Acque, Tutela dall'inquinamento delle
La tutela delle acque dall’inquinamento è obiettivo di primaria importanza ambientale, sociale ed economica. Il suo conseguimento richiede azioni combinate e integrate, nel quadro definito dalla normativa ambientale. In particolare, nell’ambito delle linee strategiche fissate dalla direttiva comunitaria 2000/60/CE, il d. legisl. 3 apr. 2006 nr. 152 e successive modifiche e integrazioni, fissa principi, criteri e strumenti per la tutela delle acque: a) l’acqua è un patrimonio naturale da conservare e usare in modo sostenibile, proteggendone gli usi a lungo termine per le generazioni future; b) l’obiettivo è perseguito con un approccio integrato che fissa sia standard di qualità ambientale dei corpi idrici sia strumenti per il loro conseguimento, tra cui modalità di gestione della risorsa e valori limite di emissione per gli scarichi idrici; c) per un corpo idrico superficiale, lo stato di qualità ambientale è definito sotto il profilo sia chimico sia ecologico. Quest’ultimo si basa sulla capacità dei corpi idrici di mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate. Per un corpo idrico sotterraneo, lo stato ecologico è sostituito dal concetto di stato quantitativo, relativo al minimizzare l’impatto provocato da estrazioni dirette e indirette; d) mediante appositi piani di tutela delle acque vengono definite le misure per ottenere un buono stato di qualità ambientale per ciascun corpo idrico (entro dicembre 2015); e) criteri e misure particolari sono stabiliti sia per corpi idrici a specifica destinazione d’uso (quali potabile, balneazione, vita dei pesci e dei molluschi) sia per tre tipologie di zone: le zone sensibili (al rischio di eutrofizzazione), le zone vulnerabili (da nitrati di origine agricola, da prodotti fitosanitari, da processi di desertificazione), le zone di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano; f ) criteri specifici sono anche definiti per l’ambiente marino (dir. 2008/56/CE) quali mantenimento della biodiversità, controllo delle specie non indigene, buona salute dello stock di pesci e molluschi ai fini commerciali, riduzione dell’eutrofizzazione, mantenimento dell’integrità dei fondali, controllo degli inquinanti nelle acque e nel biota, assenza di modifiche permanenti delle condizioni idrografiche, controllo di fonti sonore e di forme di energia; g) le acque reflue, urbane o industriali, devono essere depurate prima di essere scaricate; i limiti degli scarichi degli impianti di depurazione sono finalizzati al conseguimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e comunque devono rispettare i valori limite indicati in apposite tabelle (d. legisl. 152/2006, allegato 5, parte III); h) misure specifiche sono stabilite per singoli inquinanti o gruppi di inquinanti che, in relazione alla loro tossicità, persistenza o bioaccumulabilità, presentino un rischio significativo per l’ambiente (sostanze prioritarie e pericolose); una successiva direttiva (2008/105/CE), tra l’altro, stabilisce emissioni zero per le sostanze pericolose prioritarie nel 2020; i) la tutela della risorsa idrica viene anche basata sul bilancio idrico (in base a fabbisogni, disponibilità, minimo deflusso vitale, capacità di ravvenamento della falda), sul risparmio idrico (eliminazione degli sprechi e riduzione dei consumi) e sul riuso delle acque reflue depurate (per es., per l’irrigazione di colture agricole e di aree urbane destinate al verde e ad attività ricreative).
Lo schema di depurazione convenzionale delle acque reflue di origine civile è consolidato (fig. 1) e consente di rimuovere corpi solidi sospesi, sostanze organiche biodegradabili e microrganismi patogeni (si veda anche la tab. 1). Tale schema è anche largamente applicato per la depurazione di acque reflue industriali, quando le sostanze da rimuovere siano di natura prevalentemente organica e biodegradabile. All’apparente semplicità di tale schema depurativo fanno riscontro difficoltà gestionali, spesso poco considerate, che possono causare prestazioni insoddisfacenti.
Al riguardo si evidenzia che il cuore del trattamento è il reattore biologico dove operano differenti popolazioni microbiche (anche dette biomassa, con accezione specifica e contestuale rispetto al più ampio significato del termine): la dinamica di crescita di tali popolazioni è un processo complesso e difficile da controllare, soggetto più a leggi di tipo statistico che deterministico; di questo tipo, per es., è la problematica gestionale creata dal bulking filamentoso, dovuto al prevalere di batteri filamentosi le cui scadenti caratteristiche di sedimentabilità comportano una fuoriuscita di biomassa dall’impianto con conseguente diminuzione dell’efficienza depurativa. Inoltre il reattore biologico deve garantire una stabilità delle prestazioni al variare del carico (portata e concentrazione del refluo in ingresso), variazione che può essere molto consistente nelle 24 ore; questa condizione sfavorevole non trova riscontro in nessun altro comparto di produzione industriale, dove la costanza delle condizioni di carico nei reattori è un prerequisito scontato.
