Consumatore, tutela del
Assegnare un significato al termine 'consumatore' comporta la scelta di una prospettiva d'indagine ed esprime, allo stesso tempo, un'opzione. Le prospettive d'indagine sono molteplici e in particolare, mutuando la loro angolazione dalla scienza economica, dalla sociologia o dalla scienza giuridica, possono risultare tra loro interferenti, ma mai sovrapposte. In ogni prospettiva si possono infatti assegnare più definizioni. Le opzioni di fondo sono invece riconducibili a due soltanto: quella che considera rilevanti la dimensione o lo status di consumatore, opzione oggi dominante, e quella che invece li considera irrilevanti, inutili o addirittura pericolosi, oggi minoritaria, ma prevalente fino ad alcuni decenni or sono.
Alle scienze economiche si deve riconoscere il primato della definizione della categoria concettuale di consumo, e quindi della 'figura' del consumatore. Una categoria che, come è noto, acquista un'attenzione particolare nella storia del pensiero economico classico. È nel corso degli ultimi due secoli che al consumo è stata riservata una funzione assai rilevante. Nei testi di economia politica la funzione del consumo era strettamente connessa con quella della produzione, e quest'ultima appariva come ancillare alla prima. Lo stesso Adam Smith aveva cura di avvertire che "il consumo è il solo fine e scopo di ogni produzione, e non ci si dovrebbe mai prender cura dell'interesse del produttore, se non in quanto ciò possa tornare necessario per promuovere quello del consumatore". E David Ricardo, per parte sua, sottolineava che "nessuno produce se non allo scopo di consumare o vendere, e non vende mai se non con l'intenzione di comprare qualche altra merce che possa essergli immediatamente utile o che possa contribuire alla produzione futura" (per un'analisi diffusa di queste teorie v. Alpa, 1987, cap. 1 e bibliografia; v. Vitale, 1975).
Sull'idea classica del consumo, che, ispirata alla filosofia del liberalismo, aveva teorizzato la posizione del consumatore come quella di 're del mercato', si sono edificate successivamente le nuove idee, e poi la stessa rivoluzione keynesiana.Con l'avvento delle società a capitalismo avanzato, la nuova realtà impone di apportare sensibili correttivi alla teoria classica, e lo studio del ruolo e della funzione del consumo è compiuto in una diversa prospettiva.
Nelle indagini a esso dedicate acquistano particolare rilievo i contributi di Galbraith (v., 1967) e Baran e Sweezy (v., 1966), economisti di diversa formazione ma accomunati dall'intento di apportare correttivi ai meccanismi mediante i quali si sviluppa l'economia nelle società opulente. Consumatore e mercato, infatti, sono assoggettati alle strategie di profitto delle grandi imprese. Il mercato non è più il luogo di incontro di domanda e di offerta, il luogo del conflitto ma anche della mediazione tra forze opposte, bensì il teatro di strategie attuate dai gruppi monopolistici (v. Bessone, 1971).
La situazione oggettiva e la prospettiva di analisi vengono così completamente rovesciate. Il consumatore diventa 'uno strumento della produzione', e il mercato, lungi dal riflettere direttive ispirate alla massima libertà degli operatori economici, considerati su un piano di parità, appare piuttosto come il luogo dove si registrano le prevaricazioni delle grandi imprese. In tal modo l'economia si sviluppa non per canali dipendenti da libere e consapevoli scelte delle persone singole o dei gruppi sociali, quali realtà autonome, ma per l'influsso continuo e assillante delle esigenze della struttura oligopolista da cui l'intera società viene, quasi inconsapevolmente, strumentalizzata.
È poi da sottolineare il fatto che la grande impresa, protagonista dell'attività economica, esercita un'influenza che si estende ben al di là del settore economico propriamente detto, e si colloca piuttosto nel complessivo sistema istituzionale, ora sottraendosi a qualsiasi tipo di controllo, ora invece integrandosi in esso, dissolvendo la contrapposizione tra organizzazione di governo e gruppi operanti nel settore economico (v. Forte, 1973).
È in questo scenario, nel quale si scontrano rivoluzioni interne alla dinamica del mercato, strategie di produzione, concentrazioni di imprese, modificazioni del tessuto sociale, che si sottopongono oggi ad analisi i problemi del consumo e, di riflesso, i problemi relativi alla posizione del consumatore nel mercato, di fronte alla grande impresa di produzione e di distribuzione.
Nelle analisi sociologiche la ricerca sul consumatore si individualizza. Dalla figura astratta del consumatore offerta dalla teoria economica si scende - attraverso le ricerche di mercato, le indagini statistiche, la collezione di dati storicamente determinati e geograficamente coordinati - a consumatori ben identificati. E si inducono poi, da questi dati, leggi di carattere generale sul comportamento delle persone (v. Katona, 1960). Si ritaglia quindi una figura di consumatore meno lineare e più poliedrica, che non è un robot che agisce in vista di scelte attentamente ponderate e razionalmente fondate, né un cieco destinatario di stimoli cui non può che corrispondere un unico modello.
Lo studio del comportamento del consumatore, che la scienza del marketing strumentalizza ai fini dell'assorbimento dell'offerta, è quindi posto a diretto contatto con la scelta cosiddetta attiva degli oggetti. Di qui l'importanza crescente che le ricerche di mercato e soprattutto quelle motivazionali acquistano per l'organizzazione delle campagne pubblicitarie. Si deve attribuire a Lazarsfeld il merito di aver sottolineato questo aspetto: "In tutti gli uomini esistono gli stessi meccanismi di psicologia del profondo" e pertanto "una loro precisa conoscenza, finalizzata alle scelte del consumatore", consente "l'attribuzione al bene reclamizzato di valori simbolici pregnanti, tali da raggiungere direttamente le istanze profonde dei consumatori e automaticamente determinare l'acquisto" (v. Lazarsfeld, 1967).
