Tutela giurisdizionale dei diritti di proprietà industriale
Abstract
I mezzi di tutela della proprietà industriale sono molteplici sul piano civile, penale e doganale, sono rivolti a reprimere i fenomeni di contraffazione, ma anche ad accertare la validità delle privative quando siano contestate dai terzi concorrenti, al fine di garantire la regolarità dei traffici e la certezza dei rapporti giuridici. La materia è caratterizzata da una spiccata evoluzione in senso internazionale, di cui sono prova sia le modifiche legislative in attuazione di direttive eurounitarie o convenzioni internazionali che hanno trovato compendio nel codice della proprietà industriale italiano, sia la creazione di titoli sovranazionali a protezione giuridica territorialmente allargata, che si affiancano a quelli propriamente nazionali.
La proprietà industriale è un insieme di diritti che attribuiscono all’impresa un monopolio di sfruttamento su prodotti o procedimenti, sugli aspetti dei prodotti stessi, sui segni distintivi che li contraddistinguono.
Si tratta di privative attributive di diritti esclusivi incorporati ciascuno in un certificato predisposto dall’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) incaricato di rilasciare il titolo legittimante su domanda dell’interessato e previa verifica di rispondenza ai requisiti previsti dalla legge.
Questi requisiti sono: per le invenzioni la novità e la originalità del trovato, per i modelli di utilità (cd. piccole invenzioni) la comodità di impiego ed applicazione, per i marchi la capacità distintiva del segno, per i modelli ed i disegni ornamentali la individualità delle sembianze del prodotto (rispetto all’impressione generale suscitata da quanto di simile esistente sul mercato).
Ai principali diritti di privativa appena ricordati se ne affiancano di minori quali il diritto costitutivo sulle nuove varietà vegetali suscettibili di avere applicazione agricola ed industriale e le topografie di semiconduttori (circuiti integrati per elaboratori elettronici: cd. chips).
Accanto ai diritti di privativa industriale “titolati”, di cui si è detto, vi sono anche diritti “non titolati”, che sorgono in virtù di determinati presupposti di legge quali i segni distintivi diversi dal marchio registrato (ditta ed insegna), le informazioni aziendali segrete, le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine.
Il processo per ottenere un sistema internazionale di tutela della proprietà industriale in più Stati è iniziato con la Convenzione d’Unione di Parigi (CUP) del 1883 che ha fissato il principio basilare secondo cui il deposito regolare di una domanda di brevetto in uno Stato dell’Unione conferisce al depositante un diritto di priorità su quel primo deposito rispetto alle corrispondenti domande presentate ex post negli altri Stati dell’Unione (cd. priorità unionista) sollevando il richiedente dalla esigenza di un deposito contemporaneo in tutti i paesi unionisti e mettendolo altresì al riparo da eventuali eventi divulgativi realizzati nell’intervallo, dovendo la situazione di novità essere valutata per quella esistente solo al momento del first file.
Un forte impulso alla soluzione dei problemi emergenti dalla molteplicità delle protezioni nazionali è venuto dal Trattato di cooperazione di Washington del 1970, che ha istituito il cd. brevetto PCT attraverso una procedura secondo la quale una domanda unica di brevetto trasmessa ad organismo abilitato (Bureau International) – qualora soddisfi determinate condizioni di forma e contenuto (avallate da un rapporto di ricerca internazionale) – produce gli stessi effetti di una domanda nazionale presentata all’autorità brevettuale di ciascuno Stato contraente che il richiedente abbia designato, di modo che un solo deposito vale come deposito della stessa domanda presso l’ufficio brevetti di ciascuno Stato.
Il sistema PCT non ha eliminato le singole procedure brevettuali nazionali, consentendo solo di instaurarle con unica domanda per evitare la pluralità di depositi, tanto da essere definito un “fascio di domande nazionali”.
Bisognerà attendere la Convenzione di Monaco sul brevetto europeo del 1973 per ottenere un sistema unificato di rilascio.
Il brevetto europeo quantunque oggetto di deposito internazionale in unica domanda presso l’European Patent Office (EPO) di Monaco è destinato, una volta concesso, ad avere efficacia in tutti i paesi designati aderenti alla Convenzione, ma non è esentato dalle verifiche di validità nelle cause di contraffazione intentate nei singoli Stati secondo la normativa brevettuale loro propria, rimanendo così passibile – nelle rispettive frazioni – a declaratorie di nullità al pari del brevetto nazionale pur continuando a rimanere in vita e ad essere sfruttato negli altri paesi dove non è stato contrastato (o dove il giudizio di contraffazione si è concluso a favore del titolare).
Non a caso il brevetto europeo è comunemente definito un «fascio» (bundle) di privative nazionali sulla medesima invenzione perché si “smembra” in tanti brevetti nazionali sotto il profilo delle eventuali conseguenze invalidanti.
La ricerca di una tutela extraterritoriale del brevetto europeo violato nelle singole frazioni nei vari paesi è stata talora affidata a procedimenti cross border attivati davanti al giudice del luogo ove ha sede uno dei molteplici contraffattori in forza di una supposta “unitarietà di base” del brevetto che rappresenterebbe il collegamento “qualificato” tra le domande richiesto per la concentrazione delle liti avanti ad un unico foro, ma questo meccanismo non ha avuto l’avallo della Corte di Giustizia (C. giust., 13.7.2006, C-4/03, Gat c. Luk; C. giust., 13.7.2006, C-539/03, Roche c. Primus).
