Tutela dei diritti fondamentali dei detenuti
La l. 21.2.2014, n. 10 costituisce fondamentale tassello di un mosaico inaugurato nel 2010, dopo la prima condanna per “sovraffollamento” inflitta dalla Corte di Strasburgo al nostro Paese. Le recenti statistiche evidenziano, infatti, un rilevante decremento della popolazione carceraria, sintomatico della corretta direzione verso la quale le recenti riforme si sono indirizzate.
A seguito del favorevole “verdetto”, emesso dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa1 in riferimento alle misure adottate a seguito della celeberrima sentenza della Corte di Strasburgo nella vicenda Torreggiani c. Italia2, è necessario redigere un bilancio delle cause del sovraffollamento carcerario, al “netto” degli interventi operati dal legislatore.
Dopo un decennio di legislazione “carcerocentrica”3, non mitigata dall’indultino del 2003 (l. 1.8.2003, n. 207) né dall’indulto del 2006 (l. 31.7.2006, n. 241), la Corte di Strasburgo ha condannato a più riprese l’Italia, ravvisando nell’indegna situazione penitenziaria la violazione dell’art. 3 CEDU4 ed imponendo al nostro Paese di istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario, entro il termine di un anno dalla definitività della sentenza. Sul versante interno, sia il Capo dello Stato5, sia la Corte costituzionale (22.11.2013, n. 2796) hanno ammonito il legislatore affinché non tardasse a porre mano alle riforme necessarie, al fine di approntare un sistema rispettoso del dettato costituzionale e sovranazionale sulla funzione rieducativa della pena e sui diritti e la dignità della persona.
La l. 21.2.2014, n. 10 di conversione del d.l. 23.12.2013, n. 146, ha completato (unitamente al d.l. 26.6.2014, n. 92 convertito in legge dalla l. 11.8.2014, n. 117), un variegato mosaico legislativo inaugurato nel 2010, le cui tessere ridisegnano il sistema penitenziario alla luce delle necessità indotte dalla giurisprudenza di Strasburgo, senza, tuttavia, restituire l’originaria coerenza degli istituti, troppe volte piegati ad esigenze eterogenee. In via di estrema sintesi, le linee guida perseguite a livello legislativo nel corso degli ultimi anni si sono sostanzialmente articolate su tre fronti: il primo, volto a potenziare l’edilizia penitenziaria (cd. piano carceri)7; il secondo, satisfattivo delle esigenze deflative anche attraverso il progressivo ricorso a forme di carcerazione “domestica”8 ed al potenziamento dei benefici penitenziari; l’ultimo, tendente a diminuire gli ingressi in carcere, attraverso la progressiva sconfessione della l. 5.12.2005, n. 2519.
In prospettiva diversificata, sul piano dell’adozione di rimedi preventivi e compensativi, il più recente legislatore ha finalmente introdotto la figura del «reclamo giurisdizionalizzato», ponendo fine alla quindicinale situazione di “supplenza”, resasi necessaria a seguito di C. cost., 11.2.1999, n. 26.
Nell’ intento «di ridurre con effetti immediati il sovraffollamento carcerario», rafforzando «la tutela dei diritti delle persone detenute», il d.l. n. 146/2013 ha inciso in modo considerevole sulle dinamiche esecutive e penitenziarie, al fine di assicurare quel sistema di rimedi (preventivi e compensativi) richiesti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Recependo molte delle soluzioni elaborate dapprima nell’ambito della Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza (cd. Commissione mista)10, poi in seno alla Commissione di studio in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione (cd. Commissione Giostra)11, il provvedimento legislativo evidenzia una duplice linea d’azione: da un lato, infatti, esso appronta taluni interventi deflativi, volti, da un lato, a contenere il flusso dei detenuti in entrata, aumentando, per converso, quello in uscita. In prospettiva diversificata, invece, tende a rafforzare la tutela dei diritti dei detenuti, come espressamente richiesto dai giudici di Strasburgo.
Accanto a tali modifiche si collocano alcuni rilevanti interventi sul sistema penitenziario, volti a restituirne efficienza: trattasi della semplificazione di alcune materie devolute alla cognizione della magistratura di sorveglianza, oltre che della proroga a tutto il 2013 dei crediti di imposta, benefici e sgravi fiscali, riconosciuti ai datori di lavoro che assumono persone detenute o internate.
2.1 Le misure deflative: la disciplina degli stupefacenti
Il d.l. è intervenuto sull’art. 73 d.P.R. 9.10.1990, n. 309, configurando a guisa di ipotesi autonoma12, punita con una più lieve pena13, la fattispecie circostanziale contemplata dal co. 514.
Attraverso tale modificazione il legislatore ha inteso “neutralizzare” le limitazioni che la l. n. 251/2005 aveva apposto all’esercizio del potere discrezionale del giudice in caso di recidiva reiterata.
Detto altrimenti, nel prevedere un’autonoma ipotesi di reato, si è voluto escludere che il fatto di “lieve entità” possa rientrare, al pari delle altre circostanze, nel giudizio di comparazione di cui all’art. 69 c.p., irrigidito dalla normativa emergenziale del 200515.
Nondimeno, non va trascurato come, anche alla luce della novella, permanga un’ampia discrezionalità del giudice nella qualificazione di un reato in materia di stupefacenti come “fatto di lieve entità”, che può determinare rilevanti conseguenze in tema di trattamento sanzionatorio16.
Importanti, inoltre, le “ricadute” processuali: da un lato, il trattamento sanzionatorio delineato dal “nuovo” art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990, trasforma l’arresto da obbligatorio in facoltativo, attenuando il fenomeno delle “porte girevoli”, in parte già arginato dalle modificazioni apportate con la l. n. 9/2012.
