TURINETTI DI PRIERO, Demetrio
TURINETTI DI PRIERO (Prié), Demetrio. – Marchese di Priero (Prié in piemontese e in francese, talvolta anche Priez), nacque a Torino il 18 febbraio 1789 da Gian Antonio (1762-1801) e da Polissena Teresa Gamba della Perosa (1764-1844), secondogenito della coppia dopo Clementina (1786), seguito nel 1790 da Curzio (morti rispettivamente nel 1839 e nel 1831). In base a un’indagine del 1799, la sua casata risultava al sesto posto tra le più ricche del Regno di Sardegna, e per tutto il periodo rivoluzionario e napoleonico si mantenne saldamente fedele alla dinastia sabauda.
Nel 1793 Gian Antonio lasciò Torino con la famiglia, facendovi ritorno da solo l’anno successivo per assumere la carica di sindaco della città. Sopraggiunta l’occupazione francese, nel 1799 fu deportato Oltralpe come ostaggio e trascorse in prigionia i successivi due anni: morì il 31 maggio 1801 poco dopo essere stato rilasciato. In quel periodo Polissena e i figli vissero tra il Lazio e la Toscana, frequentando i salotti dell’aristocrazia antirivoluzionaria come quello della contessa Luisa d’Albany a Firenze, dove divennero intrinseci di Vittorio Alfieri (del quale la nonna paterna di Demetrio, Gabriella Falletti di Villafalletto, era stata amante). Com’era uso frequente della nobiltà subalpina, Demetrio e Curzio furono iscritti nel 1800 al collegio Tolomei di Siena; non sono noti altri studi dei due fratelli, se non quelli impartiti da precettori privati almeno fino al 1805: è però significativo che tra i numerosi aneddoti tramandati dal folklore piemontese su Demetrio, vi fosse quello di aver sdegnosamente dato del «bourich» (stupido) a chi lo aveva scambiato per un avvocato. Nel gennaio del 1807 la marchesa di Priero dovette infine rassegnarsi a tornare in patria, per imposizione del governo francese. La sua attitudine intransigente era rimasta però immutata: al punto che solo cinque mesi dopo, per interessamento diretto di Napoleone, fu rinchiusa con i figli nella fortezza di Fenestrelle. Scarcerata nel febbraio del 1808, fu costretta a trasferirsi a Parigi, dove nonostante la sorveglianza, non rinunciò a fare del suo salotto un punto di riferimento per la nobiltà piemontese in esilio.
Anche Demetrio, nel frattempo, si era stabilito nella capitale francese: nel marzo del 1809, aveva infatti ricevuto – come molti altri conterranei della sua età e posizione sociale – l’incarico di uditore presso il Consiglio di Stato. Questa cooptazione, vissuta da molte famiglie aristocratiche piemontesi come un sopruso, non gli fu sgradita: a differenza della madre, infatti, aveva mostrato calda simpatia per il nuovo corso. Divenne quindi maestro di cerimonie presso la corte imperiale, una nomina cui probabilmente non era stata estranea la sua fama di collezionista d’arte e di uomo alla moda: si dice anzi che Napoleone in persona lo avesse definito «le premier fat de son empire» (Simple récit..., 1822, p. 39). Il 15 agosto 1810 fu creato barone dell’Impero; a Parigi, dopo un fidanzamento finito in nulla con Costanza Alfieri, nel 1809 aveva intanto sposato Lidia Gabriella Solaro del Borgo: da lei nacquero Agilberto (1810), Demetrio (1812), Ernestina (1813), Edmondo (1814) ed Eugenio (1820).
Con la Restaurazione, i Turinetti di Priero fecero ritorno nel Regno di Sardegna: Demetrio si mostrava esteriormente ravveduto (riferisce, per esempio, la Gazzetta piemontese che il 24 marzo 1818 fu con la madre padrino di battesimo di una fanciulla ebrea convertita). Tuttavia, le autorità non cessavano di sospettare di lui: era noto infatti, oltre che come gentiluomo leggero e prodigo, per le sue simpatie costituzionali: «Le contraste entre cette petite figure fade», si legge in un memoriale dell’epoca, «et les hardis paradoxes qu’elle avançoit d’un air distrait, étoit si frappant qu’il lui valut à Turin le surnom de Brutus à la rose» (Simple récit..., 1822, p. 39). Gli era compagno in questa passione politica, oltre che amico fraterno, il principe Emanuele Dal Pozzo della Cisterna, al quale pare fosse legato anche da rapporti finanziari poco chiari. In quel periodo, infatti, il patrimonio di famiglia stava conoscendo un vero tracollo, soprattutto a causa della gestione malaccorta di Demetrio e di Curzio (il quale, afflitto da malattia mentale, fu infine interdetto su richiesta della madre): al punto che nel 1824, in base alle stime delle autorità piemontesi, esso risultava ridotto a circa la metà rispetto a due decenni prima, e gravato di enormi passività. In particolare, nel 1816, era stato posto in vendita anche il feudo eponimo di Priero, nel Cuneese.
