Tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti
In seguito a C. eur dir. uomo, 8.1.2013, Torreggiani c. Italia, il legislatore nazionale è intervenuto a più riprese (d.l. 23.12.2013, n. 146, conv. l. 21.2.2014, n. 10 e d.l. 26.6.2014 n. 92, conv. l. 11.8.2014, n. 117), al fine di introdurre all’interno dell’ordinamento penitenziario un sistema di rimedi, preventivi e compensativi, come richiesto dai giudici di Strasburgo. In tale prospettiva, l’art. 35-bis ord. penit. implementa un nuovo ricorso giurisdizionale per garantire l’effettiva tutela dei diritti del detenuto nei casi di «attuale e grave pregiudizio» all’esercizio dei diritti medesimi, determinato da atti o condotte dell’amministrazione penitenziaria non conformi alla legge di ordinamento penitenziario o al suo regolamento attuativo, mentre l’art. 35-ter ord. penit. introduce un rimedio compensativo per coloro che hanno sofferto una detenzione inumana o degradante ai sensi dell’art. 3 CEDU.
A poco più di un anno dalla loro introduzione, gli artt. 35-bis e 35-ter ord. penit. hanno evidenziato diverse problematiche applicative che costituiranno oggetto di analisi.
In via di estrema schematizzazione1, i due rimedi consentono alla persona che lamenti di aver sofferto una condizione detentiva contraria all’art. 3 CEDU, di rivolgersi al magistrato di sorveglianza al fine di ottenere l’immediato ripristino della legalità e al contempo di ottenere una riduzione della pena da espiare (nella misura di un giorno per ogni dieci giorni di pregiudizio subito) o, in via subordinata, un risarcimento in forma monetaria (nella misura di 8 euro per ogni giorno di pregiudizio patito). Mentre l’art. 35-bis ord. penit. evidenzia marcate affinità con lo schema del giudizio amministrativo di ottemperanza, il successivo art. 35-ter si pone come paradigma tipicamente civilistico, contemplando addirittura, per talune ipotesi, una tutela sussidiaria e residua davanti al tribunale ordinario, che decide ex artt. 737 ss. c.p.c.
Sul versante della tutela dei diritti dei detenuti, il legislatore è intervenuto sia attraverso la previsione di un inedito procedimento di reclamo giurisdizionale (art. 35 bis ord. penit), sia attraverso l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, chiamato a vigilare affinché l’esecuzione della custodia di tutte le persone in vinculis sia attuata in conformità alle norme e ai princìpi costituzionali ed internazionali.
Al di là di un minimo restyling sintattico operato sul testo dell’art. 35, n. 1), ord. penit., disciplinante il tradizionale reclamo “generico”, il d.l. n. 146/2013 ha opportunamente metabolizzato le conclusioni raggiunte in seno alla Commissione Giostra in ordine alla necessità di istituire un reclamo giurisdizionale, attraverso la modifica dell’art. 69 ord. penit. ed alla contestuale introduzione del nuovo art. 35-bis ord. penit. Oltre che in materia di procedimento disciplinare, il rimedio è proponibile per «l’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla [legge penitenziaria] e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti»2.
Ispirato al rispetto del contraddittorio partecipato (artt. 666 e 678 c.p.p.), il procedimento disciplinato dall’art. 35bis ord. penit. colma quel vuoto di tutela da tempo denunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza 11.2.1999, n. 26 (e ribadito con forza con le sentenze 3.7.1997, n. 212 e 23.10.2009, n. 266), la quale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale proprio degli artt. 35 e 69 ord. penit. «nella parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale». L’innovazione di rilievo palesata dal nuovo modello procedimentale è rappresentata dall’inclusione, tra i contraddittori eventuali, delle «amministrazioni interessate» (penitenziaria, sanitaria, anche nelle loro subarticolazioni periferiche), alle quali è riconosciuto «il diritto di comparire ovvero di trasmettere osservazioni e richieste». Siffatta previsione ha consentito di superare le critiche rivolte al sistema delineato dall’art. 14 ter ord. penit., il quale, non contemplando l’amministrazione quale parte del procedimento per reclamo, ne inibisce coerentemente il potere di ricorrere per cassazione.
