Turismo
Spostamenti di individui o di gruppi da una località abituale di residenza verso altre località hanno da sempre caratterizzato la storia delle società umane. Generalmente i motivi di questi spostamenti erano di carattere commerciale o di carattere militare, sicché questo tipo di mobilità delle popolazioni si presentava quasi sempre come un mezzo per il raggiungimento di qualche fine e mai come un fine in se stesso. Bisognerà attendere l'epoca moderna e la rivoluzione industriale perché si presentino spostamenti con uno specifico carattere di fine - perché, in altri termini, muoversi da una località a un'altra rappresenti un piacere in sé e sia desiderato come tale da strati sempre più ampi di popolazione. Il turismo è quindi un fenomeno relativamente recente, un prodotto della modernità che nasce in conseguenza del combinarsi di diversi fattori, quali lo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, l'aumento del tempo libero disponibile e, naturalmente, il miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie. Questo non vuol dire, però, che in passato, o addirittura nell'antichità, le esperienze turistiche fossero del tutto assenti. Basti pensare al vero e proprio culto della villeggiatura e della vacanza nelle culture greca e romana e, nei secoli successivi, alla diffusione di residenze estive e invernali presso quasi tutte le aristocrazie europee. La pratica della 'vacanza', quindi, ha sicuramente radici antiche, ma non è esattamente la stessa cosa di ciò che oggi intendiamo per turismo, soprattutto per il fatto che in passato questa pratica era strettamente limitata alle classi aristocratiche e, inizialmente, soltanto alle dinastie regnanti.
Sotto questo aspetto è anzi possibile cogliere il senso storico di una lunga evoluzione che, partendo dalle diverse forme di otium della civiltà romana e passando per i numerosi modelli di svago delle corti aristocratiche europee, giunge alle prime esperienze di viaggio altoborghesi tra il Settecento e l'Ottocento e, di qui, alle forme attuali del turismo di massa (v. Leed, 1992). Qualcosa che nasce, quindi, come privilegio esclusivo delle famiglie regnanti si diffonde nel tempo alle corti aristocratiche, coinvolge poi la ricca borghesia europea e diventa, alla fine, fenomeno di massa, vale a dire esperienza comune di tutti gli strati sociali, almeno per quanto riguarda le società avanzate. È importante tener presente l'origine di questo lungo processo di democratizzazione del viaggio e della vacanza, poiché essa consente di cogliere quella matrice aristocratica che, secondo alcune teorie, come si vedrà più avanti, segnerebbe ancora oggi la pratica del turismo, anche nelle sue forme più organizzate e massificate.
Le prime esperienze turistiche nel senso moderno del termine iniziano dunque nel Settecento, quando presso l'aristocrazia e l'alta borghesia europea si diffonde l'uso del 'viaggio' nei paesi mediterranei. Un viaggio generalmente molto lungo, grazie al quale intellettuali e giovani rampolli delle ricche famiglie inglesi, francesi e tedesche entravano in contatto con la cultura mediterranea e soprattutto col vasto patrimonio storico-artistico della classicità (v. De Seta, 1993; v. Brilli, 1990; v. Hersant, 1988). Questo lungo viaggio, questo tour o grand tour - da cui appunto, il termine turismo - aveva quindi, a un tempo, finalità culturali e pedagogiche. "Da Goethe a Flaubert, da Byron a Stendhal, da Bacone a Nietzsche - scrive Costa (v., 1989, p. 69) - gli artisti sono venuti in pellegrinaggio culturale in Italia per apprezzarne il glorioso passato, indicando ai lettori gli itinerari da seguire". Quanto, invece, all'aspetto educativo, il viaggio turistico era inteso come strumento essenziale per comprendere meglio i popoli visitati e le loro culture, per diventare, quindi, adulti e maturi. "In realtà - rileva ancora Costa - molti giovani dissipavano le loro risorse economiche in giochi d'azzardo, in abiti alla moda, in corteggiamenti amorosi, soprattutto se venivano in Francia e in Italia. Perciò l'Oxford Magazine [...] dà molto risalto alle lamentele dei genitori, che dichiaravano di non capire più il vocabolario e le maniere dei loro figli: l'editoriale del giugno 1770 osservava come in Inghilterra si aggirava un tipo di animale, sia maschio che femmina, il quale imitava la moda italiana, e perciò era soprannominato un Macaroni" (ibid., p. 70).
Sono, dunque, questi ricchi viaggiatori europei del Settecento i primi turisti nel senso attuale del termine. Un'esperienza, come si è detto, certamente aristocratica e con forti venature romantiche, che si prolungherà per quasi tutto l'Ottocento per concludersi definitivamente alle soglie del Novecento, quando nuovi strati sociali, portatori di altre motivazioni, accederanno a questa particolare forma di impiego del tempo libero che è il turismo (v. Brendon, 1991). "Quando anche i ceti medi e le classi lavoratrici - scrive Costa - hanno potuto beneficiare di tempo libero e di un surplus di reddito - storicamente, negli Stati Uniti con il New Deal di Roosevelt nel '32 e in Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale - il turismo di élite si è trasformato in turismo di massa" (v. Costa, 1989, p. 70).