Dall’altro lato, la configurazione della fattispecie quale reato autonomo influirà certamente sull’individuazione dei termini di durata massima della custodia cautelare. Infine, gli effetti più evidenti della novella si avranno in materia di prescrizione, ridotta a sette anni e mezzo, laddove, nell’assetto previgente, l’irrilevanza delle circostanze attenuanti (anche ad effetto speciale) sulla durata dei termini prescrizionali rendeva di fatto imprescrittibili anche i reati di detenzione illecita o piccolo spaccio di stupefacente17.
Nelle more della conversione in legge, C. cost., 25.2.2014, n. 32 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 77, co. 2, Cost., degli artt. 4 bis e 4 vicies ter d.l. 30.12.2005, n. 27218. La citata decisione ha prodotto la reviviscenza della legge Jervolino-Vassalli, che, con riferimento all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990, stabilisce, rispettivamente, la pena detentiva della reclusione da uno a sei anni (se il “fatto di lieve entità” ha per oggetto le c.d. droghe pesanti) ovvero da sei mesi a quattro anni (se il “fatto di lieve entità” riguarda, invece, le c.d. droghe leggere).
Il delitto di nuovo conio, inserito dal d.l. n. 146/2013, non distinguendo tra tipologie di sostanze e limitandosi ad diminuire il massimo edittale (da sei a cinque anni), evidenziava taluni profili di dubbia costituzionalità laddove, riferendosi al previgente assetto sanzionatorio, non proponeva una differente regolamentazione della disciplina dei «fatti di lieve entità», diversificata in ragione delle tipologie droganti.
Onde evitare che la Corte costituzionale fosse ancora chiamata a pronunciarsi in ordine all’applicabilità della novella alle droghe leggere, il d.l. 20.3.2014, n. 36, convertito in legge con modificazioni dalla l. 16.5.2014, n. 79, ha nuovamente modificato l’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990, nel senso di prevedere, per i fatti «di lieve entità», la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.
Sempre in riferimento alla normativa in ambito di stupefacenti, nel tentativo di rilanciare l’affidamento c.d. terapeutico (art. 94 d.P.R. n. 309/1990), il d.l. (art. 2, co. 1, lett. b) ha soppresso la preclusione della terza concessione della misura terapeutica al condannato nei cui confronti il beneficio fosse già stato concesso due volte. Tale intervento, oltre ad incentivare l’accesso dei detenuti tossicodipendenti alla misura de qua, consentirà anche la riproposizione di istanze da parte di chi, alla data del 24 dicembre 2013, avesse già beneficiato per due volte della misura alternativa.
2.2 Le alternative alla detenzione
Anche i presupposti oggettivi dell’affidamento in prova “ordinario” (art. 47 ord. penit.) hanno subìto una decisa dilatazione, elevandosi a quattro anni di detenzione il limite di pena, anche residua, per la concessione della misura alternativa, nelle ipotesi in cui il condannato «abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire» una positiva prognosi rieducativa19. Il maggior limite di pena, peraltro, riguarda esclusivamente i condannati detenuti in carcere, essendo rimasto invariato il limite di tre anni per la sospensione dell’ordine di esecuzione di cui all’art. 656, co. 5, c.p.p.20.
Condivisibile è la modificazione del farraginoso sistema delineato dall’art. 47, co. 4, ord. penit. (e dalle norme che ad esso operano rinvio: art. 50, co. 6, ord. penit; artt. 91, co. 4, e 94, co. 2, d.P.R. 9.10.1990, n. 309). La novella ha, infatti, radicato nell’organo collegiale di sorveglianza la competenza a provvedere sull’istanza di affidamento in prova, affiancando ad essa un intervento “cautelare” del magistrato di sorveglianza, il quale può disporre la liberazione del condannato, ma anche l’applicazione provvisoria della misura.
Un’ulteriore innovazione di rilievo nella disciplina dell’affidamento in prova al servizio sociale riguarda il regime delle deroghe temporanee alle prescrizioni, che il d.l. (art. 3) affida, per i casi di urgenza, al direttore dell’u.e.p.e. «che ne dà immediata comunicazione al magistrato di sorveglianza».
Trattasi della codificazione di una “buona prassi” evidenziata nella già ricordata Relazione della Commissione mista e già sperimentata presso alcuni uffici di sorveglianza per i casi di urgenza concernenti determinati bisogni dei soggetti affidati, quali, ad esempio, le esigenze di salute o di giustizia.
2.3 L’esecuzione della pena presso il domicilio
Il provvedimento d’urgenza (art. 5), convertito senza alcuna modificazione in parte qua, ha abrogato il primo periodo dell’art. 1 l. 26.11.2010, n. 199, che limitava temporalmente l’efficacia della disposizione che consente di scontare presso il domicilio la pena detentiva (anche se parte residua) non superiore a 18 mesi.
Nel prevedere la soppressione del periodo «[f]ino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione, e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013», la novella ha stabilizzato all’interno del sistema penitenziario la misura “a tempo” introdotta nel 2010, mediante la quale, tra l’altro, è stato bypassato il divieto di concessione della detenzione domiciliare “biennale” (art. 47 ter, co. 1-bis, ord. penit.) ai condannati recidivi reiterati. A seguito dell’abrogazione di tale, ultima norma per effetto del d.l. 1.7.2013, n. 78, il legislatore ne ha reputata opportuna la stabilizzazione, anche a fronte delle potenzialità deflative evidenziate.
2.4 Il braccialetto elettronico
Nonostante la vivacità del dibattito sull’estensione dell’operatività del c.d. braccialetto elettronico, attraverso la previsione della sua applicabilità a tutte le misure cautelari diverse dalla custodia carceraria21, il d.l. ha optato per una soluzione estremamente soft, imponendolo quale soluzione pressoché obbligata per la sola ipotesi di arresti domiciliari.