Con riferimento specifico all’oggetto del procedimento, il legislatore ha precisato che il «pregiudizio» lamentato dal detenuto, oltre che «attuale», debba essere anche «grave». Se il richiamo alla “gravità” evidenzia «l’intento del legislatore di ... evitare il rischio di gravare la magistratura di sorveglianza di questioni di natura ‘bagatellare’ e di limitare pertanto la tutela solo a questioni di maggior rilievo»3, il riferimento all’“attualità” ripete la dicotomia, evidenziata dalla giurisprudenza di Strasburgo, tra rimedi preventivi e compensativi, escludendo dalla sfera del reclamo giurisdizionale i pregiudizi verificatisi in passato e non più sussistenti al momento della presentazione della domanda4.
L’operatività del modello garantito di cui agli artt. 666 e 678 c.p.p. postula – a differenza del previgente sistema modulato sulle cadenze dell’art. 14 ter ord. penit. – il diritto dell’interessato che ne faccia richiesta a comparire personalmente in udienza. In caso di accoglimento del reclamo, è opportuno operare una distinzione a seconda che il reclamo sia stato proposto in materia disciplinare ovvero in materia “di diritti”: nella prima eventualità, il magistrato di sorveglianza ne dispone l’annullamento e non la mera disapplicazione. Nel secondo caso, invece, il magistrato di sorveglianza ordina all’amministrazione interessata di porre rimedio, entro un preciso termine, alla causa del pregiudizio oggetto del reclamo. La decisione, reclamabile al tribunale di sorveglianza nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito, può essere successivamente impugnata, entro 15 giorni dalla comunicazione o notificazione dell’avviso di deposito dell’ordinanza, con ricorso per cassazione per violazione di legge.
Nel caso di mancata esecuzione del provvedimento divenuto inoppugnabile, l’interessato ovvero il suo difensore munito di procura speciale, possono chiedere l’ottemperanza al magistrato di sorveglianza, il quale, all’esito di un procedimento partecipato (artt. 666 e 678 c.p.p.), può ordinare l’ottemperanza alla propria decisione, anche attraverso la nomina di un commissario ad acta, ovvero dichiarare nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del provvedimento rimasto ineseguito (art. 69, co.6, lett. b, ord. penit.). Il magistrato di sorveglianza è, inoltre competente in ordine a tutte le questioni relative all’esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario ad acta. Avverso il provvedimento emesso in sede di ottemperanza è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge.
2.1 Il reclamo compensativo
Introdotto dall’art. 1 d.l. n. 92/2014, conv. dalla l. n.117/2014, l’art. 35 ter ord. penit. prevede tre modalità di ristoro del pregiudizio detentivo sofferto in violazione dell’art. 3 CEDU: la prima consiste in una riduzione proporzionale della pena espianda; la seconda in una dazione pecuniaria; la terza ipotesi, infine, che si sostanzia in un mixtum compositum delle prime due.
La prima tipologia risarcitoria (co. 1 e 2), rivolta alle persone tuttora detenute in espiazione di pena al momento della decisione sull’istanza, nei cui confronti il giudice abbia accertato la sussistenza di un pregiudizio derivante dalle condizioni detentive inumane e degradanti, si concretizza nella riduzione della pena ancora da espiare in misura fissa, pari a un giorno per ogni dieci di pregiudizio subito. La seconda modalità, stabilita in forma pecuniaria al tasso fisso di 8 euro per ogni giorno di accertata violazione, è accordata, innanzi tutto, al soggetto detenuto, se la durata del pregiudizio sia stata inferiore a quindici giorni; poi al soggetto che abbia terminato di scontare la pena detentiva in carcere; infine, al soggetto che denunci una violazione patita durante un periodo di custodia cautelare non computabile nella pena da espiare (co. 3); infine al soggetto internato.
La terza tipologia ricorre qualora la riduzione di pena riconosciuta al ricorrente sia complessivamente superiore al residuo di pena da espiare (in questo caso è monetizzata la parte residua eccedente la quota imputabile alla pena in esecuzione)5.
