greca, non senza, però, apporti persiani, arabi e - nei tempi recenti - italiani.
Ogni composizione dei tempi classici per l'arte ottomana consta di quattro parti, dette khāneh (stanze) nelle strumentali, miṣrā (versi) nelle vocali. Quanto alla funzionalità struttiva delle varie parti, si può notare che le due prime costituivano l'esordio (zemī), la terza il corpo centrale (meyn) e la quarta la conclusione (qarār).
Le basi tonali erano date in un gran numero di gamme, ognuna delle quali consta di più gruppi. Come presso gli Arabi, così presso i Turchi la melodia si svolge e si caratterizza in una serie di formule tonali elementari (Maqām).
Il ritmo è estremameme ricco e complesso, producendo entità da 5/4 fino agli 88/4; per es.:
Particolarmente importante è stato nei poemi occidentali, specialmente nelle fanfare e bande di reggimento, l'influsso della musica turca di genere militare, con i suoi strumenti tipici o comunque usati a fini coloristici (piatti, triangolo, gran cassa, ecc.); e del resto questi complessi strumentali ebbero il nome di turchi, e molto giovarono nelle opere teatrali di ambiente orientale, in alcuni paesi dette senz'altro "turche". Mozart e Beethoven cercarono spesso di rendere lo stile e l'impressione fonica di quella lontana musicalità: ad esempio si citerà del primo il Rondò alla turca e del secondo la musica di scena per Le rovine di Atene.
La musica turca ha esercitato una grande influenza anche tra le genti dei paesi balcanici, non soltanto con il diretto apporto di composizioni e pratiche turche, ma anche con la penetrazione del suo particolare spirito in quelle varie musicalità locali.
Kamnal Atatürk ha posto un termine agli usi musicali della tradizione turca, introducendo in loro luogo l'insegnamento dell'arte musicale europea: a Istanbul è stato chiamato all'uopo J. Marx, da Vienna, e ad Ankara, da Berlino, P. Hindemith. Ma già da prima singoli giovani venivano dalla Turchia a studiare nei conservatorî europei, e il loro profitto ha potuto già documentarsi con la comparsa di loro musiche nei programmi di concerto.
Con la recente riorganizzazione dell'insegnamento e in genere dell'ambiente musicale in Istanbul e in Ankara è lecito pensare che si sia compiuto - in tale evoluzione - un passo di grande importanza.
Bibl.: E. Borrel, La musique turque, in Rev. de musicologie, 1922-23.