In questa evoluzione delle prime forme di turismo, il dato più importante da registrare è, quindi, il passaggio da un fenomeno tipicamente aristocratico, di élite, circoscritto ai settori privilegiati della popolazione, a un fenomeno di massa, esteso cioè a tutti gli strati sociali e di dimensioni quasi industriali. Ora, sarà proprio questo passaggio, questo cambiamento, ad attirare inizialmente l'attenzione degli studiosi, che evidenzieranno subito l'esistenza di un forte scarto qualitativo tra i due tipi di turismo. Il contrasto tra le esperienze privilegiate dei viaggiatori romantici dell'Ottocento e i percorsi standardizzati e ripetitivi del turismo di massa era, in altri termini, troppo forte perché non si cogliesse questo scarto e, soprattutto, perché non se ne evidenziassero le profonde implicazioni qualitative (v. Triani, 1988).
È per questo motivo che le prime riflessioni sul turismo di massa sono decisamente critiche, se non addirittura apocalittiche. "Fino a tutti gli anni sessanta - scrive Savelli - la considerazione degli intellettuali per il turismo si presentava assai omogenea e giungeva alle medesime conclusioni pur riferendosi a paesi e contesti diversi e distanti. Le opere di Boorstin, di Morin, di Enzensberger, di Knebel, di Turner e Ash, riflettono un atteggiamento assai critico della cultura del tempo nei confronti dell'esperienza turistica e delle sue valenze culturali" (v. Savelli, 1988, p. 38). In particolare, la negatività di questo tipo di esperienza veniva individuata nella sua 'inautenticità', nel senso che il turista in viaggio non vedrebbe il mondo così come esso è realmente, ma solo il mondo che è stato selezionato per lui dall'organizzazione turistica o predisposto accuratamente dalle stesse comunità locali; non vedrebbe quindi delle cose, naturali o culturali che siano, ma solo l'immagine di esse. È la teoria del sight seeing ('vedere le cose da vedere'), secondo cui, appunto, l'esperienza turistica sarebbe oggi profondamente alterata per il fatto di essere 'preconfezionata' (v. Burgelin, 1967). "Nella fase in cui il turismo diventa un fenomeno di massa - scrive Savelli (v., 1988, p. 39) - l'elemento che serve di norma al viaggio è la sight, la cosa da vedere, classificata con una, due o tre stelle, secondo il suo valore. Il turista conosce l'oggetto come sight, vale a dire come elemento normalizzato, degno di essere assunto come obiettivo di un'esperienza turistica. La dominanza della sight, la traduzione in immagini delle cose e la loro normalizzazione reagiscono sulle cose stesse, riducendole alla condizione di museo, di orto botanico, di giardino zoologico. Messe in vetrina, le cose da vedere subiscono una trasformazione capitale: sono distaccate dal loro contesto, private del loro spessore, del rapporto con le condizioni che le hanno determinate e che possono, esse sole, spiegarle".
Questa valutazione negativa del turismo contemporaneo viene, però, lentamente smussata negli anni successivi dalle riflessioni di altri autori, soprattutto Morin e Burgelin, per essere poi quasi radicalmente capovolta dalle teorie di MacCannell e di Cohen. Per Morin (v., 1965), il fatto che il turista abbia a che fare con la sight non sarebbe di per sé un male, dato che anche questa versione alterata delle cose non ostacolerebbe quel percorso immaginario, di sogno e di fantasia, che è alla base della sua motivazione. Anche l'irrealtà della sight, insomma, servirebbe al turista per evadere dalla routine della vita quotidiana. Per Burgelin (v., 1967), invece, il sight seeing sarebbe solo una delle modalità attraverso cui si compie l'esperienza turistica, ma non necessariamente la sola. Burgelin non esclude, infatti, che anche in presenza della sight il turista possa recuperare un rapporto autentico con l'oggetto, tramite uno sforzo che egli definisce come impregnazione e che gli consente appunto di cogliere il vero significato delle cose. Così come colloca, accanto al turismo come processo di impregnazione, la possibilità di un turismo di scoperta, caratterizzato dall'interesse per tutto ciò che non è predeterminato dall'organizzazione turistica, e di un turismo di avventura, ancora più lontano dalle limitazioni della sight. Insomma, secondo Burgelin, non è detto che il turista debba necessariamente soccombere al sight seeing, potendo anche contare su forme alternative di esperienza turistica. L'intento di MacCannell (v., 1973), come si è detto, è, invece, di ribaltare la tesi del sight seeing, mostrando la possibilità di esperienze autentiche anche nei rigidi percorsi del viaggio organizzato (v. Savelli, 1988 e 1989). Se è vero, sostiene MacCannell, che il turista è alla ricerca di autenticità, è anche vero che questa ricerca è complessa e richiede l'esplorazione di tutto ciò che è attorno o dietro l'oggetto o il manufatto turistico, quindi la capacità di cogliere non solo quest'oggetto o manufatto, così come esso si presenta (vale a dire la scena, la front region, nel linguaggio di Goffman), ma anche il mondo intimo e riservato delle comunità ospitanti che organizzano l'offerta turistica (il retroscena o la back region), al quale il turista può avere accesso in gradi diversi. Il turista, quindi, alla ricerca di esperienze autentiche deve percorrere i diversi stadi che vanno dalla 'scena' al 'retroscena', e