La disposizione ha suscitato, nel corso di questo primo anno applicativo, più di un dibattito sia nella prassi che in ambito dottrinale. Già in riferimento alla natura del rimedio, accanto a chi ne ravvisa un’attitudine risarcitoria in senso stretto6, si colloca chi ne individua, al contrario, una funzione indennitaria, non mirando «a risarcire in senso tecnico il danno subìto in concreto dal detenuto secondo le collaudate categorie civilistiche, ma a corrispondergli un indennizzo forfettario per il solo fatto di essere stato assoggettato ad una detenzione degradante»7.
Con riferimento alle caratteristiche del pregiudizio, un vivace dibattito si è, inoltre, sviluppato intorno al requisito dell’“attualità” del pregiudizio sofferto dal detenuto a causa di condizioni detentive contrarie all’art. 3 CEDU. Secondo una prima interpretazione, caldeggiata anche dal C.S.M. e da parte della giurisprudenza di merito8, e fondata sul dato letterale (art. 69, co. 6, lett. b, ord. penit.), il mag. sorv. sarebbe competente a conoscere soltanto le situazioni di pregiudizio “attuale”, sussistente, cioè, sia al momento della proposizione del ricorso da parte del detenuto interessato che della relativa decisione9. Secondo un’opposta prospettiva, invece, la tesi appena descritta condurrebbe al risultato di vanificare, sul pano pratico, la tutela risarcitoria, rendendo i rimedi “preventivi” e “compensativi” non già complementari – come prescritto dalla sentenza Torreggiani – ma addirittura tra loro incompatibili, poiché l’attivazione del rimedio di cui all’art. 35-bis, ord. penit., inducendo ope judicis l’effetto della cessazione delle condizioni disumane e degradanti, determinerebbe il venir meno anche dell’“attualità del pregiudizio”, precludendo la possibilità di esperire il successivo ricorso risarcitorio.
Quanto, invece, alla “gravità”, essa non può essere stabilita una volta per tutte secondo parametri predeterminati o “tabelle”, ma dovrà essere valutata volta per volta, nel singolo caso all’esame del giudice10.
Ulteriore problematica attiene all’individuazione del dies a quo di decorrenza della detenzione valutabile ai fini del risarcimento del danno ai sensi dell’art. 3 CEDU in favore del soggetto detenuto (o che è stato detenuto).
Secondo i fautori della tesi della natura civilistica del rimedio compensativo introdotto dall’art. in commento, invero, il diritto al risarcimento soggiace al termine prescrizionale di cui all’art. 2947 c.c., che si compie nel quinto anno anteriore alla proposizione della domanda o al primo atto interruttivo11. Coloro che, al contrario, propendono per la natura indennitaria (e non risarcitoria) del rimedio in commento escludono l’operatività della prescrizione, anche in considerazione del principio secondo cui actio nondum nata non praescribitur (art. 2935 c.c.), per cui è preclusa la possibilità di decorso della prescrizione da data anteriore a quella in cui la relativa pretesa è divenuta azionabile12.
2.2 Il Garante nazionale
Ricalcato sull’Ombudsman, il Garante nazionale dei diritti dei detenuti13 è un organo «collegato alla rappresentanza politica nazionale», il quale, forte «di attribuzioni ispettive nei confronti delle amministrazioni dipendenti dall’esecutivo», opera «come istanza di tutela di interessi collettivi e individuali compromessi dall’inerzia dell’amministrazione o dai suoi comportamenti attivi illegittimi o inopportuni»14. In tale prospettiva, il Garante, invece che agire sull’attività dell’amministrazione penitenziaria, vincolandola a rimediare alla violazione di determinati diritti, dispone di competenze e di funzioni attraverso le quali può «prevenire l’insorgere di un conflitto» tra il detenuto e l’amministrazione stessa, potendo al limite mediare tra l’amministrazione stessa e la persona in vinculis, qualora una lesione si sia verificata15. In altri termini, esso è chiamato a monitorare le violazioni dei diritti umani che si compiono all’interno dei luoghi in cui avvengono restrizioni della libertà personale al fine, da un lato, di stimolare le amministrazioni direttamente interessate ad intervenire per adottare i provvedimenti necessari e, dall’altro, di sollecitare l’adozione di provvedimenti di carattere generale da parte degli organi governativi e parlamentari, veicolando all’esterno i problemi che affliggono il sistema penitenziario e «promovendo forme di comunicazione e collaborazione tra le comunità esterne … con l’istituzione penitenziaria che troppo spesso è “corpo estraneo” rispetto al territorio»16.Al Garante (allo stato non ancora nominato) sono, innanzi tutto, attribuiti compiti generali di coordinamento delle attività dei garanti territoriali, con i quali devono essere promossi e favoriti rapporti di collaborazione.