La nuova formulazione dell’art. 275 bis, co. 1, primo periodo, c.p.p., nel prevedere che il giudice, nel disporre la misura degli arresti domiciliari «prescriv[a] procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici» «salvo che le ritenga non necessarie», evidenzia, infatti, una precisa voluntas legis diretta a contemplare il monitoraggio elettronico quale soluzione pressoché obbligata, salvo – ovviamente – il mancato consenso della persona ad esso sottoposta22, onerando, per converso il giudice a motivare l’eventuale scelta contraria.
La ratio della novella, finalizzata ad un’inversione di rotta in ordine al sottoutilizzo dei “braccialetti” elettronici, è stata perseguita attraverso l’inversione dell’onere motivazionale. In altri termini, la modificazione sintattica operata sul testo dell’art. 275 bis c.p.p. imporrà, pro futuro, che gli strumenti elettronici di controllo costituiranno la regola e il giudice dovrà prescriverli salvo che ne escluda la necessità.
Al contrario, con riferimento alla fase esecutiva, l’utilizzabilità del braccialetto è stata potenziata ed affrancata da qualsivoglia inversione dell’onere motivazionale, prevendosene l’operatività in tutti i casi di detenzione domiciliare (artt. 47 ter, 47 quinquies ord. penit.; art. 1, co. 8, l. n. 199/2010)23.
È da ritenere che la novella, anche alla luce del processo riformatore avviato in materia di misure cautelari24, favorirà un più ampio ricorso alle misure non detentive25.
2.5 La liberazione anticipata speciale
Nondimeno, l’innovazione di maggior rilievo destinata ad incidere sui flussi in uscita dal circuito carcerario, è stata l’istituzione della liberazione anticipata speciale, beneficio “a termine”26, in forza del quale, per un periodo di due anni dalla data di entrata in vigore del d.l., la detrazione di pena concedibile ai sensi dell’art. 54 ord. penit. sarà pari a settantacinque giorni (invece che a quarantacinque) per ogni singolo semestre di pena scontata.
Al fine di incrementarne l’impatto deflativo, la legge prevede che il periodo valutabile ai fini de quibus decorra dal 1°.1.201027, precisandosi che la maggiore detrazione di trenta giorni venga accordata solo a condizione che il condannato, successivamente alla concessione del beneficio, abbia continuato a dare prova di partecipazione all’opera di rieducazione.
Esclusi dall’operatività della novella sono i condannati per i delitti di cui all’art. 4 bis ord. penit.28, nonché coloro che siano stati ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare (relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative), né ai condannati che siano stati ammessi all’esecuzione della pena presso il domicilio o che si trovino agli arresti domiciliari ex art. 656, co. 10, c.p.p.29.
2.6 L’espulsione dello straniero
Sempre in un’ottica “decongestionante”, infine, è stata ampliata l’espulsione come misura alternativa al carcere (art. 16 d.lgs. 25.7.1998, n. 286), accompagnata dalla previsione di procedure maggiormente “agili” in tema di identificazione dello straniero.
Sotto il primo profilo, è fatto divieto di disporre l’espulsione: a) per i delitti previsti dall’art. 12, co. 1, 3, 3-bis e 3-ter, d.lgs. n. 286/1998, per i quali è stabilita la pena detentiva superiore nel massimo a due anni. Trattasi delle condotte di chi promuove, dirige, organizza, finanzia od effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato; ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente; b) per uno o più delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a) c.p.p., fatta eccezione per quelli consumati o tentati di cui agli articoli 628, co. 3, e 629, co. 2, c.p.
Sempre ai sensi dell’art. 16, co. 5, d.lgs n. 286/1998, in caso di concorso di reati o di unificazione di pene concorrenti, l’espulsione è disposta anche quando sia stata espiata la parte di pena relativa alla condanna per reati che non la consentono. Siffatta soluzione, favorevole al c.d. scioglimento del cumulo, pone fine al dibattito che vedeva la giurisprudenza schierata su due fronti contrapposti.
Con riferimento al secondo profilo, concernente le procedure di identificazione dei condannati stranieri e dell’introduzione di più razionali procedure di esecuzione della misura, viene previsto che, all’atto dell’ingresso in carcere di un cittadino straniero, la direzione dell’istituto penitenziario si attivi immediatamente, richiedendo al questore del luogo le informazioni sulla identità e nazionalità dello stesso. Quest’ultimo, interessate le competenti autorità diplomatiche, procede all’eventuale espulsione amministrativa.
Sul versante procedurale, la direzione penitenziaria, ricevuto il riscontro della questura, trasmette al magistrato di sorveglianza gli atti utili per l’adozione del provvedimento di espulsione soltanto con riferimento ai detenuti che risultino identificati in seguito all’attività dispiegata dagli uffici immigrazione presso le questure territoriali. Nel caso in cui, invece, il questore comunichi alla direzione dell’istituto l’impossibilità di procedere all’identificazione dello straniero, la comunicazione sarà omessa, con notevole risparmio di attività amministrativa.
2.7 Le nuove frontiere della tutela giurisdizionale
Sul versante della tutela dei diritti dei detenuti, il recente legislatore è intervenuto sia attraverso la previsione di un inedito procedimento di reclamo giurisdizionale (art. 35 bis ord. penit), sia attraverso l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persona detenute o private della libertà personale, chiamato a vigilare affinché l’esecuzione della custodia di tutte le persone in vinculis sia attuata in conformità alle norme e ai princìpi costituzionali ed internazionali.