Un superamento di tali limitazioni si rinviene, ora, nel nuovo assetto creato con l’istituzione di un brevetto europeo ad effetto unitario ed una Unified patent Court (Tribunale unificato dei brevetti), chiamata a gestire l’inerente contenzioso e fornire una protezione “uniforme e globale” in tutti i paesi aderenti.
Il cd. Patent package (reg. n. 1257/2012/UE; reg. n. 1260/2012/UE; UPC Agreement del 2013) ha istituito un brevetto “unitario” non solo nella fase di rilascio, ma anche negli effetti che produce e la protezione giudiziaria che riceve su tutto il territorio dell’Unione.
Il sistema è basato su un complesso impianto di integrazione giudiziaria su scala “universale”, ma diverrà operativo, con un periodo di applicazione provvisoria, non prima del 2019/2020, visti i ritardi di ratifica (rimessa ad almeno 13 Stati tra i quali obbligatoriamente Francia, Regno Unito e Germania) dovuti alla Brexit ed alle perplessità manifestate dalla Corte costituzionale tedesca.
Il nuovo brevetto si presenta come una “prosecuzione” del brevetto europeo, cui verrà rilasciato “l’effetto unitario”, rimanendo automaticamente convalidato in tutti i paesi UE con unica traduzione trilingue e sottoposto ad una giurisdizione comune.
Il regime di traduzione che lo accompagna sarà dunque più semplice e meno costoso perché verrà eliminata la fase di “nazionalizzazione”, cioè della traduzione del titolo in ciascuna lingua del paese dove si vuole che il brevetto europeo abbia efficacia.
La tutela giudiziaria, che riguarderà anche il brevetto europeo “classico”, anziché dispensata dagli apparati dei singoli Stati, verrà poi uniformata e accentrata presso una Corte sovranazionale (UPC) a composizione multilingue articolata in una divisione centrale in l° grado dislocata tra Parigi, Londra e Monaco, a seconda del settore tecnico coinvolto, competente in materia di validità, in 2° grado in Lussemburgo e con divisioni locali e/o regionali ubicate presso i paesi o gruppi di paesi richiedenti con competenza sulla contraffazione: il tutto sottoposto a regole procedurali comuni.
Anche i marchi hanno subito una analoga internazionalizzazione, con risultati ancora più avanzati.
L’Accordo di Madrid del 1891 già in allora istituiva la cd. registrazione internazionale, che consente la protezione del marchio negli Stati della Convenzione mediante unico deposito presso l’OMPI di Ginevra.
Il “marchio internazionale” presuppone la registrazione nazionale del segno nel paese di origine ed una domanda di registrazione internazionale contenente indicazione dei paesi nei quali è richiesta la protezione nonché dei beni e servizi da proteggere secondo la “classificazione” dell’Accordo di Nizza del 1957.
La registrazione internazionale consente al titolare, oltre che di usufruire dei diritti di priorità unionista, ai sensi della CUP, di ottenere nei paesi designati la protezione, secondo la legge e la giurisdizione di ciascuno Stato, come se fosse stato colà depositato direttamente.
Per questa ragione non configura una privativa unitaria, ma piuttosto un “fascio” di marchi nazionali a protezione territorialmente limitata.
La creazione di un unico titolo europeo ha trovato attuazione nel “marchio comunitario” istituito con reg. n. 40/1994/CE, poi sostituito dal reg. n. 207/2009/CE e ora dal reg. n. 1001/2017/UE (versione consolidata).
Caratteristica fondamentale del marchio UE (che è gestito dall’EUIPO-Ufficio europeo della proprietà intellettuale in Alicante) è la sua “unitarietà”, nel senso che la validità ed efficacia resta uguale in tutto il territorio dell’Unione dal momento che può essere registrato, trasferito, essere oggetto di rinuncia, decisione, decadenza, nullità, divieto solo per quell’intero ambito territoriale.
Questo tipo di marchio si distingue dal “marchio internazionale” che porta (come il brevetto europeo) ad un “fascio” di diritti nazionali ed è invece assimilabile al brevetto “ad effetto unitario”, perché rappresenta un titolo autonomo a protezione uniforme sottoposto esclusivamente alle disposizioni del regolamento che l’ha istituito.
La competenza per le domande dirette di nullità e decadenza è rimessa alle divisioni e Commissioni di ricorso dell’EUIPO sotto il controllo del Tribunale UE e della Corte di giustizia mentre le controversie di contraffazione (e le riconvenzionali di nullità) sono riservate ai Tribunali dei marchi, modelli e disegni comunitari che sono strutture nazionali dislocate in numero ridotto nei vari paesi europei (in Italia rappresentate dalle sezioni specializzate della proprietà industriale istituite nel 2005 e successivamente confluite nei Tribunali delle imprese).
Anche per i disegni ed i modelli l’evoluzione ha seguito la strada della internazionalizzazione iniziata con l’Accordo dell’Aja del 1925, più volte revisionato, che è un “accordo di procedure” autorizzante un deposito internazionale presso l’OMPI di Ginevra con effetti di formalità di deposito nei singoli paesi e conseguente nascita degli inerenti diritti di esclusiva (principio di equivalenza).