questo percorso segnerebbe le diverse fasi della sua stessa maturità turistica. Risulta, quindi, evidente come nella teoria di MacCannell l'esperienza turistica venga concepita anche come esperienza educativa, pedagogica, nel senso, appunto, che il rapporto con l'autenticità, più che l'esito di singoli episodi di viaggio, di contatti più o meno occasionali con i beni turistici, sia piuttosto il frutto di un lungo lavoro di ricerca, che sarebbe anche, in qualche misura, ricerca di se stessi. D'altronde, nella riflessione di MacCannell il tema dell'autenticità va sicuramente oltre la questione del turismo. "Egli assume la ricerca dell'autenticità - osserva Savelli (v., 1988, p. 46) - come una dimensione costante della vita sociale, che si manifesta in ogni suo aspetto, e asserisce anzi che, sotto questo profilo, il turismo viene ad assorbire alcune delle funzioni sociali già coperte dalla religione. Secondo lui la sopravvivenza della dimensione individuale nella società moderna è legata all'affermazione di un nuovo interesse per l'autenticità delle sue esperienze sociali. Così, lo stesso fenomeno del sight seeing viene considerato come una forma di rispetto rituale per la società". Il turista, dunque, è per MacCannell (v., 1976) una persona morale, che egli definisce anche come "pellegrino della modernità". La sua ricerca di autenticità non sarebbe altro che l'esperienza del sacro tipica delle società tradizionali. Scrive Costa (v., 1989, pp. 91-92), commentando il contributo di MacCannell: "Tanto il pellegrino quanto il turista hanno in comune l'esperienza dell'unicità di un luogo: entrambi credono che solo in un determinato territorio si verifichi l'apparizione irripetibile di un'immagine attraente in modo peculiare, singolare ed eccezionale. Come il pellegrino, il sightseer segue un itinerario standard, vaga da una città all'altra o da un museo a un parco naturale, fermandosi dentro i drammi umani, antichi e moderni. I popoli e i paesaggi formano un set pluralistico di attrazioni che è equivalente ai temi delle religioni politeistiche e alla proliferazione dei luoghi in cui sono apparsi i santi del cattolicesimo. Le fasi del viaggio sono una variante moderna delle devozioni popolari nei santuari".
La teoria di MacCannell rovescia quindi la concezione, diffusa tra gli anni cinquanta e sessanta, di un turismo opaco e standardizzato e, per conseguenza, di un turista passivo e superficiale. Tuttavia essa è anche una teoria che solleva parecchie perplessità tra gli studiosi del settore, provocando un ampio dibattito (v. Costa, 1989, pp. 94-105) peraltro non ancora del tutto spento. L'approccio di MacCannell verrà comunque ripreso negli anni successivi da Cohen (v. i contributi del 1979), che ne rielaborerà alcuni contenuti, attenuando soprattutto il tema della ricerca dell'autenticità e pervenendo così a una sistematizzazione originale dei diversi tipi di turismo. Cohen distingue, infatti, quattro tipi di situazioni turistiche, che possono essere così sintetizzati:"- la situazione autentica, che è, a un tempo, oggettivamente reale e accettata come tale dai turisti, è la situazione che si incontra fuori dagli spazi turistici organizzati e dai percorsi tradizionali;- la situazione dell'autenticità rappresentata, in cui l'establishment turistico predispone la scena per il turista, ma in cui il turista non è cosciente di tale predisposizione, accettandola perciò come reale; è la situazione che MacCannell definisce come spazio turistico protetto, in cui l'establishment fa sforzi per mantenere il turista inconsapevole della manipolazione; - la situazione di rifiuto dell'autenticità, in cui si ha il ribaltamento di quella precedente; la scena è oggettivamente reale, ma il turista, che ha imparato a dubitare da precedenti esperienze di manipolazione, mette in dubbio la sua autenticità;- la situazione del turismo pianificato, in cui la scena è apertamente predisposta dall'organizzazione ospitante e in cui il turista è avvertito di tale predisposizione; si ha quello che MacCannell definisce come spazio palesemente turistico" (v. Savelli, 1988, p. 49). Come si vede chiaramente, Cohen accoglie lo schema di MacCannell della 'scena' e del 'retroscena', utilizzandolo però in chiave meno soggettiva, cosa che, come si diceva precedentemente, gli consente di attenuare il tema della ricerca di autenticità, dominante invece nell'approccio di MacCannell. Osserva ancora Savelli che questa sistemazione di Cohen consente non solo di confrontare tipi diversi di turismo, ma anche di analizzare il modo in cui essi continuamente mutano. "Vi è un processo di transizione - scrive infatti Savelli (v., 1988, p. 49) - tra il primo e il secondo tipo di situazioni attraverso una diffusione dell''autenticità' predisposta ad hoc e una proliferazione di spazi turistici protetti. Ma c'è anche un complementare processo attraverso cui la relazione turistica viene riportata allo scoperto, attraverso una transizione tra il secondo e il quarto tipo di situazione turistica. Il processo, cioè, attraverso il quale il carattere ufficiale della situazione turistica è svelato e smascherato da un turista sempre più disincantato, e gli spazi turistici protetti vengono convertiti, contrariamente ai desideri o alle intenzioni dell'establishment, in spazi apertamente turistici".