Sotto il profilo comportamentistico, poi, è agevole rilevare quanto sia vero, particolarmente nella società odierna, l'assunto secondo il quale i consumi sono tra le più tipiche espressioni degli orientamenti socioculturali di una società e possono essere un utilissimo strumento di studio della dinamica e della struttura sociali. Si è addirittura costruita una 'filosofia del consumo', proprio perché l'atto del consumo "è un atto esistenziale molto complesso in cui l'uomo esprime e manifesta compiutamente se stesso, la propria personalità, il proprio stile di vita, il proprio modo di essere nel mondo, i significati e i valori che attribuisce a se stesso, alle cose e alle situazioni, i giudizi e le scelte che compie nei confronti della totalità dell'esistenza" (v. Baudrillard, 1970; v. Ragone, 1974).
Di qui l'urgenza di difendere l'uomo (è questo uno degli aspetti più ricorrenti della tutela del consumatore) dai consumi. Ma la soluzione non può essere quella del ritorno al mondo agreste e artigianale, come taluno, preoccupato degli effetti deleteri che il progresso tecnologico provoca sull'uomo e sull'ambiente, vorrebbe proporre, quasi che, edificando con l'immaginazione un nuovo 'mondo di Saturno', si potessero riparare immediatamente i mali della società. Sembra invece più razionale quella che propone l'eliminazione degli effetti nocivi, salvando quanto di positivo esiste nella società odierna: un razionale sviluppo produttivo, un'accurata selezione dei bisogni e quindi dei consumi, l'eliminazione degli sprechi sono gli obiettivi fondamentali (v. Fabris, 1969; v. Petroni, 1969).
È pur vero che si registrano, oggi, singolari coincidenze di prospettiva tra chi descrive il fenomeno del consumismo come un tutto unitario e chi, facendosi portatore di ideologie diverse, propone un'interpretazione del fenomeno dei consumi secondo le categorie e i meccanismi della sociologia dei ruoli, prescindendo quindi dalle connotazioni di classe.
Ma una proposta di questo tipo non sembra corretta, non solo perché, pur mutuata dalle categorie del pensiero marxiano (v. Napoleoni, 1962), si presenta come una vera e propria distorsione di esse, ma soprattutto perché non sembra idonea a descrivere la vera dinamica della realtà e dei rapporti sociali.
Allo stesso modo sembra fuorviante l'equiparazione di consumatori e lavoratori dipendenti, dietro la quale si cela l'esigenza di considerare i consumatori come una categoria dotata degli strumenti di lotta propri dei lavoratori e di calarli nella dinamica dei rapporti sociali come un corpo uniforme e livellato. È certamente riduttiva la definizione che Tonner (v., 1975) dà del consumatore ("non proprietario di mezzi di produzione, che fa fronte alle esigenze del proprio sostentamento con il corrispettivo della prestazione di lavoratore dipendente") e non è vero che gli interessi dei consumatori in quanto tali si identifichino tout court con gli interessi dei lavoratori; è invece ovvio che "vi sono consumatori-lavoratori e consumatori-capitalisti".
Da queste considerazioni si possono far discendere due corollari: a) se è vero che i consumatori in quanto tali non costituiscono una categoria, è però vero che tra i consumatori si possono distinguere varie categorie, di volta in volta definite non tanto dal tipo di oggetti di consumo verso cui sono orientati i singoli, quanto piuttosto dalle differenze di ceto e di classe che esistono tra un consumatore e l'altro; b) se è vero che i consumatori non si possono identificare con i lavoratori, è anche vero però che i lavoratori, in quanto consumatori, ben possono orientarsi nelle loro rivendicazioni, progettando strategie relative ai consumi, alla loro estensione, al loro controllo e così via.
Minore attenzione si è riservata, per contro, alla nascita, alle strategie, alla natura stessa dei gruppi o delle associazioni di consumatori. Eppure, proprio all'operare sotto forma di gruppo, piuttosto che all'iniziativa individuale, si deve l'emergere dei bisogni di tutela e la concreta azione, per così dire, 'politica' dei consumatori.
L'identificazione di un interesse di gruppo, superindividuale o addirittura collettivo, ha portato, comunque, alla definizione di una nuova prospettiva di indagine, che si è avviata soprattutto nel settore delle scienze giuridiche: se nei singoli sistemi si può dar corpo, dare cioè cittadinanza, a interessi di tipo superindividuale, si può proteggere il consumatore in quanto membro di un gruppo. È il problema, giuridicamente inteso, della 'tutelabilità degli interessi diffusi' e della legittimazione processuale delle associazioni di consumatori (v. Cappelletti, 1976).
Quando si parla del consumatore in termini giuridici, occorrerebbe considerare l'uso del termine nelle tre componenti di ogni ordinamento: la legge, la giurisprudenza, la dottrina. È ovvio che le definizioni legislative sono le più rilevanti, quanto meno nei sistemi codificati e nei sistemi a 'legge scritta'.
Le definizioni legislative del consumatore sono molteplici, in quanto il problema definitorio è sorto ogni volta che il legislatore è intervenuto in settori separati dei rapporti commerciali, e in quanto non è ancora stata introdotta una norma definitoria generale in nessun ordinamento del mondo occidentale. Nel nostro ordinamento non si conoscono, al momento, né definizioni del primo tipo, né definizioni del secondo tipo, ma esse dovrebbero essere imminenti in quanto sia le une che le altre provengono dalla disciplina comunitaria e quindi dovranno essere, con tutti gli adattamenti del caso, rese operanti anche nel sistema italiano.