Tra il 2 e il 3 marzo 1821, in seguito alla scoperta nella carrozza del commerciante Francesco Chimelli, proveniente dalla Francia, di corrispondenze che lo implicavano con il principe di Cisterna in un disegno per sovvertire la monarchia assoluta, Turinetti fu arrestato con Ettore Perrone di San Martino all’uscita da un ballo in casa di Giovanni Bonvicino e tradotto alla fortezza di Ivrea (pur con tutti i riguardi dovuti al suo rango, per espressa volontà di Vittorio Emanuele I).
All’effettivo scoppio della rivoluzione, il 13 marzo fu liberato da Alerino Palma di Cesnola, con il quale impiantò a Ivrea una Giunta costituzionale provvisoria, e fu portato in trionfo dalla popolazione (divenne leggendaria la sua schizzinosa esclamazione: «baseme, ma sporcheme nen», ovvero baciatemi, ma non sporcatemi): nei successivi processi, nonostante la sua scarcerazione fosse stata autorizzata dal reggente Carlo Alberto, la cooperazione alla rivoluzione divenne uno dei capi d’accusa che concorsero alla comminazione di diverse condanne, tra cui quella a morte in contumacia dello stesso Palma.
Durante la breve parentesi liberale, Turinetti si portò a Torino ed ebbe il comando di un battaglione della guardia nazionale, ma non risulta lo esercitasse effettivamente; con il principe della Cisterna, seguendo le sorti altalenanti della rivoluzione, fuggì dapprima a Ginevra il 22 marzo, per poi tornare in Piemonte pochi giorni dopo e infine rifugiarsi di nuovo a Ginevra con la caduta del governo costituzionale, in seguito alla quale venne istruito a suo carico il processo per alto tradimento. L’impressione che si ricava dai documenti è che Turinetti, come il principe della Cisterna, fosse stato in realtà scettico sull’opportunità di un’azione rivoluzionaria; subito dopo il suo arresto, inoltre, molte carte compromettenti erano state fatte sparire dalla sua stanza, già sigillata dalla polizia, attraverso un passaggio segreto (pare per mano di Carlo Asinari di Caraglio): ma gli elementi a carico suo e degli amici furono comunque ritenuti tali da portare, il 10 agosto 1821, alla condanna a morte e al sequestro dei beni. Nel frattempo, lasciata la Svizzera su pressione delle autorità locali, si spostava – in un susseguirsi di arresti ed espulsioni – tra Francia, Olanda, Belgio e Inghilterra, stabilendosi definitivamente a Bruxelles nel dicembre del 1825.
Nonostante nel 1823 avesse firmato un manifesto carbonaro londinese, e avesse mantenuto anche in seguito contatti con proscritti di varie tendenze, il suo impegno politico attivo poteva dirsi ormai esaurito. Visse da esule aristocratico, pare preferendo la compagnia dell’alta società belga a quella dei compatrioti; l’unica notizia di rilievo di questo periodo è, nel 1833, un duello a Bruxelles con il conte Clemente Verasis di Castiglione, nel quale fu gravemente ferito.
Rimasta in Piemonte, la moglie aveva intanto ottenuto la piena liberazione del suo patrimonio (febbraio 1824), dopo che già dall’anno precedente aveva goduto dello storno dai beni sequestrati di una cospicua pensione per sé, la suocera Polissena e i figli (i primi tre maschi erano stati avviati alla carriera militare presso l’Accademia di Torino). Dopo aver beneficiato nel 1832 della commutazione della pena capitale in quella dell’esilio, Turinetti ebbe quindi il permesso di ritornare periodicamente in patria, senza però allontanarsi dalla villa materna di Pinerolo; il perdono e la possibilità di rientro senza limitazioni gli furono infine concessi nel marzo del 1842. Rimasto vedovo, nel 1848 sposò Paolina Alliaud, di Pinerolo: e a Pinerolo morì, senza avere avuto figli dalla seconda moglie, il 31 dicembre 1850.