Modelli e disegni costituiscono il secondo grande titolo europeo istituito con il reg. n. 6/2002/CE e presentano caratteristiche e disciplina analoga a quella prevista per il marchio euro-unitario, restando la tutela giudiziaria in sede nazionale affidata ai Tribunali dei marchi, modelli e disegni comunitari.
Il codice della proprietà industriale del 2005 (c.p.i.), in uno al decreto correttivo del 2010, ha introdotto per la prima volta in Italia una disciplina organica ed unitaria della materia riordinando ed accorpando l’ingente mole di normativa speciale frutto di decenni di frammentaria attività legislativa.
Il codice dispensa una tutela giurisdizionale omogenea ai diritti di privativa industriale “titolati” (sia nazionali che europei), nonché ai diritti “non titolati” (v. supra § 1).
Gli strumenti di tutela del brevetto europeo “unitario” sono invece affidati alle rules of procedure (ROP) che ricalcano, comunque, le misure domestiche, essendo entrambe plasmate sulla regolamentazione europea.
Al sistema civilistico si affiancano – quali presidi paralleli – gli interventi del giudice penale contro i fenomeni di contraffazione e pirateria e quelli delle autorità di frontiera.
Le condotte di contraffazione, alterazione, falso sono penalmente perseguite con riferimento soprattutto ai marchi, ma l’incriminazione è estensibile pure ai brevetti.
Entrano in rilievo i tre reati specifici di concorrenza sleale previsti dagli artt. 473, 474 e 517 c.p.
L’art. 127 c.p.i. aggiunge anche sanzioni pecuniarie per gli illeciti amministrativi quali il mendacio e la soppressione del marchio (pur mantenendo la clausola di riserva penale).
I reati-base possono essere poi astretti dal vincolo della continuazione con altre figure criminose, in particolare il delitto di ricettazione (art. 648 c.p.).
Sulla base delle corrispondenti imputazioni penali potranno essere ottenute dall’autorità giudiziaria misure cautelari reali quali il sequestro probatorio penale (art. 253 c.p.p.) rivolto al corpo ed alle cose pertinenti del reato ed a quant’altro serva ad accertare la consumazione dell’illecito, nonché il sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.), allorché la libera disponibilità delle cose pertinenti al reato possa aggravare o protrarne le conseguenze.
Si potranno così imporre vincoli anticipati su locali ed attrezzature destinate all’illecita produzione o smercio, essendo il sequestro preventivo tipica misura coercitiva per interrompere l’iter criminoso.
Altrettanto efficaci sono le misure alla frontiera che concorrono nella lotta alla pirateria forse più di ogni altro rimedio, considerata la dimensione sovranazionale della circolazione dei prodotti contraffatti che possono essere ispezionati e bloccati ai posti di confine.
Si tratta di misure finalizzate a provocare – in presenza di merci sospettate di contraffazione od usurpazione – la sospensione dello svincolo e il blocco delle merci (esteso anche a quelle “in transito” provenienti da paesi terzi e con destinazione extra UE) con possibilità di loro distruzione.
Le procedure di sorveglianza sono disciplinate a livello di regolamentazione europea ed attivate mediante richiesta di intervento trasmessa all’autorità doganale dal titolare del diritto ovvero iniziate d’ufficio in occasione del controllo delle merci con immediata informativa al titolare medesimo per consentirgli di avviare il procedimento giudiziario.
Il procedimento di rilascio di un titolo di proprietà industriale inizia con il deposito della domanda e dei documenti di supporto presso l’UIBM prosegue con la fase istruttoria e si conclude con un provvedimento di accoglimento o di rigetto da parte della divisione preposta.
Il nostro ordinamento, in tema di invenzioni e modelli di utilità, non prevede un esame preventivo di novità né intrinseca, né estrinseca.
È peraltro possibile demandare la ricerca di eventuali anteriorità all’EPO di Monaco.
Per i marchi i compiti dell’Ufficio trovano maggior estensione a livello valutativo al fine di concedere (o rifiutare) la registrazione.
Infatti, l’introduzione nel nostro ordinamento – in attuazione del Protocollo di Madrid – del regime dell’opposizione (artt. 174-184 c.p.i.) all’interno del procedimento di registrazione, ha portato ad una verifica più pregnante dei requisiti attraverso le anteriorità dedotte dai cd. titolari dei diritti anteriori.
La procedura ricalca quella prevista per il marchio UE e si innesta come procedimento incidentale riservato ai soli titolari di marchi anteriori che lamentino identità o similitudine fonte di confusione con i segni da registrare.
Contro i “provvedimenti negativi” dell’UIBM (ovvero contro i provvedimenti di accoglimento o rigetto dell’opposizione dei terzi) è ammesso ricorso avanti alla Commissione dei ricorsi, che è un organo di giurisdizione speciale (diversamente dalla Commissione dell’EUIPO, che ha natura amministrativa).
Alla Commissione è riconosciuta facoltà di chiedere all’UIBM chiarimenti e documenti, nonché ampia libertà di azione per quanto attiene ai mezzi istruttori e alla possibilità di avvalersi di consulenti esterni (artt. 135 e 136 c.p.i.).
Le decisioni della Commissione non sono appellabili perché il procedimento ha natura di giurisdizione speciale su atti amministrativi e non è assimilabile ad un grado di gravame; sono invece ricorribili per cassazione a sensi dell’art. 111 Cost. per difetto di giurisdizione o violazione di legge.