Le interpretazioni del turismo ora esaminate hanno tutte in comune l'accentuazione del carattere soggettivo di questo fenomeno. Più che spiegare il 'turismo', infatti, queste teorie considerano prevalentemente il 'turista' e, in particolare, le sue motivazioni, anche se talvolta, come ad esempio nel caso di MacCannell e di Cohen, si coglie lo sforzo di risalire dagli aspetti 'micro' - vale a dire individuali, soggettivi o intersoggettivi - a quelli 'macro'. Questo passaggio dal micro al macro - che, fra l'altro, rappresenta oggi uno dei maggiori problemi teorici delle scienze sociali - resta però sostanzialmente irrisolto negli approcci ora esaminati, sicché il tipo di spiegazioni che essi offrono lascia aperti alcuni importanti problemi.
La stessa distinzione - peraltro centrale nella sociologia del turismo - tra la figura del vacationer e quella del sightseer (v. Cohen, 1974) è una distinzione di carattere essenzialmente psicosociologico, poiché classifica i turisti a seconda che alla base della loro motivazione vi sia l'esigenza di risolvere una fase momentanea di disagio o di squilibrio, che è il caso del vacationer, oppure quella di risolvere tensioni più profonde, che richiedono quindi una successione di esperienze, e che sarebbe, invece, il caso del sightseer.
In sostanza, i problemi che queste interpretazioni lasciano irrisolti sono soprattutto tre. Il primo è quello del rapporto tra turismo e stratificazione sociale, vale a dire il problema riguardante i meccanismi attraverso cui i diversi strati di una società accedono alle differenti forme di svago e, quindi, anche di turismo. Il secondo riguarda invece l'evoluzione che subiscono nel tempo i 'luoghi' del turismo, quello, cioè, che potrebbe definirsi il problema del 'ciclo di vita' delle località turistiche. Il terzo è quello dell'organizzazione dell'offerta turistica, che è comunque un problema a sé stante, le cui implicazioni sono di carattere prevalentemente economico e aziendale.
Per quanto riguarda i primi due problemi, alcuni punti vanno subito sottolineati. Il primo è che si tratta di questioni strettamente collegate tra loro, nel senso che sono gli stessi cambiamenti della domanda turistica, a loro volta dipendenti dalle dinamiche della stratificazione, a causare l'ascesa o il declino delle località turistiche. Il secondo punto è che queste tematiche non hanno trovato molto spazio nella sociologia contemporanea, il che vuol dire che non si dispone oggi di spiegazioni esaustive di questi fenomeni. Ciò nonostante è possibile individuare in letteratura alcune linee teoriche che consentono di avanzare qualche ipotesi su questi particolari aspetti del fenomeno turistico. Il punto di partenza per queste riflessioni è sicuramente il concetto di "consumo vistoso" dell'economista Thorstein Veblen (v., 1899) che, alle soglie del secolo, pubblicò un saggio dal titolo La teoria della classe agiata, nel quale veniva elaborata una spiegazione del tutto nuova del consumo. Secondo Veblen, infatti, la domanda di beni non sarebbe tanto influenzata da fattori strettamente economici come i prezzi e i redditi, ma soprattutto da fattori di natura sociologica legati al 'prestigio sociale' e alle dinamiche che esso innescherebbe nella stratificazione sociale. Il punto centrale della tesi di Veblen è che il consumo sarebbe essenzialmente uno strumento di rappresentazione della posizione sociale, il che vuol dire che i consumatori desidererebbero e acquisterebbero i beni non tanto per la loro utilità pratica, quanto per la capacità che essi avrebbero di conferire prestigio e riconoscimento sociale. L'esibizione dei beni, quindi, e non tanto il loro uso pratico, costituirebbe la vera funzione del consumo, e i consumatori ingaggerebbero tra loro una vera e propria competizione nell'esibire i beni in grado di simboleggiare la loro effettiva capacità di spesa. Ora, poiché le classi sociali privilegiate hanno una maggiore capacità di spesa, sarebbero esse a definire i contenuti di questa competizione, creando continuamente nuovi modelli di spesa e, quindi, nuovi simboli di prestigio, di cui tenterebbero poi di appropriarsi i consumatori con minore capacità di spesa. "Questa esigenza di distinzione - scrive Robinson (v., 1962, p. 9) - crea un conflitto di aspirazioni tra due gruppi teoricamente isolabili all'interno della struttura sociale. Da un lato abbiamo l'aspirazione della maggioranza ad avvicinarsi quanto più possibile alle forme scelte dall'élite; dall'altro, l'aspirazione di quest'ultima a conservare il carattere distintivo delle sue scelte, di fronte al comportamento imitativo della prima".
Questa teoria è stata ampiamente discussa nelle scienze sociali e ha anche ispirato, in tempi recenti, alcune importanti interpretazioni del consumo (v. Baudrillard, 1970 e 1972; v. Bourdieu, 1979). Tra l'altro, poiché Veblen considerava l'uso del tempo e le pratiche 'oziose' dei formidabili strumenti di rappresentazione dello status e di confronto antagonistico, la sua concezione del consumo ha anche influenzato alcune teorie contemporanee del tempo libero. Anzi, secondo alcuni studiosi (v. Lanfant, 1972), nonostante la grande accumulazione di studi e ricerche condotti in questi ultimi cinquant'anni, quello di Veblen resterebbe ancora l'unico quadro teorico di riferimento per l'analisi del tempo libero.