Istituito presso il Ministero della giustizia, il Garante è un organo collegiale, composto dal presidente e da due componenti, i quali restano in carica per cinque anni, non prorogabili. Tutti i componenti dell’Ufficio sono nominati, previa delibera del Consiglio dei ministri, con decreto del Presidente della Repubblica, sentite le competenti commissioni parlamentari, e sono scelti tra persone, non dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che assicurano indipendenza e competenza nelle discipline afferenti la tutela dei diritti umani.
La struttura di supporto del Garante, che si avvale di risorse messe a disposizione dal Ministro della giustizia, è costituita da un ufficio composto da personale dello stesso ministero, scelto in funzione delle conoscenze acquisite negli ambiti di competenza del Garante. La legge, a differenza di altri provvedimenti istitutivi di analoghe o simili strutture di garanzia operanti a livello nazionale e territoriale, non prevede alcuna indennità od emolumenti per l’attività prestata dai componenti dell’Ufficio, fermo restando il diritto al rimborso delle spese.
Al fine di garantirne l’indipendenza, la legge prevede alcune ipotesi di incompatibilità. I membri dell’ufficio non possono, infatti, «ricoprire cariche istituzionali, anche elettive, ovvero incarichi in partiti politici». I membri dell’ufficio sono, inoltre, immediatamente sostituiti in caso di dimissioni, morte, incompatibilità sopravvenuta, accertato impedimento fisico o psichico, grave violazione dei doveri inerenti all’incarico affidato, ovvero nel caso in cui riportino condanna penale definitiva per delitto non colposo.
Quale compito istituzionale, il Garante «vigila, affinché l’esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà personale sia attuata in conformità alle norme e ai princìpi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti». Il riferimento corre, in particolare, agli artt. 13 e 27, co. 1, Cost., nonché all’art. 3 CEDU e all’art. 4 Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
L’inevitabile sovrapposizione con le funzioni istituzionalmente demandate alla magistratura di sorveglianza dall’art. 69, co. 6, ord. penit. e di recente potenziate attraverso le modificazioni operate sugli artt. 35, 35 bis, 35 ter e 69 ord. penit., impone l’esigenza di un’actio finium regundorum. Nella prospettiva del legislatore, il Garante dovrebbe non solo assicurare una più assidua presenza all’interno delle strutture carcerarie, ma altresì operare per una più proficua e rapida risoluzione dei conflitti tra detenuti ed amministrazione penitenziaria, colmando «lo spazio sul versante amministrativo lasciato progressivamente vuoto dalla attrazione della magistratura di sorveglianza nell’ambito della giurisdizione sull’esecuzione che rende tale giudice terzo e non più “vicino” ai soggetti detenuti»17.
Il Garante può visitare, senza necessità di autorizzazione, «gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici giudiziari e le strutture sanitarie destinate ad accogliere le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive, le comunità terapeutiche e di accoglienza o comunque le strutture pubbliche e private dove si trovano persone sottoposte a misure alternative o alla misura cautelare degli arresti domiciliari, gli istituti penali per minori e le comunità di accoglienza per minori sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria ..., accedendo, senza restrizioni, a qualunque locale adibito o comunque funzionale alle esigenze restrittive», ivi comprese le sezioni cd. 41-bis18. La disposizione ribadisce ed estende agli altri loci detentivi quanto già stabilito in riferimento agli istituti penitenziari dall’art. 67, co. 1, lett. l-bis, ord. penit., come modificato dall’art. 12 bis d.l. 30.12.2008, n. 208, conv. in l. 27.2.2009, n. 14, laddove si prevede che gli istituti penitenziari possano essere visitati senza autorizzazione dai «garanti dei diritti dei detenuti comunque denominati».