Oltre ad un necessario intervento sul testo dell’art. 35, n. 1, ord. penit.30, il d.l. e la legge di conversione hanno metabolizzato le conclusioni raggiunte in seno alla Commissione Giostra in ordine alla necessità di istituire un reclamo giurisdizionale, attraverso la modifica dell’art. 69 ord. penit. ed alla contestuale introduzione del nuovo art. 35 bis ord. penit. Invero, accanto ad primo livello di tutela, non giurisdizionale, rappresentato dal diritto di reclamo riconosciuto
ai detenuti ed agli internati, consistente nel diritto di veicolare doglianze, in forma orale o scritta31, ad autorità eterogenee (amministrative, di garanzia, personalità istituzionali e magistrato di sorveglianza, nell’ambito della sua funzione di vigilanza di cui all’art. 69, co. 1 e 2, ord. penit.), il recente legislatore ha provveduto a tipizzare una specifica ipotesi di reclamo giurisdizionale, esperibile davanti al magistrato di sorveglianza, con l’intento di rispondere anche alle sollecitazioni della giurisprudenza di Strasburgo che impone l’introduzione di un ricorso interno, capace di offrire non solo un effettivo rimedio preventivo delle situazioni in contrasto con l’art. 3 CEDU, quale l’immediata rimozione delle cause, ma anche un rimedio compensativo, cioè a dire l’adeguata riparazione del pregiudizio subito32.
In via di estrema schematizzazione, oltre che in materia di procedimento disciplinare, il reclamo giurisdizionale sarà proponibile per «l’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla [legge penitenziaria] e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti»33. In stretta correlazione con l’istituzione del nuovo reclamo, va premesso che il d.l., sopprimendo la locuzione «nel corso del trattamento» dall’art. 69, co. 5, ord. penit., evidenzia la volontà legislativa di estendere “a tutto campo” i poteri ex officio del magistrato di sorveglianza con riguardo alla tutela delle posizioni giuridiche dei condannati34.
Ispirato al rispetto del contraddittorio partecipato, di cui agli artt. 666 e 678 c.p.p., sia pur con qualche variante rispetto alla disciplina dettata dal codice di rito35, il procedimento disciplinato dall’art. 35 bis ord. penit. colma quel vuoto di tutela da tempo denunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 26/199936, la quale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale proprio delle due norme oggi novellate «nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale».
La quindicinale opera di supplenza giurisdizionale37, seppur meritoria, richiedeva una stabilizzazione e l’imminente scadenza del time out decretato dalla Corte di Strasburgo ha determinato un’accelerazione legislativa senza precedenti.
L’innovazione di rilievo palesata dal nuovo modello procedimentale è rappresentata dall’inclusione, tra i contraddittori eventuali, delle «amministrazioni interessate» (penitenziaria, sanitaria, anche nelle loro sub-articolazioni periferiche38), alle quali è riconosciuto «il diritto di comparire ovvero di trasmettere osservazioni e richieste»39. Siffatta previsione ha consentito di superare le critiche rivolte al sistema delineato dall’art. 14 ter ord. penit., il quale, non contemplando
l’amministrazione quale parte del procedimento per reclamo, ne inibisce coerentemente il potere di ricorrere per cassazione40.
Con riferimento specifico all’oggetto del procedimento, il legislatore ha precisato che il «pregiudizio» lamentato dal detenuto, oltre che «attuale», debba essere anche «grave»41. Se il richiamo alla “gravità” evidenzia «l’intento del legislatore di ... evitare il rischio di gravare la magistratura di sorveglianza di questioni di natura ‘bagatellare’ e di limitare pertanto la tutela solo a questioni di maggior rilievo»42, il riferimento all’“attualità” ripete la dicotomia, evidenziata dalla giurisprudenza di Strasburgo, tra rimedi preventivi e compensativi, escludendo dalla sfera del reclamo giurisdizionale i pregiudizi verificatisi in passato e non più sussistenti al momento della presentazione della domanda43. In tale prospettiva, sarà auspicabile un self-restraint giurisprudenziale in ordine alla declaratoria di inammissibilità per manifesta infondatezza del reclamo (art. 666, co. 2, c.p.p.).
L’operatività del modello garantito di cui agli artt. 666 e 678 c.p.p. postula, a differenza del previgente sistema modulato sulle cadenze dell’art. 14 ter ord. penit., il diritto dell’interessato che ne faccia richiesta a comparire personalmente in udienza. In caso di accoglimento del reclamo, è opportuno operare una distinzione a seconda che il reclamo sia stato proposto in materia disciplinare ovvero in materia “di diritti”: nella prima eventualità, il magistrato di sorveglianza ne dispone l’annullamento e non la mera disapplicazione44. Nel secondo caso, invece, il magistrato di sorveglianza ordina all’amministrazione interessata di porre rimedio, entro un preciso termine, alla causa del pregiudizio oggetto del reclamo.
La decisione, reclamabile al tribunale di sorveglianza nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito, può essere successivamente impugnata, entro quindici giorni dalla comunicazione o notificazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza, con ricorso per cassazione per violazione di legge.
Nel caso di mancata esecuzione del provvedimento divenuto inoppugnabile, l’interessato ovvero il suo difensore munito di procura speciale, possono chiedere l’ottemperanza al magistrato di sorveglianza45, il quale, all’esito di un procedimento partecipato (artt. 666 e 678 c.p.p.), può ordinare l’ottemperanza alla propria decisione, anche attraverso la nomina di un commissario ad acta, ovvero dichiarare nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del provvedimento rimasto ineseguito (art. 69, co. 6, lett. b, ord. penit.)46. Il magistrato di sorveglianza è inoltre competente per tutte le questioni relative all’esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Avverso il provvedimento emesso in sede di ottemperanza è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge. Quanto al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale47 (art. 7 d.l. n. 146/2013), esso è istituito presso il Ministero della giustizia, come organo collegiale composto da tre componenti48 che restano in carica per cinque anni non prorogabili. Essi non possono ricoprire cariche istituzionali, anche elettive, né incarichi di qualunque natura in partiti politici e sono immediatamente sostituiti in caso di dimissioni, morte, incompatibilità sopravvenuta, accertato impedimento fisico o psichico, grave violazione dei doveri inerenti all’incarico affidato, ovvero nel caso in cui riportino condanna penale definitiva per delitto non colposo.