L’art. 117 c.p.i. detta la regola generale secondo cui la registrazione (e la brevettazione) non pregiudicano l’esercizio delle azioni giudiziarie circa la validità e l’appartenenza dei diritti di proprietà industriale.
Nessun contrasto di giudicati è però ravvisabile tra il risultato cui pervenga la Commissione e l’esito contrario cui possa pervenire il giudice ordinario, posto che l’un giudizio si svolge in contradditorio tra richiedente ed Ufficio, mentre l’altro si svolge in contradditorio tra il titolare ed un terzo: soluzione questa da tener ferma anche nelle situazioni che vedono la partecipazione dell’opponente, trattandosi di fatti “endoprocedimentali” inter partes insuscettibli di assumere portata preclusiva alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.
I riguardanti la proprietà industriale vengono regolati tramite giudizi civili a cognizione ordinaria, aventi principalmente ad oggetto la violazione (od usurpazione) dei diritti di privativa ad opera dei terzi concorrenti e la validità dei titoli che tali diritti racchiudono.
La controversia di diritto industriale, peraltro, non sempre è destinata ad esaurirsi nel contenzioso extracontrattuale, ma può investire anche le modalità di sfruttamento dei diritti di esclusiva quando rappresentino un abuso di posizione dominante e/o il frutto di un accordo “escludente” in violazione delle regole di libera concorrenza, per cui anche l’area antitrust è suscettibile di essere attratta – ove si ravvisino punti di interferenza con i titoli di proprietà industriale – nella cognizione dei tribunali assegnatari delle controversie tipicamente industrialistiche.
Competenti in via esclusiva sulla materia sono gli organi giurisdizionali istituiti nel 2003, cioè le sezioni specializzate in materia di impresa, che operano in composizione collegiale.
Le sezioni (di I e II grado) erano ab origine localizzate presso i tribunali (e le Corti di appello) di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia.
L’esigenza di favorire il più possibile l’uniformità degli indirizzi ermeneutici e la stabilità delle relative decisioni aveva infatti consigliato la concentrazione delle cause presso una cerchia limitata di sedi giudiziarie con competenza territoriale ultradistrettuale.
Per effetto dell’accorpamento con i Tribunali delle imprese (istituiti con il cd. decreto liberalizzazione del 2012) il loro numero è passato da 12 a 21.
Le disposizioni sulla competenza internazionale (reg. Bruxelles I bis) regolano la giurisdizione in materia di registrazione o validità dei diritti di proprietà industriale, per i quali è prescritto il deposito ovvero la registrazione, che spetta in via esclusiva ai giudici dello Stato entro il cui territorio è stato richiesto od effettuato il deposito o la registrazione (forum rei).
Per le azioni di contraffazione il foro non è esclusivo perché le relative azioni possono essere proposte – fermo il foro generale del convenuto – anche avanti alla autorità giudiziaria nella cui giurisdizione sono stati commessi i fatti che si assumono lesivi degli altrui diritti di privativa (forum commissi delicti).
La competenza sul piano territoriale “domestico” segue una successione “alternativa” (art. 120 c.p.i.) articolata in:
a) quattro fori generali concorrenti a scelta dell’attore in via gradata: residenza / domicilio del convenuto, dimora (ove sconosciuti i primi due), domicilio eletto (prevalente su tutti);
b) due fori generali successivamente concorrenti (in mancanza di quelli sub a): domicilio / residenza dell’attore;
c) un foro generale (Roma) in mancanza degli altri fori (sub a-b).
Vale in ogni caso la regola sussidiaria del forum commissi delicti qualora trattasi di azioni fondate su fatti di contraffazione.
Occorre distinguere le azioni di contraffazione da quelle di nullità (e decadenza).
L’azione di contraffazione (in positivo) viene di regola esercitata avvalendosi del luogo di attuazione della condotta lesiva, come pure l’azione di contraffazione (in negativo) cioè di accertamento di non-contraffazione è promuovibile ove si affermino avvenute le condotte illecite fatte oggetto di altrui diffide.
Le azioni di nullità e decadenza rientrano, invece, nella competenza collegata ai fori generali alternativamente concorrenti.
Peraltro nell’ipotesi in cui il presunto contraffattore – convenuto in giudizio in base al foro facoltativo – oltre a negare l’addebito introduca in quello stesso giudizio domanda riconvenzionale per conseguire la declaratoria di nullità e/o decadenza del titolo, la “dipendenza” delle domande è sufficiente a salvaguardare il simultaneus processus per entrambe presso il forum commissi delicti.
La legittimazione (attiva) a promuovere le azioni di nullità o di decadenza spetta a «chiunque vi abbia interesse» e può essere promossa d’ufficio anche dal pubblico ministero (art. 122 c.p.i.)
Per marchi, modelli e disegni che soggiacciono al regime delle nullità “relative” il novero dei legittimati è ristretto ai soli aventi diritto (titolari dei diritti anteriori) in presenza degli impedimenti indicati dal c.p.i.
La “relativizzazione” delle cause di nullità ha comportato un ridimensionamento anche del ruolo del pubblico ministero il cui spazio di intervento (oggi facoltativo) resta ridotto alle sole ipotesi di decadenza e nullità assoluta.