Il preambolo del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea cita, infatti, fra gli obiettivi fondamentali della Comunità "il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione" dei popoli che ne fanno parte. Tale idea è sviluppata nell'art. 2, in cui è precisato che la Comunità ha in particolare il compito "di promuovere uno sviluppo armonioso delle attività economiche, un'espansione continua ed equilibrata, una maggiore stabilità, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita". L'art. 39 fa un riferimento esplicito ai consumatori: dopo aver fissato tra le finalità della politica agricola comune la garanzia della sicurezza degli approvvigionamenti e la stabilizzazione dei mercati, esso menziona l'obiettivo di "assicurare prezzi ragionevoli nelle consegne ai consumatori". Per quanto riguarda le regole della concorrenza, l'autorizzazione di taluni accordi tra imprese è subordinata, a norma dell'art. 85 par. 3, alla condizione che "una congrua parte dell'utile che ne deriva" sia riservata agli utenti. Inoltre l'art. 86 cita, come esempio di pratiche abusive, "la limitazione della produzione, degli sbocchi e dello sviluppo tecnico a danno dei consumatori". In altri termini "attualmente il consumatore non è più considerato come compratore e utilizzatore di beni e di servizi per il proprio uso personale, familiare o collettivo, ma come individuo interessato ai vari aspetti della vita sociale che possono direttamente o indirettamente danneggiarlo come consumatore" (Risoluzione del Consiglio del 14 aprile 1975, riguardante un programma preliminare della CEE per una politica di protezione e di informazione del consumatore).
Le direttive comunitarie progettate sono numerose; in quelle già approvate e quindi divenute vincolanti si rinvengono definizioni del consumatore che sono di tipo relazionale: acconciate cioè al singolo intervento e ritagliate sui rapporti giuridici disciplinati. Ad esempio, nella direttiva concernente le vendite compiute fuori dei locali commerciali (a domicilio), consumatore è "la persona fisica che per le transazioni comprese nella presente direttiva non agisce nell'ambito di un'attività commerciale o professionale"; mentre nella direttiva concernente la responsabilità del fabbricante non si dà una definizione del consumatore, bensì si usa il termine 'danneggiato', che può appunto considerarsi omologo di consumatore, utente o addirittura bystander (v. Alpa e Bessone, 1980; v. Kramer, 1978; v. Reich, 1987).
I caratteri comuni a queste definizioni sono quelli di un soggetto individuale che è controparte (anche indiretta) dell'impresa, non riveste qualità professionali ed è il destinatario di servizi o prodotti o messaggi pubblicitari.
Il Consiglio d'Europa, per parte sua, dà questa definizione: è consumatore "il privato che, per soddisfare esigenze non professionali, è parte di un contratto relativo alla fornitura di beni o di servizi".
Dalla giurisprudenza non si traggono definizioni del consumatore diverse da quelle settoriali legislative; d'altra parte, il fatto che il contenzioso avviato dai consumatori non sia ancora molto sviluppato, almeno in Italia, induce a ritenere che sia difficile costruire, a livello giurisprudenziale, definizioni diverse del consumatore, più ampie o più precise, o quanto meno onnicomprensive.Nella nostra esperienza, accanto a chi critica l'uso stesso della formula 'consumatore', intendendo questo termine come espressione di una falsa categoria, vi è chi ritiene che consumatore sia chiunque entri a far parte di, o istituisca, un rapporto giuridico relativo al consumo. Ed è questa, mi pare, la definizione più congrua. L'unico caso italiano, a quanto risulta, in cui i giudici si sono posti il problema definitorio generale è stato oggetto di una pronuncia di Cassazione. Si è detto che consumatore è "colui che fa della merce acquistata un uso, un consumo esclusivamente personale per soddisfare le limitate esigenze della propria vita individuale e familiare" (cfr. Cassazione, 16 marzo 1965, n. 451, in "Foro italiano", 1965, XC, 1, col. 614).
In una prospettiva comparatistica la questione è più articolata. Nella maggior parte dei casi si tratta di concetti derivati, con i necessari aggiustamenti, da ambienti che in questo settore sono più avanzati del nostro. Da questo punto di vista il consumatore è inteso come la persona fisica ("il privato") che acquista merci o servizi o altra fornitura di valore "per uso proprio e non per farne commercio". Su questa accezione concordano gli studiosi tedeschi, come E. von Hippel che descrive appunto in questi termini la figura dello Endverbraucher, gli studiosi svedesi, come U. Bernitz, e in genere gli autori nordamericani che si rifanno alla definizione legislativa contenuta nello Uniform Commercial Code, ove all'art. 9-109 si dà questa definizione di consumer goods (oggettivata, quindi, e non riferita alla persona ma alle cose di cui questa fa uso): "goods used or bought for use primarily for personal, family or household purpose" (per una più diffusa disamina, v. Alpa, 1987).
Nell'esperienza francese il termine consommateur ha assunto diversi significati. Con chiarezza P. Malinvaud avverte che la sua accezione può essere lata o ristretta. La prima concerne "toute personne qui contracte dans le but de consommer, c'est-à-dire d'utiliser un bien ou un service; sera alors considéré comme consommateur non seulement celui qui a acheté une voiture pour son usage personnel, mais encore celui qui l'a acheté pour l'usage de sa profession". Nell'accezione più ristretta, è consumatore "celui qui contracte dans le but de consommer pour satisfaire des besoins personnels ou familiaux: seront alors exclus ici ceux qui contractent dans un but professionnel, pour les besoins de leur profession ou de leur entreprise".
L'opinione generale oggi, in Francia, accredita la nozione più ristretta (v. Calais-Auloy, 1986).