Secondo la circ. Dap 8.11.2013, n. 36516101, cit., i Garanti che possono avere accesso sono solo quelli di natura pubblica istituiti con atto normativo, vale a dire quelli la cui istituzione è riconducibile allo Stato o ad Enti pubblici territoriali (Comuni, Province e Regioni), mentre sono da escludere figure che, pur fregiandosi di analoga qualifica, promanino da associazioni o gruppi di natura privata.
La medesima circ. esclude, peraltro, accessi autonomi dei collaboratori dei Garanti, neppure su delega del Garante stesso. Sarebbe, invece, sempre richiesto il previo avviso per l’accesso alle camere di sicurezza delle Forze di polizia, le quali potranno negare l’autorizzazione, qualora dalla visita del Garante possa derivare danno per le attività investigative in corso.
Il Garante può prendere visione, previo consenso anche verbale dell’interessato, degli atti contenuti nel fascicolo della persona (a qualunque titolo) detenuta e comunque degli atti riferibili alle condizioni di detenzione o di privazione della libertà.
Il Garante può accedere, comunque, a tutti gli atti riferibili alle condizioni di detenzione o di privazione della libertà e richiedere alle amministrazioni responsabili delle strutture nelle quali sono presenti le persone in vinculis le informazioni e i documenti necessari. Al fine di neutralizzare eventuali atteggiamenti ostruzionistici da parte delle amministrazioni interessate, il Garante, trascorsi trenta giorni dalla richiesta, informa il mag. sorv. competente al quale può richiedere l’emissione di un ordine di esibizione.
Benché il d.l. n. 146/2013 non operi riferimento al potere di colloquio, l’art. 18, co. 1, ord. penit. afferma inequivocabilmente che «i detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con altre persone, nonché con il garante dei detenuti, anche al fine di compiere atti giuridici».
Sul punto si registra una radicale posizione di chiusura da parte dell’amministrazione penitenziaria. In sede di prima applicazione della novella, la disposizione era stata interpretata nel senso che l’ingresso dei garanti locali fosse consentito solamente a quelli istituiti da organi pubblici con atti normativi e solo presso gli istituti ricadenti nell’ambito territoriale di cui è espressione l’ente che lo ha costituito. Inoltre, i colloqui con i garanti si sarebbero dovuti effettuare negli appositi locali e con le limitazioni di durata, numero massimo e, addirittura, di opportunità stabiliti, per le cc.dd. terze persone dal reg. esec. (arg. ex 39 reg. esec.) (circ. Dap 2.4.2009, n. 36186008). Nonostante i provvedimenti successivi (circ. Dap 21.7.2009, n. 36226072; circ. Dap 8.11.2013, n. 36516101, cit.) abbiano escluso che le prerogative dei garanti possano limitare, nel quantum, il diritto del detenuto ai colloqui, essi continuano a denotare un ingiustificato timore dell’amministrazione, cui si tenta di porre rimedio con scelte giuridicamente discutibili. Il riferimento corre, in particolare, alla già menzionata impossibilità di delegare i collaboratori del garante per l’effettuazione dei colloqui, nonché alle modalità di svolgimento del colloquio stesso. Prendendo le mosse dal confutabile assunto secondo il quale le «interlocuzioni» dei garanti con i detenuti «non sostanziano i colloqui in senso tecnico previsti dall’art. 18 O.P.», la recente circ. Dap 8.11.2013, n. 36516101, cit. tenta di sottoporre a limitazioni contenutistiche e a controllo uditivo il colloquio del garante con il detenuto. Sulla scorta di un’interpretazione lata dell’art. 117 reg. esec. (inequivocabilmente riferito agli imputati), la circolare tende a limitare il colloquio alle sole condizioni di vita del detenuto, alla conformità del trattamento ad umanità, al rispetto della dignità della persona «senza alcun riferimento al processo o ai processi in corso», vanificando completamente la necessaria riservatezza nel contatto tra detenuto e garante, il quale potrebbe addirittura essere allontanato sia quando l’interlocuzione si riferisca o si estenda ad argomenti diversi da quelli consentiti, sia quando il garante comunichi con il detenuto in una lingua straniera. Appare evidente come la circolare, derogando in peius all’art. 18 ord. penit. sia illegittima.