Questi temi della distinzione e dell'esibizione competitiva sono stati introdotti di recente nell'analisi del turismo da Marc Boyer. Secondo questo autore la sociologia empirica del turismo non riuscirebbe a fornire spiegazioni soddisfacenti né dei mutamenti quantitativi del turismo, né di quelli qualitativi. Egli propone pertanto un approccio socioculturale che, collegandosi con la teoria vebleniana del consumo vistoso, poggia sul concetto di "invenzione di distinzioni". Scrive Boyer (v., 1988, p. 91): "Dall'origine - cioè almeno dopo il XVIII secolo - le forme, i modi, i luoghi del turismo sono delle 'invenzioni di distinzioni"'. Inizialmente, secondo Boyer, quasi tutte le invenzioni turistiche sarebbero state introdotte dagli inglesi: gli inglesi avrebbero infatti 'inventato' la stagione di inverno nel Mezzogiorno, gli inglesi avrebbero 'inventato' il turismo termale e sempre gli inglesi avrebbero creato l'interesse per le vacanze in montagna. Questi tipi di svaghi avrebbero avuto soprattutto una funzione sociale, quella cioè di facilitare l'incontro tra gente ricca e tra vecchi e nuovi ricchi, il tutto in una cornice elegante e fastosa, ossia di intensa esibizione ostentativa. "Questa vita mondana - osserva ancora Boyer - è vita di piacere. Le spese e l'ostentazione che essa presuppone sono altrettanti modi di distinguersi. Una volta che il lancio è riuscito, una volta che i luoghi sono conosciuti, bisogna, per continuare a distinguersi, andare altrove, oppure distrarsi in altri modi. Ecco la base del cambiamento qualitativo. Lo si osserva molto bene a proposito della stagione termale. Gli inglesi, tra la fine del XVII e l'inizio del XIX secolo, trascurano Bath per andare sul continente, lanciando Spa e i diversi Baden della regione del Reno e dei Sudeti, o anche più lontano, a Montecatini o Aixen-Savoie. Oppure scoprono che il mare con le maree, lo iodio, e le onde vigorose permette anch'esso di fare i bagni e di vivere una stagione elegante. Essi eleggono a loro ritrovo Brighton, poi, dopo il 1870, emigrano sulla costa opposta: Ostenda, Scheveningen, Dieppe sono le località pioniere" (ibid., p. 92).
La tesi di Boyer è che questo processo di "invenzione di distinzioni", tipico del turismo aristocratico dell'Ottocento, non sarebbe sostanzialmente mutato nel Novecento e nemmeno con la comparsa del turismo di massa, anche se le modalità di diffusione di queste invenzioni risulterebbero, in quest'ultimo caso, profondamente diverse. Il punto che, comunque, interessa qui sottolineare è che Boyer lega il significato della vacanza e la dinamica dei luoghi turistici alla stratificazione sociale e alla competizione per i simboli di status, esattamente come viene inteso nello schema di Veblen. Scompaiono, dunque, in questo approccio le motivazioni dei turisti, i comportamenti individuali, gli schemi di relazione intersoggettiva, tipici appunto degli approcci precedenti, e il fenomeno turistico appare come fenomeno strutturale, legato alla dinamica della stratificazione sociale.
Sviluppando, allora, il discorso di Boyer è possibile tracciare le linee generali di una interpretazione non più 'micro' del turismo (v. Ragone, 1985). La matrice strutturale del fenomeno turistico permette, infatti, di cogliere un elemento importante di questa discussione, e cioè il fatto che la componente distintiva messa in luce da Boyer potrebbe interpretarsi come il costituirsi di un particolare rapporto tra il turista e la comunità ospitante, rapporto che definisce una situazione di subordinazione da parte della comunità ospitante, di fronte a una situazione di dominanza da parte del turista. Almeno, cioè, nella sua fase iniziale, il fenomeno turistico, che si caratterizza come fenomeno di contatto fra culture diverse (v. Smith, 1977), è in realtà un rapporto tra classi sociali differenti: quella dominante, cui appartiene il turista, e quella povera, subordinata, cui appartiene la comunità ospitante. Ora, le "invenzioni di distinzioni" di cui parla Boyer e la conseguente dinamica delle località turistiche, non sarebbero altro che gli effetti di questa contrapposizione di classe, contrapposizione che rappresenta, pertanto, il contenuto autentico del turismo aristocratico dell'Ottocento e dei primi anni del Novecento. Ciò che interessa qui sottolineare è che questa componente distintiva, tipica del turismo aristocratico, permane nel turismo contemporaneo, anche se, evidentemente, in modo non esplicito. Ancora oggi, cioè, la contrapposizione di classe - o, per usare le parole di Veblen, il rapporto "padrone-servitore" - costituirebbe la struttura profonda che scandisce i tempi, i luoghi e i modi dell'esperienza turistica. L''essere serviti' rappresenta ancora, infatti, uno degli interessi centrali e dei piaceri maggiori del turista contemporaneo, tanto è vero che su questo fattore fanno principalmente leva i richiami pubblicitari dell'industria turistica. I 'luoghi tipici', le 'cucine tradizionali', i 'cibi autentici' non sono altro che ingredienti diversi di un'unica operazione tendente alla ricostruzione simbolica di una cultura subalterna e 'servile', idonea a richiamare alla memoria l'antico rapporto padrone-servitore. Si potrebbe quindi avanzare l'ipotesi che l'autenticità di cui è alla ricerca il turista contemporaneo non sia altro che l'autenticità del rapporto padrone-servitore. In realtà, nella teoria del sightseer e nelle altre teorie esaminate in precedenza, la questione dell''autenticità' - che pure vi occupa una posizione centrale - resta alquanto nel vago. Di quale autenticità sarebbero, infatti, alla ricerca il sightseer o il vacationer? Monumenti, chiese, parchi naturali, ecc., anche se preparati e impacchettati dalle comunità ospitanti e dall'industria turistica, sono comunque autentici. Il fatto è che l'autenticità che caratterizza l'esperienza turistica è proprio l'autenticità di una relazione sociale e, in particolare, l'autenticità di una contrapposizione di classe, la quale si genera 'naturalmente', come si è detto, quando si incontrano la cultura dominante del viaggiatore e la cultura indigena.