Nominato con decreto del Presidente della Repubblica, al Garante è affidato innanzi tutto il compito di promuovere e favorire rapporti di collaborazioni con i garanti territoriali (ovvero «con altre figure istituzionali comunque denominate») già istituiti.
Ad esso spetta, inoltre, il compito di vigilare affinché l’esecuzione di qualsiasi forma di limitazione della libertà personale sia attuata in conformità alle norme e ai princìpi della Costituzione, delle convenzioni internazionali sui diritti umani, delle leggi e dei regolamenti (art. 7, co. 5, lett. a) e di verificare il rispetto degli adempimenti previsti dalla normativa in materia di centri di identificazione ed espulsione (art. 7, co. 5, lett. e). A tal fine, l’organo collegiale è dotato di ampi poteri conoscitivi, godendo di piena facoltà di accesso, senza necessità di autorizzazione, a tutti i luoghi di esecuzione di pene o misure di sicurezza o comunque di misure privative della libertà personale (art. 7, co. 5, lett. b), e potendo sia prendere visione dei fascicoli relativi ai soggetti detenuti o privati della libertà personale, previo consenso anche verbale dell’interessato (art. 7, co. 5, lett. c), sia richiedere tutte le informazioni e i documenti necessari in possesso delle amministrazioni responsabili delle strutture di detenzione, custodia o accoglienza, eventualmente grazie ad un ordine di esibizione emesso dal magistrato di sorveglianza competente (art. 7, co. 5, lett. d).
Nondimeno, al Garante sono altresì riconosciuti penetranti poteri prescrittivi, potendo formulare «specifiche raccomandazioni all’amministrazione interessata, se accerta violazioni alle norme dell’ordinamento ovvero la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti ai sensi dell’art. 35 della legge 26 luglio 1975, n. 354», a fronte delle quali «l’amministrazione interessata, in caso di diniego, comunica il dissenso motivato nel termine di trenta giorni» (art. 7, co. 5, lett. f).
Dell’attività svolta, infine, l’organismo informa i Presidenti del Senato e della Camera dei deputati, nonché i Ministri dell’interno e della giustizia con una relazione annuale (art. 7, co. 5, lett. g).
2.8 Le modifiche di contesto
La novella ha operato incisive interpolazioni sulla disciplina del procedimento di sorveglianza, attraverso la sostituzione dell’art. 678, co. 1, c.p.p. e l’inserimento di un inedito co. 1-bis. In particolare, l’ambito operativo del procedimento ex art. 666 c.p.p. è stato limitato alle materie che coinvolgono in maniera diretta i profili de libertate49,mentre, con riferimento a petita di diversa natura50, il tribunale ed il magistrato di sorveglianza procederanno con la più agile procedura camerale di cui all’art. 667, co. 4, c.p.p.
Nell’ottica deflativa caratterizzante il recente intervento legislativo, l’art. 3, lett. g), d.l. ha integralmente sostituito l’art. 51 bis ord. penit., al fine di semplificare il procedimento in tema di estensione delle misure alternative alla detenzione in caso di sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà.
È ancora presto per dire se i provvedimenti adottati nell’ultimo periodo saranno sufficienti ad onorare gli impegni sovranazionali e a rispettare i princìpi costituzionali.
È innegabile, peraltro, che le vicende degli ultimi anni hanno evidenziato, sia sul piano legislativo che su quello della prassi, la sconfessione totale delle politiche penitenziarie caratterizzanti il periodo 2000-2010. Automatismi sanzionatori e preclusioni fondate sul titolo di reato sono stati oggetto di severe censure, le quali si sono tradotte in pesanti moniti giurisdizionali diretti a restituire alla magistratura quella discrezionalità tanto necessaria in materia de libertate.
Abbiamo avuto modo di verificare come il legislatore, verificata l’insufficienza di misure deflative concepite essenzialmente in termini di detenzione “domestica”, abbia deciso di intervenire sulle cause della carcerazione, rimuovendo parzialmente le preclusioni inserite dalla l. n. 251/2005.
Resta però l’icona, il simbolo delle scelte carcerocentriche: l’art. 4 bis ord. penit. Nonostante siano trascorsi più di venti anni dalla sua introduzione nel tessuto normativo, la norma continua a precludere le potenzialità trattamentali insite nella legge penitenziaria, attraverso un anacronistico “patteggiamento” tra rieducazione e collaborazione. Se, nel primo decennio applicativo, il combinato disposto degli artt. 4 bis e 58 ter ord. penit. aveva forse contribuito a fronteggiare la criminalità organizzata in executivis, le successive interpolazioni della prima norma, volte ad utilizzare il “contenitore” penitenziario come espressione di emergenze contingenti ed eterogenee, da reprimere “buttando via la chiave”, hanno evidenziato un assetto che suscita svariate perplessità sul piano costituzionale, violando gli artt. 3, 25, co. 1, e 27, co. 3, Cost.
Anche la prassi applicativa da tempo registra solo richieste di collaborazione c.d. impossibile o inesigibile con il rischio di appesantire ancor più i ranghi ridotti della magistratura di sorveglianza.