La recente riformulazione dell’art. 35 ord. penit., attuata dall’art. 3 d.l. n. 146/2013, annovera tutti i Garanti dei diritti dei detenuti tra i destinatari dei reclami “generici”. Al Garante è attribuito il potere di formulare specifiche raccomandazioni all’amministrazione interessata, sia nel caso in cui accerti violazioni «alle norme dell’ordinamento», sia quando accerti la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti ai sensi dell’articolo 35 ord. penit.
Sebbene sia espressamente previsto che l’amministrazione interessata debba comunicare, in caso di diniego, le ragioni dello stesso entro il termine di trenta giorni, la norma resta, tuttavia, sfornita di effettività, non essendo contemplati poteri autoritativi del Garante per il caso in cui l’amministrazione rifiuti di intervenire. Accanto al reclamo giurisdizionale (v. sub art. 35 bis ord. penit.), azionabile da parte del detenuto per ottenere la tutela dei diritti che assume essere stati violati, il Garante potrà adire il giudice amministrativo.
Una seria riforma penitenziaria non può prescindere dall’attuazione della recente l. 28.4.2014, n. 67, recante Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio.
Solamente attraverso il superamento della logica “carcerocentrica”, sarà, infatti, possibile concepire l’istituzione carceraria come luogo della rieducazione e non più meramente contenitivo.
In ogni caso, con riferimento al rilancio delle alternative alla detenzione, pare imprescindibile: a) proseguire nell’opera di “bonifica” della l. 5.12.2005, n. 251, attraverso l’abrogazione degli artt. 30 quater e 58 quater, co. 7-bis, ord. penit.; b) coordinare l’art. 656 c.p.p. con il testo novellato dell’art. 47 ord. penit., al fine di consentire anche al condannato libero di proporre istanza di affidamento in prova “allargato”; c) stabilizzare ed estendere ai condannati ex art. 4 bis ord. penit. la liberazione anticipata speciale; d) stimolare le iniziative del consiglio di disciplina (art. 57 ord. penit.) e l’attivazione ex officio per le misure alternative e gli altri benefici; e) adottare le azioni necessarie ad assicurare l’accessibilità per tutti i detenuti di una modulistica unica su base nazionale per la formulazione delle istanze; f) sviluppare modalità di trasmissione telematica delle istanze e della documentazione a corredo delle medesime; g) ridurre i tempi dell’istruttoria giurisdizionale, attraverso la previsione che il DAP disponga l’invio per posta elettronica delle sentenze di condanna e di tutta la documentazione utile per la decisione; h) prevedere uscite dallo Stato temporanee durante l’esecuzione dell’affidamento in prova, quando ciò sia indispensabile per esigenze di lavoro, di studio, di salute o di famiglia; i) introdurre l’affidamento in prova in casi di disagio psichico o sociale, per intervenire sulla cd. detenzione sociale; l) potenziare l’àmbito di operatività degli artt. 146 e 147 c.p. e degli artt. 47 quater e 47 quinquies ord. penit. ed ipotizzare nuove misure alternative terapeutiche: deve essere affermato il diritto ad una morte dignitosa e libera. Con riferimento al “doppio binario” penitenziario, qualora non si realizzassero le condizioni per l’abrogazione dell’art. 4-bis ord. penit., se ne renderebbe comunque opportuna una drastica limitazione dell’àmbito di operatività, eliminando il presupposto della collaborazione di giustizia e introducendo il criterio della prova positiva della permanenza dei rapporti tra il detenuto e l’organizzazione.