Se si accoglie questa interpretazione del fenomeno turistico, diventa anche più facile capire i motivi della gerarchizzazione delle località turistiche e il meccanismo attraverso il quale questa gerarchizzazione muta continuamente. Basta riflettere sul fatto che i luoghi più alla moda del turismo sono, ancora oggi, proprio quelli in cui la contrapposizione di classe è più marcata ed esplicita, quelli, cioè, dove esiste ancora una cultura locale autentica e dove, quindi, la contrapposizione padrone-servitore conserva molti dei suoi caratteri originari. Non a caso il pregio di una località turistica è oggi inversamente proporzionale all'entità della sua organizzazione ricreativa. Dove, infatti, c'è organizzazione ricreativa, non esiste più comunità locale, e dove non c'è questa comunità locale, svanisce anche lo schema tradizionale padrone-servitore e, quindi, l'autenticità stessa dell'esperienza turistica. Così, paradossalmente, le vacanze più sofisticate si realizzano nei luoghi più poveri, dove sopravvivono le ultime comunità rurali, marine o montane, mentre la vacanza più a buon mercato si realizza nei luoghi turistici più organizzati e attrezzati, dove l'antico rapporto padrone-servitore si è trasformato nel più moderno e laico rapporto 'acquirente di servizi-venditore di servizi'. Sotto il profilo teorico sembrerebbe quindi possibile identificare due diversi modelli di turismo, che rappresentano i poli estremi di un continuum nel quale si esprime l'esperienza turistica contemporanea (v. Ragone, 1985): a) il modello dell'isolamento aristocratico, rappresentato dalla forma più elitaria di vacanza, le cui principali caratteristiche sono la presenza di una comunità locale povera e l'assenza di attrezzature per lo svago. Il valore di questi luoghi sarebbe, insomma, definito dalla loro modestia turistica. Anche l'architettura degli edifici presenta qui caratteri rigorosamente sobri, così come le sole attività possibili finiscono per essere l'ozio, la meditazione e il contatto con la natura. Si tratta del fenomeno che i sociologi definiscono di 'sotto-consumo ostentativo', ossia di una surdifferenziazione di prestigio che si esprime paradossalmente nella modestia, nella discrezione, nella sobrietà, nella semplicità di tutte le cose (v. Baudrillard, 1970). Tutti gli elementi di questo modello - dall'architettura all'arredamento, dall'alimentazione all'abbigliamento - si ispirano rigidamente a questo schema di povertà simbolica. Si tratta, ovviamente, di un modello ideale, di un 'tipo ideale', che si richiama, tuttavia, alla 'situazione autentica' indicata da Cohen; b) il modello del luna park, che è esattamente l'opposto del precedente. Qui tutto è artificiale, tutto è ricostruito, tutto è simulato. Anche la comunità locale è artificialmente riprodotta nei falsi 'luoghi tipici', nelle architetture di maniera, nei falsi 'cibi autentici', nell'offerta organizzata di riti religiosi. E c'è un eccesso di attrezzature per lo svago, una sovrabbondanza organizzativa che rende questi luoghi molto simili ai parchi di divertimento, dove tutto è gioco e divertimento e dove tutto è simulato (v. Ritzer, 1995). È la situazione che Cohen definisce dell'"autenticità rappresentata" e che MacCannell chiama, invece, "spazio turistico protetto", dove, come si è visto precedentemente, il turista è tenuto all'oscuro di tutti i tipi di manipolazione.
Come già accennato, si tratta di due 'tipi ideali', ossia di due forme di organizzazione turistica che nella realtà non si presentano mai nei termini ora esposti, ma che indicano le situazioni estreme verso cui tendono i diversi modelli concreti di turismo. Inoltre, il ragionamento che è alla base di questo schema permette anche di interpretare tipi di vacanza e di turismo - quali ad esempio i villaggi-vacanza o il turismo di 'scoperta' e il turismo di 'avventura' - che in apparenza sembrerebbero estranei alla tesi della "invenzione di distinzioni", ma che in realtà possono agevolmente rientrarvi, considerando che nelle attuali società di consumo questo tipo di innovazioni presenta spesso caratteri policentrici, vale a dire che non matura esclusivamente dalla élite, dai vertici della stratificazione sociale. Si ricordi, infine, che lo schema proposto consente di individuare una componente strutturale del fenomeno turistico e, pertanto, di spiegare i cambiamenti della domanda e dell'offerta turistica indipendentemente dalle motivazioni dei singoli attori dell'esperienza turistica.