Legittimato (attivo) a promuovere azione di contraffazione (in atto o minacciata) è il titolare dei diritti di esclusiva nascenti dal titolo – ancorché allo stato di domanda od in corso di registrazione – che si assumono violati dai terzi.
Nello stadio cautelare la tutela è consentita in pendenza della domanda purché resa accessibile al pubblico ovvero nei confronti di colui al quale sia stata notificata.
La legittimazione passiva nelle azioni di nullità e decadenza fa capo a coloro che risultano annotati quali aventi diritto nei Registri dell’UIBM.
Le azioni di contraffazione coinvolgono tutti coloro che abbiano preso parte alla catena produttiva e/o distributiva (fabbricante, commerciante, utilizzatore a scopo di lucro) a prescindere da rapporti di complicità o cooperazione colposa (destinati a valere nelle azioni di regresso-manleva per la graduazione interna delle responsabilità e dei danni).
Il concorso nella contraffazione avvince anche il produttore-fornitore di pezzi o mezzi scientemente destinati a terzi che li impieghino nella fabbricazione di macchine o nell’attuazione di procedimenti in violazione della altrui privativa.
Si tratta della cd. contraffazione indiretta (contributory infringment) che postula – ai fini dell’imputabilità dell’atto contributivo – la consapevolezza (desunta anche per facta concludentia) di operare per rendere possibile la contraffazione da parte del terzo.
Tra le formalità procedimentali il c.p.i. annovera l’invio all’UIBM – a cura di chi promuove il giudizio – di una copia dell’atto introduttivo di ogni giudizio civile in materia di marchi registrati e brevetti per invenzione; l’omissione influisce sulla proseguibilità della domanda rimanendo al giudice impedito di deciderla nel merito prima che sia stata effettuata la prescritta comunicazione.
L’impugnazione di nullità e l’accertamento della contraffazione richiedono immancabilmente indagini sui documenti tanto in tema di an quanto in tema di quantum.
L’uso del documento è veicolo istruttorio privilegiato per l’accertamento dei fatti in un giudizio squisitamente tecnico dove la prova testimoniale interviene in genere solo in via di completamento.
Anche i documenti – come ogni altra deduzione istruttoria – incontrano una barriera decadenziale, posto che tutte le attività delle parti debbono essere espletate entro determinati termini fissati dalla legge o dal giudice.
L’incompatibilità del processo industrialistico con scadenze precostituite e previsioni a breve termine giustifica peraltro l’eccezione per cui «il consulente tecnico di ufficio può ricevere documenti inerenti ai quesiti posti dal giudice anche se non ancora prodotti in causa» (art. 121, ult. co., c.p.i.).
La disposizione consente perciò di depositare «documenti nuovi» direttamente a mani del consulente nel corso della consulenza stessa, anziché produrli in giudizio nei termini perentori previamente fissati dal giudice.
La interpretazione dei documenti prodotti dalle parti è di regola affidata nella materia brevettuale ad una consulenza tecnica stante la natura estremamente specialistica di questo tipo di controversie.
Benchè la consulenza non possa essere utilizzata per finalità meramente esplorative onde supplire all’onere di allegazione documentale spettante alle parti, essa viene spesso valorizzata come autonomo mezzo di prova cd. scientifica e può essere disposta anche nel procedimento cautelare per ottenere sommarie indicazioni tecniche (art. 132, ult. co., c.p.i.).
L’area chimico-farmacologica e, soprattutto, quella della ingegneria genetica è oggi una di quelle maggiormente sensibili verso questo nuovo ruolo dell’esperto operante – più che come “consulente-deducente” – quale “consulente-percipiente” per fornire al giudice le risposte più adeguate.
La formulazione del quesito al consulente tecnico d’ufficio in tema di validità e contraffazione implica la verifica di sussistenza dei requisiti di brevettabilità del trovato e la presenza di “interferenze” (dirette e/o indirette) nell’ambito di sua protezione.
La esatta ricostruzione della “portata” del brevetto resta infatti fondamentale perché solo stabilendo l’ampiezza della tutela attraverso una corretta interpretazione del testo (“descrizione” e “rivendicazioni”) può stabilirsi se vi sia stata o meno violazione e, dunque, se sia coltivabile con successo un’azione di contraffazione.
Oggetto dalle analisi tecniche del consulente tecnico d’ufficio può essere anche l’area dei marchi ove si debba procedere a sondaggi di opinione od indagini demoscopiche per verificare uso ed intensità distintiva del segno.
L’attività del consulente può infine trovare spazio nel giudizio sul quantum per il calcolo dell’ammontare del danno nelle sue varie componenti di cui il titolare del diritto pretenda il risarcimento contro l’autore della violazione.
Incombe al titolare della privativa dimostrare l’esistenza della violazione, mentre l’onere di provare la nullità o decadenza spetta a chi impugna il titolo di proprietà industriale, la cui “presunzione di validità” deve cedere di fronte alla contestazione giudiziaria.
Nelle controversie industrialistiche i poteri attribuiti al giudice nella ricerca delle prove sono rafforzati dall’istituto della discovery (art. 121 c.p.i.) che consente – qualora una parte fornisca “seri indizi” di fondatezza della propria domanda indicando utili elementi a sostegno in possesso della controparte – che a costei il giudice possa ordinarne l’esibizione ovvero di rendere le occorrenti informazioni.