Quanto, infine, al tema centrale dei “diritti”, un percorso diretto al riconoscimento del diritto all’affettività delle persone detenute passa necessariamente attraverso l’applicazione del principio di territorialità, sancito dall’art. 30 reg. esec. e sistematicamente disapplicato. Nondimeno, gli interventi “minimi” per attuare il criterio di delega in commento sono i seguenti: a) previsione che negli edifici penitenziari siano realizzati locali idonei a consentire ai detenuti l’intrattenimento di relazioni personali e affettive; b) introduzione di una maggiore flessibilità degli orari di accesso al carcere anche utilizzando i giorni festivi e le domeniche per i colloqui con i bambini, altrimenti costretti ad interrompere giornate di scuola; c) previsione di almeno un incontro al mese di durata non inferiore alle tre ore consecutive con il proprio coniuge o convivente senza alcun controllo visivo; d) previsione che i detenuti abbiano diritto a trascorrere mezza giornata al mese con la famiglia, in apposite aree presso le case di reclusione; e) prevedere che i colloqui dei minori con genitori detenuti siano concessi anche oltre i limiti temporali stabiliti dall’art. 37, co. 8, reg. esec.; f) aumento dei colloqui telefonici con il minore, oltre a quelli previsti dall’art. 39, co. 8, reg. esec.; g) soppressione della distinzione tra congiunto/convivente e cd. terza persona, attraverso l’abrogazione dell’ultimo periodo dell’art. 37, co. 1 reg. esec.; h) previsione che i detenuti stranieri siano autorizzati a colloqui telefonici con propri familiari residenti all’estero o con le persone conviventi residenti all’estero una volta ogni quindici giorni; i) ampliamento della disciplina dei permessi premio da trascorrere con il coniuge, con il convivente o con il familiare. In prospettiva correlata, con riferimento ai detenuti stranieri, sarà necessario introdurre norme che considerino i loro diritti, bisogni sociali, culturali, linguistici, sanitari, affettivi e religiosi specifici, con particolare riguardo alle loro esigenze di vestiario ed igiene.
1 Sulle recenti innovazioni penitenziarie v., specialmente, Bortolato, M., Art. 35-bis, in Giostra, G.Della Casa, F., Ordinamento penitenziario, Padova, 2015, 395 ss.; Corvi, P., Un ulteriore passo verso una piena ed effettiva tutela dei diritti dei detenuti, in Conti, C. Marandola, A. Varraso, G., a cura di, Le nuove norme sulla giustizia penale, Padova, 2014, 105; Deganello, M., I rimedi risarcitori, in Caprioli, F. Scomparin, L., a cura di, Sovraffollamento carcerario e diritti dei detenuti, Torino, 2015, 257 ss.; Della Bella, A., Emergenza carceri e sistema penale, Torino, 2014; Id, Il risarcimento per i detenuti vittime di sovraffollamento: prima lettura del nuovo rimedio introdotto dal d.l. 92/2014, in www.penalecontemporaneo.it, 13.10.2014; Fiorentin, F., Art. 35-ter, in Giarda, A.Spangher, G., a cura di, Codice di procedura penale commentato, Milano, 2015, in corso di pubblicazione; Id., I nuovi rimedi risarcitori della detenzione contraria all’art. 3 Cedu: le lacune della disciplina e le interpretazioni controverse, in www.penalecontemporaneo.it, 6.11.2014; Giostra, G., Art. 35-ter, in Giostra, G. Della Casa, F., Ordinamento penitenziario, cit., 415 ss.; Id., Un pregiudizio ‘grave e attuale’? A proposito delle prime applicazioni del nuovo art. 35-ter or. penit., in www.penalecontemporaneo.it, 24.1.2015; Valentini, E., Il reclamo: casi e forme, in Caprioli, F. Scomparin, L., a cura di, Sovraffollamento carcerario e diritti dei detenuti, cit., 205 ss.
2 In ordine alla latitudine del riferimento normativo, v. Della Casa, F., Art. 69, in Giostra, G. Della Casa, F., Ordinamento penitenziario, cit., spec. 822823.