È giunto il momento, insomma, che la politica abbandoni l’ipocrisia bipartisan che da troppo tempo caratterizza l’approccio al carcere e affronti con serenità l’idea che “doppio binario” e “pena” sono entità diverse e che non può negarsi il diritto alla rieducazione in nome di “verità” che il sistema ha il dovere di acquisire senza “ricatto”.
1 V. la Decisione CM/Del/Dec(2014)1201 del 6.6.2014.
2 Cfr. C. eur. dir. uomo, sez. II, 8.1.2013, Torreggiani e altri c. Italia. A margine della decisione cfr., volendo, Fiorio, C., Torreggiani c. Italia: ultimo atto, inAntigone, 2012, fasc. 3, 146.
3 Ad eccezione del d.P.R. 30.6.2000, n. 230 e delle due leggi sulle detenute madri (l. 8.3.2001, n. 40 e l. 21.4.2011, n. 62), gli interventi legislativi del decennio 2000-2010 hanno vanificato le riforme consacrate nella legge Gozzini.
4 V. già C. eur.dir.uomo, sez. II, 16.7.2009, Sulejmanovic c. Italia; nonché, più di recente, la già ricordata sentenza pilota Torreggiani c. Italia.
5 V. il messaggio del Presidente Napolitano alle Camere dell’8 ottobre 2013.
6 V. in questa Area, 7.2.1 C. cost. 22.11.2013, n. 279.
7 Sui “quattro pilastri” che compongono il piano carceri, v. AA.VV., Rapporto sui diritti globali 2010. Crisi di sistema e alternative, Roma, 2010, 495 ss.
8 Il riferimento corre alla l. 26.11.2010, n. 199 (relativamente alla quale cfr. Fiorio, C., Detenzione domiciliare obbligatoria e sovraffollamento carcerario, in Giur. mer., 2011, 1204) ed alla l. 17.2.2012, n. 9 (di conversione del d.l. 22.12.2011, n. 211), a margine della quale v. Fiorio, C., Sovraffollamento carcerario e tensione detentiva, in Dir. pen. e processo, 2012, 410.
9 V. il d.l. 1.7.2013, n. 78, convertito in legge conmodificazioni dalla l. 9.8.2013, n. 94, sul quale v. Fiorio, C., Strasburgo chiama. Roma non risponde, Dir. pen. proc., 2013, 1136 ss.
10 V. la Relazione, in www.penalecontemporaneo.it, 7.12.2012.
11 Cfr. il Documento conclusivo dei lavori della Commissione, in www.penalecontemporaneo.it, 20.12.2013.
12 V. Amato, G., Il fatto di lieve entità diventa un reato autonomo, in Guida dir., 2014, fasc. 4, 38; nonché, per la giurisprudenza, Cass. pen., sez. VI, 8.1.2014, Cassanelli, in www.penalecontemporaneo.it, 1.4.2014; Cass. pen., sez. IV, 28.2.2014, Spampinato, ibidem, 1.4.2014; Cass. pen., sez. IV, 28.2.2014, Verderamo, ibidem, 9.3.2014.
13 Sottolinea Fiorentin, F., Decreto svuotacarceri (d.l. 23 dicembre 2013, n. 146), Milano, 2014, 33, come la rimodulazione del trattamento sanzionatorio intende consentire il triplice obiettivo di assicurare «un uso più calibrato delle soluzioni cautelari, evitando l’arresto obbligatorio in flagranza; … l’applicazione di una pena in concreto “ragionevole” rispetto all’effettiva lesione del bene giuridico inciso; ... l’accesso dei condannati tossicodipendenti alle misure alternative “terapeutiche” previste dal medesimo t.u. stup. (artt. 90 e 94, d.P.R. n. 309/1990), contribuendo a deflazionare l’eccessivo numero di detenuti negli istituti penitenziari» (al 31 dicembre 2013, il 36,8% del totale).
14 Al fine di garantire la necessaria coerenza interna, la legge di conversione è intervenuta sul testo dell’art. 380, co, 2, lett. h), c.p.p., operando riferimento ai «delitti» e non più alla «circostanza» di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309/1990.
15 In questo senso Amato, G., La trasformazione in reato del fatto di lieve entità tra norma “svuota carceri” e Corte costituzionale, in Guida dir., 2014, fasc. 12, 27.
16 Così Fiorentin, F., Decreto svuotacarceri, cit., 31.
17 Così, ancora, Fiorentin, F., Decreto svuotacarceri, cit., 35.
18 Sugli inevitabili problemi interpretativi v. Della Bella, A.-Viganò, F., Convertito il d.l. 146/2013 sull’emergenza carceri: il nodo dell’art. 73 co. 5 t.u. stup., in www.penalecontemporaneo.it, 24.2.2014; Della Bella, A.-Viganò, F., Sulle ricadute della sentenza n. 32/2014 della Corte costituzionale sull’art. 73 t.u. stup., ibidem, 27.2.2014.
19 Sottolinea Fiorentin, F., Decreto svuotacarceri, cit., 55, trattarsi di «una condizione che finisce per coincidere in toto con quella prognosi di concreta efficacia rieducativa e di idoneità preventiva del beneficio che il giudice di sorveglianza è tenuto a compiere con riferimento alla concedibilità stessa, nel merito, della misura in questione».
20 Peraltro elevato la scorsa estate (d.l. n. 78/2013) a quattro anni per la detenzione domiciliare c.d. “umanitaria”. Sottolinea, a tal proposito, «un’ingiustificata disparità di trattamento», Gaspari,M., Il monitoraggio elettronico non riduce i controlli, in Guida dir., 2014, fasc. 4, 36.