D'altra parte è noto che queste definizioni hanno un valore pratico notevole ma, anche se codificate dal legislatore, conservano un carattere di mutevolezza o addirittura semplicemente propositivo, se si accede alla tesi che nega alle definizioni legislative carattere vincolante e alle regole che le contengono valore normativo. Per compiutezza d'indagine si deve considerare la questione anche nella sua prospettiva costituzionale. Solo le costituzioni lunghe e recenti contengono qualche riferimento al consumatore. Emblematica, in questo contesto, è la nuova Costituzione spagnola che, entrata in vigore nel 1978, ha potuto raccogliere le esigenze, le sollecitazioni, le indicazioni che provengono da una società civile evoluta e in fase di operosa trasformazione. Vi si contemplano infatti posizioni giuridiche, figure e diritti che presso di noi hanno trovato consacrazione solo nel Codice civile o sono frutto dell'interpretazione giudiziale (creazione pretoriana): come accade per il diritto all'identità personale (art. 18, n. 1), per la protezione dall'uso dell'informatica (art. 18, n. 4), per l'accesso ai mezzi di comunicazione (art. 20, n.3), per la partecipazione al processo amministrativo (art. 23, n.1), per il diritto all'ambiente (art. 45, n.1), per la tutela degli handicappati (art. 49) e della terza età (art. 50). In questo contesto si prevede anche una norma per la protezione dei consumatori: l'art. 51 dispone che "i pubblici poteri garantiranno la difesa dei consumatori e degli utenti tutelandone, mediante procedimenti efficaci, la sicurezza, la salute e i legittimi interessi economici (c. 1); i pubblici poteri promuoveranno l'informazione e l'educazione dei consumatori e degli utenti, ne incoraggeranno le organizzazioni, che consulteranno nelle questioni che possano riguardare i loro interessi, nei termini che la legge stabilisca (c. 2); nell'ambito delle disposizioni dei precedenti commi, la legge disciplinerà il commercio interno e il regime dell'autorizzazione di prodotti commerciali (c. 3)".
L'espressione 'interesse del consumatore' è un 'camaleonte terminologico', che muta contenuti e prospettive a seconda che sia usata, come fine ultimo, dalle tre categorie di fonti dell'informazione del consumatore che i sociologi prendono in considerazione: gli organismi pubblici, le imprese produttrici, le organizzazioni dei consumatori.
La conclusione cui si perviene è pertanto che per conoscere le esigenze dei consumatori e per orientare il legislatore o la pubblica amministrazione verso strategie di protezione occorre - prima di assumere iniziative a titolo privato o nell'interesse pubblico - condurre ricerche sul campo, non accontentandosi di una riflessione istituzionale, ma accertando, di fatto, come funzioni l'informazione e quali esigenze concrete possa soddisfare.
Evidentemente le proposte sono molteplici e riguardano anche le metodologie della ricerca empirica (v. Hoffmann, 1982). Molti esperti esprimono anche un certo grado di scetticismo sugli stessi programmi di informazione del consumatore, che non debbono essere sopravvalutati rispetto alle iniziative riguardanti i controlli dei contratti standard, della qualità dei prodotti e dei messaggi pubblicitari (v. Stauss, 1983).
D'altra parte, proprio la difficoltà di definire ciò che si riassume, con espressione ellittica, nella formula 'interesse del consumatore' è stata uno degli ostacoli all'azione delle organizzazioni deputate all'individuazione e alla promozione della tutela di questi interessi. Osservava qualche anno fa lo studioso tedesco Biervert che "gli interessi dei consumatori sono etereogenei nei loro scopi e nelle loro priorità: l'interesse del consumatore spesso è una categoria astratta, e comunque è mutevole nel tempo; vi è concorrenza con altri interessi, egualmente degni di tutela, come quelli familiari; comunque gli interessi dei consumatori operano come forza attrattiva dei conflitti dal mondo del lavoro; si registrano conflitti con altri modi di organizzazione degli interessi, ad esempio con gli interessi dei sindacati che operano per elevare il reddito nominale, ecc.; non vi è rispondenza tra quel che si richiede ai consumatori (ad esempio sotto forma di quota di iscrizione alle associazioni) e quel che essi riescono a ottenere (ad esempio maggiori garanzie della qualità dei prodotti); gli interessi più pregiudicati sono anche quelli meno articolati; in particolare, i consumatori del 'ghetto', a reddito molto basso, non possono spostarsi ad altri mercati, né hanno grandi possibilità di percepire i programmi educativi" (cit. in Alpa, 1979).
La dottrina ha cercato di individuare una dettagliata classificazione dei diritti dei consumatori. Si registrano infatti: a) i diritti del consumatore inteso di volta in volta come acquirente, danneggiato, contraente debole. Si tratta delle tradizionali posizioni soggettive riconosciute dalla disciplina della vendita, dei contratti per adesione, della responsabilità civile, ecc. Si possono pertanto enumerare molte figure soggettive, molti diritti in capo al consumatore; ma in questa ipotesi l'espressione 'diritto del consumatore' - pur così frequente nelle elaborazioni dottrinali recenti - non è usata in modo corretto, ma in modo traslato: si tratta quindi di appellazioni (stipulative) non rigorosamente esatte dal punto di vista logico-formale; b) accanto a questi 'diritti' vi sono gli 'interessi diffusi' tutelati in via processuale, di cui si farà cenno; c) in numerosi ordinamenti e nel diritto uniforme si sono poi identificati diritti specifici dei consumatori, che sono il portato delle più mature fasi del processo evolutivo del consumerism.
Anche a questo proposito bisogna però riproporre la distinzione tra 'diritti' che non sono tali sul piano formale, ma sono soltanto semplici interessi emergenti dalla coscienza sociale e non ancora assurti a vere e proprie situazioni giuridicamente rilevanti, e diritti riconosciuti invece in via legislativa.Un discorso generalizzante non può che considerare i diritti della prima fase; quelli della seconda debbono invece essere connotati con coordinate geografiche e con precise indicazioni della normativa che, nei singoli Stati, li ha resi meritevoli di tutela.
I diritti, per così dire, in fase di attuazione sono molteplici e si possono così riassumere: a) diritto a essere informati ed educati; b) diritto a essere ascoltati; c) diritto a essere rappresentati; d) diritto a essere risarciti.
Questi 'diritti' corrispondono in larga parte a quelli contenuti nella Risoluzione comunitaria del 1975, sopra citata. Accanto a questi diritti si possono indicare veri e propri interessi legittimi. Ad esempio, tali interessi si possono costituire in capo a singoli consumatori con riguardo alla predisposizione comunale del piano di commercio (legge n.426 del 1971), alla disciplina delle etichette (d.p.r. 18 maggio 1982, nn. 489 e 322), ovvero alla concorrenza sleale. Ampliando il concetto di interesse legittimo e rendendolo applicabile, come la moderna dottrina propone, anche nei rapporti tra privati, si possono aprire nuove, ulteriori prospettive di protezione dei consumatori.