3 Così Bortolato, M., Torreggiani e rimedi “preventivi”: il nuovo reclamo giurisdizionale, Arch. pen., 2014, n. 2.
4 Così, ancora, Bortolato, M., op. loc. ult. cit.
5 Così Fiorentin, F., Art. 35-ter, cit.
6 Gori, P., Articolo 3 Cedu e risarcimento da inumana detenzione, in Questione giust., 2.10.2014.
7 Giostra, G., Art. 35-ter, cit., 417.
8 Mag. sorv. Vercelli, 24.9.2014, in www.personaedanno.it; Mag. sorv. Alessandria, 26.9.2014, ibidem; Mag. sorv. Frosinone, 24.11.2014, inedita.
9 Della Bella, A., Il risarcimento per i detenuti, cit., §12; nonché Fiorentin, F., Art. 35-ter, cit., il quale rileva come rimarrebbero «esclusi dalla tutela innanzi al mag. sorv. per rientrare nella più ampia competenza risarcitoria attribuita al giudice civile tanto i trattamenti detentivi inumani e degradanti subìti da un soggetto detenuto in relazione a esecuzioni penali pregresse rispetto all’attuale vicenda esecutiva (sofferte, cioè, in forza di titoli esecutivi diversi da quello attualmente in esecuzione o, comunque, a pene già integralmente espiate); quanto i pregiudizi che, pur riferibili alla detenzione in corso di esecuzione, non siano, tuttavia, più “attuali” al momento della proposizione del ricorso o della decisione del giudice, poiché generati da una situazione medio tempore sanata dall’Amministrazione penitenziaria nell’esercizio della propria sfera di discrezionalità organizzativa o per altre circostanze (a es. per l’ammissione dell’interessato ad una misura alternativa alla detenzione)».
10 Cfr. C. eur. dir. uomo, 26.10.2000, Kudla c. Polonia, nonché, già, C. eur. dir. uomo, 18.1.1978, Irlanda c. Regno Unito, serie A no. 25, p. 65, § 162, che operava riferimento ad una valutazione congiunta delle conseguenze fisiche e psichiche della detenzione sul detenuto, nonché della lunghezza del trattamento carcerario, l’età, la salute, il sesso della vittima, quali fattori concomitanti al dato spaziale, dalla cui ponderazione dipende, appunto, la “gravità” della sofferenza patita dal soggetto detenuto.
11 Mangiaracina, A., Italia e sovraffollamento carcerario: ancora sotto osservazione, in www.penalecontemporaneo.it, 3.12.2014, 27.
12 Mag. Sorv. Sassari, 24.4.2015, inedita.
13 Sull’art. 7 d.l. 23.12.2013, n. 146, conv. l. 21.2.2014, n. 10, v. specialmente, Diddi, A., La verifica ab externo: il Garante nazionale dei diritti delle persone in vinculis, in Diddi, A.Geraci, R.M., Misure cautelari ad personam in un triennio di riforme, Torino, 2015, 169 ss.; Di Rosa, G., Il Garante dei diritti dei detenuti e dei soggetti privati della libertà personale, in Conti. C.Marandola, A.Varraso, G., a cura di, Le nuove norme sulla giustizia penale, Padova, 2014, 127; Fiorio, C., Art. 7 d.l. 23.12.2013, n. 146, conv. l. 21.2.2014, n. 10, in Giostra, G.Della Casa, F., Ordinamento penitenziario, cit., 1232 ss. In prospettiva generale v. anche Della Casa, F., Suggestioni, influenze e standards europei quali fattori di evoluzione del sistema penitenziario italiano, in Cass. pen., 2004, p.3489; Gemelli, M., Il garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà, in Giust. pen., 2007, II, c. 541 ss.
14 De Vergottini, G., Ombudsman, in Enc. dir., XXIX, 879; nonché Comba, L., Ombudsman, in Dig. pubbl., X, 296; Fix Zamudio, H., Ombudsman, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 1.
15 Della Casa, F., op. cit., 3487; nonché Diddi, A., op. cit., 2014, 188 ss.
16 Fiorentin, F., Al debutto il Garante dei diritti dei detenuti, in Guida d. 09, dossier/2, 110.
17 Fiorentin, F., op. loc. ult. cit.
18 Circ. Dap 8.11.2013, n. 36516101.