Il secondogenito Demetrio, comandante – con il grado di maggiore – della brigata di artiglieria del II corpo d’armata sardo durante la guerra contro l’Austria del 1848, ottenne la medaglia d’argento al valor militare sul campo di Custoza.
Fonti e Bibl.: Di Demetrio Turinetti di Priero non esistono scritti, né sono stati tramandati epistolari di rilevanza politica. Il fondo intestato alla famiglia presso l’Archivio di Stato di Torino contiene soprattutto documenti di natura patrimoniale dal XV secolo in avanti. Importantissima, nella stessa sede, la documentazione sulla congiura e il processo del 1821 nel fondo Alta Polizia, in particolare le bb. 28, 51, 56 (con le informazioni sul sequestro dei beni), 158, 190, 299. Le corrispondenze personali dei Priero, soprattutto di Polissena e Clementina, sono conservate, insieme con numerosi altri documenti, nell’Archivio privato della famiglia a Torino. Informazioni su Demetrio al servizio dell’imperatore e in esilio dopo il 1821 si trovano rispettivamente presso gli Archives Nationales di Parigi e presso il Nationaal Archief dell’Aia e gli Archives de la Ville de Bruxelles.
Tra gli studi si veda Simple récit des événemens arrivés en Piémont dans les mois de mars et d’avril 1821. Par un officier piémontais, Paris 1822, pp. 38 s., 118 s.; A. de Beauchamp, Histoire de la révolution du Piémont: seconde partie, Paris 1823, pp. XVI-XVIII; A. Manno, Informazioni sul ventuno in Piemonte, Firenze 1879, pp. 27, 63, 197; C. Torta, La rivoluzione piemontese nel 1821, Roma-Milano 1908; G. Faldella, Precursori e martiri, Torino 1910, p. 59; F. Patetta, Dichiarazione di principii d’una vendita di Carbonari italiani in Londra nel 1823, in Atti della Reale Accademia delle scienze di Torino, 1916, vol. 51, pp. 1393-1396; F. Lemmi, Il processo del Principe della Cisterna, in La rivoluzione piemontese dell’anno 1821, a cura di F. Lemmi et al., Torino 1923, ad ind.; L. Bulferetti, I piemontesi più ricchi negli ultimi cento anni dell’assolutismo sabaudo, in Studi storici in onore di Gioacchino Volpe per il suo 80° compleanno, I, Firenze 1958, p. 79; F. Vitullo, I Turinetti di Priero, Pertengo e Cambiano: una insigne casata piemontese, Torino 1963; C. Arconati-Visconti, Lettere a Giovita Scalvini durante l’esilio, a cura di R.O.J. Van Nuffel, Brescia 1965, pp. 53 s., 56; N. Nada, Roberto D’Azeglio, I, Roma 1965, pp. 42, 59, 68, 101 s.; M. Battistini, Esuli italiani in Belgio: 1815-1861, Firenze 1968, ad ind.; M. d’Azeglio, I miei ricordi, a cura di A.M. Ghisalberti, Torino 1971, pp. 43, 45, 49, 81; R. Davico, Peuple et notables (1750-1816). Essais sur l’Ancien Régime et la révolution en Piémont, Paris 1981, pp. 283 s.; G. Marsengo - G. Parlato, Dizionario dei Piemontesi compromessi nei moti del 1821, II, Torino 1986, p. 259; A. Turinetti di Priero, La prigioniera di Fenestrelle: note su Gian Antonio e Polissena Turinetti di Priero, in Studi piemontesi, 2000, vol. 29, n. 2, pp. 597-613; Priero. Cronache, fatti e documenti per mille anni di storia, a cura di E. Barattero Mosconi - G. Mola di Nomaglio - A. Turinetti di Priero, Priero 2004; S. Cavicchioli, I sequestri piemontesi del 1821 e il principe Emanuele Dal Pozzo della Cisterna, in Mélanges de l’École française de Rome-Italie et Méditerranée modernes et contemporaines, 2017, vol. 129, n. 2, pp. 399-411.