È pure possibile assegnare un fondamento normativo 'forte' ai diritti dei consumatori ricorrendo alla interpretazione estensiva delle norme costituzionali e facendo appello alla nozione (pur discussa) di costituzione materiale.
È evidente che il consumatore è persona (art. 2), è dimensione collettiva (art. 18), è portatore di un valore rilevante come la salute (art. 32) e che la sua posizione è limite all'attività economica pubblica e privata (art. 41). Su questa via si sono inoltrati i contributi più recenti, e si è perfino parlato di 'democrazia dei consumatori'. La realtà attuale indica che, già al livello della norma fondamentale, esistono le premesse per creare un'intensa legislazione protettiva e che il divario tra l'evoluzione della società civile e lo stato della normazione vigente è, da questo punto di vista, davvero allarmante.
Più complessa è la struttura degli interessi dei consumatori che di recente la dottrina va indagando, attribuendo loro la qualifica di interessi 'diffusi'. Non si tratta infatti di interessi collettivi, perché non riguardano necessariamente tutta la collettività: essi possono riguardare, ad esempio, tutti gli utenti (che possono essere molti, ma non identificabili con la collettività) di un prodotto potenzialmente pericoloso, o i destinatari di un messaggio pubblicitario decettivo, o gli 'aderenti' a condizioni generali di contratto particolarmente vessatorie.
Né si tratta di interessi di categoria, come sono quelli dei lavoratori, proprio perché, come si rileva sopra, i consumatori non compongono una categoria ma possono distinguersi in numerosissime categorie, che non hanno mai, comunque, per denominatore comune interessi così connotati come sono quelli dei lavoratori. E non si tratta neppure di interessi sociali, che attengono ai valori universalmente riconosciuti come base e fondamento della convivenza di una collettività.
La natura giuridica e prima ancora i confini concettuali degli interessi diffusi non sono molto chiari. Per ripetere la definizione proposta da Massimo Severo Giannini, gli interessi diffusi si possono individuare "sulla base di un criterio soggettivo, che è quello del portatore". Sono tali, pertanto, gli interessi che hanno per portatore "un ente esponenziale di un gruppo non occasionale", di un gruppo "che non abbia durata effimera e comunque contingente, ossia costituisca una componente sociologicamente individuabile di una collettività territoriale generale, il cui ente esponenziale sia ammissibile in base - sempre - alle norme sull'organizzazione della plurisoggettività dell'ordinamento".
In tal senso, sono interessi diffusi dei consumatori gli interessi (inizialmente di natura individuale) che emergono solo in seguito alla costituzione di gruppi, associazioni, organizzazioni in difesa dei consumatori; dalla loro azione è possibile trarre protezione per interessi che - individualmente presi - o non potrebbero considerarsi rilevanti, oppure risulterebbero così inconsistenti da non meritare alcuna difesa. È tuttavia dalla loro 'unione', che prende corpo l'interesse 'diffuso', e si apre quindi il problema di assicurare a questo tipo di interessi un'adeguata garanzia processuale di difesa (cfr. Giannini, in AA.VV., Le azioni..., 1976, pp. 23 ss.).
Si tratta di una questione che, per alcuni, si pone solo in una prospettiva ipotetica e programmatica. Per altri, invece, più sensibili all'esigenza di offrire adeguate garanzie ai consumatori anche dal punto di vista dell'azionabilità in giudizio dei loro interessi, vi è una protezione immediata. Si è così proposto di ampliare i criteri con i quali si riconosce la legittimazione ad agire solo al portatore 'individuale' dell'interesse che si vuol far valere (cfr. i contributi di Denti e di Rodotà, in AA.VV., Le azioni..., 1976; v. Cappelletti, 1975; v. Caravita, 1985).
In altri ordinamenti si è consentito, per singoli settori, alle associazioni adeguatamente rappresentative di promuovere azioni (di natura cautelativa, ovvero risarcitoria) nei confronti delle imprese che avevano leso gli interessi dei consumatori aderenti alle associazioni o titolari di posizione giuridiche coerenti con gli scopi perseguiti dalle associazioni stesse (cfr. ad esempio la legge Royer, introdotta in Francia nel 1973). Ma da questo punto di vista, come hanno acutamente dimostrato gli studi di tipo comparatistico in campo processuale (v. in particolare l'opera di M. Cappelletti) l'esperienza più interessante e rilevante sul piano pratico è stata quella nordamericana, in cui sono ammesse le cosiddette class actions, azioni in giudizio promosse da associazioni e tendenti a far valere la res judicata nei confronti di tutti gli aderenti (v. Newberg, 1972).
La questione dell'informazione del consumatore, sulla quale molto hanno insistito i programmi d'intervento della Comunità Europea, appare assai complessa.
Gli organismi pubblici in Italia sono pressoché inesistenti. La situazione italiana, a confronto con alcune esperienze europee, appare infatti estremamente povera. Scarse sono le notizie sulle iniziative assunte dall'Istituto Nazionale per il Consumo; pressoché inesistenti le iniziative regionali, che anzi, in alcuni casi, come in Liguria, sono state bloccate dal veto del commissario di governo con la motivazione che l'art. 117 della Costituzione non prevede competenze legislative (e quindi non amministrative) delle regioni nel settore dei consumi.
Le iniziative di alcuni uffici comunali (di solito le strutture dell'annona), consistenti nella diffusione di materiali e dépliants, nell'allestimento di programmi per le scuole, o ancora nell'utilizzazione di un 'filo diretto' con i consumatori, sono state avviate in alcune città, ma costituiscono una risposta sporadica alle esigenze del pubblico. Altrove, come risulta dalle indagini di diritto comparato, i programmi sono invece risultati soddisfacenti.
Le associazioni di consumatori e altri organismi privati hanno predisposto programmi informativi utili, che scontano però lo scarso interesse all'associazionismo del pubblico italiano.