21 Cfr. l’art. 275 bis c.p.p. nella formulazione proposta dalla Commissione Giostra, in Documento conclusivo, cit., 61 s. Va dato comunque atto che, a seguito delle interpolazioni operate dalla l. 15.10.2013, n. 119 (di conversione del d.l. 14.8.2013, n. 93), l’art. 282 bis, co. 6, c.p.p. prevede, per taluni gravi delitti ed «anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280» c.p.p., l’applicabilità del braccialetto elettronico per la persona sottoposta allamisura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare.
22 Cfr. l’art. 23, co. 5, d.P.R. n. 230/2000.
23 V. l’art. 58 quinquies ord. penit., nonché la correlata abrogazione dell’art. 47 ter, co. 4-bis, ord. penit.
24 Cfr. la p.d.l. C 631-B, nel testo modificato dal Senato della Repubblica il 2 aprile 2014.
25 In ordine alla portata dell’intervento, v. Fiorentin, F., Con il nuovo svuota carceri 3mila detenuti in meno e braccialetto elettronico esteso ai domiciliari, in Guida dir., 2014, fasc. 3, 18 ss.; Gaspari, M., Il monitoraggio elettronico non riduce i controlli, cit., 34.
26 Il beneficio, che può estendersi (art. 4, co. 1 e 3, d.l. n. 146/2013) per un totale di oltre sei anni (dal 1° luglio 2009 al 23 dicembre 2015), «potrà arrivare a ridurre la pena di un soggetto condannato di 975 giorni (corrispondenti a 75 gg. di “sconto” per 13 semestri di pena espiata). Evidente, quindi, il carattere progressivo della misura, nel senso che essa esplicherà un maggiore effetto sulle pene di più lunga durata, finendo – paradossalmente – per “premiare” maggiormente i condannati con una condanna più grave e, per tale ragione, quelli potenzialmente più pericolosi socialmente» (così Fiorentin, F., Decreto svuotacarceri, cit., 65).
27 Ne ravvisa una finalità «lato sensu risarcitoria, atteso che il beneficio speciale in esame sembra voler rappresentare una sorta di “rimedio compensativo” accordato a quei detenuti che, a partire dal 1° gennaio 2010, si sono trovati ad espiare la propria condanna in una situazione detentiva entrata in una crisi strutturale sotto il profilo delle condizioni di vita all’interno delle carceri (come riconosciuto dalla stessa sentenza Torreggiani)», Fiorentin, F., Decreto svuotacarceri, cit., 65.
28 Inizialmente ammessi a godere dell’inedito beneficio «soltanto nel caso in cui [avessero] dato prova, nel periodo di detenzione, di un concreto recupero sociale, desumibile da comportamenti rivelatori del positivo evolversi della personalità», essi sono stati successivamente esclusi dalla legge di conversione, determinandosi inevitabili problemi interpretativi derivanti dalla successione di leggi. In argomento v. Giostra, G., I delicati problemi applicativi di una norma che non c’è (a proposito di presunte ipotesi ostative alla liberazione anticipata speciale), in www.penalecontemporaneo, 8.9.2014.
29 Cfr. Gaspari,M., I domiciliari “bloccano” la liberazione anticipata, in Guida dir., 2014, fasc. 11, 43.
30 Tra i destinatari del reclamo sono stati inseriti sia il provveditore regionale, sia i garanti dei diritti dei detenuti. Sul piano strettamente “terminologico”, invece, è stata sostituita la dizione della vecchia figura del «direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena» con quella di «Capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria» e quella degli «ispettori» con quella del «direttore dell’ufficio ispettivo».
31 Il reclamo “generico” si caratterizza quale atto a forma e ad oggetto liberi.
32 In argomento si rinvia a Bortolato,M., Torreggiani e rimedi “preventivi”: il nuovo reclamo giurisdizionale, in Arch. pen., 2014, fasc. 2, 563; Montagna, M., Torreggiani e rimedi “compensativi”: prospettive de iure condendo, ibidem, 584.
33 Con riferimento alla delicata distinzione tra «diritti soggettivi», «interessi legittimi», oppositivi e pretensivi e «interessi di mero fatto», si rinvia a Bortolato,M. Torreggiani e rimedi “preventivi”, cit., 584. Quanto alla «problematica selezione delle posizioni soggettive tutelabili», v. anche Fiorentin, F., Decreto svuotacarceri, cit., 44 ss., per il quale sono «escluse dall’ambito della tutela garantita dal reclamo giurisdizionale ex art. 35 bis, in esame: a) le aspettative di mero fatto; b) le lesioni che non possiedono i caratteri della attualità e gravità; c) le fattispecie, già enucleate dalla giurisprudenza costituzionale (v. Corte cost., sent. n. 341/06 e n. 266/09), che afferiscono a posizioni soggettive che sorgono e si sviluppano nell’ambito di rapporti estranei all’esecuzione penale, i quali trovano protezione secondo le generali dettate dall’ordinamento (es. la tutela laburistica del detenuto lavoratore alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria); d) le situazioni soggettive che vengono in considerazione nel momento applicativo degli istituti propri dell’esecuzione penale (es. in materia di applicazione dei benefici penitenziari)».
34 Cfr., Bortolato, M., Torreggiani e rimedi “preventivi”, cit., 574, il quale opera riferimento «a tutti quegli atti dell’Amministrazione penitenziaria e/o sanitaria che pur incidendo sulle posizioni soggettive del detenuto non rientrano nel concetto di trattamento in senso stretto (volto alla rieducazione), come ad esempio tutti quelli riguardanti la salute del detenuto».