Per le violazioni su scala commerciale l’oggetto della comunicazione (a differenza che per i comuni atti di contraffazione) potrà estendersi anche alla documentazione bancaria, finanziaria o commerciale.
La discovery assume una portata innovativa allorché sia utilizzata in funzione repressiva per attuare il principio di “rivelazione” con possibilità di ottenere la “chiamata in correità” di terzi una volta che al presunto contraffattore sia ordinato dal giudice – su richiesta della parte probatoriamente “favorita” – di fornire i dati identificativi dei soggetti implicati nella produzione e distribuzione dei prodotti contraffattivi.
L’ordine può essere impartito solo alla controparte del giudizio e si distingue dal diritto di informazione (art. 121 bis c.p.i.) previsto, in via autonoma ed indipendente, anche nella fase cautelare, che si risolve nel potere attribuito al giudice di ottenere informazioni sull’origine delle merci, la gestione dei servizi e dei circuiti di distribuzione non solo dall’autore della violazione ma anche da “terzi estranei” che si trovino in una particolare “relazione” (possesso, utilizzazione, fornitura) con i prodotti e/o servizi contraffattivi e che saranno passabili di sanzione penale ove si rifiutino di rispondere o non si presentino all’interrogatorio.
Nella materia della proprietà industriale trovano deroga i “limiti soggettivi” del giudicato, secondo i quali la sentenza definitiva vincola solo i soggetti del rapporto processuale e non si estende ai terzi che non abbiano partecipato al giudizio, salvi gli effetti riflessi (art. 2909 c.c.).
Tali limiti sussistono per le sentenze che accertano la validità del titolo o la contraffazione, ma non per quelle che dichiarano la nullità o la decadenza di una privativa che hanno efficacia “universale”, operando erga omnes (art. 123 c.p.i.).
Il contenuto della sentenza di condanna annovera misure correttive, sanzionatorie e risarcitorie elencate negli artt. 124 e 125 c.p.i.
Tra le prime, l’inibitoria “definitiva”, che è l’ordine rivolto all’autore dell’accertata violazione di astenersi in futuro dall’uso del segno o dispositivo contraffattivo.
L’inibitoria è misura durevole che può venir disposta anche quando la contraffazione è cessata, prescinde dal danno subito e dallo stato psicologico del contraffattore posto che l’elemento soggettivo rileva solo ai fini della sanzione risarcitoria; è di regola accompagnata da penalità di mora, che sono sanzioni pecuniarie di rafforzamento per garantire l’osservanza tempestiva del comando giudiziale.
Tra le misure di deterrence di natura reale vanno poi ricordati i rimedi tipici della rimozione e della distruzione del materiale contraffattivo.
Quanto alla assegnazione in proprietà, trattasi di sanzione “restitutoria” che si rivolge come misura “traslativa” a tutti gli oggetti fabbricati, importati, venduti, che comunque violino i diritti di esclusiva, compresi i mezzi di produzione che servano univocamente a realizzarli od attuare il metodo di loro fabbricazione.
Con la sentenza può essere disposto anche il vincolo di indisponibilità sui mezzi di produzione e le cose contraffattive mediante sequestro fino all’estinzione del brevetto.
Statuizione conclusiva è la pubblicazione della sentenza (art. 126 c.p.i.) che assolve – oltre ad una funzione “riparatoria” con riguardo a situazioni di pregiudizio già verificatesi – una funzione “preventiva” rispetto a situazioni che potrebbero verificarsi in futuro, ristabilendo la certezza del diritto.
Nel processo di contraffazione il risarcimento del danno è una componente ineludibile perché mira alla ricostituzione del patrimonio del danneggiato nell’ammontare che avrebbe avuto se non si fosse verificata la violazione.
Valgono i parametri che contrassegnano il danno da illecito extracontrattuale: lucro cessante, danno emergente, nesso causale tra pregiudizio subito e comportamento sanzionato.
Il risarcimento del danno presuppone il dolo o la colpa nell’agente.
La colpa è presunta a carico di chi abbia violato la privativa, in considerazione del regime di pubblicità che assiste i diritti titolati facendo presumere – fino a prova contraria – la conoscenza delle risultanze del relativo Registro a tutti gli operatori economici onerati della consultazione al fine di controllare la sussistenza di diritti esclusivi in capo ai terzi.
Ai fini della quantificazione del danno può entrare in gioco il principio di equità che sopperisce all’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno ed a questo criterio residuale rimanda il c.p.i. (art. 125) quando stabilisce che la sentenza di condanna al risarcimento dei danni può farne liquidazione in una «somma globale», stabilita in base agli atti di causa ed alle presunzioni che ne derivano.
Particolarmente seguita è la tecnica processuale della “separazione” del giudizio dell’an da quello sul quantum debeatur che conduce alla cd. condanna generica (che spesso agevola la definizione delle liti).
La ricostruzione del quantum transita da due componenti di base: il danno emergente ed il lucro cessante.
Il danno emergente è agevolmente dimostrabile con documenti e tabulati vari.
Comuni a tutti gli illeciti di questo tipo sono i costi sostenuti dall’impresa per acquisire le prove della violazione e neutralizzare gli effetti dell’illecito, quali le spese di assistenza legale e tecnica (perizie, affidavit, ricerche di mercato, ecc.) ovvero le spese di costituzione di parte civile in paralleli processi penali od ancora i costi per la pubblicazione di comunicati e/o diffide.