Le informazioni provenienti dalle imprese riguardano etichette, confezioni, pubblicità commerciale. Su questi aspetti si dirà più oltre, ma è ovvio che l'informazione offerta dall'impresa produttrice o dall'impresa di pubblicità è un'informazione 'orientata', resa dalla controparte istituzionale del consumatore e pertanto non sempre completa, attendibile o utile.
Nelle ricerche giuridiche è sempre più frequente la pubblicazione di saggi di contenuto sociologico ed economico sull'informazione del consumatore. È questo un segno importante, e non solo per il contenuto metodologico, del modo nel quale oggi i giuristi pensano a questo problema: non più un atteggiamento 'notarile', descrittivo della situazione normativa, italiana o comunitaria, ma un'attenzione costante alla realtà effettuale. Gli interrogativi di oggi sono diversi da quelli che ci si poneva quando si avviò la costruzione di un 'diritto dei consumi': chi produce informazione, come la produce, che sorte ha questa informazione, quanto e cosa si può chiedere in più, rispetto alla situazione attuale, per meglio tutelare il consumatore? Si deve anche sottolineare il gap presente (specie in Italia) tra disciplina ed esigenze dell'informazione: gli strumenti giuridici attuali sono modellati su una situazione economica e sociale da lungo tempo superata dall'odierna evoluzione; quegli strumenti sono sorti in un'incipiente società dei consumi di massa, ma oggi sono del tutto inadeguati a soddisfare un pur minimo interesse del consumatore. Anzi, alcuni di quegli strumenti sono conflittuali con questa esigenza perché limitano la circolazione delle informazioni a beneficio del produttore. Occorre pertanto progettare una più coerente e coraggiosa normativa. In questa prospettiva rivestono notevole interesse le indagini che si sono svolte nei paesi più evoluti. Tra queste è di particolare rilievo un'inchiesta realizzata negli Stati Uniti (v. Rudell, 1979). Uno dei test cui furono sottoposti i consumatori riguardava il valore nutritivo degli alimenti. I risultati furono assai deludenti in ordine alla consapevolezza delle proprie scelte da parte degli intervistati: nessuno di loro, nella scelta, si era informato sul valore nutritivo dei prodotti posti a confronto. Un ulteriore risultato fu che l'informazione con questi contenuti poteva essere assimilata se offerta in codice, cioè con un linguaggio semplificato e omogeneo.
Un altro problema riguarda l'adeguatezza delle informazioni acquisibili da parte del dettagliante, che deve essere adeguatamente informato dal produttore e in grado di illustrare al consumatore le caratteristiche del prodotto.Altre ricerche effettuate in Olanda riguardano gli opuscoli usati per la vendita degli autoveicoli (v. Gottschalk e Schneider, 1983). Si è accertato che gli opuscoli predisposti da agenzie specializzate erano perfettamente intelligibili, ma erano anche di scarsa utilità, perché, riguardo al tipo di prodotto, il consumatore aveva necessità di nuove e diverse informazioni, connesse con la soddisfazione delle sue personali esigenze. La vicenda ha consentito di distinguere tra informazioni coniate nella prospettiva dell'informatore (message oriented) e informazioni coniate nella prospettiva del ricevente, l'informato (receiver oriented). In conclusione, i curatori della ricerca raccomandarono alle agenzie di porre maggiore attenzione all'intelligibilità dei termini tecnici.
Si è rivolta la maggiore attenzione ai processi di informazione del consumatore. A questo riguardo si sono distinti tre caratteri dell'informazione: utilità (al fine di fare l'acquisto), fruibilità (al fine di selezionare i dati e operare la scelta), effettività (al fine di accertare la scelta delle informazioni) (v. Diller, 1978; v. van Raaij, 1978).
Secondo queste ricerche i contenuti dell'informazione offerta debbono riguardare il rischio (perceived risk), le conseguenze del difetto di informazione (cognitive balance), la posizione individuale di partenza (cognitive complexity).
Si è proposto tuttavia di integrare i criteri indicati con altre due linee di indagine: le variabili individuali (capacità complessiva, stile di vita, grado dei bisogni) e le variabili dell'ambiente di vita (fruibilità e tipo di informazioni) (v. van Raaij, 1978).
Si è inoltre messo a punto, ad opera di alcuni sociologi tedeschi (v. Grunert Saile, 1978), un sistema di informazione del consumatore che sembra aver registrato qualche risultato di rilievo. Questo sistema, predisposto dall'Università di Hockenheim, consiste nell'adattare il contenuto di materiale informativo alle esigenze dei consumatori e alle tecniche attuali di offerta di informazione da parte di dettaglianti e produttori. Il metodo è stato sperimentato soprattutto nel settore degli elettrodomestici e dei veicoli.
I risultati hanno rivelato che un terzo dei rischi accertati non era evidenziato nelle informazioni offerte al consumatore. In altri termini esisteva, ed esiste tuttora, un notevole gap tra esigenze di informazione, offerta e domanda (ibid.).
È esperienza comune rilevare che - al momento attuale - i sistemi di informazione del consumatore sono ancorati ai metodi tradizionali che si affidano alla trasmissione orale o scritta. Le possibilità che dischiude l'applicazione delle tecniche informatiche sono infinite, ma i consumatori rischiano di presentarsi con grave ritardo all'appuntamento con la computer society.
In realtà, qualche studioso ha già esaminato le opportunità offerte dai sistemi di intelligent product information (v. Russo, 1987) alla luce delle nuove tecnologie.
Evidentemente le nuove tecnologie sono in grado di rivoluzionare il sistema delle comunicazioni tra consumatori, dettaglianti e imprese. Lo home computer può essere collegato con diversi networks e, più in generale, con banche dati. Può accertare il prezzo, la qualità, la localizzazione, la fruibilità di prodotti e servizi, e può essere utilizzato non solo per ordinare prodotti e servizi, ma anche per segnalare errori, vizi, guasti e per comunicare con il fornitore circa le esperienze relative all'acquisto.