35 L’art. 35 bis, co. 2, ord. penit. impone il rispetto del termine di dieci giorni per la impugnazione dei provvedimenti disciplinari, come peraltro già previsto dagli artt. 69, co. 6, lett. a), e 14 ter della medesima legge. Per converso, nessun termine è previsto per la proposizione dei reclami di cui all’art. 69, co. 6, lett. b), ord. penit., «trattandosi di tutela preventiva, attivabile mediante lo strumento dell’art. 35 bis ord. penit., finché dura la lesione del diritto azionato; laddove, per il danno già subito, resta esperibile con l’azione civile per il risarcimento del danno qualora la violazione della posizione soggettiva si sia già consumata, nell’ordinario termine di prescrizione del diritto» (così Fiorentin, F., Decreto svuotacarceri, cit., 49).
36 E ribadito con forza da C. cost., 3.7.1997, n. 212; C. cost., 23.10.2009, n. 266.
37 Il riferimento corre a Cass., S.U., 26.2.2003, Gianni, in Giur. cost., 2004, 792.
38 Così Bortolato, M., Torreggiani e rimedi “preventivi”, cit., 570.
39 In tale ottica, l’avviso dell’udienza viene notificato «anche all’amministrazione interessata», in ciò registrandosi una differenza con il principio generale codificato all’art. 666, co. 3, c.p.p.
40 Osserva, tuttavia, Bortolato, M., Torreggiani e rimedi “preventivi”, cit., 570, che l’amministrazione avrebbe potuto «proporre ex post ricorso per cassazione per violazione di legge ex art. 71 ter ord. penit., laddove si accedeva all’interpretazione, prevalente, che le disposizioni degli artt. da 71 a 71 sexies ord. penit. non erano state abrogate dall’art. 236 disp. att. c.p.p. nei procedimenti monocratici avanti al magistrato di sorveglianza».
41 La qualificazione del pregiudizio come «grave» ed «attuale» era stata inserita solo amaggioranza nel testo elaborato dalla Commissione Giostra.
42 Così Bortolato, M., Torreggiani e rimedi “preventivi”, cit., 580, il quale peraltro osserva come si tratti «di una valutazione relativa che non può che essere parametrata alla realtà carceraria hic et nunc di talché pregiudizi che possono apparire non gravi in tempi di detenzione ‘normali’ possono essere valutati diversamente in tempi di sovraffollamento e dunque con effetti di maggiore e duratura compressione di diritti fondamentali».
43 Così, ancora, Bortolato, M., Torreggiani e rimedi “preventivi”, cit., 581.
44 Sottolinea Fiorentin, F., Decreto svuotacarceri, cit., 52, come l’impugnativa in materia disciplinare evidenzia un effetto demolitorio dell’atto amministrativo, «collocandosi tale attività giudiziale nell’ambito della tutela giurisdizionale del giudice ordinario sugli atti della P.A. che incidono su diritti e per i quali sussiste riserva di legge (art. 113 Cost.). La nuova disciplina pone, peraltro, il magistrato di sorveglianza di fronte all’alternativa secca tra reiezione del reclamo e accoglimento del medesimo, del che, in materia disciplinare, non residua la possibilità di modificare la sanzione irrogata, qualora ritenuta eccessiva».
45 Rispetto alle conclusioni raggiunte dalla Commissione Giostra, volte all’introduzione del giudizio di ottemperanza, attraverso l’interpolazione degli artt. 112-114 c.p.a. (d.lgs. 2.7.2010, n. 104), la novella ha percorso una soluzione diversa, individuando nello stesso magistrato di sorveglianza il giudice dell’ottemperanza.
46 La possibilità, per il magistrato di sorveglianza, di determinare la somma dovuta dall’amministrazione per ogni successiva violazione o per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento, è stata soppressa dalla legge di conversione. In giurisprudenza, nel senso che il procedimento di matrice penitenziaria sia inadeguato a supportare le richieste di risarcimento del danno “esistenziale” in materia di violazione dell’art. 3 CEDU, e che la relativa competenza spetta al giudice civile, v. Cass. pen., sez. I, 15.1.2013, n. 4772, Vizzari, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2013, 967, con nota di Fiorentin, F., En attendant Godot, ovvero la questione della tutela per i diritti negati in carcere tra Corte EDU e Cassazione, in attesa di una riforma troppo a lungo trascurata. A margine della decisione v. anche Della Casa, F., Il risarcimento del danno da sovraffollamento carcerario: la competenza appartiene al giudice civile (e non al magistrato di sorveglianza), in Cass. pen., 2013, 2264; Viganò, F., Alla ricerca di un rimedio risarcitorio per il danno da sovraffollamento carcerario: la Cassazione esclude la competenza del magistrato di sorveglianza, in www.penalecontemporaneo.it, 20.2.2013.
47 In argomento v., per tutti, Diddi, A., Il Garante nazionale dei diritti delle persone in vinculis, in Scalfati, A., a cura di, Il processo penale tra legge e prassi, Torino, 2014, 29 s.
48 Scelti tra persone, non dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che assicurano indipendenza e competenza nelle discipline afferenti la tutela dei diritti umani. L’ufficio di componente del Garante non prevede alcuna indennità od emolumenti per l’attività prestata, fermo restando il diritto al rimborso delle spese.
49 Trattasi, oltre a tutte le materie di competenza del tribunale di sorveglianza, «[s]alvo quanto stabilito dal successivo comma 1-bis», dei ricoveri previsti dall’art. 148 c.p., dei provvedimenti in materia di misure di sicurezza e della dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere.
50 Rateizzazione delle pene pecuniarie; conversione delle pene pecuniarie; remissione del debito; esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata; riabilitazione; valutazione sull’esito dell’affidamento in prova al servizio sociale e di quello “terapeutico” (art. 94 d.P.R. n. 309/1990).