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TURIA

di Gaetano De Sanctis. - Enciclopedia Italiana (1937)
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TURIA

Gaetano De Sanctis.

. Moglie di Q. Lucrezio Vespillone console nel I a. C.; la quale, quando questi fu proscritto nel 43 dai secondi Triumviri, gli salvò la vita nascondendolo finché fu graziato (App., Bellum civ., IV, 4).

Col nome di laudatio Turiae è nota un'epigrafe sepolcrale di cui si avevano 5 frammenti (due soltanto conservati nella pietra e tre in trascrizione) ai quali se n'è più tardi aggiunto un altro pubblicato da D. Vaglieri. In questa epigrafe un personaggio, di cui non è conservato il nome, celebra la vita e le virtù della consorte, della quale pure manca il nome. Poiché questa donna salvò il marito proscritto dai secondi Triumviri e graziato da Ottaviano in circostanze che parvero simili a quelle riferite da Appiano a proposito di Turia, a costei riferì per primo il documento Filippo Della Torre seguito dal Mommsen, che ne diede un eccellente commentario, e generalmente dagli altri critici fino alla scoperta del nuovo frammento che parve al Vaglieri e al Hirschfeld in contrasto con l'opinione comune. Altri cercarono di dimostrare che il nuovo frammento opportunamente interpretato e supplito conferma, anziché abbattere, l'ipotesi del Della Torre e del Mommsen. A questi si è opposto G. Costa dando del nuovo frammento una sua interpretazione e integrazione, ma l'una e l'altra opinione vanno incontro a obiezioni gravi. Si è anche discusso se l'iscrizione contiene il testo di una laudatio funebris di quelle che si tenevano nel Foro sui rostri. Il Mommsen ha opposto che l'autore si rivolge sempre in seconda persona alla defunta e non mai al popolo. L'obiezione non è decisiva, perché dell'iscrizione manca il principio e perché nulla impedisce di ritenere che la laudatio sia stata alquanto ritoccata nell'inciderla presso il sepolcro. È ad ogni modo un documento singolare, in cui affetti domestici nobilissimi sono espressi con una sincerità di sentimento e nello stesso tempo dignitosa sobrietà di forma che ha pochi riscontri o nessuno nell'età antica. L'epigrafe è anche molto importante sia nel rispetto giuridico per le questioni attinenti al diritto ereditario, sia nel rispetto della lingua e dello stile, semplice e trasandato, ma non privo di efficacia.

Bibl.: Il testo, p. es., in Corpus Inscr. Lat., VI, 1527, 31670; C. G. Bruns, Fontes iuris Romani antiqui, 7a ed., Tubinga 1909, p. 321 segg.; H. Dessau, Inscr. Lat. Selectae, II, ii, 8393; III, ii, p. cxc; Th. Mommsen, Gesammelte Schriften, I, Berlino 1905, p. 395 segg.; F. Vollmer, Laudationum funebrium Romanarum historia, in Jahrb. f. Philologie, suppl. XVIII (1891), p. 492; D. Vaglieri, in Notizie degli scavi, 1898, p. 412 segg.; O. Hirschfeld, Kleine Schriften, Berlino 1913, p. 824 segg.; W. Warde Fowler, in Classical Review, XIX (1905), p. 261 segg.; G. De Sanctis, in Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, XLVIII (1912-13), p. 270 segg.; G. Costa, in Bull. della Comm. arch. comun. di Roma, XLIII (1913), p. 3 segg.

Vocabolario
turare
turare v. tr. [lat. (ob)tūrare «otturare»]. – 1. Chiudere la bocca di un recipiente, di un vaso, o un foro qualsiasi, inserendovi o adattandovi un corpo che ostruisca interamente l’apertura: t. il fiasco, la bottiglia, la damigiana (con...
turaménto
turamento turaménto s. m. [der. di turare], non com. – L’azione di turare, il fatto di essere turato: ho una sensazione di t. degli orecchi.
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