È un sistema che consente di effettuare più facilmente confronti tra i prodotti ed è, ovviamente, basato solo sulle informazioni veicolate, essendo un sistema che opera a distanza. Di qui la conclusione che i consumatori possono diventare dipendenti da quelle imprese o da quegli organismi che offrono più facili e meno costosi sets di informazioni. Chi usa meglio il sistema informatico può rafforzare quindi la propria posizione sul mercato, a danno dei concorrenti.L'informazione del consumatore si trasforma pertanto nell'accesso alle banche dati. Ma anche qui emergono i medesimi problemi che sopra si sono discussi: come debbono essere formulate le informazioni? fino a quale livello tecnico si debbono spingere? con quali modalità debbono essere trasferite al consumatore?
Dal punto di vista legislativo, in via progettuale, i modelli configurabili sono essenzialmente due: l'uno opera per clausole generali; l'altro per interventi settoriali. Sia il primo che il secondo presentano aspetti apprezzabili: il primo ha il pregio della completezza, ma il difetto della genericità; il secondo ha il pregio del dettaglio, ma il difetto della settorialità.
Del secondo non è necessario discutere in questa sede: è il metodo seguito fino a oggi dal nostro legislatore, le cui lacune e inefficienti applicazioni sono sotto gli occhi di tutti.
Il primo è stato introdotto in diverse esperienze, ma quella che lo ha fatto proprio allo stato, per così dire, puro è l'esperienza danese (v. Sepstrup, 1981).
I possibili modelli di protezione del consumatore e di controllo delle attività di impresa sono sostanzialmente tre: a) il modello dell'autotutela; b) il modello del controllo giudiziale; c) il modello del controllo amministrativo.In ogni paese europeo si hanno forme di protezione di questo genere: in alcuni prevalgono quelle del primo tipo, come nel Benelux; in altri, quelle del secondo, come in Gran Bretagna, in Germania, in Italia; in altri ancora quelle del terzo, come in Francia o in Svezia. (Il discorso non può quindi che essere generale e schematico; per un'analisi più dettagliata occorre rinviare alla letteratura, ormai amplissima, sull'argomento).
Il modello che con termine approssimativo si può definire dell"autotutela' riguarda l'azione dei consumatori, come singoli ovvero come membri di associazioni occasionali o di categoria. È proprio dei paesi nei quali l'associazionismo è più sviluppato, come quelli dell'Europa del Nord, la Gran Bretagna e la Francia, dove il benessere ha raggiunto forme più evolute e sofisticate e dove l'azione dei gruppi è potente e non soffocata dal gioco dei partiti o dal ruolo dei sindacati. In altri termini, tale modello si è affermato soprattutto nei paesi retti da forme di socialdemocrazia e si sono ottenuti importanti risultati: in Germania, ad esempio, produttori di autoveicoli e associazioni di consumatori hanno raggiunto un accordo per risolvere le controversie relative alla circolazione di prodotti difettosi senza ricorrere ai tribunali ordinari, ma attraverso appositi organi arbitrali.
Si tratta di azioni autonome e quindi spontanee e libere, non vincolate all'azione del legislatore, spesso contrastata dal difficile accordo tra le parti politiche e ritardata dall'enorme quantità di leggi che ogni anno i corpi legislativi devono emanare. Ma si tratta di azioni che possono realizzarsi solo là dove le associazioni sono forti e capaci di imporre la loro volontà negoziale al sistema delle imprese, e di contrastarne gli obiettivi di profitto.Il modello del controllo giudiziale è il più diffuso ed è quello che la stessa Comunità Europea si propone di introdurre negli ordinamenti nei quali la protezione del consumatore è ancora debole, o di rafforzare là dove iniziative di questo tipo sono già state avviate. Ma non è certo il modello di controllo ottimale.
Un'analisi complessiva degli strumenti giudiziali di tutela del consumatore rivela le carenze, le contraddizioni, gli errori che si riscontrano in ogni programma che si affida all'operato delle corti per risolvere i problemi di consumer protection; organizzati nell'applicazione di regole di diritto privato, tali programmi riflettono infatti un approccio a questa problematica che non può non essere definito parziale, circoscritto e scarsamente utile.
Questi caratteri del controllo 'giudiziale' delle attività d'impresa (e della tutela del consumatore) si registrano sia in un'analisi astratta delle procedure e dei meccanismi che sono connaturati a ogni programma di tutela del consumatore esclusivamente fondato su regole di diritto privato, sia in un'analisi - attenta ai dati concreti - rivolta ad accertare i risultati che nell'esperienza italiana (così come nella maggior parte delle esperienze continentali) l'applicazione delle regole di diritto privato ha potuto raggiungere.
Sembra infatti incontestabile l'assunto che ogni tipo di controllo giudiziale sia isolato, contingente e circoscritto al 'caso' portato in giudizio dalle parti. Esso è destinato pertanto a perpetuarsi in modo identico in tutti i casi nei quali il medesimo giudice deve risolvere controversie sorte tra un singolo consumatore e l'impresa, applicando regole intese a realizzare il contemperamento di interessi 'privati'. Ogni controversia che nasce, si sviluppa e si ricompone in questa prospettiva consente infatti un controllo non 'pianificato', o certamente dissociato da ogni iniziativa rivolta a esercitare forme di controllo sociale sulle attività d'impresa. Un ulteriore limite di questo tipo di controllo è costituito dall'iniziativa di parte.
