typus
Occorre una sola volta, in Mn I II 1 videndum quid est quod ‛ temporalis Monarchia ' dicitur, typo ut dicam et secundum intentionem, dove ha uso avverbiale e vale " in generale "; il passo va introdotto: " è da vedere cosa sia ciò che si dice ‛ Monarchia temporale ', parlando in generale e secondo il suo concetto ".
Il termine è traslitterazione del greco τύπος, che propriamente ha il valore di " impronta ", e quindi quelli di " figura " (v.; v. anche SENSO), " modello normativo ", " regola " o " forma " (v.); l'uso avverbiale di t. e il valore di esso nei testi aristotelici è segnalato da E. Auerbach, Studi su D. (traduz. ital. Milano 1963, 179); per gli usi medievali, oltre a quanto dice lo stesso Auerbach, cfr. G. Vinay, commento alla Monarchia, Firenze 1950, 8-9; e v. INTENZIONE. La locuzione typo ut dicam è calco di quella greca τύπῳ ὡς λέγειν, con la quale Aristotele introduce un qualcosa nelle sue linee generali, prima di trattarne accuratamente; cfr. B. Nardi, Nel mondo di D., Roma 1944, 93-96.