Una tendenza evolutiva della giurisprudenza – soprattutto in tema di marchi – ha allargato la sfera del danno anche al cd. danno normativo, cioè il pregiudizio subito dalla posizione di monopolio in sé goduta dal titolare dell’esclusiva per l’effetto del “disturbo” e/o della dilution provocati dalla contraffazione che non si riflette solo sul piano della mancata vendita, ma sulle stesse sinergie dell’azienda, deteriorando la reputazione economica del proprietario.
Per questa ragione la norma prevede che l’autorità giudiziaria, nel fissare i danni, tenga conto di tutti gli aspetti pertinenti tra i quali – nei casi appropriati – anche elementi “diversi” da quelli economici (quale il danno morale o non patrimoniale arrecato dalla violazione).
Il lucro cessante o mancato guadagno è basilare per la ricostruzione del danno e si fonda su plurimi fattori ripresi dall’art. 125 c.p.i.:
a) decremento del fatturato del titolare della privativa con perdita di profitto;
b) re(tro)versione degli utili ritratti dal contraffattore (disgorgement of profits);
c) giusto prezzo del consenso (secondo una espressione mutuata dal diritto d’autore) o royalty che il contraffattore avrebbe corrisposto se avesse chiesto ed ottenuto un contratto di licenza.
Questa triplice opzione è adottata da tutti i paesi dell’Unione europea senza cumulare od associare i vari metodi di calcolo.
Il risarcimento del danno è infatti sempre “compensativo” e mai “punitivo”.
Il primo criterio è da ritenersi il più pertinente perché ricollega direttamente il pregiudizio alle perdite registrate dal soggetto passivo.
Il criterio dell’utile del contraffattore commisurato sulle vendite da costui realizzate in luogo del titolare del diritto ha funzione di “bilanciamento” del danno da calcolare sul calo di fatturato della parte che lo ha subito al fine di fornire un riscontro – almeno presuntivo – tra l’utilità economica persa da una parte ed il volume di affari raggiunto dall’altra.
L’attribuzione degli utili non può peraltro operare come misura additiva del danno risarcito sulla base delle perdite subite dal titolare del diritto e deve porsi sempre come “metodo alternativo e/o correttivo” della valutazione del lucro cessante risentito dalla vittima per consentire il pieno ristoro del pregiudizio.
La ricostruzione del danno sulla scorta del valore “virtuale” di una concedenda licenza al contraffattore e quindi sulle royalties o redevances che sarebbe stato tenuto a pagare al titolare del brevetto o del marchio è criterio utilizzabile soprattutto nella liquidazione equitativa.
La difesa cautelare di brevetti e marchi è affidata a strumenti tipici quali:
a) la descrizione;
b) il sequestro;
c) la inibitoria provvisoria;
d) l’ordine di ritiro dal commercio;
e) il trasferimento provvisorio dei nomi a dominio;
f) il sequestro conservativo;
g) il diritto di informazione;
h) l’autorizzazione alla distruzione della merce oggetto di sequestro amministrativo.
Descrizione e sequestro industriale (art. 129 c.p.i.) rappresentano misure sui generis avvicinabili l’una all’accertamento tecnico preventivo ed all’ispezione giudiziale, l’altro al sequestro giudiziario.
Entrambi i rimedi hanno funzioni “probatorie”, anche se il sequestro ne aggiunge una prettamente “interdittale” per impedire l’ulteriore circolazione degli oggetti contraffattivi evitando la propagazione della violazione.
La descrizione resta il rimedio tipico per il reperimento della prova dei prodotti che si presume violino una privativa come dei mezzi (attrezzature, impianti, materiali) impiegati per la loro produzione.
Il riferimento agli elementi di prova concernenti la denunziata violazione ne autorizza la estensione alla documentazione (non solo tecnica quali le schede di lavorazione, ma anche contabile quali le fatture commerciali e gli ordini) per acquisire le prove sulla “portata” della contraffazione.
Il sequestro resta invece un mezzo essenzialmente ablativo volto a “congelare” i prodotti contraffattivi e le macchine e/o impianti industriali adoperati per fabbricarli.
Nel procedere sia alla descrizione sia al sequestro (misure di regola richieste congiuntamente) vanno adottate le misure idonee a garantire la tutela delle informazioni riservate.
Funzione probatoria “anticipata” ha anche la consulenza tecnica preventiva (art. 128 c.p.i., che rimanda all’art. 696 bis c.p.c.) meno invasiva della descrizione ed utilizzabile anche (e soprattutto) a fini conciliativi.
L’inibitoria “provvisoria” (art. 131 c.p.i.) ha contenuto analogo all’inibitoria “definitiva” e realizza una tutela preventiva per impedire la reiterazione o continuazione della violazione.
La misura è di regola accompagnata dalla comminatoria di penalità di mora in caso di inadempimento e/o ritardo nell’osservanza dell’ordine impartito e può cumularsi al ritiro dal commercio delle cose costituenti violazione dei diritti di proprietà industriale.
Misura specifica che si estende oltre l’ordine generale (in negativo) di astensione è quella costituita dall’ordine (in positivo) di trasferimento del nome a dominio in favore del beneficiario del provvedimento interdittale (art. 133 c.p.i.).