Infine, il controllo amministrativo. Più che delineare un organico quadro delle forme di controllo nelle esperienze europee e nell'esperienza della common law, si propongono in questa sede alcuni modelli di attuazione del controllo che potrebbero essere assunti come punto di riferimento per un'eventuale riforma dell'apparato burocratico, con particolare riguardo alla realizzazione di obiettivi di tutela del consumatore. L'emergere in altre esperienze di forme di controllo amministrativo esclusivamente dedicate alla protezione del consumatore appare infatti fenomeno non trascurabile nell'analisi dei progetti di riforma che si intendono attuare nella via del consumerism. Ma si tratta non tanto di modelli cui informare in modo meccanico le nostre strutture, quanto di semplici indicazioni che consentono di sviluppare un più articolato esame dei modi e delle forme con cui tutelare (non dal punto di vista individuale, ma dal punto di vista collettivo) i consumatori. In questa prospettiva sembra opportuno delimitare l'indagine a due modelli alternativi di controllo amministrativo: più vicino all'esperienza italiana, il primo; molto distante da questa, il secondo. Il primo costituisce un organismo dell'apparato pubblico ed è quindi centralizzato e inserito nella struttura delle organizzazioni ministeriali, ed è tipico dell'esperienza francese; il secondo si fonda invece sull'attività di un organo indipendente, con funzioni proprie, ed è tipico dell'esperienza svedese.
Una copiosissima legislazione si registra in materia di produzione alimentare. Allo stesso modo cominciano a prendere consistenza iniziative tendenti a dare spazio al consumatore collettivo, cioè ad associazioni la cui consultazione è considerata vincolante. Ciò accade in materia di prezzi, di locazioni, di provvedimenti delle autorità locali (specie regionali e comunali).
Si discute ancora sull'accesso alla giustizia e sulle misure da riservare ai non abbienti. Si apre qui un nuovo capitolo, che si confonde tuttavia con l'azione 'politica' dei consumatori, delle associazioni, dei gruppi di pressione, e finalmente del legislatore (internazionale, comunitario, statuale, regionale) (v. Bourgoignie, 1983). Un capitolo che, specie per i paesi dell'Europa mediterranea, è ancora da scrivere e che non può -almeno dal punto di vista scientifico - prestarsi a una descrizione omogenea e generalizzante, viste le peculiarità delle singole esperienze. (V. anche Giustizia, accesso alla).
AA.VV., La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato (a cura di A. Gambaro), Milano 1976.
AA.VV., Le azioni a tutela di interessi collettivi. Atti del convegno di studio (Pavia 11-12 giugno 1974), Padova 1976.
Alpa, G., Come tutelare il consumatore?, in "Politica del diritto", 1979, X, pp. 619-628.
Alpa, G., Diritto privato dei consumi, Bologna 1987.
Alpa, G., Consumatore, in Digesto italiano, vol. III, Torino 1988, pp. 542-548.
Alpa, G., Bessone, M., Il consumatore e l'Europa, Padova 1980.
Baran, P.A., Sweezy, P.M., Monopoly capital. An essay on the American economic and social order, New York 1966 (tr. it.: Il capitale monopolistico. Saggio sulla struttura economica e sociale americana, Torino 1968).
Baudrillard, J., La société de consommation, Paris 1970 (tr. it.: La società dei consumi, Bologna 1976).
Bessone, M., Prodotti dannosi e responsabilità dell'impresa, in "Rivista trimestrale di diritto e procedura civile", 1971, XXV, pp. 97-139.
Bourgoignie, T., L'accès des consommateurs à la justice dans la Communauté Européenne: apports de droit comparé, Bruxelles 1983.
Calais-Auloy, J., Droit de la consommation, Paris 1986.
Cappelletti, M., Appunti sulla tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, in "Giurisprudenza italiana", 1975, CXXVII, pp. 49-63.
Cappelletti, M., Presentazione, in La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato (a cura di A. Gambaro), Milano 1976.
Caravita, B., La tutela degli interessi diffusi e collettivi, in "Rivista critica del diritto privato", 1985, III, pp. 31-60.
Diller, G., A theory of consumer information processing, in "Journal of consumer policy", 1978, II, 1, pp. 1-20.
Fabris, P., Sociologia dei consumi, Milano 1969.
Forte, F., Il consumo e la sua tassazione, Torino 1973.
Galbraith, J.K., The new industrial State, London 1967 (tr. it.: Il nuovo Stato industriale, Torino 1968).
Gottschalk, I., Schneider, I., The intelligibility of supplier information, in "Journal of consumer policy", 1983, VI, pp. 161-176.
Grunert Saile, K., Information needs, supply, and demand as a basis for the development of consumer information material: the INVORMAT method, in "Journal of consumer policy", 1978, II, 4, pp. 338 ss.
Hoffmann, A.L., Verbraucherinteresse als Informationsproblem, Frankfurt a. M. 1982.
Katona, G., The powerful consumer, New York 1960 (tr. it.: L'uomo consumatore, Milano 1964).
Kramer, C., Gemeinschaftsaktionen zugunsten der Verbraucher, Bruxelles 1978.
Lazarsfeld, P.F., Metodologia e ricerca sociologica (a cura di V. Capecchi), Bologna 1967.
Napoleoni, C., La posizione del consumo nella teoria economica, in "La rivista trimestrale", 1962, pp. 3-12.
Newberg, G., Federal consumer class action litigation, in "Harvard journal legislation", 1972, pp. 1 ss.
Petroni, G., La sociologia dei consumi, Milano 1969.
Raaij, F. van, Theory or theories of consumer information processing? A comment on the paper by Diller, in "Journal of consumer policy", 1978, II, 2, pp.185 ss.
Ragone, G., Psicosociologia dei consumi, Milano 1974.
Reich, N., Förderung und Schutz diffuser Interessen durch die europäischen Gemeinschaften, Baden-Baden 1987.
Rudell, F., Consumer food selection and nutrition information, New York 1979.
Russo, J.E., Toward intelligent product information systems for consumers, in "Journal of consumer policy", 1987, X, pp. 109-138.
Sepstrup, P., Information content in advertising, in "Journal of consumer policy", 1981, IV, 4, pp. 337 ss.
Stauss, B., Recensione a Verbraucherinteresse als Informationsproblem, di A.L. Hoffmann, in "Journal of consumer policy", 1983, VI, pp. 365-368.
Tonner, K., Zum Stellenwert des Verbrauchererschutzes, in "Demokratie und Recht", 1975, pp. 119-134.
Vitale, S., Consumismo e società contemporanea, Firenze 1975.