TYLOS (Τὑλος)
Sotto questo nome gli autori classici designano, dopo la conquista di Alessandro Magno, la principale isola dell'arcipelago di Baḥrain, nel Golfo Persico, tra la costa dell'Arabia orientale e la penisola del Qatar (Theophr., Hist, plant., IV, 7, 7-8; V, 4, 7; Caus. plant., II, 5, 5; Pol., XIII, 9, 5; Strab., XVI, 3, 4; Plin., Nat. hist., VI, 148; XII, 38-39; XVI, 221; Arr., Anab., VII, 20, 3; Ptol., Geog., VI, 7). Alcune di queste fonti ricordano Tyros invece di T., per analogia con le città fenicie di Tiro e di Arado, sulla costa libano- siriana, i cui abitanti sarebbero originari delle rive del mare Eritreo (Herodot., I, 1). Il toponimo Arados, a volte menzionato dagli autori classici, designava l'isola di Muḥarraq, immediatamente a Ν di Bahrain; nei testi di epoca islamica antica lo si attribuiva a volte all'insieme dell'arcipelago, e sopravvive oggi nel nome del villaggio di Arad a Muḥarraq. L'origine del termine T. è probabilmente l'antico nome sumerico di questa regione, Tilmun/Dilmun. Lo ritroviamo in un'iscrizione palmirena del 131 d.C. nella forma Thiluana, e senza dubbio in una lettera del patriarca Īsō'yahb III, capo della chiesa nestoriana nella metà del VII sec. d.C., nella forma Talūn.
Le fonti di epoca classica forniscono alcune preziose informazioni sulla geografia e sulla storia di Baḥrain /Tylos. Sulla base dei resoconti degli esploratori di Alessandro nell'inverno del 324/323 a.C. (Archia, Androstene di Taso, Ierone di Soli), Teofrasto dà una descrizione molto attendibile della vegetazione della piana settentrionale dell'isola, tra cui spiccano vasti palmeti che ospitavano numerosi giardini e frutteti, mangrovie costiere.
La menzione del legno di tek e delle piante di cotone è senza dubbio frutto di una confusione, poiché Baḥrain a partire dal III millennio a.C. era uno degli scali principali del commercio con l'India, da cui provenivano proprio questi prodotti. Polibio ricorda brevemente che Antioco III fece scalo a T. sulla via del ritorno da Oriente, dopo aver sottomesso la grande città araba di Gerrha (v.), sulla costa d'Arabia di fronte a Baḥrain. E probabile che all'epoca l'arcipelago rientrasse nell'orbita dell'influenza seleucide nel Golfo Persico: la presenza di una piccola comunità greca, o grecofona, formata da mercenari e commercianti residenti nell'isola, non deve essere esclusa, dati i ritrovamenti di alcune iscrizioni greche, per lo più inedite.
Dopo il crollo seleucide, la storia ancora poco nota di Baḥrain fu senza dubbio strettamente legata a quella del regno di Characene/Mesene, situato presso lo Šaṭṭ el-'Arab. La già ricordata iscrizione palmirena ricorda un satrapo characeno a Thiluana/T., e tutti gli elementi della vita materiale avvicinano Baḥrain alla bassa Mesopotamia. Negli anni 230-240 d.C. il sovrano sasanide Ardašīr I sottomise e uccise «Sanatruq, re di Baḥrain » (si tratta di un nome partico, ben conosciuto a Hatra e altrove), e l'isola passò sotto il potere sasanide. Nel V e nel VI sec. d.C. l'arcipelago fu sede di almeno uno, se non due, vescovi nestoriani del Bet Qatraye.
Sulla base delle testimonianze letterarie di tutte le epoche, dal IV millennio a.C. fino a quelle islamiche, le componenti della ricchezza di Baḥrain e le ragioni della sua importanza sono diverse. Grazie a un'abbondanza di sorgenti di acqua dolce senza confronti in questo ambiente desertico, l'isola beneficiava di numerose risorse agricole, propizie a un popolamento denso e precoce. Sin dagli albori della civiltà, inoltre, le attività legate al mare hanno costituito un complemento di primaria importanza, in particolare la pesca delle perle, ricordata da Strabone, Plinio, Isidoro di Charax (citato da Ath., III, 93 D) e da altri autori più tardi. Le condizioni della navigazione in questa parte del golfo, molto sfavorevoli lungo la costa dell'Arabia, rendono Baḥrain lo sbocco naturale e insieme il porto di accesso delle grandi oasi dell'Arabia orientale (Hofūf Qatīf, ecc.). L'isola, infine, fu da sempre interessata al commercio regionale, tra la penisola di Oman (Makkan, poi Maka, v.), la costa persiana e lo Šaṭṭ el-'Arab, ma anche più lontano, con il Belucistan, il delta dell'Indo e l'India stessa.