Una modifica di tale processo convenzionale, detto pure ‘a fanghi attivi’ (dove il termine indica il complesso della biomassa aerata), consente anche di realizzare la rimozione dell’azoto (che è sempre richiesta nel caso di reflui industriali mentre per i reflui civili si applica solo agli scarichi in aree sensibili all’eutrofizzazione, tab. 1). La rimozione dell’azoto si realizza attraverso la ripartizione del reattore biologico in sezioni di ossidazione aerobica della sostanza organica e azoto ridotto (da ione ammonio a ione nitrato) e di riduzione del nitrato in condizioni anossiche (schemi integrati di nitrificazione/denitrificazione biologica, fig. 1).
Tali modifiche possono comportare delle criticità, sia per le maggiori dimensioni dello stadio biologico, sia per le aumenta te difficoltà gestionali dello stesso (tab. 2). A tali difficoltà si è risposto con l’uso sempre più frequente di sistemi di monitoraggio chimico/fisico on-line, analisi microbiologiche con metodi avanzati di biologia molecolare e modelli matematici di supporto al controllo di processo automatizzato.
Un limite intrinseco del processo a fanghi attivati è nella bassa densità della biomassa che cresce dispersa all’interno del reattore e quindi negli elevati volumi del reattore stesso; inoltre, poiché questi reattori sono poco profondi, il necessario volume di reazione deve essere ottenuto aumentando l’area superficiale, con risvolti negativi nella produzione di odori, rumori e aerosol (problemi di impatto ambientale). La necessità di impianti più compatti (carenza di aree urbane da destinare alla depurazione) e a minor impatto ambientale ha fornito un forte impulso allo sviluppo di impianti avanzati quali i reattori a biofiltro sommerso e i bioreattori a membrana.
Nei primi, che appartengono alla tipologia dei reattori a biomassa adesa (fig. 2), la biomassa si sviluppa sotto forma di un biofilm che aderisce sulla superficie di un idoneo materiale di riempimento (un supporto fisico a elevato sviluppo superficiale) consentendo così alla biomassa di raggiungere elevate concentrazioni, il che si traduce in una riduzione delle dimensioni del reattore. Inoltre, non richiedendo il ricircolo della biomassa, l’efficienza del processo è svincolata dalle caratteristiche di sedimentabilità dei fanghi biologici.
Una differenziazione schematica distingue i reattori a biofilm in funzione del flusso dell’acqua all’interno del reattore (in equicorrente o in controcorrente rispetto al flusso dell’aria) e della densità del materiale di riempimento (maggiore o minore della densità dell’acqua). D’altra parte, tale tecnologia non è esente da problematiche, tra cui: il materiale sospeso trattenuto dal biofiltro deve essere rimosso con frequenti controlavaggi; ciò richiede energia, acqua (15-30% dello scarico trattato) e serbatoi di stoccaggio; è quindi necessario uno stadio a monte di pretrattamento fisico per diminuire i problemi di intasamento nel materiale di riempimento e, molto importante, nei sistemi di aerazione; è ancora insoddisfacente la conoscenza teorica del meccanismo di formazione del biofilm.
I bioreattori a membrana (MBR, fig. 3) utilizzano una filtrazione su membrana anziché una semplice sedimentazione per mantenere la biomassa all’interno degli stessi; è così possibile raggiungere elevate concentrazioni di biomassa svincolandosi dalle caratteristiche di sedimentabilità della stessa. Anche i reattori a membrana presentano varie configurazioni di processo quali membrane esterne al reattore o immerse nello stesso, filtrazione sotto pressione o sottovuoto, caratteristiche geometriche delle membrane (piane, tubolari e a fibre cave). Oltre a una riduzione della superficie di ingombro rispetto al tradizionale reattore a fanghi attivi, un bioreattore a membrana consente una più elevata qualità dell’effluente trattato e una minore produzione di fango di risulta. Esso comporta, per contro, maggiori costi, sia di impianto sia di esercizio, e un’accentuata difficoltà gestionale legata ai problemi di intasamento delle membrane.