Contro le violazioni su scala commerciale, tra cui gli atti di pirateria, cioè le contraffazioni “massicce” realizzate dolosamente in maniera sistematica (art. 144 c.p.i.) il legislatore ha poi previsto particolari mezzi di cautela quali il sequestro conservativo (art. 144 bis) ed il sequestro amministrativo (art. 146).
Quando la parte lesa faccia valere l’esistenza di circostanze atte a pregiudicare il pagamento del risarcimento del danno il giudice può disporre il sequestro conservativo di beni mobili ed immobili del presunto autore della violazione, compreso il blocco dei suoi conti bancari e di altri averi.
Va poi rimarcato il potere del prefetto, in ambito provinciale, e del sindaco, in ambito comunale, di disporre d’ufficio il sequestro amministrativo della merce contraffatta mediante atti di pirateria.
L’intervento dell’autorità giudiziaria in persona del presidente della sezione specializzata territorialmente competente è previsto, peraltro, solo per autorizzare la distruzione della merce sequestrata su richiesta dell’autorità amministrativa che ha proceduto alla misura.
Il diritto di informazione (art. 121 bis c.p.i.) di cui si è già parlato nella fase di merito è previsto – in via autonoma ed indipendente – anche nel procedimento cautelare quale rimedio impiegabile erga omnes (autore della violazione e soggetti terzi estranei al processo).
La pubblicazione del provvedimento cautelare – al pari della sentenza – è espressamente prevista dall’art. 126 c.p.i. in assonanza con il principio di “massima divulgazione” della funzione dissuasiva.
Il rilascio delle misure provvisorie di diritto industriale segue il rito cautelare uniforme (artt. 669 bis-quaterdecies c.p.c.) e può riguardare anche l’accertamento di non-contraffazione.
Il procedimento cautelare si innesta nel corso del giudizio di merito ovvero si instaura ante causam nel contradditorio delle parti, salvo che sussista il fondato pericolo che la convocazione possa pregiudicare l’attuazione della cautela; nel qual caso il giudice potrà emettere il decreto inaudita altera parte destinato poi, in ristrettissimi termini, ad essere confermato, modificato, revocato con ordinanza resa previa comparizione delle parti.
I provvedimenti cautelari rispondono al principio di stabilità nel senso che ove siano idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito (come l’inibitoria) non perdono efficacia anche se non è iniziato il giudizio di merito rimesso ad iniziativa di ciascuna parte.
Per ogni altro provvedimento non anticipatorio (come quelli conservativi ed istruttori, quali la descrizione ed il sequestro) permane la obbligatorietà del giudizio di merito da instaurare entro i termini prescritti dall’art. 132 c.p.i. pena la sua inefficacia.
La concessione della cautela richiede il duplice requisito del fumus boni iuris (apparenza del diritto) e del periculum in mora (grave ed irreparabile pregiudizio).
Il requisito del periculum è talora ritenuto in re ipsa a fronte di fenomeni di contraffazione suscettibili di pregiudicare i rapporti economici di mercato (anche se occorrerà comunque allegare una qualche prova del danno irreversibile lamentato).
Per quanto riguarda il fumus basterà una semiplena probatio (ottenibile tramite pareri tecnici, affidavit, dichiarazioni di terzi a contenuto testimoniale, ecc.) per ricavare elementi prognostici sulla validità della privativa (ove contestata) e sulla denunziata interferenza (ove negata) da parte del dispositivo o del segno messo in circolazione.
Salva la proposizione di reclamo (art. 669 terdecies c.p.c.) in caso di rigetto o di accoglimento dell’istanza cautelare, il provvedimento potrà essere sempre fatto oggetto di revoca o modifica per mutamenti delle circostanze o allegazione di fatti anteriori di conoscenza acquisita successivamente (art. 669 decies c.p.c.).
acc. su un tribunale unificato dei brevetti del 19.12.2013; acc. sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio del 15.4.1994 (TRIPs); trattato di cooperazione di Washington in materia di brevetti del 19.6.1970 (PCT); conv. di Monaco sul brevetto europeo del 5.10.1973 (EPC), revisionata dall’EPC 2000 del 28.6.2001; acc. di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi del 15.6.1957; acc. dell’Aja sul deposito internazionale dei disegni e modelli industriali del 6.11.1925; conv. d’Unione di Parigi per la protezione della proprietà industriale del 20.3.1883; reg. n. 608/2013/UE sulla tutela doganale dei diritti di proprietà industriale del 13.6.2013; reg. n. 1257/2012/UE e reg. n. 1260/2012/UE sulla tutela brevettuale unitaria ed il regime di traduzione del 17.12.2012; reg. n. 1215/2012/UE sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale del 12.12.2012; reg. n. 207/2009/CE sul marchio comunitario-unionale del 26.2.2009, come modificato dal reg. n. 2424/2015/UE del 16.12.2015; reg. n. 6/2002/CE sui disegni e modelli comunitari del 12.12.2001; dir. n. 48/2004/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (enforcement) del 29.4.2004; l. 24.3.2012, n. 27, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività; d.lgs. 10.2.2005, n. 30, come modificato dal d.lgs. 13.10.2010, n. 131 (Codice della proprietà industriale); d.lgs. 27.6.2003, n. 168, sull’istituzione delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale
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