Le testimonianze archeologiche di questo ricco passato sono innumerevoli. Le prime tracce di occupazione risalgono al IV millennio a.C., localizzate sulla costa occidentale dell'isola (al-Markh). Ma è a partire dalla seconda metà del III millennio che il popolamento dell'arcipelago si sviluppa in maniera considerevole, e le vestigia più numerose risalgono al periodo tra il 2100 e il 1800 a.C., apogeo della civiltà di Dilmun, diffuse in tutta la parte settentrionale e centrale dell'isola. Nel corso del II millennio l'isola subisce la dominazione cassita e nel I millennio appartiene all'orbita degli imperi neo-assiro e neo-babilonese, i cui sovrani si proclamano padroni di Dilmun. Nonostante le testimonianze archeologiche e quelle letterarie siano poco chiare, è praticamente certo che Bahrain appartenne all'impero di Dario I.
I resti del periodo ellenistico, che nell'archeologia locale comprende tutta la sequenza dal III sec. a.C. al VI sec. d.C., sono distribuiti in modo irregolare. Si conosce un unico insediamento abitativo, Qal'at al-Baḥrain, i cui livelli ellenistici sono stati appena sfiorati dalla missione danese negli anni 1950-1960 e dalla missione francese a partire dal 1977. Qualche frammento di ceramica attica a vernice nera e due graffiti in greco testimoniano i contatti con il mondo occidentale; un tesoro di tetradrammi d'argento che imitano i tipi di Alessandro, datato alla seconda metà del III sec. a.C., proviene da un'officina araba sconosciuta ma ellenizzata, che usa leggende aramaiche, forse la vicina città di Gerrha o forse la stessa Tylos. Gli influssi mesopotamici (Seleucia sul Tigri, Susa, Spasinou Charax) sono preponderanti nella ceramica o nelle figurine di terracotta. Anche se non sembra che il sito sia stato abbandonato, i livelli dal II sec. a.C. fino al II sec. d.C. restano poco chiari.
Le necropoli di questo periodo sono numerose, a Ğanussan, Karrana, Abu Saybī, al-Hağğar, Šakhura, Ğidd Hafs, Bu Ašayra, Umm al-Ḥassām, Sa'ar; sono state portate alla luce diverse centinaia di tombe, che si dispongono in sequenza dal III sec. a.C. al VI d.C. Alcune delle tombe a tumulo del periodo di Dilmun furono riutilizzate, ma insieme nacque un nuovo tipo di architettura funeraria. Le ciste funerarie, in genere individuali, sono costruite in pietre locali con cemento e ricoperte da lastre appena sbozzate; il tutto è ricoperto da un piccolo cumulo di sabbia. L'accostamento di tombe crea in tal modo un «tumulo» molto basso, di estensione variabile, che ospita diverse decine di inumazioni: ognuno di questi costituisce verosimilmente il cimitero di un villaggio. Il corredo funerario è ricco e vario: ceramica smaltata, vetri di ispirazione mesopotamica a partire dal I sec. d.C., figurine di stucco o di terracotta, spatole e spille di bronzo, vasi di avorio per ombretti, grani di collana in pasta vitrea o pietre semipreziose. La distribuzione delle necropoli nella piana settentrionale dell'isola potrebbe suggerire la geografia del coevo popolamento, ma i siti corrispondenti non sono stati individuati.
Nel II o nel III sec. d.C. una fortezza fu costruita a Qaʽat al-Baḥrain, forse sotto il regno di Mitridate di Mesene, verso il 130-140 d.C. Questo fortino quadrato, di 52,50 m di lato, presenta torri circolari agli angoli, con torri semicircolari che fiancheggiano la porta O. Vi sono state scoperte delle installazioni per la spremitura dei datteri (scavi francesi, 1977 e in corso). Non sappiamo esattamente fino a quando fu utilizzata questa fortezza, restaurata nel XIII sec. dalla dinastia araba degli Uyunidi.
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