Naturalmente il turismo presenta anche aspetti di natura economica e socioeconomica, che sono sicuramente importanti e che concorrono, assieme a quelli ora ricordati, a spiegare quantità, qualità e trasformazioni di questo genere di svago. Si ricordi intanto che, essendo il turismo un tipo di consumo, la domanda dei soggetti sarà comunque condizionata al reddito disponibile. Migliori sono, quindi, le condizioni di vita di una popolazione, maggiore sarà la domanda di viaggi e di vacanze. Ma, come tutti i beni di consumo, questa domanda, oltre a essere influenzata dal reddito, sarà anche influenzata dal prezzo al quale questo particolare bene viene offerto sul mercato; è chiaro, infatti, che una riduzione del prezzo del bene vacanza farà crescere la sua domanda, e viceversa. Redditi degli individui e prezzi di mercato hanno, quindi, un peso rilevante nella dinamica del fenomeno turistico, anche se, come si dirà più avanti, gli effetti di questi fattori non si producono autonomamente ma si combinano con gli effetti delle variabili motivazionali e sociologiche viste precedentemente. Se tutto ciò è importante dal lato della domanda di turismo, altrettanto importanti sono i problemi dell'offerta turistica (v. Benini e Savelli, 1986). Questa offerta, tra l'altro, non riguarda solo i beni turistici in senso stretto, come alberghi, attrezzature di svago, ecc., ma anche beni e risorse che hanno un rapporto indiretto col turismo ma che, ciò nonostante, esercitano un peso considerevole nella formazione complessiva dell'offerta (v. Guiducci, 1984). Si pensi, ad esempio, ai trasporti, oppure all'ambiente e alle politiche per la sua tutela, o ancora al patrimonio artistico-culturale presente in una determinata località. Questo vuol dire che la produzione dei beni turistici e, quindi, le condizioni di vantaggio per gli investimenti in questo settore, non dipendono solo da valutazioni di redditività dei beni turistici in senso stretto, ma da valutazioni più complesse che devono tener conto anche di queste risorse indirette, ossia di ciò che gli economisti definiscono come 'economie esterne'. Da un lato, quindi, i consumatori domandano vacanze e turismo quanto maggiore è il reddito 'discrezionale' disponibile e quanto minori sono i prezzi di mercato; dall'altro, i prezzi non sono solo legati all'ampiezza della domanda, ma anche alle modalità di organizzazione dell'offerta e/o a quei fattori ambientali, sociali e culturali di cui si è detto e che non sono sempre controllabili dagli imprenditori di questo settore. Il problema economico del turismo si presenta, quindi, abbastanza complesso, e questo spiega perché recentemente sia nato un particolare settore dell'economia che è, appunto, l'economia turistica (v. Zeppetella e Bresso, 1986).
È interessante qui rilevare che, sebbene negli ultimi cinquant'anni la spesa per turismo e vacanze sia costantemente cresciuta in tutti i paesi economicamente avanzati, e non soltanto in questi (si consideri che il giro d'affari mondiale del turismo venne stimato nel 1987 in 2.000 miliardi di dollari), vanno tuttavia emergendo sulla scena turistica alcuni fenomeni che sembrano contrastare questo lungo trend positivo, riducendo i tassi di crescita dei movimenti turistici e ponendo, quindi, rilevanti problemi tanto dal lato della domanda quanto dal lato dell'offerta. Per spiegare questi fenomeni e i loro effetti negativi sulla crescita turistica, occorre però considerare non solo i fattori di natura economica, ma anche quei fattori di natura psicologica e sociologica di cui si è detto in precedenza, e soprattutto le loro interrelazioni con le variabili economiche.
Si può allora partire dalla considerazione che, come si è detto, sulla crescita del turismo giocano un ruolo centrale soprattutto due fattori, vale a dire l'aumento del benessere e le sempre più vantaggiose condizioni di offerta dei beni turistici. Si tenga inoltre presente che questi due fattori si influenzano reciprocamente - come, d'altronde, dimostra chiaramente la storia dello sviluppo turistico di questi ultimi cinquant'anni - nel senso che se, da un lato, i prezzi sempre più bassi dei beni turistici generano un aumento di domanda, dall'altro è proprio questa domanda crescente a rendere possibile un'offerta a prezzi sempre più convenienti. Di qui la spirale positiva che, negli ultimi cinquant'anni, ha reso possibile il passaggio dal turismo come svago di élite al turismo come fenomeno di massa. Senonché è proprio questa spirale positiva di redditi e prezzi che sembra oggi incepparsi, proprio in conseguenza degli effetti combinati dei fattori economici e sociologici di cui si è detto in precedenza e che intervengono tanto dal lato della domanda, quanto da quello dell'offerta.
Per quanto riguarda il lato della domanda, un primo fenomeno da considerare è il profilarsi di una certa riduzione di interesse per le attività turistiche, dovuta alla crescente standardizzazione dell'offerta. Mentre da un lato questa standardizzazione agisce positivamente sulla domanda grazie alla riduzione dei prezzi, dall'altro agisce su di essa anche negativamente, deprimendo le motivazioni del turista consumatore (v. Enzensberger, 1995). Sicché, una delle difficoltà in cui comincia oggi a dibattersi l'industria turistica è rappresentata dal fatto che con politiche di prezzi bassi non si può che offrire un prodotto standardizzato, ma d'altra parte questo tipo di prodotto scoraggia, a lungo andare, la domanda turistica o, almeno inizialmente, la parte di domanda più esigente. Un secondo fattore di alterazione della domanda è rappresentato dalla concorrenza crescente esercitata dalle grandi aree urbane, nella misura in cui, all'interno di queste aree, si vanno sempre più diffondendo modelli di residenza che offrono servizi per il tempo libero non dissimili da quelli offerti dall'industria delle vacanze. Anche se si tratta ancora di un fenomeno molto limitato, tuttavia non c'è dubbio che il fatto di avere sotto casa il verde, la piscina, i campi da tennis, ecc. possa rappresentare un disincentivo al viaggio o alla villeggiatura.