I microinquinanti organici sono osservati con grande attenzione (tab. 1), tra questi, per es., gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), i bifenili policlorinati (PCB), gli idrocarburi aromatici (quali benzeni, tolueni e xileni), gli idrocarburi aromatici alogenati (quali clorobenzene e 1-4 diclorobenzene) e gli idrocarburi alifatici alogenati (quali tetracloroetilene, tricloroetilene e dicloroetano). I microinquinanti organici sono rimossi solo in misura parziale (per volatilizzazione, adsorbimento o parziale biodegradazione) negli impianti biologici tradizionali(fig. 1). Da qui l’esigenza di tecnologie di tipo chimico-fisico dedicate, quali la filtrazione assistita da coagulazione-flocculazione, l’adsorbimento su carboni attivi, lo stripping (rimozione di componenti più volatili o meno solubili attraverso trasferimento di fase), le operazioni a membrana e l’ossidazione chimica (Xenobiotici e contaminanti emergenti, 2012). L’adsorbimento, lo stripping e le operazioni a membrana sono processi di trasferimento di fase e producono correnti concentrate che richiedono adeguati post-trattamenti. L’ossidazione chimica, invece, comporta la degradazione dei composti trattati, ma può dar luogo alla formazione di intermedi tossici. Attualmente, tali tecnologie sono applicate solo nel caso di trattamento di reflui industriali; tuttavia la crescente esigenza di eliminare o ridurre la presenza dei microinquinanti organici nei corpi idrici recettori (per il conseguimento degli obiettivi di qualità) potrebbe comportare modifiche sostanziali anche per la depurazione di reflui civili. A tal fine, una crescente attività di ricerca e sviluppo è finalizzata a modificare opportunamente il processo biologico, per gli indubbi vantaggi associati al suo impiego (mineralizzazione completa dell’inquinante e maggiore economicità). Risultati interessanti sono stati ottenuti utilizzando processi in ambienti sequenziali, processi combinati chimico-fisici e biologici, bioreattori a membrana, processi a doppia fase con partizione del substrato, processi di granulazione aerobica. La problematica dei microinquinanti organici è anche rilevante per la bonifica delle acque sotterranee nei siti industriali contaminati (v. siti contaminati, bonifica dei).
Un altro aspetto di grande rilevanza è la necessità di minimizzare i fanghi prodotti dal processo depurativo (il cui successivo trattamento e smaltimento richiede un notevole impegno sia tecnico sia economico) o ancor meglio di recuperarne risorse ed energia (v. rifiuti, gestione e recupero di risorse dai).
Più in generale, il settore della depurazione delle acque reflue si confronta oggi con l’esigenza di ridurre i consumi energetici: nei Paesi industrializzati, la depurazione delle acque reflue consuma tra l’1 e il 2% di tutta l’energia elettrica prodotta (con tendenza alla crescita). È opinione diffusa che tale sfida possa essere raccolta, per es., estendendo alle acque reflue civili l’uso del processo di digestione anaerobica, che, come è noto, produce biogas, ovvero recupera energia invece di consumarla. Finora la bassa concentrazione di sostanza organica in un refluo civile ha ostacolato l’uso della digestione anaerobica tradizionale, già largamente applicata per i fanghi di supero del processo o per reflui industriali.
Possibilità positive si aprono grazie allo sviluppo di reattori innovativi, quali i reattori anaerobici a membrana. In un possibile schema di processo (fig. 4), i fanghi del sedimentatore primario sono inviati al digestore anaerobico tradizionale mentre l’effluente liquido passa a un reattore anaerobico a membrana che trattiene al suo interno i solidi biologici e consente elevate rimozioni di sostanza organica. Uno stadio di desorbimento con aria ha la funzione di riaerare l’effluente finale e di recuperare il metano per la produzione di calore ed elettricità (McCarty, Bae, Kim 2011). Anche se a livello di sviluppo preliminare, sono anche promettenti i sistemi basati sul trasferimento diretto di elettroni tra microrganismi ed elettrodi solidi, con generazione di una differenza di potenziale. Tali sistemi (definiti celle a combustibile microbiche, MFC) potrebbero consentire in futuro di accoppiare la depurazione di acque reflue alla produzione diretta di energia elettrica (Logan 2005).
B. Logan, Generating electricity from wastewater treatment, «Water environment research», 2005, 77, 3, p. 211; P.L. McCarty, J. Bae, J. Kim, Domestic wastewater treatment as a net energy producer - can this be achieved?, «Environmental science & technology», 2011, 45, pp. 7100-06; Xenobiotici e contaminanti emergenti. L’analisi, il controllo e il trattamento nelle acque reflue civili industriali e di falda, a cura di F. Cecchi, M. Majone, G. Mancini, Marghera 2012.