Terzo fattore di contenimento della domanda è il cosiddetto 'effetto snob' (v. Leibenstein, 1950), che si presenta con particolare intensità proprio nel settore del turismo. Esso consiste nel fatto che, mentre in seguito alla riduzione dei prezzi entrano nel mercato nuovi consumatori, proprio in conseguenza di ciò una parte dei vecchi consumatori abbandona il mercato. Naturalmente l'effetto netto della riduzione del prezzo è sempre positivo, ma è sicuramente minore di quello che si sarebbe avuto se la domanda non fosse risultata alterata da fattori sociali, quale, appunto, l''effetto snob'. Questo particolare effetto richiama immediatamente il gioco dei fattori di 'distinzione' prima esaminati, e mostra chiaramente l'intreccio tra aspetti economici e sociologici nella determinazione della domanda di beni (v. Ragone, 1993).
Anche dal lato dell'offerta, però, si stanno delineando, come si diceva in precedenza, alcuni ostacoli alla crescita turistica. Il maggiore di essi è rappresentato dalle politiche di protezione ambientale adottate nei paesi o nelle aree di grande richiamo turistico. Questa esigenza di protezione riguarda sia i beni naturali in senso stretto - arenili, montagne, parchi, ecc. - , sia il patrimonio artistico monumentale, anch'esso, evidentemente, soggetto a deterioramento, sia, infine, la stessa identità sociale e culturale delle comunità ospitanti (v. AA.VV., 1994). Di fronte ai rischi di deterioramento dei patrimoni storico-artistici e ambientali, una delle risposte possibili, almeno per il momento, sembra essere quella del cosiddetto 'numero chiuso' o 'programmato', una risposta, cioè, di contenimento delle presenze turistiche. Il problema della congestione turistica ha infatti fatto emergere recentemente l'esigenza di considerare, accanto ai benefici dell'attività turistica, anche i costi di questa attività, e di definire pertanto una 'soglia ottimale' di presenze. Il concetto recente di 'turismo sostenibile' si riferisce appunto a modelli di organizzazione turistica in cui i vantaggi economici derivanti dalle attività turistiche non vengano tutti assorbiti dai costi ambientali prima descritti. Almeno fino a oggi, la politica del 'numero chiuso' è stata, generalmente, solo prospettata e raramente attuata. Tuttavia, i segnali che provengono dalle grandi aree turistiche indicano che la strada in questa direzione è stata ormai aperta e che la possibilità di provvedimenti restrittivi dell'offerta turistica in alcune località è tutt'altro che remota.
Per quanto riguarda l'Italia, ad esempio, si discute da tempo l'opportunità di ridurre o, comunque, di programmare l'affluenza turistica nelle città d'arte o in alcune aree di rilevante interesse naturalistico. Il caso più noto è sicuramente quello di Venezia, che in alcuni periodi dell'anno presenta punte di congestione turistica elevatissime e dove, appunto, l'ipotesi del 'numero chiuso' viene continuamente riproposta da associazioni ambientaliste o dalla stessa amministrazione comunale. Basti pensare, a conferma della serietà di questi propositi, che nel 1989 l'amministrazione veneziana commissionò al Dipartimento di Scienze economiche della locale Università una ricerca sul numero programmato di visitatori. Anche a Capri se ne parla da tempo, ma nessuna decisione è mai stata presa in questo senso. Un'altra proposta di numero chiuso venne addirittura avanzata alcuni anni fa per alcune spiagge della Sardegna, così come alcune limitazioni dei flussi turistici sono state chieste per il Parco nazionale degli Abruzzi e per il Parco regionale della Maremma. Né meno significativi appaiono i movimenti di protesta delle comunità locali nei confronti di ciò che viene definito 'invasione turistica'. Alcuni anni fa, ad esempio, fece scalpore la protesta degli abitanti di una regione della Toscana, il Chianti, contro la forte penetrazione di tedeschi e inglesi visti come colonizzatori di un'area che temeva di essere snaturata. Probabilmente, in questo caso particolare, assieme alla difesa delle radici culturali c'erano anche gli interessi dei produttori di vino, ma ciò non cambia molto le cose. Dello stesso genere è stata, alcuni anni fa, la protesta dei villeggianti di Capalbio contro il progetto di una nuova autostrada, che avrebbe sicuramente moltiplicato il numero di turisti. Né diverso è il significato della proposta di 'restauro ecologico' avanzata recentemente da alcune associazioni ambientaliste, o la protesta di Reinhold Messner in difesa del Cervino. Sono, questi, esempi eloquenti di una preoccupazione ormai assai diffusa - e non solo in Italia - circa i danni che possono derivare dalla congestione turistica. Preoccupazione che, come accennato in precedenza, nasce dalla consapevolezza che ogni presenza turistica che superi la soglia ritenuta ottimale rischia di produrre più danni che benefici. E di qui, appunto, lo sforzo di individuare strumenti di contenimento delle presenze turistiche. (V. anche Tempo libero).
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